Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il fosso

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Bonanni, Laudomia 1 occorrenze

Era appena dolcemente tramontata la stella cometa del Presepe, che riapparvero in cielo gli aerei, dapprima altis- simi nell'algido sereno, piccoli nuclei luminosi con una scia di vapore dietro, in tutto simili anch'essi a comete; ma poi presero ad abbassarsi sulla montagna, a roteare puntando selvaggina umana, e il crepitio dei mitragliamenti ritambu- rellava echeggiato dalla cerchia montana torno torno all'o- rizzonte. Di tanto in tanto la slitta portava giù un alpino ben composto, mimetizzato in candore, con le mani sul Gott mit uns della cintura, o un pastore ravvolto nel pelliccione, una croce di stecchi fra le dita. I lampeggiamenti delle arti- glierie sulle creste della montagna annunziarono che la guerra si riaccendeva lungo tutto il litorale. Di nuovo lo spettro d'un possibile sfollamento annichilì gli animi. E a un tratto si seppe che in città l'indù Lokuvanni era stato fu- cilato. Ancor oggi s'ignora come sua moglie lo venisse a sa- pere. La videro le vecchie una mattina attraversare il sa- grato come una pazza, col piccino in braccio ravvolto in uno scialle, ed entrare in chiesa. Andò la Tanghetta a le- varle la creatura, poi giunsero, anch'esse di corsa, le donne di casa con le mani ai capelli. La riportarono su che pareva tranquilla, non piangeva, per via rivolle il figlio. Ma già le era andato indietro il latte, non ne ebbe più. A grandi blocchi anneriti la neve stava ancora in terra, ed ecco, a ricolmare ogni vuoto, e livellare la contrada in- tera, ne vien giù dell'altra. Mai, da cinquant'anni, s'era avuto a C. un così terribile inverno. Persino gli amburghesi stupivano di quel freddo. Ma da loro, su alla Kommandan- tur e ovunque alloggiassero, ardevano gran fuochi e si mangiava bene, poiché gli uomini del paese mantenevano aperta la via di comunicazione con la valle. Lavorarono a spalare anche una notte, con un'enorme luna splendente in cielo che solo a guardarla gelava gli occhi e, a chiuderli, resta- vano fili di luce confitti nelle pupille come aghi diacci. Al- l'alba incontrarono lo spazzaneve e, sulla via del ritorno, le donne, che portavano da mangiare e qualche straccio fem- minile da coprirsi un po' più. C'era, per suo padre, la ra- gazza dei Bonavia, che si teneva a fianco quella meschinuc- cia dei Sassoli, ingozzata in due stivaloni di gomma tutti a fette. Le si era indurito il moccio al naso e le lentiggini sul suo musetto di rossa si facevano livide. Quell'orsacchiotto mutolo di suo fratello le tolse l'involto senza neppure guar- darla. Avevano portato, in mancanza d'altro, infuso d'erbe da bere, ma era ormai freddo e gli uomini lo rifiutarono, addentando con le mascelle indolorite il pesante pane di granoturco. Solo la serva dei Sallesi aveva per il ragioniere pane di grano, ma il giovanotto non prese il suo involto, si rigirò invece lo sciarpone di sua sorella attorno alla bocca gelata fuor del bavero del pastrano. Aveva spalato tutta la notte come gli altri, all'ordine dello sterratore José capofila. Imbracciata di nuovo l'arma, i tedeschi dettero il comando di proseguire. Le donne si misero in coda. Eppure si ballò, nel febbraio, in talune case, e si fece musica, si offrirono tè. Baldoria la truppa ne faceva di conti- nuo, in partenza per il fronte, con grandi bevute, clamorosi cori e sparatorie alle finestre. In tal caso c'era sempre, nel suo abituccio nero coi lustrini da falena - un soldato vi po- neva su ridendo il proprio cappotto - la Felicina. Ma che si accogliessero spontaneamente quelli lì, e gli si suonasse Beethoven - come faceva la "borgomastra" - gli si presen- tasse in punta di dita la chicchera fumante - in ciò fu mae- stra alle paesane la bella Giulia - sembrava a taluni riprove- vole, a talaltri inaudito. Le vecchie, nonché temere l'appari- zione di una nuova stella di sangue, s'aspettavano che il cielo si mettesse a piovere fulmini a secco. Come s'udivano dalla casa accanto le prime note del pianoforte, la vedova di Lokuvanni andava a chiudersi in camera e si coricava nel letto accanto al piccino, tirandosi sul capo la coltre. E lì sotto ricominciava la tortura. (Essa non potrà mai più to- gliersi dal capo questa immagine orribile di lui - l'hanno fu- cilato alla schiena - che s'impenna come il muletto giovane, visto lì in mezzo alla strada appena Fritz, al momento di partire per il fronte, le ha detto che è vedova e baciata la mano.) Aveva molto amato il suo piccolo Dorabji, sebbene ora non riuscisse neppure a ricordarsi il tono di quella voce e a malapena raffigurava la fisionomia della faccia sottile se mirava a lungo il piccino. Gli occhi, sì. Gli occhi scuri e fissi che la guardavano sempre, che instancabilmente l'avevano guardata per tutto un anno, l'anno che era stato da loro. Confinato politico, suddito inglese, straniero in ogni fibra e nemico intoccabile, essa, suo malgrado, s'era messa ad amarlo. Ora, ecco, si ricorda, ma non con la memoria, sib- bene con tutti i sensi, della sua pelle, quella pelle scura e fina, che la morte ha inverdita per sempre. Anche nella vo- luttà impallidiva così, d'un tono verdognolo trasparente, essa sa com'è da morto. E ben sa che non d'altro era preso se non d'amarla con tutto il concentrato ardore ch'era nella sua piccola persona straniera. Per nulla l'hanno ucciso, per nulla. Adesso si ricorda com'erano stati in ginocchio nella chiesa, l'uno accanto all'altro, tenendosi per mano, e lui re- citava il padrenostro come lei gli aveva insegnato, interro- gandola con occhi seri se dicesse bene. E come aveva tanto insistito, chissà perché, su quei sette passi che avevano fatto insieme, giurandosi fedeltà, fino alla porta. S'erano sposati il giorno dopo, lui era come assente alla cerimonia. Veniva da Londra, ma anche da tanto più lontano, essa non lo ca- piva, s'erano solo molto amati. Dietro l'uscio, gonfio il viso per una nevralgia, ancora dentro la sciarpa di lei, il fratello la sentì gemere. Essi tutti di casa non osavano più nemmeno maledire a quello straniero, ora che c'è lì il suo bam- bino, con gli stessi occhi sotto la fronte. Più tardi uscirono gli ospiti dalla casa accanto, s'udì ancora un arpeggio sul piano, il riso di Giulietta, gli stridi d'altre ragazze, la voce profonda del viennese. (Già d'allora, sebbene non paresse, si sentiva ebbro, dal momento in cui essa l'ha guardato in quel modo porgendogli la chicchera di porcellana bianca e oro, e a lui d'un tratto vengono in mente le stufe di Schoenbrun - le aveva proprio viste come enormi chic- chere - e s'è sentito egli stesso crescere smisuratamente.) Già tutte le case del paese, trascorsa l'ora del coprifuoco, erano chiuse e scure come tombe. La comitiva, si seppe il giorno dopo, passò di lì a casa Dimarzio per ballare. Era oltre la mezzanotte quando s'udì il motore del camion ma- cinare asmatico sullo spianato del paese alto. Qualcuno sol- levò il capo dal guanciale, in ascolto, domandandosi chi mai andasse via così nel cuor della notte: un nuovo arresto, forse, o forse ordini, novità: c'era già qualcosa nell'aria di quello spirante febbraio, che gli altri anni aveva già visto violette alle prode dei fossi. Invece era la ragazza che par- tiva, avvolta nella sua argentea pelliccia e in una grigia co- perta militare. All'alba, prima che la gente si levasse, la madre Bonavia accompagnò dalle due vecchie della piazzetta, per sottrarla alle ire paterne, la ragazza che ingrossava. Quelle erano già deste, accoccolate nella loro cuccia, e non batterono ciglio alla novità. Ma già, come animali inquieti, annusavano qual- cosa di grosso nell'aria vaporosa del mattino. (A quell'ora, giù all'ospedale militare, la bella Giulia era spirata.) La madre Bonavia posò in terra il rotolo delle coperte, su cui la figlia sedè a viso asciutto. «Eh! comare» disse la Nicitrella «bisogna che ciò si compia, se è volontà di Dio.» La ra- gazza s'accasciò sulle ginocchia. «Volontà di Dio» asserì la Tanghetta arrotolando sulla nuca il codino bianco. «Mica tutto il seme attecchisce. Guarda quella... la p...» Non pronunziò la parola per riguardo alla giovane. Ma salace la Ni- citrella commentò: «Quella è più larga della porta della chiesa.» Fu la prima giornata d'un inverno senza fine ad addol- cirsi all'improvviso. Schiarì a oriente il cielo roseo, che tra- mutò a giorno fatto in un verdino agro cui la luce stentava a dar consistenza cerulea. Ma si capì che la spera era sciolta e quello un colore di vivo. Liberatasi dai vapori, la montagna riapparve, alta sulle case, tutta nuda, dorata screpolata e