Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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CHI VUOL FIABE, CHI VUOLE?

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Capuana, Luigi 2 occorrenze

Alla superbiosa che se ne stava tutto il santo giorno alla finestra, ben pettinata, bene agghindata, con le mani in mano per non sciuparsele, nessuno badava; gli operai, perché sapevano che non si sarebbe mai degnata di sposare uno di loro; i signori perché non volevano abbassarsi a prendere per moglie la figlia d'un ramaio, e neppure farla insuperbire di più, mostrando di ammirarne la bellezza. Gli anni passavano, e inutilmente il ramaio ripeteva: - La maggiore la darò ai Reuccio, l'altra a chi vuol pigliarsela. Qualcuno, per ripicco, gli rispondeva: - Ho paura, ramaio, che vi spighiscano in casa. E lui, picchiando più forte sull'oggetto che aveva per le mani, pentola, paiolo, padella o caldaia, rispondeva: - La maggiore la darò a un Reuccio, l'altra a chi vuol pigliarsela. - La vanità gli ha fatto andar il cervello a spasso - pensava la gente. Nell'orticello a pianterreno c'era un albero di pesco. Da qualche tempo in qua, appena Cingallegra - anche il padre e la sorella la chiamavano così, ma con tono di sprezzo - appena Cingallegra si metteva a cantare, ecco un frullìo di ali che le faceva alzare gli occhi. Un pettirosso le volava sulla testa, quasi a portata di mano; si allontanava, ritornava, si posava in cima al pesco, riprendeva a volare cinguettando, trillando. Pareva volesse imitare il canto della figlia del ramaio, e che si stizzisse di non riuscirvi. E siccome essa, distratta dall'arrivo dell'uccellino, cessava di cantare, questi, dondolandosi su una rama, se ne stava zitto aspettando. - Vuoi sentirmi cantare, bell'uccellino? Il pettirosso con un trillo faceva intendere: si! si! E Cingallegra cantava. L'uccellino ascoltava, continuando a dondolarsi allegramente; e, appena essa taceva, riprendeva a provarsi di modulare il canto, tentando di imitarla, ma finiva sempre con un trillo di stizza, e volava via. Ora che Cingallegra aveva questo svago, a ogni momento di libertà, scendeva sùbito nell'orticello e si metteva a cantare. Il pettirosso però veniva a ore fisse, due volte al giorno, la mattina prima della levata del sole, la sera verso il tramonto. Quando egli non era là, Cingallegra si sentiva sola più dell'ordinario, e faceva di malavoglia le faccende di casa. La sorella, che se ne stava a grogiolarsi nel letto, non poteva soffrire il canto mattiniero di Cingallegra. - La vuoi smettere di cantare all'alba? Mi impedisci di dormire. - La vuoi smettere di dormire fino a tardi? Mi impedisci di cantare. Ah! Diventava impertinente? E la maggiore se ne lagnò col padre. - Ed anche si burla di me chiamandomi Reginotta! Il padre, che non ci vedeva dagli occhi per lei, rimproverò Cingallegra. - Le faccio la serva: non basta? Io spazzare, io spolverare, io fare il bucato, io sciorinare i panni, io preparare da mangiare! ... E non è vero che voi dite: La maggiore la darò al Reuccio, l'altra a chi vuol pigliarsela? Dunque Reginotta le sta bene. Lasciatemi un po' sfogare col canto! E la mattina, prima del levare del sole, scendeva nell'orticello, si sedeva sotto il pesco e cominciava a cantare. Da li a poco, ecco un frullio d'ali: era il pettirosso che arrivava cinguettando, trillando, gorgheggiando. Si allontanava, ritornava, si posava in cima al pesco dondolandosi su una rama, e pareva che stesse ad ascoltare. E Cingallegra cantava, cantava cantava, piano, quasi volesse fargli la lezione e dargli agio di apprenderla bene. E appena ella taceva, il pettirosso riprendeva a provarsi di imitarla; ma finiva sempre con un trillo di stizza, e volava via. Intanto, di giorno in giorno, scendeva a dondolarsi su una rama più bassa. Le volte, però, che Cingallegra si rizzava in piedi e alzava un braccio per afferrarlo, scappava, senza mostrarsi molto spaurito, e tornava subito allo stesso posto. - Pettirosso, perché non ti lasci prendere? E il pettirosso rispondeva con un rapido trillo, quasi dicesse: - Questo no! - Pettirosso, mi vuoi bene? E il pettirosso rispondeva con un lieve gorgheggio, quasi volesse dire: - Tanto! Tanto! - Pettirosso, dovresti venire a posarti su questo dito; ti darei un po' di zucchero. E glielo mostrava. Il pettirosso faceva le viste di accorrere, aliava attorno alla mano con l'indice teso, e via su la rama a dondolarsi e a trillare. - Pettirosso, sei cattivo. Non canterò più. Il ramaio, dalla bottega, le dava la voce: - Cingallegra, con chi parli? Parlo da me! vi dispiace? Ah! Diventava impertinente! Indispettito della risposta, il ramaio la minacciò: - Per le matte c'è il bastone. E salito su, disse alla figlia