Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Un vampiro

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Luigi Capuana 1 occorrenze

Ma il giorno dopo e così tutti i giorni, per parecchi mesi, si ripeté la stessa scena, fino a che Delia quasi estenuata dallo sforzo inconsapevolmente fatto dall'organismo, non parlò più, e si ridusse a fissarmi, a fissarmi a lungo, crollando dolorosamente la testa, sorridendo con tale tristezza che io ero forzato ad abbassare gli occhi, o a rivolgerli altrove avvilito da quella luminosità di cui ti ho parlato, che mi pareva scendesse a illuminare le più riposte profondità del mio cuore ... Che terribili mesi di sofferenza, caro Blesio! Noi vivevamo isolati, per deliberato disegno, sin dai primi giorni del nostro matrimonio, entrambi orgogliosi di bastare a noi stessi ... E la gente, che per maligna o benevola curiosità si occupava dei fatti nostri, ci giudicava felici! Tali avremmo potuto essere, certissimamente, se le mie stesse mani non avessero distrutto, con imperdonabile caparbietà, il magnifico immeritato dono benignamente concessomi dalla sorte. Giacché io ero stato caparbio, stupidamente caparbio nel volermi accertare, a ogni costo, se il mio dubbio: "Mi ama davvero? Perché vuol darmi a intendere che m'ama?", corrispondesse o no alla realtà. Che terribili mesi, caro Blesio! Tu non potrai mai formartene neppure un'idea approssimativa. Invano cercavo un rifugio nel lavoro; invano la mia coscienza di artista mi confortava con attestarmi che la statua ormai quasi compiuta, sotto l'impulso di tante agitazioni, fosse riuscita più bella di quanto io, incontentabile, non l'avevo sperata. Lavoravo febbrilmente, quasi la mia mano fosse stata mossa da un altro me stesso che conviveva dentro di me assieme con quello che si tormentava, e smaniava e delirava, sì, a volte delirava, intanto che la mano dell'altro dava gli ultimi tocchi alle estremità della figura con meticolosa accuratezza ... Fu allora ... Oh, non avevo badato alla nuova espressione degli sguardi con cui Delia osservava il mio lavoro, aggirandosi attorno al cavalletto, muta, intenta, in visibile ammirazione, mi pareva, di quella Giovinezza in parte sua geniale ispirazione. Ne ero lusingato, anche perché in quel punto non provavo l'impressione scrutatrice di quelle nere pupille luminosissime, che mi rivelavano quanto il mio cuore fosse mutato, vinto da grave stanchezza di amare per aver troppo amato". Raimondo si arrestò quasi volesse riprendere forza. La sua voce infatti si era andata affievolendo; le ultime parole gli erano uscite dalle labbra seguite da un profondo sospiro. Blesio osservava con pena il rapido movimento delle palpebre e il tremito delle labbra che rendevano più triste quella pausa. Raimondo alzò le mani, come per rimovere qualche ostacolo davanti a sé, e tratto un altro profondo sospiro, riprese: "Quella splendida mattina di maggio, lo studio era invaso da tale giocondità di luce, che i gessi dei miei precedenti lavori sembravano inattesamente scossi da misteriosi brividi di vita. La creta della Dea, assai più di essi, prendeva così mirabili chiaroscuri, riflessi così formicolanti da darmi l'illusione che sotto le carni del seno e delle braccia ignude si avverasse il miracolo della pulsazione del sangue. Delia, entrata con lievi passi, si era fermata dietro di me, senza che io me ne fossi accorto ... Tutt'a un tratto, mi sentii afferrare violentemente pel braccio; e prima che, spinto da lei vigorosamente da parte, potessi accorrere e impedire l'atto di quelle furibonde mani, Delia ... Oh! oh! "No, non è così!" balbettava con voce roca, che io non avrei saputo riconoscere se l'avessi udita senza veder lei. "No, non è così!". E le esili mani, tese come artigli, si affondavano nella creta, disformando braccia, seno, volto alla Dea che mi era costata tanti mesi di lavoro! ... Ero rimasto impietrito davanti a quell'orrore. "No, non è così! ... Non è così!". E Delia brancicava la creta, quasi tentasse di rimodellarla, voltandosi verso di me con gli occhi sbarrati dall'improvviso scoppio di pazzia, le labbra sformate da un terribile sorriso, balbettando con voce aspra e roca: "Ecco! ... Ecco come dev'essere! ... Ecco! Tu non hai saputo ... Io, io sì!". E cadde riversa sul pavimento in violenta convulsione. Quando rinvenne, non mi riconosceva più! La ho assistita, la ho vegliata per tre eterni mesi, giorno e notte, istupidito dal dolore, attanagliato dal rimorso di aver prodotto lo sfacelo di quella povera creatura con lo stolto esperimento che avrebbe dovuto disperdere il mio sospetto, e invece ... invece! "Mi amava davvero?". Ho ancora integra la mia ragione continuando a domandarmelo? E quel che è accaduto è stato colpa mia o inesorabile opera di quella fatalità che regge la nostra esistenza? ... Dimmelo tu! Rischiarami tu!". E Raimondo Palli, convulso, singhiozzava, torcendosi le mani tese supplichevoli verso l'amico. Blesio aveva anche lui le lacrime agli occhi e non riusciva a trovare una sola parola di conforto, incerto se Raimondo fosse già pazzo o sul punto di divenir tale.

