Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbassarono

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

LE NOVELLE DELLA NONNA. Fiabe fantastiche

679085
Perodi, Emma 2 occorrenze
  • 1992
  • Newton Compton Editori s.r.l.
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

E appena le ombre della sera si abbassarono sul bosco, la croce del suo stemma prese a fiammeggiare. Era ancora notte quando Adalberto riprese la fuga. Egli errò per molti mesi nei boschi, su per i monti, sempre inseguìto da quello spettro, sempre dilaniato dal rimorso, senza mai poter posare la testa sopra un sasso, senza che quel sasso non prendesse a ballare una ridda d'inferno. Peregrinando sempre, incalzato dal ricordo della sua colpa, giunse in Casentino; ma non aveva mai, in mezzo a tanta desolazione, provato il desiderio di confessare i suoi falli; accanto al rimorso non aveva mai veduto sorgere il pentimento. Le sue notti erano meno angosciose quando le passava sul sagrato delle chiese, col capo posato sulla nuda terra; allora nulla si moveva intorno a lui, e talvolta riusciva a prender sonno. Quella giornata che egli passò rinchiuso nella camera della foresteria del monastero di cui era badessa Costanza, fu per lui angosciosa come le altre, e quando vide avvicinarsi la sera, si diede a chiamare a gola aperta il forestale, supplicandolo di avere pietà di lui e di aprirgli. Intanto Costanza, che aveva capito che solamente il rimorso di un truce fatto poteva spingere, ramingo, Espiazione, aveva adunate le sue monache in coro e aveva raccomandato loro di pregare per l'infelice. Venuta la sera, quando tutti i lumi erano già spenti nelle celle, la Badessa, seguìta da una conversa, era andata nell'orto e si era collocata in orazione sotto la finestra dello sconosciuto. Mentre pregava, ella aveva veduto salire da quelle finestre delle lingue di fuoco e aveva udito nella stanza un rumore indiavolato coperto dalle grida del cavaliere. - Pèntiti! - s'era messa a urlare ella dal basso. - Pèntiti e sarai liberato! - Oh! se lo potessi! - rispondeva Espiazione. - Devi volere! - lo esortava la monaca, e intanto riprendeva la preghiera a voce alta. A un tratto nel cielo scuro comparve una nuvoletta bianca, e scese, scese, finché non si fermò dinanzi alla finestra del traditore. Un urlo più forte degli altri gli uscì allora dal petto. - Son pentito! - gridò, - e una vita intera di penitenza non basterà a lavare la mia colpa. Siete voi, Madonna santissima, che avete avuto pietà di me. La nuvoletta bianca si era diradata e lasciava vedere l'immagine della Madonna col serpente sotto i piedi, com'era raffigurata in un quadro sull'altar maggiore della chiesa del monastero. La ridda delle suppellettili era cessata nella camera di Adalberto, e lo stemma del suo giustacuore non mandava più fiamme color di sangue. La monaca pregava sempre a voce alta nell'orto. La nuvoletta si addensò di nuovo e salì lentamente nel cielo buio. A giorno, il cavaliere si fece aprire, e, dal forestale, fu guidato a un confessionario dove un pio monaco attendeva i penitenti. Egli fece ampia confessione de' suoi peccati e promise di far la penitenza che gli sarebbe imposta dal monaco. Questi gli ordinò di scrivere sul proprio petto, al posto dello stemma, un cartello nel quale narrasse il suo delitto e di tollerare per l'amor di Dio gl'insulti che gli sarebbero stati fatti. Commosso dal miracolo avvenuto per le preghiere della pia badessa Costanza, egli volle ringraziarla, e come voto appese accanto all'altare, su cui si scorgevano l'immagine della Vergine calpestante il serpente, la sua spada e il suo pugnale, dicendo: - Ormai, se voglio salvarmi, debbo tollerare tutti gl'insulti senza trarne vendetta. È meglio che mi tolga dal fianco un'arma che sono indegno di portare e che potrebbe talvolta esser per me una tentazione. E voi, madre Badessa, pregate affinché io sopporti con rassegnazione la dura croce che mi sono imposto e abbia il coraggio di serbare sul petto questo cartello che costituisce la mia espiazione. La badessa Costanza promise di accompagnare il cavaliere con le sue preci, ed Espiazione uscì dal monastero per riprendere il suo pellegrinaggio. Appena fu sulla piazza del paese, si imbatté in una comitiva di signori che andavano a caccia. Il primo di essi, che pareva il capo, fermò il suo cavallo di fronte all'infelice, e additandolo agli altri, disse: - Vedete, signori, quel brutto ceffo? Anche se non portasse il suo misfatto scritto in petto, la grinta lo denunzierebbe per traditore. Fatti da parte, fellone, e sgombra le vie maestre; i traditori non trovano terra in Casentino! Fremé, Espiazione, sentendosi insultato, e la mano corse alla cintura dov'era solito trovare la spada. Ma riavutosi subito, lasciò pender le braccia, e, chinatosi, baciò il piede del signore che lo aveva insultato, il quale rispose con un calcio all'atto umile dell'infelice, e si allontanò ridendo spietatamente. Espiazione avrebbe volentieri abbandonato la via maestra per rifugiarsi nei boschi ove sarebbe sfuggito agli