maggiore: - Quando Cingallegra è nell'orto, affacciati alla finestra di cucina senza farti scorgere da lei. Guarda che cosa fa e con chi parla. Il giorno dopo egli fu stupito di sentire che Cingallegra parlava con un pettirosso. - Cingallegra ha trovato marito! - la schernì a cena la sorella. - Meglio di Reginotta, che non trova un cane che la voglia. Il ramaio le allungò un ceffone: - Non si risponde così alla sorella maggiore! L'indomani, il sole era alto, e Cingallegra non si era levata dal letto. - Cingallegra, c'è da. fare il bucato. - Reginotta ha le mani come me. - Cingallegra, e il desinare? - Reginotta ha le mani come me. Ma che cosa era accaduto da farla diventare tutt'a un tratto così impertinente? - Cingallegra, c'è tuo marito nell'orto. Ah ah! Il pettirosso trillava forte e gorgheggiava: pareva che chiamasse e si spazientisse di attendere. Alla intonazione di scherno e alla risata della sorella, Cingallegra balzò giù dal letto, dicendo: - Il Reuccio non è mai venuto a cantare per te! E, appena vestitasi, corse ad affacciarsi alla finestra, che dava nell'orticello. Il pettirosso si sgolava; volava attorno, saltellava da un ramo all'altro, e Cingallegra godeva di vederlo stizzito a quel modo. Gli aveva detto: - Pettirosso, sei cattivo! Non canterò più. E voleva mantenere la parola. Ma ecco che l'uccellino va a posarsi sul davanzale e si lascia prendere e accarezzare, e risponde alle carezze con delicati colpettini di becco sulle dita. - Ti sei finalmente deciso? Ora ti metto in una gabbia e starai sempre con me. Così erano due che cantavano da mattina a sera, con gran fastidio di Reginotta: Cingallegra, intanto: che spazzava, o spolverava, o faceva bollire il bucato, o sciorinava i panni, o preparava il desinare e la cena; e il pettirosso che dalla sua bella gabbia l'accompagnava con tali acuti trilli e gorgheggi da sembrare che facessero a gara a chi cantasse più forte. La gente si fermava ad ascoltarli dalla via. - Brava, la Cingallegra del ramaio! Brava! Brava! Reginotta masticava bile; e se qualcuno tornava a domandare, scherzando: - Ramaio, quando mariterete le figliole? - ella rispondeva, prima di suo padre: - Badate ai fatti vostri, e non vi curate di quelli degli altri! Il ramaio però, cocciuto, soggiungeva subito: - Presto. La maggiore la darò a un Reuccio, l'altra a chi vuol pigliarsela. - Me la piglio io! Il ramaio si voltava di qua, e di là, per scoprire se qualcuno nascosto in fondo alla bottega avesse risposto in quel modo. - Chi sei tu, che vuoi pigliartela? - Io! Io! Io! Io! Io! Io! Era il pettirosso che sembrava rispondesse così; con uno dei suoi più squillanti trilli. Possibile? - Hai inteso? - disse il ramaio alla figlia maggiore che, non contenta di starsene, ben pettinata, ben agghindata, alla finestra, scendeva, da un pezzo, a sedersi davanti all'uscio della bottega, per mettersi più in mostra. - Hai inteso? Ti par naturale che un pettirosso risponda cosi? E ripeté: - Chi sei, che vuoi pigliartela? - Io! Io! Io! Io! Io! Io! A quel trillo squillante del pettirosso, Reginotta si rizzò a sedere inviperita, e corse su per afferrarlo e torcergli il collo. Ma appena toccò la gabbia per aprire la porticina: - Ahi! Ahi! Ahi! - le dita delle mani le si contorsero orribilmente; più non parevano di creatura umana, ma di qualche bestia mostruosa, con le ugne aguzze, e tutte coperte di scaglie. Sentendo strillare e piangere la sua prediletta, il ramaio accorse, furibondo; ma alla vista di quelle mani miseramente deformate, rimase di sasso. Accorse anche Cingallegra che non sapeva niente di quel che era accaduto. - Scellerata! Scellerata! Guarda che cosa ha fatto il tuo pettirosso! - La colpa non è mia, babbo! - Voleva ammazzarmi! Anche Cingallegra fu spaventata sentendo parlare il pettirosso. Era dunque un uccellino Fatato? Cingallegra ne aveva avuto qualche sospetto; ora però non ne poteva dubitar più. E non osava accostarsi alla gabbia, nè rivolgere la parola al pettirosso. Le mani contorte e scagliose di Reginotta le fecero gran pietà. Era stata punita giustamente del tentativo feroce; ma Cingallegra pensava che sua sorella aveva l'animo irritato dal non vedersi richiesta da nessuno, e che per ciò era degna di compatimento e di perdono, se non aveva saputo frenarsi. Si fece animo, si chinò sulla gabbia dove il pettirosso saltava da uno stecco all'altro, e mormorò teneramente: - Te ne prego, pettirosso mio! E intendeva dire: - Restituiscile le mani bianche e belle come prima. La porticina della gabbia si aperse da sé, e il pettirosso venne fuori, volò sulle mani di Reginotta, e cominciò a beccargliele delicatamente. In meno che si dice, erano diventate belle bianche come prima. La superbiosa non ringraziò neppure