Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Marchese di Roccaverdina

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

Lo sollevava pel mento su cui la barba era già cresciuta ispida, pungente; gli scansava dalla fronte i capelli cascatigli giù nel tenere sempre abbassata la testa come appesantita per la malattia del cervello; e all'ultimo, rizzatasi con scatto disperato, nascondeva la faccia tra le mani convulse, balbettando: «Che castigo, Signore! Che castigo!». E intendeva di dire pure per sé, quasi gran parte della colpa fosse stata sua, se il marchese aveva ammazzato Rocco Criscione. Titta, di tratto in tratto, veniva a tenerle compagnia. «Voi non l'avete visto nei primi giorni. Non si chetava un momento! Sono stato tre giorni e tre notti senza chiudere occhio! ... Faceva terrore.» «E la marchesa? Con che cuore ha potuto abbandonarlo?» «Ringraziate Iddio! ... Se ci fosse stata lei, non sareste qui ... » La osservava. Era tuttavia bella, meglio della marchesa, con quel viso affilato, bianco come il latte e quegli occhi neri e quei folti capelli nerissimi, alta e snella. E parlando di lei con mastro Vito, Titta dichiarava che, secondo lui, la prima pazzia il marchese l'aveva commessa dandola per moglie a Rocco che non se la meritava. «Non sapete il patto? Non doveva toccarla neppure con un dito ... Per questo il marchese lo ha ammazzato.» «Aveva messo l'esca accanto al fuoco ... Che avreste fatto voi?» «Capriccio di gran signore! ... A voi e a me non sarebbe passato per la testa quel patto. E n'è andato di mezzo un innocente! La marchesa non sa che la Solmo è qui. Verrebbe a cavarle gli occhi. Maria mi ha raccontato di averle sentito dire alla madre: "Non lo posso perdonare! È diventato assassino per quella donna!". Ed ha voluto andarsene.» «Il marito è sempre marito! In quello stato poi!» «Dicono che ha rinunziato alla dote per mano di notaio ... Il marchese le aveva assegnato Poggiogrande.» «Per mano di notaio?» «Ci credete voi? Io vorrei sapere intanto chi comanderà qui e provvederà ai fatti miei.» Lo zio don Tindaro e il cavalier Pergola venivano tre, quattro volte nella giornata, in compagnia del dottor La Greca. «Ah dottore! Non vuole mangiare più! Serra i denti, si volta di là; come fare?» «Ci siamo!» Il dottore non die' altra risposta; e Agrippina Solmo, che ne comprese il significato, si buttò su una seggiola, con le mani nei capelli, singhiozzando: «Figlio, figlio mio!». La desolata tenerezza di queste parole non commosse il vecchio zio del marchese, che le si avvicinò e la prese per un braccio, riguardosamente ma severo: «Dovete capirlo», le disse, «non potete restare più qui. Mastro Vito, pensateci voi ... Poveretta!». Ella gli sfuggì per baciare e ribaciare quelle mani quasi inerti che avevano ammazzato per gelosia di lei; e pareva volesse lasciarvi tutta l'anima sua grata e orgogliosa di essere stata amata fino a quel punto dal marchese di Roccaverdina. «Figlio! figlio mio!» E si lasciò trascinar via da mastro Vito, senza opporre resistenza, umile, rassegnata com'era stata sempre, convinta anche lei che non poteva restare più là, perché il suo destino aveva voluto così.

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