Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PREDONI DEL SAHARA

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Salgari, Emilio 3 occorrenze

I tre fuggiaschi si abbassarono presso il parapetto, impugnando le loro armi. Qualcuno stava attraversando la galleria. Si udiva un passo leggero avvicinarsi, ma l'oscurità era così fitta che non potevano scorgere la persona che s'avanzava. "Che sia qualche kissuro?" esclamò il marchese. "Chiunque sia, lasciamolo andare," mormorò Ben. Un'ombra bianca passò a pochi passi da loro, scomparendo verso l'estremità opposta della galleria e lasciandosi dietro un'onda di profumo acutissimo. "Deve essere una donna," disse il marchese. "Che questa loggia metta nell'harem del sultano?" "Ridiscendiamo nel giardino e cerchiamo qualche altra uscita," disse Ben. "Condivido la vostra idea," disse il marchese, dopo un momento di riflessione. "Non desidero imbarazzarmi colle donne del sultano." Rocco alzò una persiana per vedere se vi erano delle guardie nel giardino. Essendo la luna comparsa dietro l'opposto padiglione, uno sprazzo di luce si proiettò nella galleria e sui tre fuggiaschi. Quasi nello stesso momento un grido di donna echeggiava nella loggia. "Aiuto! ... I ladri! ... " "Morte e sangue!" gridò Rocco. "Ancora la bella del sultano!" "Giù! saltate!" comandò il marchese. Una porta si era aperta all'estremità della galleria e alcune ombre si erano precipitate fra le arcate, vociferando spaventosamente. Non vi era un momento da esitare. Rocco, il marchese e l'ebreo scavalcarono il parapetto e si lasciarono cadere nel giardino, correndo verso la muraglia. L'allarme era stato dato. Sulle terrazze, nei padiglioni, nelle logge si udivano grida d'uomini e di donne. "Fuggono!" "Sono nel giardino!" "Inseguiteli!" "Fuoco!" Alcuni colpi di moschetto, sparati dai kissuri che vegliavano sulle terrazze, rimbombarono mettendo in subbuglio gli abitanti della kasbah e forse lo stesso sultano. Da tutte le parti si vedevano accorrere uomini muniti di torce e armati di moschetti, di scimitarre e di lance. Il marchese ed i suoi due compagni attraversarono di corsa il giardino e si misero a seguire l'alta muraglia colla speranza di trovare qualche porta o qualche scala che permettesse loro di varcare l'ostacolo. "Qui!" esclamò ad un tratto Rocco, fermandosi. "Guardate, una porta!" "Scassiniamola!" gridò il marchese. "Presto," disse Ben. "I kissuri vengono!" Si vedevano torce correre attraverso gli alberi e clamori assordanti s'alzavano dovunque. Sulle terrazze rimbombavano colpi di moschetto sparati a casaccio. La porta scoperta dal sardo era rinforzata da lastre di ferro, però il metallo s'era così arrugginito da non poter opporre una tunga resistenza. Il marchese appoggiò la canna della pistola nella toppa e fece fuoco. Il chiavistello, spezzato dalla palla, cedette senza però che la porta si aprisse. "Mille pantere!" esclamò il marchese. "Signore," disse Rocco. "Scassinatela finché io tengo testa ai kissuri." Alcune guardie erano comparse e si preparavano a dare addosso ai fuggiaschi. Il sardo, impugnata la sbarra, chiuse loro il passo, menando colpi all'impazzata e costringendoli a retrocedere. Intanto il marchese e Ben, a colpi di spalla, sgangheravano l'ostacolo. "Rocco!" gridò il marchese. "Siamo salvi!" Certo di essere seguito dal fedele sardo, si slanciò all'aperto trascinando Ben. Si trovarono sulla piazza che s'apriva dietro la kasbah. Nessun uomo si vedeva sotto i palmizi, quindi la fuga non presentava, almeno pel momento, alcuna difficoltà. "Rocco!" gridò ancora il marchese, slanciandosi a corsa sfrenata. Gli risposero delle urla furiose, ma il sardo non