insulti; ma una voce che gli parlava continuamente al cuore, gli diceva: - Rammentati che per meritare il perdono devi molto, molto soffrire. Ed egli, ubbidendo a quella voce, cercava gl'incontri e si presentava alla porta dei castelli chiedendo l'ospitalità. Naturalmente nessuno voleva ricoverarlo, e le guardie lo respingevano con insulti e con percosse. - Dio ve ne renda merito! - rispondeva per solito Espiazione. Un giorno giunse a Bibbiena. Il popolo, che non sapeva leggere, lo guardava con una specie di meraviglia e di terrore, ma non capiva quello che portava scritto in petto, Espiazione, che voleva far palese il suo delitto, andò a bussare in casa Dovizi, che era la più sontuosa e magnifica della città, e chiese di parlare al signore. I servi cercavano di respingerlo, ma egli si sedé su un muricciolo accanto al portone, aspettando che il padrone uscisse, e allorché lo vide, gli disse: - Signore, io ti chiedo l'ospitalità; sono sfinito, estenuato; dammi un letto dove riposare e gettami un tozzo di pane. Il signore lo fissò e gli rispose: - Non ospito traditori, ma sono cristiano e non nego un tozzo di pane a chi me lo chiede. E, rientrato in casa, fece gettare dai suoi servi una pagnotta all'infelice. A questa scena avevano assistito molte persone, perché la casa dei Dovizi era situata nella via più popolata della piccola città. Queste, udendo che il forestiero dallo strano ceffo stravolto era un traditore, lo circondarono insultandolo e tirandogli in faccia le immondizie. - Iddio ve ne renda merito! - rispondeva Espiazione. - Di tutto il male che mi farete, io vi renderò sempre grazie, poiché mi spiana la via del Cielo. Il popolo si divertiva a sentirsi ringraziare, e siccome ha istinti feroci, rincarava la dose. Ora non tirava più soltanto all'infelice torzoli, bucce e sterco di cavallo, ma correva in piazza a far provvista di sassi, che scagliava nella testa e nel petto al disgraziato, il quale rimaneva un momento sbalordito, ma appena riavutosi, senza neppur pensare a tergere il sangue che gli correva lungo il volto, ripeteva: - Iddio ve ne renda merito! Egli sorrideva in mezzo ai suoi carnefici, perché udiva la dolce voce, che gli parlava al cuore, ripetere: - Hai molto, molto sofferto; coraggio, il momento del perdono è vicino. Quel baccano chiamò alla finestra la signora del palazzo, la bella e pietosa madonna Chiara Dovizi. Vedendo un uomo disteso in terra e grondante sangue, preso a bersaglio dal popolo, ella ordinò ai servi di raccoglierlo e di portarlo in una camera, sopra un letto, e con le sue stesse mani lavò il sangue delle ferite. Ma Espiazione era giunto all'ultimo istante della sua vita e sorrideva nonostante gli atroci spasimi. Egli chiese un prete, e, confessatosi, morì santamente dopo poche ore. Madonna Chiara, che per volere del morente aveva udito la sua ultima confessione, fece dare al cavaliere della Gherardesca onorata sepoltura nella chiesa di San Francesco, e sopra un mausoleo di marmo fece scolpire lo stemma gentilizio della potente famiglia pisana e il nome che il cavaliere aveva scelto: Espiazione. La badessa Costanza, informata della morte del pentito, scrisse alla famiglia di lui e rimandò a Bolgheri la spada e il pugnale dell'estinto, assicurando che il pentimento sincero aveva lavato la macchia della colpa. - E qui è finita la novella dello stemma sanguinoso, - disse Regina rivolta ai suoi. I ragazzi non erano contenti della fine, e soprattutto volevano sapere se la bella Olimpia era proprio morta in seguito alla ferita, perché dalla novella non si ricavava. - Sì, - rispose la vecchia, - ecco una cosa che avevo dimenticato. I barbareschi, quando la videro esanime, caricarono sopra una barca tutti i tesori tolti alla sposa e quelli che avevano accumulati nella grotta, e andarono a raggiungere una nave che era in alto mare. Intanto il conte Valdifredo si era dato a cercare ovunque la sua bella sposa, e trovatala alfine morta nella grotta, le aveva dato sepoltura nel suo castello. Poi, desolato di tanta perdita, aveva costruito navi per dar la caccia ai barbareschi, e in una di quelle spedizioni aveva perduto la vita. Il castello di Bolgheri era così passato a un cugino, il quale aveva avuto dalla badessa Costanza la restituzione della spada e del pugnale. E dopo una breve pausa, la Regina domandò ai nipoti: - Ed ora siete contenti? - Sì, sì, nonna, contentissimi, e vi promettiamo che domenica saremo meno curiosi. - Peccato che Tonio e l'Annina non sentano le novelle! - disse Gigino. - Ma io le voglio tener a mente, e quando verranno le racconterò. - Che bel pasticcio ne farai! - risposero gli altri. - Pretenderesti forse di saper raccontar come la nonna? Il bimbo, umiliato da quella risposta, arrossì e stava per fare i lucciconi; ma la Vezzosa seppe consolarlo promettendogli che presto sarebbe venuto un bel bimbo, col quale egli si sarebbe potuto divertire; e di quel bimbo disse tante cose carine, che Gigino badava a ripeterle: - Zia, digli che si sbrighi a venire; io mi annoio solo; gli altri sono tutti grandi.

