Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassasti

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

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Racconti 1

662682
Capuana, Luigi 1 occorrenze
  • 1877
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
  • UNIFI
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Tu diventasti pallida a un tratto e abbassasti la testa. - Parlo seriamente - replicai. - Perché non vuol credermi? - Le credo, le credo! ... Però ... - La tua voce era turbata. Io stavo per aggiungere qualche cosa, ma entrò gente; e per tutta la serata non potei dirti altro. Tornai due sere dopo. Eravamo seduti allo stesso posto; il caminetto scoppiettava allegro, ma non eravamo soli. Che rabbia! Tu mi leggevi negli occhi la grande impazienza e mi guardavi quasi smarrita. Pareva avessi paura non ci lasciassero soli. Io mi feci coraggio. Accostai un po' piú la seggiola, fingendo di parlarti d'una cosa indifferente, e ti dissi all'orecchio: - Non mi crede ancora? Tu ti baloccavi con le molle, ravviavi i tizzi accesi; mi par di vederti. Non volevi rispondere; evidentemente la risposta non era bella per me e ti pesava dovermela dare. Finalmente parlasti. Io, allora non volli crederti. - Chi era quell'uomo che aveva la tua parola, quantunque non avesse il tuo cuore? - Non potei strappartelo di bocca. - Perché avevo aspettato tanto? Non lo sapevo neppur io -. Mi misi a ridere sforzatamente, per celare il mio disinganno. Non ero tra le rose in quel punto. Se tu non fossi rimasta seria, chi lo sa?, forse non sarebbe avvenuto quel che dopo è avvenuto. Ma tu rimanesti seria seria. - Amici come prima? - Piú di prima - ti risposi. E sorridevo. Che viso dovevo avere! E poi, di salto, pensavo a quell'altro giorno di Treviglio, la prima nostra scappata. Rivedevo quella casetta bianca, con le persiane verdi, con quel gran pergolato che formava una graziosa tettoia davanti la porta, dietro il cancello di ferro; casetta civettuola, che ci aveva fatto fermare pensosi tutti e due su la strada polverosa, attratti dal silenzio e dalla pace che covava in quel nido. - Come ci si starebbe bene! - Facemmo insieme la stessa esclamazione e restammo tristi. A che pensarci? Ci trovavamo lí senza sapere veramente perché. Anzi, secondo te, non avremmo dovuto venirci; avevamo fatto male. Tu avevi rimorso. Eri nervosa, inquieta, malcontenta di te stessa. Io ti guardavo come colui che non spera niente, rassegnato, contento di rubare un momento di felicità alla mia cattiva sorte. Ci perdemmo pei campi. Fra gli sterpi delle siepi affacciavano qua e là la testina certi fiorellini gialli dal lungo stelo con due f oglioline verdi. La campagna era arida. Il sole la faceva apparir bianca, con riflessi che ci abbagliavano. E noi c'inoltravamo per le strade deserte, saltavamo i fossi, risalivamo il letto secco di un torrente ove io trovai quel ciottolo di marmo verde, venato di bianco e di nero, sul quale poi incisi il tuo nome a lettere di oro. Seduti sull'argine, quasi fuor del mondo, di che si ragionava? Vattel'a pesca! Certamente di cose deliziosissime. Non ci accorgevamo della vampa del sole, né del vento che scompo neva i fiori del tuo cappellino di paglia e voleva stracciare il tuo velo scuro. Le ore passavano inavvertite. Ah, la campagna! Ah, il sole! Ti avevo strappato il tuo segreto; ero felice nella mia desolazione; ti avevo visto piangere! Che potevo pretendere di piú? Ma ogni speranza mi era chiusa. Oh, com'era dolce pensar tutto questo passato lontano, lontano - fiaba, leggenda, mi pareva - mentre il cavallo sfangava sulla strada di Cassano sballottando il legno su cui tu sedevi accanto a me, ora mia, proprio mia! Tu forse pensavi le stesse cose. Era