comparve. "Ben!" gridò il marchese, con angoscia. "Rocco è stato preso! Torniamo!" "Troppo tardi! I kissuri ci danno la caccia! Sono usciti dal giardino!" "Torniamo!" "No, marchese!" esclamò Ben afferrandolo strettamente per un braccio. "Liberi potremo forse salvarlo; arrestati non ci aspetterebbe che la morte." "Ah! Disgraziato Rocco! Si è sacrificato per noi!" "Fuggite! Vengono!" Alcuni kissuri si erano slanciati sulla piazza. Vedendo i due prigionieri fuggire, scaricarono le pistolacce, senza alcun esito essendo quelle armi troppo vecchie e d'una portata troppo limitata. Il marchese, ormai rassegnato, si era precipitato dietro a Ben, il quale fuggiva a rompicollo senza nemmeno volgersi indietro. Attraversata la piazza si cacciarono in mezzo alle viuzze che mettevano verso i quartieri meridionali della città. I kissuri, temendo forse che i fuggiaschi avessero dei compagni pronti a spalleggiarli, avevano rallentato la corsa. "Si sono fermati," disse il marchese, dopo aver percorso tutto d'un fiato tre o quattro viuzze. "Non li odo più. Dove andiamo?" "Alla casa di mio padre," rispose Ben. "Conoscete la via? Io non so più dove vada." "La troveremo, marchese." Sostarono un momento per riprendere lena, poi ricominciarono a correre gareggiando fra di loro. In lontananza, verso la piazza, si udivano ancora le urla delle guardie del sultano, ma non erano più tali da inquietare i fuggiaschi. Pareva che i kissuri avessero smarrito le tracce o che non si fossero sentiti tanto forti da proseguire la caccia. Dopo una mezz'ora, non udendo più nulla, il marchese e Ben, completamente esausti, tornarono a fermarsi. "Non abbiamo più nulla da temere," disse l'ebreo. "Ormai siamo salvi." "Noi sì, ma Rocco?" chiese il signor di Sartena, con dolore. "Che l'abbiano ucciso?" "Non è uomo da lasciarsi ammazzare," rispose Ben. "Si vendicheranno su di lui." "Andiamo da mia sorella, marchese. Vedremo poi cosa potremo tentare per strapparlo ai kissuri del sultano. "L'oro non ci manca e sono pronto a sacrificare tutta l'eredità di mio padre pur di salvarlo. Venite, marchese. Non dobbiamo essere lontani dalla nostra casa." "Grazie della vostra offerta, Ben, ma io dubito che il vostro oro possa servire a strappare alla morte quel coraggioso," disse il marchese, con un sospiro. "Canaglie! Tradirci così vigliaccamente." "Il traditore è stato ucciso da El-Haggar." "Uno sì, ma l'altro è forse ancora vivo." "Sospettate ancora di El-Melah?" "Sì, Ben. È stato lui a mandarci quell'arabo e deve essere stato lui ad inventare la storia del colonnello." "Noi però non sappiamo ancora se Flatters sia veramente schiavo del sultano o se sia stato ucciso nel deserto." "Ormai ho perduto ogni speranza, amico. Sono convinto che quel valoroso è stato massacrato assieme a tutti i suoi compagni, in mezzo al Sahara." "Fermatevi! ... Ci siamo." "Dove?" "Alla casa di mio padre. Eh! Guardate! Vedo della luce nel giardino! ... " "Che vostra sorella stia disseppellendo il tesoro?" "Lo suppongo, marchese." "Che siano ladri? Forse El-Melah? Ah! Vivaddio! Se è lui, lo uccido come un cane." Impugnò l'arma e si slanciò verso il cancello del giardino. Alcuni uomini, alla luce d'una torcia, stavano levando dal pozzo un grosso forziere. "Vedo El-Haggar!" esclamò il marchese. "E vi è anche mia sorella!" esclamò Ben. Con una spinta irresistibile rovesciarono il cancello e si slanciarono nel giardino, gridando: "Esther!" "Sorella!" La giovane ebrea, udendo quelle grida, aveva fatto alcuni passi innanzi, vacillando. Impallidì, arrossì, poi aprì le braccia e si strinse al petto prima il fratello, poi il marchese, esclamando: "Salvi! ... Salvi! ... Dio possente, vi ringrazio."