con un cenno del capo; voltò le spalle e andò ad affacciarsi alla finestra, come se niente fosse stato. E il mezzanino e l'orticello tornarono a risonare dei canti di Cingallegra e del pettirosso, e la bottega del ramaio dei colpi di martello con cui egli batteva, su l'incudinetta a paio, caldaie, pentole, paioli, padelle. Sempre di buon umore, dava la voce ai passanti di sua conoscenza; ma se qualcuno gli domandava: - Ramaio, quando mariterete le vostre figliole? - invece di rispondere al solito, picchiava rabbiosamente col martello su l'oggetto che aveva per le mani: pentola, padella, paiolo o caldaia, e brontolava le parole così sottovoce, da non far intendere quel che diceva. Diceva: - Pur troppo ho paura che mi spighiscano in casa! - E intendeva particolarmente la maggiore. Il pettirosso di Cingallegra, dopo quel che aveva visto e udito, lo faceva fantasticare. - Chi era quell'uccellino Fatato?Forse il Reuccio destinato alla figliola maggiore. Vedendo nell'orticello soltanto Cingallegra, l'aveva sbagliata, e forse anche si era lasciato lusingare dalla voce di lei. - Perché non canti tu pure? Chi sa non venga un pettirosso Fatato anche per te. Reginotta alzò sdegnosamente le spalle e non rispose. - Ne ho pensato un'altra. Comprerò una gabbia e un pettirosso identici a quelli di Cingallegra, li scambieremo, e ... Reginotta, senza neppure lasciarlo finire di parlare, alzò sdegnosamente le spalle e non rispose. Il padre, che le voleva troppo bene, si angustiava di vederla continuamente triste a quel modo; e malediva il momento in cui gli era venuto in testa di dire alla gente: - La maggiore la darò al Reuccio, l'altra a chi vuol pigliarsela! Una mattina entrò nella bottega un giovane, di aspetto rozzo, vestito da contadino, con scarpe grosse e cappellone di paglia. - Compare, che cosa cercate? - Una pentola e una moglie. - La pentola eccola qui. La moglie ... Sentite? Ho una figlia che canta meglio d'una Cingallegra; se la volete pigliatevela. - Non compro gatta in sacco. - Ve la faccio vedere. Ohe, Cingallegra! Invece di Cingallegra, si presentò Reginotta. - Questa non è per voi. - Allora ... tornerò domani. - E la pentola? - Pentola e moglie tutto a una volta. E appena colui era andato via, accorse Cingallegra. - Dov'eri? Che cosa facevi? - Governavo il pettirosso. - Hai perduto la fortuna: un marito. - Il marito che mi vuole sarà qui fra otto giorni. Il ramaio e la Reginotta si guardarono stupiti. E questa fece subito: - Dovrà sposare prima di me? Era diventata verde dalla bile. Otto giorni dopo;.il contadino tornava. - Compare, che cosa cercate? - Una pentola e una moglie. - La pentola eccola qui. La moglie ... Oh! Cingallegra! Se la volete pigliatevela. Invece di Cingallegra si presentava Reginotta. - Questa non fa per me. Tornerò domani. - Aspettate: ecco l'altra mia figliola. Il contadino quasi cantilenando disse: - Manine che per gli altri vi sciupate, D'oro e brillanti coperte sarete; Piedini che per casa troppo andate, Su bei cuscini vi riposerete; Vocina che nell'orto ora cantate, Gioia di casa mia diventerete. - Cingallegra, mi volete? - Vi voglio se vuole mio padre. - Ne riparleremo, compare, quando avrò maritata la maggiore. Reginotta aveva dato al padre un'occhiataccia; per questo il ramaio rispondeva così. - Allora ... tornerò tra un mese. - E la pentola? - Pentola e moglie tutto a una volta. Reginotta, dalla bile, era diventata ancora più verde. Quel zoticone, aveva osato dire: - Questa non fa per me! Cingallegra intanto era tornata su, e cantava, cantava, sventolando il fuoco sotto i fornelli. Il pettirosso che già aveva imparato bene, cantava insieme con lei, e si facevano udire per tutta la via. E la gente: - Brava Cingallegra e il suo pettirosso! Un mese dopo, rièccoti il giovane contadino. - Compare, che cosa cercate? - Una pentola e una moglie. - La pentola eccola qui ... La moglie ... - Eccola qua! Mi volete, Cingallegra? - Vi voglio, se vuole mio padre. - E pigliatevela e portatela via! Ma senza dote né niente! - rispose il ramaio che non ne poteva più. - La sola gabbia del pettirosso! - E una pentola, Cingallegra! - Niente, neppure una padellina! - disse il ramaio. - Tenetevi pentole, paioli, padelline, caldaie; sono tutti bucati e non servono! ... Il ramaio non aveva badato a queste parole. Ma non appena Cingallegra e il suo sposo erano andati via portando con sé soltanto la gabbia vuota, perché il pettirosso una mattina era scomparso, il ramaio cominciò a disperarsi. Quando era sul punto di dar l'ultimo colpo a una pentola, a un paiolo, a una padellina, a una caldaia, gli accadeva di picchiare così forte col martello, da farvi un buchino. E più egli tentava di rimediare quel guasto, e più il buchino si