Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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CHI VUOL FIABE, CHI VUOLE?

661228
Capuana, Luigi 1 occorrenze

Anche il Re e la Regina lo guardavano atterriti da un balcone del palazzo reale, e dovettero fare uno sforzo per non ritirarsi, quando il Reuccio fece abbassare il volo del drago e lo diresse proprio verso di loro e fermossi a discorrere mentre il drago si librava su le ali e si teneva quasi fermo per aria, inarcando il collo rugoso, proprio come il più superbo cavallo delle stalle reali. E fatta la prima prova con uno, la ripeteva nei giorni appresso con gli altri tre. Ora la gente gridava, sì, da ogni parte: - Il drago! Il drago! - ma era rassicurata, e godeva di vederlo aliare da un punto all'altro, col Reuccio a cavallo, che lo guidava a suo talento, e saliva e scendeva e risaliva fino a perdersi tra le nuvole a grande altezza. I brontoloni però non si davano ancora per vinti: - Lo abbiamo detto: i figli dei vecchi non riescono gran cosa! Vedrete, con questi draghi, che disgrazie accadranno. Sarà un Re sanguinario, se giunge a salire ai trono! Un giorno il Re chiamò il Reuccio nella sala del Consiglio. I ministri eran seduti gravemente attorno a lui. - Reuccio, - gli disse - è tempo di finirla coi capricci. Io sono vecchio, e posso morire da un giorno all'altro. Voglio lasciare ben ordinate le cose del Regno e della mia famiglia. Ho deciso di darvi moglie. Scegliete voi stesso tra le principesse più in vista. - Non ne conosco nessuna. Sarà degna della mia mano colei che, per dimostrarmi il suo affetto, avrà il coraggio di fare una passeggiata a cavallo di uno dei miei draghi assieme con me. Il Re voleva troppo bene a quel figlio unico; si strinse nelle spalle, e accettò questa condizione. Ambasciatori partirono per diverse Corti, dove erano principesse da marito. - Dice il Reuccio: Sposerò colei che avrà il coraggio di fare una passeggiata a cavallo di uno dei miei draghi assieme con me. Che cosa risponde la Principessa.? - Che il Reuccio è matto da legare. Gli ambasciatori si aspettavano questa risposta; e, secondo gli ordini del Re, si presentarono a un'altra Corte. Dice il Reuccio: Sposerò colei che avrà il coraggio di fare una passeggiata a cavallo di uno dei miei draghi assieme con me. Che cosa risponde la Principessa? - Che il Reuccio è peggio che matto da legare. Gli ambasciatori, dopo questa seconda, non si aspettavano risposte diverse: ma, secondo gli ordini del Re, si presentarono a un'altra Corte. Con loro grande meraviglia, la Principessa interrogata rispose francamente: - Dite al Reuccio che accetto! Lieti di aver potuto compiere la loro missione, gli ambasciatori tornarono dal Re. - La Principessa di Spagna ha risposto: Dite al Reuccio che accetto. Il Reuccio aveva fatto costruire un'apposita stalla pei draghi, e passava lunghe ore con essi, che intendevano già ogni inflessione della parola di lui, e lo obbedivano mirabilmente. E quando egli, molto contento della risposta della Principessa, quasi sicuro o, almeno, desiderando di esser compreso, andò nella stalla ad annunziare: - Uno di voi avrà l'onore di portare sul dorso la Reginotta - parve che essi avessero inteso davvero, e proruppero in sibili acuti, girando le teste, vibrando le lingue, agitando le code. La Corte era in gran tramenìo pei preparativi delle nozze. Il vecchio Re e la Regina, che aveva pochi anni meno di lui, sembravano ringiovaniti. Il Reuccio ordinava nuove magnifiche bardature, con stoffe tramate d'oro, con galloni di oro e borchie di diamanti. Di oro era pure il freno delle briglie, e queste tutte trapunte di vere pietre preziose. Il giorno che li provò addosso ai draghi, essi parvero orgogliosi di vedersi ornati a quel modo, e sibilavano, e rizzavano le teste, e vibravano le lingue, e agitavano le code in più espressiva maniera. Anche questa volta non mancarono i soliti brontoloni di malaugurio: - Lo abbiamo detto: i figli dei vecchi non riescono gran cosa! Vedrete quel che accadrà con questi draghi maledetti! E avverrà anche peggio, quando costui salirà sul trono! Nella Corte della Principessa c'era un'ansiosa aspettativa, che nel popolo assumeva forza di terrore al solo pensare che il Reuccio avrebbe condotto due draghi, invece