I Tuareg si scambiarono alcune parole, poi vedendo che non avrebbero potuto resistere a quelle quattro persone armate di fucili e che parevano molto risolute, abbassarono le lance, scesero il cumulo e partirono frettolosamente, forse molto soddisfatti che le cose fossero passate così lisce. "Voi rimanete a guardia dei cammelli e dei bagagli," disse El-Haggar, quando i predoni furono scomparsi. "Attendete il nostro ritorno." I due beduini rientrarono nel giardino chiudendo il cancello. "Ed ora, signora," continuò il moro. "Abbassate il cappuccio onde non s'accorgano che siete una donna, avvolgetevi bene nel caic e seguitemi." "Andiamo alla kasbah?" chiese Esther, con voce tremante. "Sì, signora. In un quarto d'ora noi vi saremo." Aizzarono il cavallo e l'asino e si diressero verso i quartieri centrali della città, scegliendo le vie meno frequentate. Essendovi festa in tutte le case, la festa della carne di montone, pochissime erano le persone che s'incontravano e quelle poche non erano che dei miserabili negri che non potevano certo dare impiccio. Nondimeno per maggiore precauzione El-Haggar aveva pure alzato il cappuccio, in modo da nascondere buona parte del viso, quantunque fosse più che certo di non aver lasciato tempo ai kissuri di riconoscerlo. Già non distavano dalla kasbah più di cinquecento passi, quando udirono tuonare in quella direzione un pezzo d'artiglieria. "Il cannone!" esclamò El-Haggar, trasalendo. "Ah! Signora! Disgrazia!" "Perché dici questo?" chiese Esther, impallidendo e portandosi una mano al cuore. "Il marchese ed i suoi compagni devono essersi rifugiati nel minareto del padiglione, signora." "E tu credi ... " chiese la giovane con estrema angoscia. "Che dirocchino a cannonate il minareto per costringerli alla resa." "Gran Dio! El-Haggar!" "Coraggio, signora: venite!" Sferzò l'asino costringendolo a prendere un galoppo furioso e pochi minuti dopo giungeva, sempre seguito da Esther, sulla piazza della kasbah, di fronte ai due padiglioni. La lotta era finita. Non si scorgevano che pochi curiosi che stavano radunati dinanzi alla finestra del padiglione più piccolo, osservando una larga pozza di sangue. I kissuri del sultano erano invece scomparsi. El-Haggar guardò il minareto e vide che un angolo della base era stato diroccato, probabilmente da una palla di non piccolo calibro. "Signora," disse con voce tremante, "sono stati presi." Esther vacillò e sarebbe certamente caduta dalla sella se il moro, accortosene a tempo, non l'avesse sorretta. "Badate, signora," le disse. "Ci osservano e se nasce loro qualche sospetto, prenderanno anche noi." "Hai ragione, El-Haggar," rispose la giovane reagendo energicamente contro quell'improvvisa commozione. "Sarò forte. Informati di ciò che è avvenuto. Ah! Mio povero Ben! Povero marchese!" Il moro, vedendo un vecchio dalla barba bianca che attraversava la piazza, camminando quasi a stento, gli si accostò. "È successo qualche grave avvenimento?" gli chiese, facendogli segno d'arrestarsi. "Ho udito tuonare il cannone." Il vecchio si fermò guardandolo attentamente, quasi con diffidenza. Era un uomo di sessanta e forse più anni, col volto rugoso ed incartapecorito, il naso ricurvo come il becco dei pappagalli, gli occhi neri e ancora vivissimi. Non pareva che fosse né arabo, né un fellata e tanto meno un moro a giudicare dal colore della sua pelle molto bianca ancora. "Eh, non sapete?" chiese il vecchio, dopo d'averlo guardato a lungo. "Hanno preso degli stranieri e anche un ebreo." Aveva pronunciato l'ultima parola con un accento così triste, che il moro ne era stato colpito. "Anche un ebreo?" chiese El-Haggar. "Sì," rispose il vecchio