allargava. Gli avventori venivano, guardavano bene, e accorgendosene non compravano; e così la bottega si screditava. Di Cingallegra e di suo marito non si sapeva nessuna notizia. Ora il ramaio rimpiangeva quella figliola da lui maltrattata per dar ragione alla sorella maggiore; la casa era divenuta un sudiciume, non ostante che egli avesse dovuto prendere una donna per i servigi. Si desinava male, si cenava peggio: e per giunta gli affari andavano a rotta di collo con quelle caldaie, pentole, padelle, e quei paioli tutti bucati che nessuno voleva comprare. Intanto Reginotta continuava a menare la stessa vita di prima; si levava da letto tardi, e poi ben pettinata, bene agghindata, se ne stava alla finestra o giù in bottega per mettersi in mostra: e non si accorgeva che gli anni passavano e che lei, dalla bile, imbruttiva. Ma un giorno ci mancò poco che non le cogliesse un accidente. Era venuto un giovane signore a comprare molti oggetti di rame. Sceglieva questo e quello, senza osservarli bene e faceva mettere da parte gli oggetti di suo gradimento: un gran cumulo. Il ramaio si sentiva tremare il cuore pensando: - E se si accorge dei buchini? Quel signore continuava a scegliere senza osservare bene gli oggetti; sembrava che volesse proprio portar via tutta la bottega. - E questa quando la mariteremo? L'altra è stata fortunata, sposando un cugino del Re! - Un contadino, volete dire! - Un cugino del Re, ragazza mia. Come? non lo sapete? - E dove si trovano? - domandò il ramaio. - Come? Non lo sapete? Si cammina un giorno e una notte e si arriva a piè di una montagna coperta di boschi. In alto, a mezza costa, c'è il gran castello del cugino del Re. Per ora si trovano colà ... Facciamo il conto, ramaio. Il ramaio volle mostrarsi onesto, e gli disse: - Prima di pagare, signore, riguardare bene gli oggetti. Guarda, volta, rivolta, con stupore del ramaio, non c'era in nessuno di essi il minimo buchino. - Mettete ogni cosa da parte; manderò un servitore domani. Pagò e andò via. - Perché piangi, figliola? - Perché sono disgraziata! - Non disperare. Com'è venuta la fortuna per tua sorella, verrà un giorno o l'altro anche per te. Una mattina il ramaio vide fermarsi davanti alla bottega un ragazzaccio col vestito a sbrendoli e i piedi scalzi; sembrava mezzo scemo. - Che cosa vuoi? Come ti chiami? - Mi chiamo Reuccio. Il ramaio trasalì. E senza chieder altro, lo invitò a entrare, a sedersi e corse su dalla figliola. - É arrivato il Reuccio! Travestito, per non farsi riconoscere; i grandi sogliono fare così. Reginotta, fuor di sé dalla gioia e dalla vanità, si alzò, si agghindò, e scesa giù, si fece avanti con un grand'inchino: - Ben venuto, Reuccio! - Questa è mia figlia, Reuccio! Un grand'inchino anche lui, e soggiunse: - Comandate, ordinate; fate come se foste in casa vostra. - Datemi una bella fetta di pane. Non mangio da ieri. - Altro che pane, Reuccio! E mandò la donna a far spesa larga. A Reginotta quegli sbrendoli parevano una ricchezza. Pensava che il Reuccio, travestendosi a quel modo, le dava una gran prova di affezione. E vedendolo divorare come un lupo, a tavola, pensava che doveva costargli molto il fingere di essere affamato. Più Reuccio mostrava in viso il gran stupore di vedersi trattato così, e più il ramaio e la figlia si confermavano che fosse venuto in incognito per conoscerla meglio. - Ti ha detto niente? domandava il padre. - Niente. E a te? Aspettiamo! - Aspettiamo! Reuccio mangiava, beveva, dormiva, ingrassava a vista d'occhio, ma di chiedere la mano della figlia del ramaio non se ne ragionava. Il ramaio tentava di portare il discorso intorno alle nozze, ma Reuccio non capiva o fingeva di non capire. La figlia fu meno paziente del padre, e una mattina disse a Reuccio: - Se siete venuto per sposarmi, sposiamoci subito. - Ah! Ah! Ah! Reuccio si contorceva dalle risa. - Perché ridete, Reuccio? - Ahi Ah! Ah!.. Sposiamoci pure! - Così, con codesti cenci? - Fatemi voi un bel vestito. Ah! Ah! Ah! Reuccio rideva come un matto. Reginotta era dispiacente di dover sposarsi senza carrozze, senza festa, come una popolana qualunque; ma, pur di diventare Reginotta davvero, si rassegnava. La festa e il resto verrebbero poi; e allora toccava alla Cingallegra di crepare di invidia e di rabbia. Sposarono alla chetichella. Ma trascorsi parecchi giorni, e vedendo che le cose andavano come prima, cioè che colui mangiava, beveva, dormiva, ingrassava, e non accennava a condurla al palazzo reale del suo regno, Reginotta non si ritenne più: - Insomma, Reuccio, quando andiamo al palazzo reale? - Quando voi volete, moglie mia. La prese sotto il braccio e la condusse davanti ai palazzo reale. - Non entriamo? - Non s'entra, ci sono le guardie. - E voi non siete