di carrozze e cavalli, e che Reginotta e Reuccio dovevano partire a cavallo di essi. - Ma sono bell'e addomesticati! - dicevano alcuni. - Con certe bestie non si sa mai! Il Re di Spagna volle interrogare novamente la figlia. - Siete proprio decisa, Principessa? -- Proprio decisa! - Ma voi non avete mai visto draghi; sono mostri orrendi. Li ho visti dipinti e non mi hanno fatto paura. Il Re era stupito di tanto coraggio; pure insisteva: - Se vi figurate, Principessa, di non trovare altro marito ... - O il Reuccio dei draghi, o più nessuno, Maestà. - Che il Cielo vi aiuti, figliola mia! Disse così; ma in fondo al cuore aveva un triste presentimento. Il giorno dell'arrivo del Reuccio poche persone si avventurarono nelle vie. La gente se ne stava rimpiattata in casa, dietro le imposte e dietro gli usci aperti a fessolino per poter assistere allo spettacolo senza incorrere in qualche disastro. Appena però s'intesero da lontano i sibili acuti dei draghi e si avvicinò il rumore delle loro ali da pipistrello larghe come vele, nessuno poté frenarsi di affacciare la testa e poi di protendersi dal davanzali; la curiosità aveva potuto più della paura. I draghi arrivavano maestosamente, con lento volo. Il Reuccio che cavalcava su uno di essi, si traeva dietro per la briglia l'altro destinato alla Principessa. Alla vista di quei mostri, ella impallidì un po' e si senti correre un lieve brivido da capo a piedi, ma si rinfrancò subito. Il Reuccio diresse il volo dei draghi verso la terrazza dov'era raccolta la famiglia reale. - Ben arrivato, Reuccio! - Ben trovata, Reginotta! - Ben arrivato, Reuccio! - Ben trovata, Maestà! Il Reuccio scese davanti al portone del palazzo reale, introdusse egli stesso i draghi nell'ampia stalla preparata per essi; li legò con catene alla mangiatoia e chiuse a chiave, per cautela, la porta. Il giorno dopo si celebrarono le nozze. Il Reuccio aveva notato un'insolita irrequietezza nei draghi; ma non se ne era dato pensiero; il lungo viaggio fatto e il nuovo locale della stalla gli parvero sufficiente spiegazione. Arrivati il giorno e l'ora della partenza, il Reuccio andò a trarre di stalla i draghi, magnificamente bardati e imbrigliati. Abbracci, baci, saluti; la Reginotta non sapeva staccarsi dal padre. Il Reuccio dové farle dolce violenza. E tra gli applausi della folla e i gridi di augurio, egli aiutò a montare sul drago la Reginotta e le mise in mano la briglia, poi montò lui e diè agli animali impazienti il cenno della partenza. Distesero le ali, si elevarono lentamente, poi presero un largo volo, e sparvero dagli sguardi di tutti. Arrivarono, dopo alcuni giorni, quelli del séguito del Reuccio, ed egli e la Reginotta, che avrebbero dovuto giungere molto prima, non si vedevano ancora. Il Re, la Regina, i Ministri spiavano il cielo dall'alto di una terrazza; ed ogni ora, ogni istante che passavano, li riempivano di ansia e di spavento. Alla Corte di Spagna attendevano, con uguale ansietà, notizie dell'arrivo degli sposi. Avrebbero dovuto ricevere staffette da correre a spron battuto, e non ne arrivava nessuna!Che cosa era dunque accaduto? Era accaduto che, dopo un lungo tratto di volo, i due draghi avevano cominciato a non più obbedire al freno della briglia. Il drago della Reginotta voltava indietro la testa quasi a fiutarla, e il drago del Reuccio, girando attorno all'altro, stendendo anch'esso la testa quasi a fiutare la Reginotta. L'odore di quelle carni fresche, non mai sentito da loro, aveva risvegliato tutt'a un tratto in essi l'istinto tenuto in freno e sopito dall'addomesticamento fatto dal Reuccio, ma non distrutto. I draghi finalmente si fermarono, non vollero più andare avanti né indietro. Si libravano su le ali e stendevano la testa con la bocca spalancata vibrando le lingue che parevano di fuoco, tentando di addentare la Reginotta e di farne due bocconi. Ella non capiva il pericolo, ma il Reuccio ne fu spaventato. Afferrò disperatamente le redini, e con rapido moto le attorse attorno al collo del suo drago e strinse forte forte, per soffocarlo. Il drago diè due trabalzi per buttar giù di sella il Reuccio, poi barcollò, piegò a metà le ali e cominciò rapidamente a scender giù, tramortito. L'altro seguì il compagno; ma il Reuccio, colto il momento, slanciossi