Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Se non ora quando

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Levi, Primo 2 occorrenze

. _ Puoi abbassare le mani. Dammi il piastrino. Il tedesco armeggiò con la catenella, ma non riuscì ad aprire il fermaglio; venne Piotr, glielo strappò dal collo con uno strattone e lo consegnò a Gedale, che lo mise in tasca. Gedale disse: _ Siamo ebrei. Non so perché te lo dico, non cambia molto, ma vogliamo che tu lo sappia. Avevo un amico che scriveva canzoni. Voi lo avete preso, e gli avete lasciato mezz' ora di tempo perché scrivesse l' ultima. Tu no, vero? Voi non scrivete canzoni. Il tedesco fece cenno di no col capo. _ È la prima volta che parlo con uno di voi, _ disse ancora Gedale. _ Se ti lasciassimo libero che cosa faresti? Il tedesco si raddrizzò sulla vita: _ Basta con queste storie. Fate presto e pulito _. Gedale arretrò di un passo ed alzò l' arma, poi la riabbassò e disse a Mottel: _ L' uniforme ci può servire. Vedi tu _. Mottel spinse il tedesco dentro la villa e provvide, presto e pulito. _ Andiamocene, _ disse Gedale, ma Line chiese: _ Non firmiamo? _ Tutti la guardarono perplessi; la ragazza insistette: _ Dobbiamo dire che siamo stati noi: altrimenti non ha senso. Piotr era contrario: _ Sarebbe una sciocchezza e un rischio inutile _. Gedale e Mendel erano incerti. _ Noi chi? _ chiese Mendel: _ Noi sei? O tutta la banda? O tutti quelli che ... _, ma Mottel troncò gli indugi. Corse alla catasta, raccolse un pezzo di carbone, e scrisse sull' intonaco bianco della villa cinque grosse lettere ebraiche: VNTNV. _ Che cosa hai scritto? _ chiese Piotr. _ "Vnatnu", "Ed essi restituiranno". Lo vedi, si legge da destra a sinistra e da sinistra a destra: vuol dire che tutti possono dare e tutti possono restituire. _ Capiranno? _ chiese ancora Piotr. _ Capiranno quanto basta, _ rispose Mottel. _ Venite con noi, _ disse Gedale a Goldner: ma la sua voce mancava di convinzione. _ Ognuno di noi farà la sua scelta, _ disse Goldner, ma io non verrò. Non siamo come voi, non stiamo bene con gli altri uomini. I dieci confabularono per un momento, poi dichiararono a Gedale che erano del parere di Goldner, tutti tranne uno. Avrebbero aspettato i russi nascosti nel bosco o nelle macerie dei villaggi distrutti. Quello che si era dichiarato disposto a seguire i gedalisti era un giovane di Budapest. Si avviò con i cinque, che, benché appesantiti dalle nuove armi, marciavano spediti, ma dopo mezz' ora di cammino crollò a sedere su un sasso. Disse che preferiva ritornare indietro con gli altri nove. Mendel non sognava da molto tempo: non ricordava più quando gli fosse accaduto per l' ultima volta, forse quando la guerra non era ancora scoppiata. Quella notte, forse perché era stanco della tensione e della marcia, fece un sogno strano. Era a Strelka, nel suo piccolo laboratorio di orologiaio, quello che lui stesso si era montato in uno sgabuzzino di casa sua: era stretto, ma nel sogno era ancora più stretto, Mendel non poteva neppure allargare i gomiti per lavorare. Tuttavia stava lavorando, aveva davanti a sé dozzine di orologi, tutti fermi e guasti, e lui stava riparandone uno, con il monocolo incastrato nell' orbita e in mano un minuscolo cacciavite. Erano venuti due uomini a cercarlo, e gli avevano ordinato di seguirli; Rivke non era d' accordo che lui andasse, era incollerita e aveva paura, ma lui li aveva seguiti ugualmente. Lo avevano condotto giù per una scala, o forse era il pozzo di una miniera, e poi per una lunga galleria: il soffitto