il Reuccio? Non comandate ad esse? - Mi chiamo Reuccio ma non sono Reuccio. - Non siete Reuccio? Ah furfante! E gli si gettò addosso, per accopparlo. Ma Reuccio le assestò certi pugni sul viso da illividirle le guance. Accorse gente, e li divisero. Tutti domandavano: - Che cosa è stato? Niente. La figlia del ramaio che letica col marito! Tornò a casa sola, mezza pazza dal gran disinganno. - Questa è una infamità di mia sorella Cingallegra! - Non era il Reuccio? - No babbo: si chiamava Reuccio! Che vergogna! Che vergogna! Bisogna andar via da questo paese, o m'impicco a una trave! Il padre che ora, vedendola così disgraziata, le voleva più bene, fece caricare tutta la roba su due carri. Partirono di nottetempo. Dopo un giorno e una notte, arrivarono a piè di una montagna coperta di boschi. A un punto della strada, incontrarono un cacciatore. - Non proseguite, buona gente. É straripato il fiume e ha inondato la campagna. - Grazie, cacciatore. E dove potremo ricoverarci? - Venite con me. Starete bene. Potevano mai immaginarsi di capitare nel castello dov'era sposa felice Cingallegra, e che quel cacciatore fosse il principe Pettirosso? Ma Cingallegra li accolse con tanta cordialità, che la superbiosa Reginotta sentì spezzarsi il cuore e pianse dolcissime lacrime di ravvedimento. Il ramaio poi non stava nei panni dalla contentezza di aver ritrovato sua figlia Principessa come si ostinava a chiamarla, non ostante che lei e il Principe gli ripetessero: - Siamo sempre Cingallegra e Pettirosso. Quel che avvenne dopo, e perché il Principe si chiamasse Pettirosso, ve lo racconterò un'altra volta, se vi piacerà di saperlo. Per oggi, al solito: Larga la foglia, stretta la via Dite la vostra che ho detto la mia.

Deve dunque abbassarsi fino al fango della terra? - Chi ha mai detto questo? Più buona che bella non significa fango, mi pare. - Vedrete che il Principino commetterà qualche sciocchezza. - Ne commettiamo tutti - Ah! Mi rinfacciate ancora?! .... E continuavano a bisticciarsi, fino al ritorno del principino Pettirosso. - Avete trovato? - Non ho trovato! - Mancano Principesse? - Manca quella che vorrei io. - E le altre donne? - Le buone non sono belle; le belle non sono buone, quelle che ho viste, intendo dire. Cercherò ancora, babbo! - Principessa, come voi! - E più buona che bella. Principessa o no, non importa. - Sì, mamma! Sì, babbo! E scappava via. Un giorno, finalmente, lo videro tornare con volo così impetuoso, che lo credettero inseguito da qualche uccello di rapina. Volava per la stanza, facendo giri, intrecci; sembrava ammattito. Ci volle un pezzetto prima che si calmasse. - Che cosa accade, Principino? - Ho trovato, mamma! Ho trovato! - Una Principessa? - Una più buona che bella? - Principessa, e più buona che bella! Sposerò Cingallegra. - Ah, figlio, figlio mio! La Principessa dètte in un pianto che mai. Chi era Cingallegra? Egli dunque s'immaginava di dover restare pettirosso per tutta la vita! Ci mancava quest' altra disgrazia! - Chi è Cingallegra? - gli domandò il Principe, angustiato anche lui. - Colei che canta nell'orto del ramaio. - É dunque una giovane? - Più buona che bella, come tu la volevi. - Ed è figlia di un ramaio? - É più Principessa di me che ora sono pettirosso - rispose ridendo. - Ah figlio! Figlio mio! E la Principessa, sentendogli dire queste cose, dava in un pianto più dirotto. Ora il principino Pettirosso andava via avanti l'alba e tornava col sole non ancora alto. - Donde venite, Principino? - Da Cingallegra, mamma cara. - Se mi volete bene, lasciatela andare. Cingallegra non fa per voi. - Se la sentiste cantare, non direste così. Ripartiva col sole vicino al tramonto e tornava prima che fosse sera inoltrata. - Donde venite, Principino? - Da Cingallegra, babbo caro. - E come canta Cingallegra? - Canta così. Ma non gli riusciva di cantare con voce umana; gorgheggiava, gorgheggiava, e, dopo un pezzetto, si interrompeva: - No, non è proprio così! E in camera, o su un ramo d'albero del giardino, gorgheggiava, gorgheggiava, provando, riprovando, interrompendosi all'ultimo: - No, non è proprio costi La Principessa era inconsolabile. Pensava: - Se non avessi distrutto il nido e rotto quegli ovicini, tutto questo non sarebbe accaduto! Ah, figlio mio, figlio mio! Né lei, né il Principe, intanto, si ricordavano che il principino Pettirosso era già sul punto di compire i vent'anni. Una mattina, che lo credevano volato via avanti l'alba, non vedendolo ritornare all'ora solita; Principe e Principessa stavano in gran pensiero. - Che gli sia accaduto, qualche disgrazia? - Non gli facciamo il cattivo augurio! E si misero alla finestra, guardando verso il punto d'onde pel solito lo vedevano spuntare. Sentirono rumor di passi