a cavalcioni su lui, afferrò le redini e gliene attorse al collo come all'altro, e strinse forte forte. Il mostro diè due, tre balzi, barcollò, piegò a metà le ali e segni più rapidamente nella discesa, tramortito, il compagno. Appena toccata terra, Reuccio e Reginotta saltaron giù di sella. I due draghi, soffocati, davano gli ultimi tratti. Per la campagna dove erano discesi non si vedeva anima viva. Stoppie, stoppie, stoppie, a perdita di vista e qualche albero qua e là. In fondo, una casetta di contadini; ma bisognava far molta strada per arrivarvi. Dopo quattro giorni di cammino a piedi, Reuccio e Reginotta non si riconoscevano più dagli stenti e dalla fatica. Finalmente s'imbatterono in un carro guidato da un contadino. - Se ci porti fino al palazzo reale, farai la tua fortuna! - E voi chi siete? - Siamo il Reuccio e la Reginotta. - Il Reuccio e la Reginotta sono morti. Il Re e la Regina hanno già preso il lutto. A chi volete darla a intendere? Vi porto per carità, perché siete due poveri diavoli affamati e stanchi. Su, montate. Giunti alla porta della città, il contadino voleva che scendessero. - Accompagnaci fino a casa nostra e sarai ricompensato. Il contadino disse: - Ho fatto novantanove; facciamo cento! E tirò avanti. Il portone del palazzo reale era chiuso per lutto. Quando il contadino capì che quei due poveri diavoli affamati e stanchi, come li aveva chiamati, erano davvero il Reuccio e la Reginotta, cominciò a tremare dalla paura di averli offesi. E per ingraziarseli si diè a picchiare forte, gridando: - Aprite, aprite! ... Il Reuccio! ... La Reginotta! Le guardie lo presero per ubriaco o per pazzo, e volevano arrestarlo. Quel che accadde nella Corte tra Re, Regina, Reuccio e Reginotta, immaginatelo voi. Il Reuccio raccontò del gran pericolo corso, e la morte dei due draghi. - E i due rimasti qui? Nessuno aveva voluto cimentarsi a governarli, ed erano morti di fame nella stalla. Si sentiva il puzzo delle loro carogne. Da allora in poi il Reuccio non tentò più di addomesticare animali feroci, convinto che presto o tardi l'istinto riappare. E poi - gli disse un giorno il padre - quando io non ci sarò più, avrai ben altro animale feroce da ammansire! E indicava la folla che sotto il palazzo reale gridava a squarciagola, battendo le mani: Viva il Reuccio! Viva la Reginotta! Fiaba detta, fiaba scritta, Ora va storta, ora va diritta.

IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO

682219
Salgari, Emilio 1 occorrenze

Il conte di quando in quando fissava il bucaniere e questi, quasi temesse che egli indovinasse la causa della sua profonda emozione, si affrettava ad abbassare lo sguardo o a volgere altrove il viso, con la scusa di dare al suo arruolato qualche ordine. Quando il pranzo fu terminato, Buttafuoco offrí ai suoi ospiti dei grossissimi sigari da lui stesso fatti con tabacco probabilmente rubato nelle piantagioni spagnuole; poi disse a Cortal, che aveva mangiato fuori della capanna accanto al fuoco: - La fiasca d'onore: vi è un conte fra noi, amico. L'arruolato frugò sotto un banano e ne trasse un'enorme zucca, parecchi bicchieri di corno di bufalo e portò l'una e gli altri nella catapecchia. - Signor conte, - disse il bucaniere con una certa amarezza - io non posso offrirvi né dello champagne, né del Borgogna, né del Medoc, perché non siamo in Francia. Qui non abbiamo che meschina aguardiente o del megeol, perché l'isola non ci dà niente di meglio. È la mia provvista che talvolta cerco a prezzo della mia vita che se ne va ... quella provvista che certe notti mi è necessaria per dimenticare il passato, per non piangere ... Signor conte, accettate. - Voi siete commosso, Buttafuoco! - gli disse il signor di Ventimiglia. - Si può esser forti, signor conte, - rispose il bucaniere - si può aver varcata la linea equatoriale; si può aver giurato di aver dimenticato il proprio paese ... la mia Normandia ... il mio castello ... una sorella amata e che per me è ormai morta per sempre ... il padre gentiluomo che riposa laggiú accanto a mia madre sotto le zolle dell'abbazia ... Morte dell'inferno! Bevete, signor conte ... berrò anch'io! Afferrò rabbiosamente la tazza di corno e la vuotò d'un fiato, gridando poi: - Ancora, Cortal, ancora! Bisogna che affoghi i ricordi