. - Roberto scese in campo, e io, nel vederlo, mi sentii ribollire il sangue, perché le trombe lo salutarono e i baroni abbassarono la spada in segno d'omaggio. - Corse egli contro un barone e lo scavalcò, e mentre si formava di nuovo il campo, mi presento io con la visiera calata, vestito di un'armatura senza stemma, e cavalcando un cavallo preso a prestito da un signorotto, che era fra i più acerbi nemici del duca Roberto. Mi si domanda il mio nome; io altero la voce e rispondo che non voglio rivelarlo, ma desidero misurarmi col Duca. Questi accetta l'inusitato invito; corriamo, io lo incalzo, lo assalgo come un forsennato per aver la soddisfazione di vederlo dinanzi a me per terra, e ci riesco. Ma che vanto doloroso! - Roberto, nel cadere, era rimasto con un piede nella staffa, e il cavallo, spaventato, s'era dato a correre trascinando seco il cavaliere. - Accorsero i valletti a fermarlo; i baroni circondarono il duca, ma quando gli ebbero sciolto il cimiero e slacciata la maglia, il suo cuore non batteva più. Vidi mia madre cadere svenuta, la bella contessina Costanza piangere, ed io, preso dal rimorso, approfittando di quel momento di confusione, mi diedi a fuggire giù per il monte spronando il cavallo a corsa precipitosa, e non mi sarei mai fermato se l'animale, a un certo punto, non avesse rifiutato di andar oltre. Ormai il rimorso mi perseguitava e non avevo più pace. - Entrai in una casa di contadini e domandai ricovero per la notte. Mi fu concesso in una capanna; ma appena mi fui addormentato, così vestito e armato come ero, sopra un mucchio di fieno accanto al mio cavallo, cui non avevo tolta la sella, venni destato da un rumore di voci. Aprii gli occhi e vidi intorno a me molta gente in atto minaccioso, che mi gridava: - "Ecco l'uccisore di Roberto! Ecco il fratricida!" - Balzai in sella, mi feci largo con la spada e corsi a precipizio nella campagna, inseguìto da quelle grida che mi giungevano al cuore come una maledizione. - Giunto a Messina, volli imbarcarmi sopra una nave che andava a Reggio, per fuggire l'isola, sperando di fuggire il rimorso del mio delitto. - A Messina incontrai quei malvagi che mi avevano incitato nell'odio contro il fratel mio, i quali ad ogni costo mi volevano ricondurre al nostro castello dicendomi che io non dovevo soverchiamente affliggermi, poiché non avevo ucciso mio fratello. Se era morto, lo doveva alla sua imperizia nel maneggiar l'armi e nello stare in sella, e che non era giusto che, per una fisima, io rinunziassi a ereditare i titoli e le baronie che mi spettavano. - Chiusi gli orecchi a quei suggerimenti e volli andarmene ramingo per il mondo a espiare il mio peccato. M'imbarcai infatti, e, giunto in Calabria, mi diedi a difendere i deboli contro i forti, gli oppressi contro gli oppressori. Ma non ero stato un giorno in paese, che, per mia punizione, non venisse scoperto l'essere mio, e non fossi additato come l'uccisore di mio fratello. - Così pellegrinai fino a Roma, cibandomi scarsamente, pregando, combattendo per i miseri. Quivi, in San Giovanni Laterano, feci la confessione generale dei miei peccati, e il buon vescovo che mi assolse, mi disse di sperare nella misericordia divina e di far vita da eremita. - Ripresi quindi il pellegrinaggio cercando un luogo alpestre e solitario, vicino a un paese dove potessi giovare in qualche modo al prossimo mio, e mi stabilii