alle spalle ... Principe e Principessa credettero impazzire dalla gioia. - Sono io, mamma! Sono io, babbol Il Principino aveva cessato di essere pettirosso, ed era un bel giovane, biondo come la madre, alto e ben fatto come il padre. I baci e gli abbracci non finivano più. La Principessa si immaginava che ora il Principino non avrebbe più parlato di Cingallegra. Invece ne riparlò subito. La madre ne fu desolata. Il padre, più condiscendente, diceva: - Poiché è più buona che bella! - La figliola di un ramaio! Non acconsento! Non acconsento! Il Principe, per calmarla, le disse: - Andiamo a prender consiglio dal mago Barba-d-oro. - Andiamo a prender consiglio dalla Fata Cicogna, che ne sa più di lui! Si decisero per la Fata Cicogna. Ma la mattina che stavano per partire, alzano gli occhi e che cosa veggono? La Fata Cicogna su una torretta del castello; il nido d'oro luccicava al sole sotto di essa, e tra l'intreccio delle barrette che figuravano da sterpi, si scorgeva il bianco degli ovi d'argento. - Oh, Fata Cicogna, noi venivamo da voi! ... Ha fatto mala bisogna Chi ha detto Fata Cicogna. - Fata Splendore! Fata Splendore! - gridò allora la Principessa. Tra le piume è nato un giglio, Non era figlio ed ora è figlio. Padella preparata, Frittata e non frittata! Aperse le ali, tese piedi, e la Fata Cicogna volò via. - Volete una risposta più chiara? - disse il Principe. La Principessa chinò il capo, abbattuta. - Padella preparata, è evidente, significa la figlia del ramaio. - E frittata e non frittata che vorrà significare? - Significa, credo, che tutto anderà pel suo meglio. Ci ha lasciato il nido d'oro e le uova d'argento; è il buon augurio agli sposi. Come il principe Pettirosso sposasse Cingallegra voi lo sapete da un pezzo e sapete anche che il ramaio e Reginotta furono accolti nel castello e beneficati da loro. Apprenderete oggi il resto, e le due fiabe saranno compiute. Quando il principe Pettirosso rispondeva, ridendo, al padre: - É più Principessa di me, che ora sono pettirosso - sapeva bene quel che diceva. In uno di quei giorni che volava attorno da mattina a sera in cerca di una sposa, Principessa come voleva sua madre, o più buona che bella come gli suggeriva suo padre, il Principino aveva incontrata la Fata Cicogna. - Dove vai, piccolo pettirosso? - Cerco la mia fortuna, una moglie. - Vieni con me, te la trovo io. - Principessa? - Principessa. - Più buona che bella? - Più buona che bella! Eccola là. E gli mostrò Cingallegra che cantava, sciorinando i panni nell'orto. - Più buona che bella può darsi, ma Principessa ... - Principessa quanto te e più di te. - Come mai? - L'hanno scambiata a balia: e i parenti non se ne sono accorti. La figlia del ramaio aveva una voglia di fragola sotto l'ascella, e Cingallegra non l'ha. Cingallegra è figlia di Principi. Ti basti di saper questo. Infatti un giorno, a tavola, il principe Pettirosso disse al ramaio: - Vostra figlia dovrebbe avere una voglia di fragola sotto l'ascella. - Certamente; sembrava una fragoletta davvero. - Ma Cingallegra non l'ha. - Non l'ha? E così fu confermato quel che aveva detto Fata Cicogna. Ma ora alla Principessa non importava più che Cingallegra fosse o non fosse figliola di ramaio. Non vedeva lume che per gli occhi di lei. Accade spesso così. Frittata e non frittata, La fiaba è terminata.

IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO

682227
Salgari, Emilio 1 occorrenze

Il fiammingo continuava ad abbassarsi verso terra, anzi aveva appoggiata la mano sinistra sul pavimento di legno, come se avesse voluto tentare il famoso colpo del cartoccio e s'allungava innanzi, tenendo sempre la draghinassa in linea. Il guascone seguiva attentamente tutte quelle mosse misteriose, domandandosi, non senza una certa inquietudine, che specie di colpo stava per portargli quell'uomo barbuto. Certo avrebbe preferito un attacco furioso, accompagnato da urla e da gran colpi. Nondimeno quell'accidente d'uomo conservava una calma ammirabile e non staccava un solo istante i suoi sguardi da quelli del fiammingo. Si sarebbe anzi detto che cercava di affascinarlo come i serpenti affascinano i piccoli volatili. Nella sala continuava a regnare un assoluto silenzio. Tutti attendevano con ansietà quel terribile colpo che doveva, probabilmente mandare all'altro mondo uno o l'altro dei due avversari. Ad un tratto il fiammingo, che non aveva cessato di abbassarsi contro il pavimento, allungandosi come un crotalo, scattò con impeto terribile. La sua lama scintillò un momento solo e andò a colpire il guascone, non già verso il cuore, bensí verso il basso ventre. Si udí un colpo secco e con immenso stupore di tutti la draghinassa del fiammingo, invece di squarciare gl'intestini di don