fre- sca sotto l'ammantatura di neve a mezza costa, che presto avrebbe scoperto i marezzi verdi dei pascoli. Tutta la ca- tena, lungo un nitido orizzonte, si delineò candidissima contro il vibrante celeste. Un silenzio alto attonito irreale regnò per tutto il giorno sulle case: non s'udivano più le ar- tiglierie. S'udì invece un gran rombar di motori lungo la via a valle. C'era agitazione alla Kommandantur. E anche tutte le donne, a una cert'ora, furono in moto nere e silenziose per le viuzze, come una catena di formiche. Sull'imbrunire, in gruppo, portarono alla intimidita sartina Celeste una pezza di seta bianca e una nuvola di tulle - allora allora tratti da sotterra overano stati seppelliti insieme agli og- getti più preziosi - perché ne facesse un abito nuziale. Era per la morta. Col tulle bisognava comporre una gran co- rolla a dissimulare la testa sfracellata. Le decane non uscirono, ne pronunziarono parole. Se ne stettero tutto il giorno al canto del fuoco, mentre la ra- gazza Bonavia, accasciata in terra, soffiava sui ceppi verdi sfrigolanti. Sigillato l'incavo delle bocche, erte le cocche della pezzuola come nere alette, esse si guardavano di tanto in tanto, sopraffatte dalla potenza del nume che già aveva parlato in loro da tempo: il fulmine è sceso. Che gli altri raccontino pure come quell'Oscar semiubriaco avesse do- vuto infine sparare sulla coppa che lei si teneva in capo sfi- dante, irridente: troppo bene esse sapevano donde era pro- venuto il castigo. Una folla di gente, fra cui le decane non c'erano, accom- pagnò il feretro al cimitero. La cassa, retta a spalla dagli uo- mini, era di buon legno chiaro lucidato, con borchie e ma- niglie di bronzo. Due fanciulle reggevano la gran corona di fiori bianchi, giunta dalla città sul camion che aveva portato via il viennese. Bisognò pesticciare nella fanghiglia con tutto il piede, immollarsi le scarpe, impillaccherarsi fin sulla schiena: stava ormai sciogliendo, il sole scaldava, già prima- verile. Dopo l'interramento, le donne s'accorsero che nei prati le erbicciole si scoprivano, spuntando dall'ultimo strato di neve, e si sparsero a cavarne per la cena coi coltel- lucci dei ragazzi. Il primo seme a esprimere un cespo di violacciocche da un'oncia di terriccio annidato nell'ansa d'una foglia di pie- tra del rosone fu certo quello del bavarese Karl. Poiché Karl ne ebbe un vivace risentimento appunto in quell'occhio. Se ne stava, in un campo, a fior di terra, così come l'avevano messo in fretta i compagni. L'umore dell'occhio, avendo ce- duto sé alla terra, le aveva fatto posto nel cavo dell'orbita. Ivi, a un tratto, avvenne qualcosa, una specie di titillamento di tentacoli sulle pareti ossee, e poi un fremito lungo che si divincolò in su tra i granelli cedevoli, sotto specie d'un qualcosa di tenue e bianchiccio, come un lemure. Ma poi scaturì, al lucente sole, un filo d'erba smeraldino. Per quella terra altri corpi erano sparsi come chicchi di grano. Il vento gagliardo di primavera passò su quella nuova dovizia e, spi- rando verso il Nord, dappertutto continuava a trovare quel seme, e per tutta la sua stagione spinse alle spalle quanto ancora non ne cadeva, sebbene già lanciato per la sua sorte dalla macchina seminatrice della guerra. Come i bruscoli di violacciocche nel terriccio dei trafori, così alcuni di quei chicchi umani andarono a cadere nelle fonde anfrattuosità rocciose della montagna di C., ove già ve n'erano dall'in- verno, come pure sotto i marezzi dei pascoli che hanno lassù un murmure come il grano alto. Altri invece passarono, destinati ad altra terra. Come fu al suo apice la prima- vera - ben frangiate d'erba le connessure dei ciottoli sulla piazzetta, erti gl'iris in pompa viola al sommo del muro - la contrada si liberò. Un mattino, sbattendo le imposte cigo- lanti delle finestrette, s'affacciarono le donne giovani con pezzuole fiorite al capo. Smorticci in viso per la lunga re- clusione uscirono gli uomini nelle strade, con clamori vio- lenti di giubilo. Allora anche il russo, bianco come la calce, uscì di sotto terra, e se ne andò. Dopo tanto che non si vedeva, riapparve la piccola guardiana al poggiolo dei Sassoli, col ventre che sollevava innanzi la sua veste di ragazzina e scopriva le gi- nocchia sporche.

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