difficile non pensarci. Che brutta giornata! Cominciò a piovere. La camera di quel meschino "Grande Albergo" dava sulla corte e non era punto bella; ma noi vi mettemmo subito la nostra allegria. Che risate calde! Eravamo tornati fanciulli. E la sala da pranzo? Che appetito con quell'umido che s'infiltrava anche lí dentro, con quella nebbia che s'incollava insistente ai vetri delle imposte! Dopo desinare, la sala si empí del fumo delle nostre sigarette, cioè delle mie; tu ne fumasti appena una. Guardavamo fuori, in piazza, le botteghe, i contadini che passavano sotto grandi ombrelli bagnati dall'acquerugiola che non voleva finire, le contadine con le spalle appoggiate alle soglie, le mani sul seno o ciondoloni, ciarlanti da un uscio all'altro, dalla via e dalle finestre, e che ridevano o facevano smorfie, secondo i discorsi. Ci contentavamo di quello spettacolo, invece dell'altro che c'eravamo immaginato venendo. L'importante era stare insieme una giornata, ignorati, lontani dagl'importuni. Pioveva? Tanto meglio; non ci stancavamo a correre pei campi, com'era nostra intenzione. Le imposte della sala erano tempestate di nomi, di date. Altre persone che si volevano bene erano state là prima di noi e vi aveano lasciato un ricordo. C'erano anche dei versi del Byron, che ora piú non rammento. - Chi può essere questa Jenny firmata sotto questi versi? - Una vecchia zittellona brutta, sdentata, dagli occhiali verdi - dicevo io. - Una miss Chiaro-di-luna - dicevi tu. Sciocchezze! Ma eravamo felici. Allora ci venne l'idea di scrivere anche i nostri nomi su quell'album di legno verniciato. E tu scrivesti: Fasma (nome di adozione) col tuo bel caratterino. Io, Oreste, con le mie orribili zampe di gallina; e mettemmo la data, data indimenticabile! Ora voglio dirtelo. Ti rammenti che io vi scrissi alcuni versi in lingua russa che tu volesti tradotti? Ho visto passare l'Amore Con un gran fascio di cure. - Dammene, Amore, - gli dissi - Dammene un po'. - Ma egli tirò diritto. Sí, sí, versi russi, cara mia! Invece erano motti foggiati lí per lí, di nessuna lingua, senza alcun senso, che io ti tradussi sfacciatamente a quel modo. Quando penso che qualche tourist li copierà per cercare di farseli tradurre anche lui! E tu ripetevi cantarellando: Ho visto passare l'Amore Con un gran fascio di cure Ora ho quasi rimorso di averti cosí canzonata. Eravamo ancora dietro i cristalli, quando passò quell'accompagnamento di morticino. La pioggia era cessata, e il cielo sorrideva qua e là di splendido azzurro. Il sole, affacciandosi dalle nuvole dorò il feretrino, luccicante di ornati di rame in rilievo, che il becchino portava su la testa sopra una tavola coperta da un bel tappeto rosso, che nascondeva la persona. Parve fatto apposta. Quel sorriso di sole venuto cosí a proposito c'intenerí. Io ti vidi gli occhi pieni di lagrime. Poi, per dieci minuti, andammo fuori, passando in punta di piedi fra la mota della piazza fino al ponte che accavalcia l'Adda. Com'era bello, come era magnifico l'Adda spumante, che veniva giú sonoro fra le larghe rive per la verde campagna! Allora sí ce la prendemmo col cattivo tempo; io specialmente, ingrato!, dicevi bene: - Ingrato! - E anche tutto questo mi sembra oggi un passato lontano lontano, una fiaba, una leggenda. Mentre scrivo, tu dormi tranquillamente nella camera accanto; mi par di sentire il tuo respiro ... Sono venuto una volta per assicurarmi se eri tu che muovevi la culla accosto al letto. No, era Lillí che armeggiava con le manine di rosa. Mi ha guardato, mi ha sorriso (mi ha riconosciuto?) e non si è messo a piangere. Sento che armeggia ancora. E la mammina cattiva dorme, come niente fosse! ...

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