con un sospiro. "Che cosa avevano fatto quegli stranieri?" "Io non lo so. M'hanno detto che si erano rifugiati su quel minareto dove opponevano una disperata resistenza, minacciando di precipitare sulla piazza un marabuto che avevano sorpreso lassù." "Hanno poi effettuato la minaccia?" "No, perché i kissuri hanno bombardato il minareto, costringendoli ad arrendersi subito. Se avessero resistito ancora pochi minuti, tutta la costruzione sarebbe precipitata e gli stranieri insieme." "Dunque sono stati presi?" "Si, e anche quel disgraziato israelita." "V'interessava quel giovane ebreo?" chiese El-Haggar. Il vecchio invece di rispondere guardò nuovamente il moro, poi gli volse le spalle per andarsene. "Non così presto," disse El-Haggar, prendendolo per un braccio. "Vi ho scoperto." "Che cosa dite?" chiese il vecchio, trasalendo. "Voi compiangete quel vostro correligionario." "Io, ebreo?" "Silenzio, potreste perdervi e perdere anche quella giovane che monta quel cavallo. È la sorella del giovane ebreo che i kissuri hanno arrestato." "Voi volete ingannarmi." "No, non sono una spia del sultano," disse il moro, con voce grave. "Quella giovane è la figlia di Nartico, un ebreo che ha fatto la sua fortuna in Tombuctu." "Nartico!" balbettò il vecchio. "Voi avete detto Nartico! ... Chi siete voi dunque? ... " "Un servo fedele degli uomini che sono stati presi dai kissuri." "E quella donna è la figlia di Nartico? ... Del mio vecchio amico? ... " "Ve lo giuro sul Corano." Un forte tremito agitava le membra dell'ebreo. Stette alcuni istanti senza parlare, come se la lingua gli si fosse paralizzata, poi facendo uno sforzo, balbettò: "Alla mia casa ... alla mia casa ... Dio possente! La figlia di Nartico qui! ... Il figlio prigioniero! Bisogna salvarlo ... Venite! Venite! ... " "Precedeteci," disse il moro con voce giuliva. "Noi vi seguiamo." Raggiunse Esther la quale attendeva, in preda a mille angosce, la fine di quel colloquio e la informò di quella insperata fortuna. "È Dio che ce lo ha mandato," disse la fanciulla. "Quell'ebreo, che deve essere stato un amico di mio padre, salverà il marchese e mio fratello." "Ho fiducia anch'io in quell'uomo, signora," rispose El-Haggar. Raggiunsero il vecchio, il quale si era diretto verso una viuzza assai stretta, fiancheggiata da giardini e da casupole di paglia e di fango abitate da poveri negri, tenendosi però ad una certa distanza onde non suscitare dei sospetti. L'ebreo pareva che avesse acquistato una forza straordinaria; camminava con passo rapido e senza servirsi del bastone. Di quando in quando si arrestava per osservare Esther, poi riprendeva il cammino con maggior velocità. Attraversò così quattro o cinque viuzze e si arrestò dinanzi ad una casetta ad un solo piano, di forma quadrata, sormontata da un terrazzo e ombreggiata da un gruppo di superbi palmizi. Aprì la porta e volgendosi verso Esther disse: "Entrate nella casa di Samuele Haley, vecchio amico di vostro padre. Tutto quello che possiedo è vostro; consideratevi quindi come la padrona."

Vedendo comparire subito i cacciatori, abbassarono le code e partirono ventre a terra dalla parte donde erano venuti. Frattanto lo struzzo, abbandonato dai compagni già lontanissimi, era tornato ad alzarsi. Fece ancora cinque o sei passi zoppicando, poi tornò a cadere e questa volta per non più rialzarsi. Il marchese in pochi salti lo raggiunse, gli strappò un bel mazzo di:i piume candidissime e porgendole a Esther, le disse con galanteria "Alla bella cacciatrice." "Grazie, marchese," rispose la giovane, arrossendo di piacere. Ben si era accontentato di sorridere.

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