Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Fisiologia del piacere

170560
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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Più d'una volta la formula della vita di un uomo potrebbe essere rappresentata da un'unica nube, che paziente e sicura aspetta al medesimo posto il vento che dovrebbe innalzarla o abbassarla in mezzo alle intemperie e alle procelle dell'esistenza. Le gioie più vive però si provano quando il desiderio, oscillando di speranza, s'innalza a un tratto verso la meta. Vi è una vera e suprema voluttà in quella ascesa. La massima gioia si prova nel momento in cui la speranza diventa realtà, quando l'ultima oscillazione del desiderio che si perde si confonde col primo fremito della sodisfazione che comincia. Un'altra sorgente fecondissima di gioia deriva dall'alternarsi della caduta con la salita, del timore con la speranza. Per alcuni individui la tempesta agitata di queste incertezze costituisce anzi la massima voluttà. Tutti possono rammentare la trepida ansia di qualche momento della vita, nel quale si passa improvvisamente dalla speranza al timore, o dal dolore alla gioia. Una lettera impazientemente aspettata a lungo, e forse ormai non più sperata, ci arriva. I caratteri dell'indirizzo ci sono sconosciuti, ma il timbro della posta ci fa ritenere che quel foglio non possa assolutamente venire che da quell'unica che sopra tutte abbiamo in mente. La speranza più soave ci fa sospirare e sorridere: trepidanti guardiamo la lettera senza osare di aprirla. Là dentro vi è forse già segnata in nostra sentenza, là forse sta scritto il destino del nostro avvenire. L'impazienza ci consuma, ma il coraggio ci manca; e, guardando e riguardando, cerchiamo di indovinare dal modo in cui è scritto l'indirizzo, e fin dal modo con cui la lettera è stata suggellata le disposizioni dell'animo di chi ce l'ha indirizzata. Finalmente, dopo uno sforzo energico, la busta è rotta, il foglio è aperto, l'occhio avido e irrequieto corre alla firma, misura la lunghezza dello scritto e la commenta... Un rifiuto non potrebbe essere così lungo, una risposta consolante non sarebbe così breve. Tutto tortura e tutto consola, e passando dalla speranza al timore, in brevissimo intervallo di tempo proviamo uno spasimo di gioia e di dolore che non ha nome. Fra la disperazione e la felicità sta un deserto immenso, sul quale la speranza semina un sentiero di molle erbetta, che, ristrettissimo dapprima, va man mano dilatandosi fino a formare un vasto prato sempre fiorito, un vero eden di delizie. I gradi della speranza sono infiniti e si può dire che essa muta di volume ad ogni istante, tanto è sensibile ai minimi cambiamenti di temperatura, che or la condensano ed or la espandono. Tutti gli uomini sperano, ma non se ne trovano due soli che abbiano lo stesso capitale di speranza: l'uno è milionario e l'altro è pitocco; l'uno impiega i suoi fondi al cento per uno, e l'altro a stento ne ricava l'uno per cento. L'interesse della speranza è la gioia; ma come vi sono capitali che non dànno interesse, così vi è qualche speranza che non produce piaceri. Allora bisogna intaccare e divorare il capitale, misurandolo colle pretensioni della fame e coll'avarizia della miseria. Qualche volta, dopo aver consumato tutta la propria sostanza, bisogna vivere di elemosina, e in questo caso fortunatamente si trova molta generosità: tutti sono pronti a offrirvi il loro obolo e a mostrarsi caritatevoli. Quando poi non vi sentite di abbassarvi all'umiliazione dell'accattone, privatevi di qualcosa e andate a comperare un po' di speranza. Non mancano le botteghe dove la si vende; non mancano gli usurai che la pesano a libbre, ad once, a grani, e la vendono a tutti i prezzi, secondo il valore che hanno i fondi della fede pubblica. Quando l'uomo non può comperare un soldo di speranza, o quando non vuole abbassarsi al vile mercato, diventa suicida. L'uomo vivente senza speranza è un paradosso. Si può vivere senza godere, si può vivere in mezzo al dolore; ma per sopportare la vita bisogna avere fra mani una cambiale di gioia per l'avvenire, dovesse essere di un centesimo, dovesse essere falsa: una cambiale speranza. Essa costituisce il contravveleno dei più atroci dolori, il balsamo più soave delle piaghe morali. Quand'essa arriva a costituire un grande capitale può bastare a render amena la vita. Moltissimi individui si credono ricchi, perchè hanno nei loro scrigni fasci di valute, che potrebbero perdere tutto il loro valore col fallimento o la frode di un banchiere; così molti si credono felici perchè hanno fra mani mille cambiali per l'avvenire segnate dalla speranza. Essi muoiono sorridenti e beati senza che uno solo di quei biglietti di credito sia mai stato convertito in moneta sonante. È sotto quest'aspetto che alcuni economisti proclamano altamente che si debba in ogni caso impiegare i propri fondi su beni stabili e non sopra la carta; ma io trovo che quando non si può avere danaro sonante, è sempre meglio avere un credito, anche se inesigibile. Vi sono negozianti che lavorano sopra un capitale di credito, e vi possono essere anche uomini che vivono sopra un capitale di speranza. Quel che preme per giungere ai primi posti nel teatro della vita, è di avere qualche cosa fra mani onde abbagliare o ingannare il portiere, che fissa i posti alla folla che incalza per passare. In qualche caso ho veduto un petulante ciarlatano riescire a passare ai primi posti con un artifizio ingegnoso. Dopo avere sbuffato a lungo di impazienza e avere schiamazzato davanti alla porta per la quale doveva entrare nel teatro della vita, egli dava un pugno solenne sugli occhi del portiere, il quale, quasi accecato dal barbaglìo del colpo, credeva di vedere molt'oro, e curvandosi fino a toccare il suolo con la fronte, lasciava passare. L'oro porta sempre fra i primi posti. Se non volete credere a tanta imbecillità da parte del portiere, vi dirò che chi presiede alla distribuzione dei posti e alla gerarchia delle autorità è l'opinione pubblica, e allora mi crederete subito sulla parola.

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