Barrejo, saltò verso il fondo della sala, spaccando alcune bottiglie che si trovavano su un tavolo. Il fiammingo si era prontamente rialzato, guardando con spavento il guascone, il quale rideva a crepapelle, mentre gli spettatori prorompevano in un applauso fragoroso, gridando: - Bella parata! ... - Meravigliosa! ... - Siete un famoso spadaccino! ... - Offriamogli da bere, caramba! ... L'uomo barbuto, rosso di collera, s'avvicinò al guascone, dicendo: - M'avete vinto: uccidetemi! ... - Ma che! ... Non ammazzo nemmeno i mosquitos io, eppure quelli qualche volta non mi lasciano dormire. Che cosa volete che ne faccia della vostra pelle, io? Fosse quella d'un giaguaro o d'un coguaro varrebbe almeno qualche cosa; quella umana non può servire che agli antropofaghi del Darien e quelli sono un po' troppo lontani. - Siete una piazza inattaccabile, voi? - Una roccia guascone, - rispose don Barrejo. - Che cosa posso fare ora per voi? Riprendere la mia draghinassa e ricominciare il duello? - Adagio, caballero, - disse il taverniere, avanzandosi. - Voi non riavrete la vostra spada, se prima quel signore là non mi pagherà le quattro bottiglie d'aguardiente e le due di malaga autentica che mi ha spezzate. - Chi è quello là? - chiese il guascone. - Voi. - E volete che io paghi? - Dieci piastre. - Bah! ... Cane d'un ladro! - urlò il guascone. - Ci hai rubato prima un doblone, dandoci da bere dei veleni, ed ora vuoi derubarci ancora? - Basta! - vociò il taverniere, furibondo. - Ne ho fino sopra i capelli di voi! ... Va' fuori, mascalzone! ... - A me! ... - Corpo di Satana! - gridò il fiammingo. - L'oste è diventato matto! Dammi la mia draghinassa o ti getto in aria anche le botti che hai in cantina. - Pagatemi le dieci piastre! - strillò il taverniere. Il guascone fece colla sua draghinassa un terribile molinello, tuonando: - Avanti i guasconi, i baschi ed i fiamminghi! ... Finiamola con quell'impertinente! L'impertinente però, se non era un uomo di spada, non era nemmeno un pauroso, poiché scaraventò addosso ai due filibustieri ed al fiammingo che si era unito a loro, una casseruola, mentre i suoi aiutanti, non meno inferociti di lui, facevano volare piatti e bottiglie, facendo un fracasso infernale. I bevitori, spaventati, temendo di tornarsene a casa colla testa rotta, spalancarono la porta, scappando a tutte gambe. Il guascone, Mendoza ed il fiammingo facevano intrepidamente fronte all'assalto dell'oste e dei suoi quattro uomini, scaraventando sedie e sgabelli in tutte le direzioni, e fracassando fiaschi e bottiglie. Xeres, Malaga, Alicante, Porto e Aguardiente scorrevano sui banchi e sui tavoli, mentre piatti, bottiglie, casseruole, secchi, padelle e spiedi continuavano a volare attraverso la sala, aumentando i danni. - Accoppiamo questi manigoldi! - urlava ferocemente il guascone, il quale battagliava furiosamente contro quella grandine di proiettili, menando colpi di draghinassa. Il fiammingo aveva sradicata una tavola e, dopo averla rovesciata, vi si era nascosto dietro, rimandando al loro indirizzo bottiglie e tondi, con una rapidità prodigiosa, mentre il basco non cessava di lanciare sgabelli. Quella battaglia durava da qualche minuto, quando uno dei bevitori usciti poco prima, rientrò, gridando: - La ronda! ... Scappate! Il guascone afferrò la tavola dietro la quale si riparava Mendoza e la scaraventò contro il taverniere ed i suoi aiutanti, fracassando una cinquantina di bottiglie che stavano allineate sul banco. I cinque uomini, spaventati dal fracasso prodotto da tutti quei vetri, infilarono la porta, urlando a squarciagola: - A noi, guardie! ... Ci accoppano! ... - Scappiamo, - disse il fiammingo. - Signori, vi è un'altra uscita dalla parte della cucina. - Guidateci, - disse il guascone. - E la mia draghinassa? - L'ha portata via quell'oste maledetto. - Furfante! ... - Ve lo avevo detto io che era un ladrone patentato! - disse don Barrejo. - Ci ha rubato un doblone! - Scappiamo! - gridò Mendoza. I tre avventurieri si precipitarono verso la cucina, saltando sopra i tavoli e gli sgabelli che ingombravano il suolo. - Satanasso! - gridò l'uomo barbuto. - Hanno chiusa la porta! ... - Si salta dalla finestra, - disse il guascone. - Ve ne sono due qui, se non m'inganno. Signor basco sfondatene una. - Lasciate a me quest'incarico, - rispose il fiammingo. - Sono forte come un toro! ... - Infatti avete delle buone spalle, molta polpa e molte ossa, disse il guascone. Il fiammingo, vedendo appesa alla parete una grossa mazza di legno che serviva certamente ai cuochi del taverniere per battere le costolette, l'afferrò e percosse cosí furiosamente le imposte d'una finestra, da farle cadere sulla via con un fracasso indiavolato. Quattro o cinque voci si erano