era dipinto di nero e alle pareti erano appesi molti orologi. Questi non erano fermi: si sentiva il loro ticchettio, ma ognuno di loro segnava un' ora diversa, ed alcuni, addirittura, camminavano all' indietro; di questo, Mendel si sentiva vagamente colpevole. Gli veniva incontro, lungo la galleria, un uomo vestito in borghese, con la cravatta e un' aria sprezzante; gli chiedeva chi era, e Mendel non sapeva rispondere: non ricordava più il suo nome, né dove era nato, nulla. Lo svegliò Dov, e svegliò anche Line che gli dormiva al fianco. Come avviene dopo i sonni profondi, Mendel stentò a riconoscere dove si trovava; poi ricordò, la sera prima la banda si era rifugiata nei sotterranei di una vetreria abbandonata: il soffitto era nero come quello del suo sogno. Bella e Sissl avevano fatto cuocere una zuppa e la stavano distribuendo. Gedale era già sveglio, e stava raccontando a Dov come era andata l' impresa: _ ... insomma, i più bravi sono stati Piotr e Mottel. E Line, sì, certo. L' uniforme eccola qui, con i gradi e tutto: perfino stirata. _ Credi che ci servirà? _ chiese Dov. _ No, è un gioco troppo pericoloso. La venderemo: ci penserà Jòzek. Jòzek stava scucchiaiando la sua zuppa accanto a Pavel, a Piotr e a Ròkhele Bianca. _ ... ma era sabato, _ disse Pavel: _ Dopo che il sole è tramontato il venerdì sera, è già sabato: e ammazzare di sabato non è peccato? Ròkhele era sulle spine. _ Ammazzare è peccato sempre. _ Anche ammazzare una SS? _ chiese Pavel provocatorio. _ Anche. O forse no: una SS è come un Filisteo, e Sansone li ammazzava. È stato un eroe perché ammazzava i Filistei. _ Ma forse non li ammazzava di sabato, _ disse Jòzek. _ Insomma, io non lo so. Perché mi tormentate? Mio marito avrebbe saputo rispondervi. Era rabbino, e voi siete tutti quanti ignoranti e miscredenti. _ Che cosa ne è stato di tuo marito? _ chiese Piotr. _ Lo hanno ucciso. È stato il primo che hanno ucciso nel nostro paese. Lo hanno costretto a sputare sulla Torà e poi lo hanno ucciso. _ E non è forse stato uno delle SS ad ucciderlo? _ Certo. Aveva la testa di morto sul berretto. _ Ecco, vedi? _ concluse Piotr: _ Se Mottel lo avesse ucciso prima, tuo marito sarebbe ancora vivo _. Ròkhele non rispose e si allontanò; Piotr guardò Pavel con aria interrogativa, e Pavel alzò un poco le braccia e le lasciò ricadere. _ E di lui, nessuno parla, _ disse Mendel a Line. _ Di chi? _ Di Leonid. Nessuno pensa più a lui. Neppure Gedale: eppure è lui che lo ha voluto mandare. Guardali: è come se ieri non fosse successo niente. La distribuzione della zuppa era finita; in un angolo della cantina Isidor, munito delle forbicine di Bella, stava accorciando i capelli e la barba di chi lo desiderava. I clienti aspettavano in fila, seduti su pile di mattoni. L' ultimo della fila era Gedale; per ingannare l' attesa, aveva tirato fuori il violino, e ci strimpellava sopra una canzone, con mano leggera perché non si sentisse di fuori. Era una canzone comica che tutti conoscevano, quella del rabbino miracoloso che fa correre un cieco, vedere un sordo e sentire uno zoppo, e che nell' ultima strofa entra vestito nell' acqua per uscirne miracolosamente bagnato. Isidor, pur continuando il suo lavoro, rideva e accompagnava la musica canticchiando; cantava sommessa anche Ròkhele Nera, che aveva pregato Isidor di tagliarle i capelli corti come quelli di Line, ed in quel momento si trovava sotto i ferri. _ Gedale ha molte facce, _ disse Line. _ Per questo è difficile capirlo: perché non c' è un solo Gedale. Si butta tutto alle spalle. Il Gedale