su questo prato. Or sono quarant'anni che vi dimoro, ed è quassù che ho avuto la suprema consolazione di sapere che il mio peccato era perdonato. Me ne sono accorto vedendo che il Signore si è servito di me per beneficarvi, ed ha esaudito le mie preghiere. - Ora sono presso alla morte, e questa confessione spero vi sarà d'esempio a non cedere alle passioni, e a non dare ascolto ai cattivi suggerimenti. Il vecchio ricadde estenuato su quel tappeto di erbe aromatiche e di fiori, e il popolo si affollò intorno a lui, piangente, per baciargli la mano e il saio. La contessa Sofia fece cenno che l'agonia del Romito non fosse turbata, e ordinò alla folla di pregare. E mentre tutti rivolgevano a Dio preci per il morente, l'anima di lui si sprigionava dal corpo e, accompagnata da quel coro unanime, saliva lentamente al cielo. Allora avvenne un fatto non mai accaduto. Si alzò una brezza dolcissima e in un momento si videro turbinare nell'aria migliaia e migliaia di fiori, che andarono a coprire il corpo del santo Romito, mentre su nel cielo tante e tante voci dolcissime cantavano: Osanna! Quando la contessa Sofia, a capo della processione, tornò piangendo in paese, vide che non era più la sola fonte detta Buca del Tesoro che gettava l'acqua salutare, ma che dal terreno sgorgavano in molti punti delle fonti della stessa acqua. Da quel tempo in poi Chitignano salì in rinomanza per le sue sorgenti, e quell'acqua ha sanato più malati che non ci sono stelle in cielo e pesci in mare. La Regina tacque e Maso disse: - Mamma, avete fatto bene a raccontar questa novella. Non si sa mai se nell'anima di qualcuno dei bambini che vi ha ascoltata non vi sia la pianta velenosa dell'invidia. Quest'esempio basterà loro ad estirparla, perché quel Romito, prima di giungere al prato di Casella, deve aver patito quanto Caino. Noi, se Dio vuole, - aggiunse guardando sorridente i fratelli, - l'invidia non abbiamo mai saputo che faccia avesse, e ci siam voluti bene davvero. - E spero che ve ne vorrete anche quando io sarò sottoterra, - disse la Regina. - Fratelli, non è un miracolo che vi vogliate bene, - saltò su a dire la Carola. - Ma che non è una cosa rara di veder quattro cognate che van d'accordo più che sorelle? Scommetto che se giraste mezzo mondo, non ne trovereste altre quattro come noi! E ora tocca a te, Cecco, a mettere in casa una donna buona, e che sia del nostro medesimo sentimento. Moglie la devi pigliare, e di gusto tuo; ma prima di prenderla guarda che sia davvero una donna come si deve. Cecco sorrise e non disse né si né no; ma siccome quel discorso lo noiava, rispose alla Carola che ne lasciava a lei la scelta. Durante questo discorso, Vezzosa s'era tirata da parte e adagio adagio aveva preso a leggere Le mie prigioni Cecco le si avvicinò e le disse: - Pigliate pure codesto libro, poiché non è di quelli che mettono i grilli in testa; anzi, è uno di quei libri che tutti dovrebbero leggere. - Grazie, Cecco, - rispose la ragazza, e lo nascose sotto il grembiale. Quella sera, nel percorrere il breve tragitto che separava il podere dei Marcucci da quello del Vezzosi, padre della bella ragazza, i due giovani parlarono soltanto della bontà d'animo che traspariva dal libro del Pellico fin dalle prime pagine. Peraltro, Cecco, nel lasciare la Vezzosa, le disse: - A domenica, non è vero? - A domenica, - rispos'ella.

Cerca

Modifica ricerca