Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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SCURPIDDU

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Capuana, Luigi 2 occorrenze

Le fiamme cominciavano ad abbassarsi. Scurpiddu , dalla vasca, guardava atterrito le due ombre nere che si muovevano sul tetto tra il fumo, agitando le braccia, facendo riluccicare le scuri a ogni colpo che davano. Tutt'a un tratto egli si ricordò dei polli e dei tacchini: - Povere bestie! E, finito di riempire la brocca che aveva in mano, in quattro salti fu al pollaio. - La chiave! La chiave! Non la trovava. Afferrò un tronco dalla catasta che era già mezza spenta, e cominciò a battere l'uscio con esso, finchè non l'aperse. Polli e tacchini sbucarono fuori con tale violenza che per poco non lo rovesciarono a terra. - I tacchini e i polli sono salvi, massaia! - si era affrettato ad annunziare. - Tegònia! Tegònia! - balbettava la massaia mezzo svenuta. La vecchia serva infatti non era con loro. Dormiva in uno stanzino, accanto alla stanza dove era morta la mamma di Scurpiddu ; e, nel trambusto, nessuno si era rammentato della poveretta, che forse il fumo soffocava lassù. Scurpiddu corse di fretta dietro il frantoio, e chiamò: - Z'a Tegònia! Z'a Tegònia! La stanzetta aveva un finestrone su una piccola terrazza che sporgeva su l'abisso della roccia. Bisognava essere uno scoiàttolo per arrampicarsi, e poi, il vento spingeva il fumo da quel lato, avvolgendo la terrazza, quasi l'incendio avesse ingoiato la stanzetta e chi vi dormiva. - Z'a Tegònia! Z'a Tegònia! Oltre il fumo, c'era l'abisso che si spalancava là sotto. Per tentar di appoggiare una scala nel punto dove la sporgenza della roccia permetteva di farlo senza pericolo, occorreva spiccare un bel salto e non mettere il piede in fallo. Scurpiddu diè un'occhiata attorno. Due grossi tronchi di fichi d'India, abbattuti mesi addietro, gli suggerirono l'idea di formare un ponticello, mettendoli per traverso. Sarebbe passato su di essi, e poi li avrebbe tirati dall'altra parte. Appoggiandoli al muro, vi si sarebbe arrampicato. Se giungeva ad afferrare la ringhiera di ferro della terrazza ... . Detto, fatto: due tronchi venivano trascinati con molto sforzo, buttati a traverso il profondo spacco della roccia; e Scurpiddu , curvo, con le braccia aperte per equilibrarsi, trattenendo il respiro, passava sul cedevole ponticello. Il difficile era ritirare i tronchi di là senza che il peso li facesse precipitare giù. Prima di avventurarsi, chiamò di nuovo: - Z'a Tegònia! Z'a Tegònia! Le vampe, dopo il crollo dei tetti della cucina e del frantoio, erano quasi spente, ma il fumo aumentava, e le scintille volavano portate via dal vento e piovevano addosso a Scurpiddu , scottandogli mani e faccia, Ora però che egli aveva appoggiato al muro i due tronchi, e che essi, con le loro sporgenze, gli davano agio di montare, non badava nè a fumo nè a scintille; e com'ebbe afferrato una sbarra della ringhiera, si spinse su poggiando i piedi al muro; poi saltò nella terrazza. Per fortuna i vetri erano chiusi, ma gli sportelli interni no. Con un mattone ch'era là, egli ruppe un vetro, passò un braccio nell'apertura fatta, girò il succhiello e spalancò la imposta a due bande, Un'ondata di fumo lo fece indietreggiare. Appena la stanza si fu vuotata per l'aria nuova penetrata, dentro, Scurpiddu si precipitò verso il letto, con uno strillo: - Z'a Tegònia! E scoteva il corpo della povera vecchia, che rantolava, buttata a traverso la materassa. Intanto, dalla fessura dell'uscio che dava nel frantoio, il fumo continuava a invadere la stanza! Come fare? Egli non poteva levar di peso la vecchia e portarla all'aperto. Udita sul tetto vicino la voce del Soldato e di massaio Turi che già si preparavano a scendere, Scurpiddu uscì su la terrazza e chiamò. - Che fai costì? - gli domando il Soldato , affacciandosi dall'orlo del tetto. - La Z'a Tegònia! ... Venite! ... .Sta per morire ... Io non posso toglierla dal letto. Il Soldato si lasciò scivolare lungo il muro che non era molto alto, e poi saltò su la terrazza. Era stupito di trovare Scurpiddu colà. - Come hai fatto? - Ve lo dirò dopo. E trassero la povera vecchia all'aria aperta. Quando l'incendio fu domato, tutti erano attorno a Scurpiddu per sentirgli raccontare come si era accorto delle fiamme e come aveva fatto per salvare la Z'a Tegònia. - Questo ragazzo è la nostra buona sorte, - diceva massaio Turi alla moglie. - Senza di lui, a quest'ora, saremmo quasi all'elemosina, se pur saremmo vivi! E si asciugava le lagrime.