di oggi si butta alle spalle il Gedale di ieri. _ Si è buttato alle spalle anche Leonid, _ disse Mendel. _ Ma perché ha voluto a tutti i costi che andasse lui all' assalto, invece di Arié? È da ieri che me lo sto domandando. _ Forse lo ha fatto con buona intenzione. Voleva dargli una occasione; pensava che combattere gli avrebbe fatto bene, lo avrebbe aiutato a ritrovare se stesso. O voleva metterlo alla prova. _ Io penso un' altra cosa, _ disse Mendel, _ penso che Gedale non sapesse di volerlo, ma volesse un' altra cosa. Che in fondo alla sua coscienza volesse liberarsi di lui. Prima che partissimo, me lo ha quasi detto. _ Che cosa ti ha detto? _ Che per le imprese disperate ci vogliono uomini disperati. Line tacque rosicchiandosi le unghie; poi chiese: _ Gedale sapeva perché Leonid era disperato? Anche Mendel tacque a lungo, e poi disse: _ Non so se lo sapesse. Probabilmente sì, lo avrà indovinato, Gedale viene a sapere le cose fiutando l' aria, non ha bisogno di prove né di fare domande _. Era seduto su un blocco di calcinacci, e col calcagno tracciava segni sul pavimento di terra battuta. Poi aggiunse: _ Non è stato il tedesco a uccidere Leonid, e neppure Gedale. _ Chi allora? _ Noi due. Line disse: _ Andiamo a cantare anche noi. Attorno a Gedale si erano radunati altri tre o quattro, ed al suono del violino cantavano altre canzoni allegre, di nozze e di osteria. Piotr cercava di seguire il ritmo e di imitare le dure aspirazioni del jiddisch, e rideva come un bambino. _ Non ho voglia di cantare, _ disse Mendel. _ Non ho voglia di niente, non so più chi è Gedale, non so più che cosa voglio né dove sono, e forse non so più neppure chi sono io. Stanotte ho sognato che qualcuno me lo chiedeva, e io non sapevo rispondere. _ Non bisogna dare importanza ai sogni, _ disse Line asciutta. In quel momento, lungo il cono di macerie che dall' esterno scendeva nell' interrato corse giù Izu, il pescatore del Gorin' , che stava di sentinella: _ Siete impazziti? O vi siete ubriacati? Da sopra si sente tutto: volete proprio chiamarvi addosso la polizia? Gedale si scusò come uno scolaro colto in fallo, e ripose il violino. _ Venite tutti qui, _ disse. _ Dobbiamo decidere due o tre cose. A giugno vi avevo detto che non siamo più orfani né cani sciolti. Ve lo confermo; ma stiamo cambiando padrone, o se preferite stiamo cambiando padre. Facciamo parte di una famiglia sterminata, in armi contro tedeschi dalla Norvegia alla Grecia. In questa famiglia c' è qualche discordia: si discute molto su quello che si farà quando Hitler sarà stato impiccato, dove correranno i confini, di chi sarà la terra e di chi saranno le fabbriche. Nella famiglia c' è Josif Vissarionovic, sì, il cugino di Arié. Forse è il primogenito, ma non va d' accordo con Churchill sul colore da scegliere per colorare la Polonia; Stalin vorrebbe il rosso, Churchill ha in mente un altro colore, e i polacchi un altro ancora; anzi, cinque o sei colori diversi fra loro. I polacchi non sono tutti come quei pupazzi delle NSZ; sono bravi partigiani che lottano contro i tedeschi, ma diffidano dei russi, e diffidano anche di noi. _ Noi siano pochi e deboli. I russi non si interessano più molto a quello che facciamo, da quando abbiamo passato il confine. Ci lasciano andare per la nostra strada; ma è proprio di questa strada che bisogna parlare. _ Io non sono cugino di Stalin, _ disse Arié piccato. Siamo solo compaesani. E la strada per me è una sola, sparare ai tedeschi finché ce n' è uno, e andare in Terra d' Israele a piantare alberi. _ Su questo