subito alzate. - Ohé! ... Volete accoppare la gente? - Che cosa succede in questa taverna, questa sera? - È scoppiata una rivoluzione? Il guascone fu lesto a saltare sul davanzale ed a gettarsi sulla via, cadendo in mezzo ad un gruppo di nottambuli. - Chi siete? urlarono in coro. - Scappate! gridò il guascone. - È fuggito un giaguaro che stava chiuso in una gabbia e sta divorando l'oste! I nottambuli, udendo quelle parole, alzarono i tacchi, scomparendo con velocità fulminea attraverso le viuzze della città. - Voi siete un uomo di genio, - disse il fiammingo, il quale a sua volta era saltato sulla strada. - Chi sarebbe entrato lí dentro, sapendo che vi è un giaguaro? Ah! ... La splendida trovata! Anche il basco aveva fatto il suo salto. - Lasciate i giaguari ed i coguari e giuocate di gambe, - disse. - Volete farvi prendere dalla ronda? - A vento in poppa! - gridò il guascone, allargando le sue lunghissime e magre gambe. - Facciamo correre la ronda. Signor fiammingo, badate che i guasconi ed i baschi sono agili come i cervi. - Lo so, - rispose l'omaccio barbuto, prendendo lo slancio. Si erano messi tutti tre in corsa, seguendo la riva d'un torrentello il quale pareva che tagliasse a metà Pueblo-Viejo. Avevano percorso un due o trecento passi, quando sbucarono in una via trasversale, che era ingombra di persone. Vedendo comparire i tre fuggiaschi, un grido si alzò fra quei nottambuli. - Ecco i ladri! ... - Ferma! ... Ferma! ... - Chiama la ronda! ... - Maledetto oste! - vociò il guascone, sguainando la sua draghinassa. - È sempre fra i miei piedi! ... Ora lo sgozzo come un pollo! ... - Apriteci invece il passo! - gridò il fiammingo, il quale si trovava inerme. Il guascone piombò in mezzo al gruppo, dando piattonate a destra ed a sinistra, mentre Mendoza punzecchiava colla sua spada i piú vicini, urlando: - Largo! ... Largo! ... Abbiamo un giaguaro alle spalle ed è rabbioso! Fu un'altra fuga generale. Il taverniere però, che sapeva di non aver nella sua cantina alcuna bestia feroce, si gettò da un lato, continuando a gridare: - Aiuto! ... I ladri! ... Avanti la ronda! Il guascone ed i suoi due compagni avevano ripreso lo slancio, mentre dalla taverna che era vicinissima, uscirono precipitosamente due alabardieri e due archibugieri difesi da corazze d'acciaio e da elmetti. - Accoppateli! - urlò l'oste. - Sono filibustieri! Non ci voleva di piú per mettere le ali ai piedi della ronda. I filibustieri erano troppo temibili per lasciarli scappare impuniti, sicché i quattro bravi militi si slanciarono dietro ai fuggiaschi, urlando a loro volta: - Ferma! ... Ferma! ... I filibustieri! ... All'armi! ... All'armi! ... - Tonnerre! - gridò il guascone. - Eccoci sulle spalle un grosso affare! ... Gambe, Mendoza! ... Gambe fiammingo! ... - Io non ho i garretti dei baschi e dei guasconi! - brontolò l'omaccio barbuto, il quale soffiava come un mantice. - I fiamminghi non sono cani da corsa! Bene o male, sagrando e sbuffando, teneva però dietro ai lesti figli del mar di Biscaglia, i quali filavano come lepri inseguite dai bracchi. Quella seconda corsa non durò però molto, poiché il guascone, che stava dinanzi a tutti, tutto d'un tratto si fermò, facendo poi tre o quattro salti indietro. - Che cosa c'è? - chiese Mendoza, il quale giungeva buon secondo. - La via è chiusa! - Non c'è un passaggio? - No, compare. - Date la scalata alla casa che ci chiude il passo! ... Ai guasconi nulla è impossibile. - Non sono un gatto. - Allora siamo presi! ... La ronda ci è alle spalle! - disse il fiammingo. - Datemi un spada. - Per cosa farne? - chiese il basco. - Per cacciare la ronda. - E farci fucilare? Contro gli archibugi non valgono le armi bianche. - Io credo, signori, - disse don Barrejo, ringuainando la draghinassa, - che la divertentissima scena finisca proprio in fondo a questa via senza uscita. La colpa è della vostra barba, signor fiammingo. Se voi rimanevate zitto, io accoppavo quel ladrone di taverniere e tutto sarebbe finito lí. - Se l'avessi saputo prima, me la tagliavo, - rispose il fiammingo. - Ecco la ronda, - disse Mendoza, ringuainando pure la spada. Siamo fritti. - Non ancora, compare, - rispose il guascone. - Lasciate fare a me e vedrete che colpo giuocherò io in Pueblo-Viejo! ... - Io sono certo di prendere d'un colpo solo dos paiaros e un golpe come dicono questi spagnuoli. - Signor fiammingo, avete un sigaro? - Dei cubani e dei migliori. - Datemene uno e voi accendetene un altro. Diamine! ... Si può ben fumare in barba alla luna. In quel momento i due alabardieri ed i due archibugieri si precipitarono entro la via senza uscita, gridando con voce minacciosa: - Arrendetevi o facciamo fuoco! ...

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