lontani! Ah, la triste sorte che mi ha colpito! Il viso del fiero bucaniere si era spaventosamente alterato. Non piangevano i suoi occhi, eppure s'indovinava che faceva degli sforzi supremi per trattenere le lacrime, vergognoso forse di tradire il segreto delle sue pene. - Bevete, signor conte, - riprese dopo qualche istante, vuotando un'altra tazza. - Non avrei mai creduto di dover ospitare sotto questa miserabile capanna un gentiluomo della lontana Europa. L'avevo sperato un giorno, era una follia certamente ... un uomo che fosse venuto qui a trovare me per caso o per combinazione. - Continuate, Buttafuoco, - disse il conte - siete fra amici. Il bucaniere vuotò il terzo bicchiere di aguardiente, poi, facendo un gesto di ira terribile, riprese con voce strozzata: - Parigi maledetta! Sirena infame che mi hai stretto fra le tue spire! Meglio sarebbe stato che io non ti avessi mai veduta! Le tue mille e mille seduzioni hanno fatto di me un miserabile bucaniere, un macellaio delle foreste di San Domingo! ... Maledetto giuoco! Sei stato la mia rovina! - Ma chi siete voi? - chiese il conte, profondamente commosso dall'intenso dolore che traspariva sul viso del bucaniere. - Lo vedete, - rispose Buttafuoco, ridendo nervosamente - un cacciatore di buoi ... un miserabile avventuriero. Da quando ho passata la linea, io non ho piú patria, non ho piú famiglia, non ho piú nobiltà, piú nulla fuorché il mio archibugio che tutti i giorni uccide per non uccidere il mio cuore. Per la quarta volta vuotò la tazza che l'arruolato gli aveva riempita. - Gli anni sono passati, - riprese il disgraziato, serrando la fronte fra le mani, come se cercasse di comprimere i pensieri che lo tormentavano - Eppure vedo ancora il mio castello, là, sulle rive dello stagno, ergersi superbo con i suoi pinnacoli e le sue torri; vedo ancora in certe notti passeggiare sulle terrazze quella dolce fanciulla che era mia sorella e per la quale avrei dato la vita pur di vederla felice ... Un barone della Bretagna la fece sua sposa ... Sia felice, ed ignori per sempre la sorte del suo disgraziato fratello ... Cortal, dammi ancora da bere. Ho sete, una terribile sete! Rimase alcuni istanti silenzioso, fissando il bicchiere colmo con gli occhi dilatati, cupo, fremente, poi disse: - Eh, la vita talvolta è cosí, se si è preda d'un genio maligno. Eppure quanto è stata terribile la discesa! Meglio sarebbe stato che sui vent'anni un colpo di spada m'avesse finito fra i pometi della Normandia! Cosí non avrei veduta mai Parigi, almeno non sarei disceso, di gradino in gradino, fino nel fango d'una prigione ... non avrei macchiato il blasone dei miei avi ... non avrei dimenticata la mia Francia ... non avrei cambiato nome ... non sarei diventato un avventuriero ... non sa rei fuggito come un ladro ... e non avrei fatto piangere mia sorella, povera creatura! - Buttafuoco! - gridò il conte. Il bucaniere si era alzato di scatto, con gli occhi dilatati, il viso bagnato di sudore. Staccò da un palo della capanna il suo archibugio, poi uscí rapidamente, scomparendo fra gli alberi. - È sempre cosí il tuo padrone? - chiese il conte all'arruolato che stava fermo sulla soglia della capanna. - Io non l'ho mai veduto sorridere - rispose Cortal. - È sempre triste - E non sarà il solo - disse il guascone. - Quanti uomini, che un giorno furono ricchi e stimati, si trovano fra questi bucanieri! - E quanti gentiluomini ha rovesciato l'Europa in America! - rispose il corsaro. - È vero, signor conte - rispose il guascone con un sospiro. Io peraltro ho dimenticato presto Pau e il mio castelluccio semidistrutto. Io non ho veduto Parigi, né ho provato le sue seduzioni fatali. - Rovina di tanta gente dabbene! - disse il conte. - Vale meglio la Provenza! A sua volta si era alzato ed era uscito dalla capanna, cercando il bucaniere. Il cacciatore era scomparso, ma udí parecchi colpi di fucile tra le macchie. Aveva appena terminato il sigaro e stava per rientrare nella capanna, quando vide giungere Buttafuoco piú tetro che mai. Osservandolo attentamente, s'accorse che il fiero cacciatore aveva gli occhi rossi; come se avesse lungamente pianto. - È passata la tempesta? - gli chiese il signor di Ventimiglia con voce dolce. - Gli uragani durano poco a San Domingo - rispose il bucaniere con un triste sorriso. - Bah, tutto è passato, tutto è stato dimenticato! Ho ucciso due maiali selvatici, laggiú sul margine delle paludi ... è il mio mestiere. Il conte gli porse la destra: - Stringetela! - disse. - No, signor conte, io non sono piú degno di porgere la mano ad un onesto gentiluomo. Qui non siamo in Normandia. - Stringetela, vi dico. - Sí, non ora però. Quando noi ci lasceremo per sempre e vi dirò chi sono stato io un giorno ... forse allora ... Signor conte, fra quattro ore il sole tramonterà e la villa della marchesa di Montelimar è lontana. Volete che ci mettiamo in cammino? Non giungeremo a San Josè prima dell'alba, ed in questo paese è meglio marciare di notte. Le cinquantine di quando in quando perlustrano queste foreste e se non sono pericolose le loro alabarde, sono terribili i cagnacci che le accompagnano. - Sono pronto a seguirvi e ad obbedirvi - rispose il corsaro. - Siete ben sicuro che la marchesa non vi tradirà? Io conosco quella bella signora, avendola qualche volta incontrata nei dintorni della sua fattoria. - È una perfetta gentildonna che mi ha già salvato una volta. - Allora basta - rispose il bucaniere. - Chiamate i vostri compagni, signor conte, e dite che si prendano degli archibugi. Ne ho sempre tre o quattro di riserva e tutti di buon calibro, con palle di un'oncia. Mendoza ed il guascone, udendo il comando del conte, erano accorsi, seguiti dall'arruolato, il quale, come se avesse indovinato il pensiero del suo padrone, portava dei fucili e delle munizioni. - In marcia, amici - disse il signore di Ventimiglia. - Buttafuoco ci servirà da guida. Il bucaniere s'accostò all'arruolato, il quale lo interrogava con lo sguardo. - Tu rimarrai qui - gli disse con ruvida bonarietà - e aspetterai il mio ritorno. Che io stia lontano una settimana od un mese, non ti dar pensiero di me. Se gli spagnuoli ti minacciano, rifugiati nella colonia del capo Tiburon e là ci ritroveremo. Guardati dalle cinquantine, e abbi cura dei miei cani. Addio! Chiamò con un fischio stridente il suo bracco favorito e si mise in cammino a fianco del conte e seguito dal guascone e da Mendoza, calandosi il cappellaccio sulla fronte per meglio ripararsi dagli ardentissimi raggi del sole. Attraversò la macchia che serviva a nascondere la sua capanna e dopo essersi orientato con l'astro diurno, si cacciò risolutamente tra le immense boscaglie che si prolungavano verso occidente. Il bracco lo procedeva, fiutando di quando in quando il terreno, e volgendo la testa come per chiedere se era sulla buona via. - Avete la vostra nave, signor conte? - chiese il bucaniere, dopo aver percorso qualche miglio. - Deve attendermi al capo Tiburon - rispose il corsaro. - La villa della marchesa di Montelimar non si trova che a breve distanza dalla rada. La potrete scorgere dalle finestre della fattoria. - Non verranno a cercarci colà, le cinquantine? - Chi lo sa? Battono l'isola in lungo ed in largo, e non si sa mai dove si fermano. La marchesa però è troppo potente a San Domingo per non proteggervi. - Ne ho avuto la prova. - Allora potrete attendere tranquillamente la vostra nave, senza correre il pericolo di farvi prendere - rispose il bucaniere, sorridendo. - So quanto vale quella signora. - La conoscete? - L'ho veduta una sola volta, mentre attraversava a cavallo una foresta e le ho reso, anzi, in quell'occasione, un piccolo servigio. Se non mi fossi trovato sulla sua strada e non le avessi ammazzato il cavallo con un buon colpo di archibugio, non so se la signora di Montemilar sarebbe ancora viva, e se ... Il bucaniere si era interrotto, mentre il suo bracco scuoteva gli orecchi e puntava. - Che cosa c'è? - chiese il corsaro. - Nulla per ora - rispose Buttafuoco la cui fronte si era leggermente aggrottata. - Mi sembrate inquieto. - Posso essermi ingannato - Anche il vostro cane? Il Bucaniere stette un momento silenzioso, osservando attentamente il suo bracco il quale si era fermato e non cessava di alzare e di abbassare le orecchie. - Mi è sembrato d'aver udito un lontano latrato. - Che qualche cinquantina ci dia la caccia? - Può darsi, signor conte. Lasciamo i terreni scoperti e gettiamoci nella foresta. Là saremo piú sicuri.

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