punto credo che siamo tutti d' accordo, disse Gedale. _ Tu no, Dov? Bene, scusami, ne parleremo dopo; adesso tenevo a dirvi che abbiamo un sostegno, o almeno una bussola, una freccia che ci indica la via. In questi boschi non siamo soli. Ci sono degli uomini che tutti rispettano: sono quelli che hanno combattuto nei ghetti come noi, a Varsavia, a Vilna, nel Nono Forte di Kovno, e quelli che hanno avuto la forza di ribellarsi ai nazi a Treblinka e a Sobibòr. Non sono più isolati: sono uniti nello ZOB, nella Organizzazione Ebraica di Combattimento, la prima che abbia il coraggio di chiamarsi così in faccia al mondo, dopo che Tito ha distrutto il Tempio. Sono rispettati, ma né ricchi né molti; e che siano rispettati, non vuol dire che siano forti: non hanno né fortezze né aerei né cannoni. Hanno poche armi e pochi quattrini, ma con il poco di cui dispongono ci hanno già aiutati e ancora ci aiuteranno. Conserveremo la nostra indipendenza, perché ce la siamo meritata, ma terremo conto delle indicazioni che ci daranno. La più importante è questa: la nostra strada passa per l' Italia. Quando il fronte ci avrà sorpassati, se saremo ancora vivi, e se saremo ancora una banda, cercheremo di andare in Italia, perché l' Italia è come un trampolino. Ma non è detto che avremo la vita facile. _ Quando Hitler sarà morto, tutte le vie saranno facili, _ disse Jòzek. _ Saranno più facili di adesso, ma non così facili. Gli inglesi ci intralceranno più che potranno, perché non vogliono inimicarsi gli arabi in Palestina; invece i russi ci aiuteranno, perché in Palestina ci sono gli inglesi, e Stalin cerca tutti i modi di indebolirli perché ha invidia per il loro Impero. Dall' Italia, già adesso, salpano navi clandestine per la Terra d' Israele; qualcuna passa, altre non passano, e chi le ferma non sono i tedeschi ma gli inglesi. _ E se qualcuno cercherà di fermare noi? _ chiese Line. _ È questo il punto, _ disse Gedale, _ nessuno può dire quando e come finirà la guerra, ma potrà darsi che le armi ci serviranno ancora. Potrà darsi che questa banda, e le altre bande simili alla nostra, debbano continuare a fare la guerra quando tutto il mondo sarà in pace. Per questo Dio ci ha distinti fra tutti i popoli, come dicono i nostri rabbini. Ecco quello che vi dovevo dire. Avevi chiesto la parola, Dov? Io ho finito; parla. Dov fu breve: _ Passare il fronte in piena guerra è impossibile, specie per un uomo solo, ma se fosse possibile io lo avrei già fatto. Scusatemi, amici, io ho quarantasei anni. Resterò con voi finché vi potrò essere utile, ma quando i russi ci raggiungeranno andrò con loro. Sono nato in Siberia e ritornerò in Siberia; laggiù la guerra non è passata, e la mia casa sarà ancora in piedi. Forse avrò ancora forze per lavorare, ma non mi sento più di combattere. E i siberiani non ti dicono "ebreo" e non ti obbligano a gridare "Viva Stalin". _ Farai come vuoi, Dov, _ disse Gedale; _ Hitler è ancora vivo, è troppo presto per prendere certe decisioni. E tu ci sei ancora utile. Che cosa vuoi, Piotr? Piotr, a cui Gedale aveva affidato l' azione di kommando contro il Lager, e che l' aveva condotta con intelligenza e coraggio, si alzò in piedi come uno scolaro interrogato; tutti risero, lui si risedette e disse: _ Volevo solo sapere se in questa Terra d' Israele dove voi volete andare prenderanno anche me. _ Ti prenderanno sicuro, _ disse Mottel, _ ti farò io una raccomandazione, e non avrai bisogno né di cambiarti il nome né di farti circoncidere. Gedale scherzava, quella sera nel mulino. Si udì il vocione di