Pareva che anche Paola prendesse gusto al gioco, perchè due volte che Scurpiddu non era stato lesto ad abbassarsi, essa non si era fermata, anzi era volata lontano verso i mandorli di Rossignolo. E fu per questo che Scurpiddu si accorse di quei due che con la mano gli facevano cenno di avvicinarsi, mezzi nascosti fra i tronchi dei mandorli. Aveva avuto paura vedendo luccicare le canne dei fucili che coloro tenevano in mano col calcio a terra. E siccome Scurpiddu intimorito, non si risolveva, quei due si mossero verso di lui. Allora egli vide che essi, oltre il fucile avevano le pistole ai fianchi infilate a traverso la cintura di cuoio. E in mezzo, una giberna, come quella dei carabinieri che giusto il giorno avanti erano passati di là e gli avevano domandato: - Hai visto nessuno? - Nessuno. - Coi fucili come noi? - Nessuno. Ed erano andati via, prendendo la strada del Monte, tra i fichi d'India. Più tardi, li aveva visti lassù, in cima al Monte, coi fucili che luccicavano e le striscie di cuoio bianco sul petto. Guardavano, con la mano su gli occhi per la via del sole. Erano passati, un mese addietro, due volte, ma allora non gli avevano domandato niente. Chi cercavano? Ladri, forse. E subito pensò che i ladri cercati dovevano essere quei due; perciò aveva paura. - Va' a dirgli: Ci sono due amici che vogliono qualche pagnotta e un fiasco di quello bono. Pel resto, si prenderanno un tacchino; e vi salutano tanto. Così devi dirgli. Va'? - E i tacchini a chi li lascio? - rispose Scurpiddu piagnucolando. - Li guarderemo noi, non aver paura. Digli: Ci sono due amici ... E colui che parlava - l'altro stava zitto - replicò le parole del messaggio, soggiungendo: - E digli: Devo portare tutto io e non altri. E non tardar troppo, va'! Scurpiddu si avviò subito, giacchè quell' amico comandava con modi bruschi; e di tratto in tratto si voltava indietro per vedere se tutti e due erano ancora colà. Poi si era messo a correre, e alla masseria era arrivato ansante, in sudore. Chiamato in disparte il massaio, gli aveva fatto l'imbasciata, senza dimenticare una sillaba. Massaio Turi aggrottò le sopracciglia, increspò le labbra, stette un istante a riflettere, e rispose: - Va bene; aspetta qui. E dopo pochi minuti, ricomparve tenendo pel collo un fiasco di terracotta coi mànichi, e una salvietta con le pagnotte richieste. - Dirai a quegli amici: Dice il massaio: se vi occorre un tacchino, prendetelo. E dice: che da queste parti non c'è aria bona, perchè tira vento quasi ogni giorno. E dice che vi saluta tanto, e che il Signore vi aiuti. Tu poi non fiaterai di questo con nessuno; hai capito? - Sissignore. - E spicciati. Andava di corsa. Intanto pensava perchè il massaio mandava a dire a quegli amici: - Qui tira vento ogni giorno? - Non era vero. Che vento? Uh! Ma del tacchino voleva fingere di essersene scordato. Quale avrebbero preso? Notaio ? Don Pietro ? Scurpiddu ? Questo poi no. Gli piangeva il cuore all'idea che potessero portargli via il suo prediletto. Quando arrivò lassù, non trovò gli amici . I tacchini si erano un po' sbandati. Posò per terra il fiasco e le pagnotte, e li rincorse. Scurpiddu era là che faceva la ruota, ponzando, col bernoccolo rosso allungato sul becco! Respirò. Tutt'a un tratto si vide davanti uno di quei due, senza fucile nè pistole, quasi fosse uscito di sotto terra. E prima di prendere il fiasco e la salvietta col pane, colui si fregò in una tasca del panciotto. - Tieni, questi sono per te. Gli mise in mano dieci soldi. - Dice il massaio ... . E Scurpiddu ripetè quel che massaio Turi gli aveva dato incarico di dire. Quando ripetè: Qui tira vento quasi ogni giorno , l'amico fece una smorfiaccia che voleva essere una risata. - Gli dirai: Grazie anche di questo. Il tacchino lo mangeremo alla sua salute. E tu… Mise l'indice su le labbra; voleva dire: Silenzio! - Sissignore. Dunque il tacchino se lo erano già preso! E cercò con gli occhi tra il branco. Mancava Notaio ! Alzò le spalle, quasi avessero portato via proprio il notaio di Palagonía che lo aveva scacciato dal servizio per una tacchina perduta. Non gli poteva perdonare la fame e il freddo patiti, e l'elemosina che aveva dovuto chiedere e i maltrattamenti dei ragazzi di colà; tutto per cagione di quel birbante! E Paola ? Dov'era? Cominciò a chiamarla con la voce e col fischio, guardando attorno. Non si vedeva, ne si sentiva gracchiare. - Paola ! Paola ! Stava a grattarsi il capo con tutte e due le mani, impensierito, quando lo zi' Girolamo gli gridò da lontano: - È quiii! È quiii! Volava da un bue all'altro, beccandoli sul dorso; e i buoi la scacciavano con la coda o con le corna. Scurpiddu corse fino alla punta del ciglione e chiamò: - Paola ! Paola ! La tàccola accorse ad ali spiegate, gracchiando allegramente; gli fece un bel giro attorno, in alto, e poi tornò dai bovi. - È in collera, povera bestia, perchè l'ho lasciata sola. Scurpiddu e la tàccola s'intendevano così bene, ch'egli non fu meravigliato di quell'atto. - Ora viene, senza che io la richiami, - pensava. E infatti poco dopo la tàccola volò diritto verso di lui e gli si posò su la spalla. - Non ti lascierò più sola, mai più! L'accarezzava con una mano, e Paola gli beccava delicatamente l'orecchio. Lo ammoniva davvero di non lasciarla più sola?

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