Pavel: _ Da' retta a me, russo: il nome non ha importanza, ma fatti circoncidere. Approfitta dell' occasione. Non è tanto questione del Patto con Dio: è piuttosto come per i meli. Se si potano al momento giusto, vengono su belli e diritti e dànno più mele _. Ròkhele Nera fece una lunga risata nervosa; Bella si alzò in piedi tutta rossa in viso e dichiarò che non aveva fatto tanti chilometri e corso tanti rischi per sentire discorsi come quelli. Piotr si guardava intorno, intimidito e confuso. Parlò Line, seria come sempre: _ Certo che ti prenderanno, anche senza la raccomandazione di Mottel. Ma dimmi: perché ci vuoi venire? _ Eh, _ cominciò Piotr, sempre più confuso, _ i motivi sono tanti .... _ Levò la mano con il mignolo alzato, come fanno i russi quando cominciano a contare. _ Prima di tutto .... _ Prima di tutto? _ lo incoraggiò Dov. _ Prima di tutto io sono un credente, _ disse Piotr con il sollievo di chi ha trovato un argomento. _ "Got, scenk mir an òysred!" _ citò Mottel in jiddisch. Tutti scoppiarono a ridere, e Piotr si guardò intorno impermalito. _ Che cosa hai detto? _ chiese a Mottel. _ È un nostro modo di dire. Significa:" Signore Iddio, mandami una buona scusa". Non vorrai farci credere che vuoi stare con noi perché credi in Cristo. Sei un partigiano e un comunista, e in Cristo non hai l' aria di crederci tanto; e poi, in Cristo non ci crediamo noi; e neppure tutti crediamo in Dio. Piotr il credente bestemmiò fervidamente in russo, e proseguì: _ Voi siete bravi a complicare le cose. Bene, io non ve lo so spiegare, ma è proprio così. Voglio stare con voi perché credo in Cristo, e andate tutti a farvi impiccare con le vostre distinzioni _. Si alzò con aria offesa, si incamminò con passo deciso verso l' uscita, come se volesse andarsene, ma poi tornò indietro: _ ... e ho altri dieci motivi di restare in questa banda di stupidi. Perché voglio vedere il mondo. Perché ho litigato con Ulybin. Perché sono un disertore, e se mi riprendono finisco male. Perché ho fottuto le vostre madri puttane, e perché .... _ A questo punto si vide Dov correre verso Piotr come se lo volesse aggredire; invece lo abbracciò, e i due si scambiarono buoni pugni sulla schiena.

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Senza abbassare la voce, Isidor rispose: _ Non sta bene. Ha male, prima gridava. Adesso le hanno fatto una puntura _. In fondo al corridoio fecero capolino due suore, si scambiarono poche parole e subito sparirono. _ Venite via, è in buone mani, _ disse Mendel. _ Cosa state a fare qui? _ Io non mi muovo, _ disse Isidor. Gli altri quattro non dissero nulla; si limitarono a volgere su Mendel e gli altri uno sguardo ostile. _ Non servite a niente e date fastidio, _ disse Line. _ Io non mi muovo, _ ripeté Isidor. _ Io sto qui: io non mi fido. I cinque si appartarono. _ Che facciamo? _ chiese Gedale. _ Qui siamo in troppi, _ disse Mendel. _ Io resto a vedere cosa succede; proverò a calmarli. Voi scendete e tornare alla fattoria: l' avvocato è sotto che aspetta. Se si mette male vi chiamo al telefono. _ Resto anch' io, _ disse Line inaspettatamente. _ Una donna può essere utile _. Gedale, Bella e Pavel se ne andarono; Line e Mendel sedettero sulle poltrone della sala d' aspetto. Attraverso la porta socchiusa potevano sorvegliare i cinque uomini accampati nel corridoio. _ È ubriaco anche Isidor? _ chiese Line. _ Non mi pare, _ rispose Mendel. _ Fa il bravaccio perché ha paura. _ Paura per il parto? Per Ròkhele? _ Sì, ma forse non solo per questo. È un ragazzo, e ha bisogno di sentirsi importante. Ha fatto male Gedale a fargli guidare il camion. Line, negli inconsueti abiti femminili, sembrava cambiata anche interiormente. Rispose sommessa: _ Quando è stato? A febbraio, vero? C' era ancora la neve. _ Era ai primi di marzo, quando siamo usciti da Wolbrom; sì, doveva proprio essere il primo di marzo. _ È difficile mettere ordine nei ricordi, vero? Non capita anche a te? Mendel accennò di sì col capo, senza parlare. Venne un' infermiera, disse loro qualcosa in italiano; Line e Mendel non capirono, l' infermiera alzò le spalle e se ne andò. Line entrò nella camera di Ròkhele e ritornò subito: _ Dorme, _ disse; _ sembra tranquilla, ma ha il polso rapido. _ Forse è così per tutte le donne che partoriscono? _ Non lo so, _ rispose Line. Tacque, poi riprese: _ Non siamo fatti nel modo giusto. Ti pare giusto che un uomo diventi padre a diciassette anni? _ Forse non è giusto diventare padri mai, _ disse Mendel. _ Taci, Mendel. Scaccia questi pensieri. Stanotte deve nascere un bambino. _ Tu credi che i nostri pensieri lo possano toccare? Farlo nascere diverso? _ Chi sa? _ disse Line. _ Un bambino che nasce è una cosa tanto delicata! Dove è stato concepito? Mendel calcolò mentalmente: _ Quando eravamo con Edek, vicino a Tunel. A novembre. Sarà un bambino polacco? O ucraino come Ròkhele? O italiano? _ Narische bucher, vos darfst du fregen? _ disse Line ridendo, e citando la canzone che aveva segnato il passaggio del fronte: _ Ragazzo sciocco, come puoi domandare? Stranamente, Mendel non fu per nulla offeso a sentirsi chiamare così: anzi, intenerito. Questa nuova Line non era più Raab, ma la "meidele" pietosa-arguta della canzone. _ Come puoi domandare? _ riprese Line, appoggiando la mano sull' avambraccio di Mendel: _ Un bambino è un bambino; diventa qualche cosa solo dopo. Perché ti preoccupi? Infine, non è neppure nostro figlio. _ Già. Non è neppure nostro figlio. _ Anche noi siamo stati partoriti, _ uscì a dire Line ad un tratto. Mendel la interrogò con lo sguardo, e Line cercò di precisare il suo pensiero: _ Partoriti, espulsi. La Russia ci ha concepiti, ci ha nutriti, ci ha fatti crescere nel suo buio, come in una matrice; poi ha avuto le doglie, si è contratta e ci ha gettati fuori, e adesso eccoci qui, nudi e nuovi, come bambini appena nati. Non è così anche per te? _ Narische meidele, vos darfst du fregen? _ ritorse Mendel, sentendosi sulle labbra un sorriso affettuoso e un velo leggero davanti agli occhi. Ci fu movimento nel corridoio, passi, bisbigli. Mendel si alzò e andò a guardare dallo spiraglio: la Bianca respirava pesantemente e gemeva a intervalli. A un tratto si contorse e gridò forte, due, tre volte. I quattro di Blizna balzarono in piedi, bellicosi e insonnoliti; Isidor si inginocchiò accanto al letto, poi uscì nel corridoio a gran passi. Tornò dopo un minuto, trascinandosi dietro una suora e il medico di guardia. Erano tutti e tre spaventati, per motivi diversi; Isidor gridava in jiddisch: _ Questa donna non deve morire, signor dottore, mi capisce? È mia moglie, siamo venuti dalla Russia fin qui, abbiamo combattuto, abbiamo camminato. E il bambino è mio figlio, deve nascere. Non deve morire, capito? Guai se la donna o il bambino muoiono: noi siamo partigiani. Avanti, signor dottore, faccia quello che deve, e stia attento a quello che fa. Line si avvicinò a Isidor per calmarlo e rassicurarlo, ma Isidor, che teneva la mano sull' impugnatura della pistola infilata nella cintura, la mandò via con un urtone. Il dottore non capiva il jiddisch, ma capiva che cosa voleva dire una pistola in mano a un ragazzo terrorizzato; parlò rapido con la suora, poi fece un passo verso il telefono all' angolo del corridoio, ma Isidor gli sbarrò la strada. Allora lui e la suora presero la lettiga a rotelle che stava poco lontano, vi trasferirono la Bianca che continuava a gridare e si avviarono verso la sala parto. Isidor fece un cenno ai suoi e li seguì; Mendel e Line seguirono Isidor. Isidor non osò forzare l' ingresso alla sala parto. I sette si sedettero davanti alla porta, ed incominciarono a passare le ore. A diverse riprese Mendel cercò di acquietare Isidor e di farsi consegnare la pistola. Avrebbe anche tentato di strappargliela se non si fosse visto alle spalle i quattro compaesani. Non riuscì a nulla: Isidor gli stava davanti senza sentirlo, dapprima arrogante, poi tutto teso ai rumori attutiti che provenivano dalla sala. Seduto accanto a Line, Mendel guardava le sue ginocchia che sporgevano dalla gonna. Era la prima volta che le vedeva: mai prima, se non con le dita veggenti, tremule dal desiderio, nell' oscurità dei loro giacigli ogni notte diversi, o attraverso il panno opaco dei pantaloni. Non cedere. Non cederle. Non ricominciare, sii savio, resisti. Non vivresti una vita accanto a lei, non è una donna per la vita, e tu non hai ancora trent' anni. A trent' anni la vita può ricominciare. Come un libro, quando hai finito il primo volume. Ricominciare da dove? Da qui, da oggi, da quest' alba milanese che sorge dietro i vetri smerigliati: da stamattina. Questo è un buon luogo per cominciare a vivere. Forse avresti dovuto fare come loro, hanno avuto ragione loro, i due nebech; non hanno fatto come te con Line, hanno chiuso gli occhi e si sono abbandonati e il seme dell' uomo non si è disperso e una donna ha concepito. Passò una suora spingendo un carrello. Line, che sonnecchiava stanca, si riscosse e disse: _ Era un pezzo che non passavamo una notte bianca. _ Era un pezzo che non passavamo una notte insieme, _ rispose Mendel. No, non vivrei una vita insieme con Line, ma non posso lasciarla e non voglio lasciarla. Me la porterò dentro sempre, anche se saremo divisi, come sono stato diviso da Rivke. Si sentiva la città risvegliarsi, stridere i tram, alzarsi le saracinesche dei negozi. Dalla sala uscì un' infermiera, poi uscì il medico stesso e rientrò poco dopo. Isidor, non più arrogante ma supplichevole, fece domande che furono comprese a dispetto della lingua: il medico fece gesti rassicuranti, mostrò l' orologio da polso, fra due ore, fra un' ora. Si udirono grida ripetute, ronzare un motore, poi silenzio. Finalmente, a giorno pieno, uscì un' infermiera dal viso allegro, reggendo un fagottino. _ Maschio, maschio, _ rideva. Nessuno capì, lei si volse in giro, si trovò sottomano Izu l' irsuto, e gli dette uno strattone alla barba: _ Maschio, come lui! Tutti si alzarono in piedi. Mendel e Line abbracciarono Isidor, i cui occhi, arrossati dalla veglia, erano divenuti lucidi. Uscì anche il dottore, batté la mano sulla spalla di Isidor e si avviò per il corridoio, ma si imbatté in un collega che stava avanzando col giornale spiegato e si fermò a discutere con lui. Intorno ai due si raggrupparono altri medici, suore, infermiere. Si avvicinò anche Mendel, e riuscì a vedere che il giornale, costituito da un solo foglio, portava un titolo in corpo molto grande, di cui non capì il significato. Quel giornale era del martedì 7 agosto 1945, e recava la notizia della prima bomba atomica lanciata su Hiroshima.

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