IL RE DEL MARE

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Salgari, Emilio 4 occorrenze

. - Fate abbassare la bandiera di combattimento. Il comandante comprenderà che voi avete accettato la sua proposta e vi manderà subito i prigionieri. Sandokan fece un segno a Sambigliong e pochi istanti dopo il nastro rosso veniva fatto scendere in coperta. Quasi nel medesimo istante una seconda scialuppa si staccava dal fianco del piccolo incrociatore: vi erano sopra Darma e Yanez. - sir Moreland, - disse Sandokan, - dove vi ha raccolti quella nave? - A Mangalum, - rispose l'anglo-indiano, senza levare gli occhi dalla scialuppa che s'accostava rapidissima. - Vi eravate salvati sullo scoglio? - Sì, - rispose il capitano, che pareva avesse perduta la sua abituale cordialità e che fosse in preda a delle profonde preoccupazioni. La seconda scialuppa era giunta. Yanez e Darma avevano salito precipitosamente la scala, cadendo l'uno nelle braccia di Sandokan e la seconda in quelle di suo padre. Sir Moreland, pallidissimo, guardava con occhio triste quella scena. Quando si furono separati, si volse verso Sandokan, chiedendogli: - Ed ora mi tratterrete ancora prigioniero? La Tigre della Malesia stava per rispondere, quando Yanez lo prevenne. - No, sir Moreland, voi siete libero. Tornate a bordo dell'incrociatore. Sandokan non aveva nascosto un gesto di stupore. Probabilmente non era quella la risposta che intendeva dare all'anglo-indiano, nondimeno non replicò. - Signori, - disse allora l'anglo-indiano con voce grave, fissando bene in viso Sandokan e Yanez, - spero di rivedervi presto, ma allora saremo terribili nemici. - Vi aspettiamo, - rispose freddamente Sandokan. S'accostò a Darma e le tese la mano, dicendole con accento triste: - Che Brahma, Siva e Visnù vi proteggano, miss. La fanciulla che appariva profondamente commossa, strinse la mano senza parlare. Pareva che avesse un nodo alla gola. L'anglo-indiano finse di non vedere le mani che Yanez, Sandokan e Tremal-Naik gli porgevano, salutò militarmente e scese rapidamente la scala senza volgersi indietro. Quando però la scialuppa che lo conduceva verso il piccolo incrociatore passò dinanzi la prora del Re del Mare alzò la testa e vedendo Darma e Surama sul castello, le salutò col fazzoletto. - Yanez, - disse Sandokan, traendo da parte il portoghese. - Perchè lo hai lasciato andare? Egli poteva diventare un ostaggio prezioso. - Ed un pericolo per Darma, - rispose Yanez. - Essi si amano. - Me n'ero accorto. È un bel giovane e valoroso, ha sangue anglo-indiano nelle vene al pari di Darma ... chissà? Dopo la campagna. Stette un momento come immerso in un profondo pensiero, poi riprese: - Cominciamo le ostilità: gettiamoci sulle vie di navigazione e cerchiamo, finchè le squadre ci cercano nelle acque di Sarawak, di fare il maggior male possibile ai nostri avversari.

Yanez aveva fatto abbassare la scala. Dieci minuti dopo l'imbarcazione abbordava la grossa nave e i due americani salivano frettolosamente. - Dunque? - chiesero ad una voce Yanez ed il comandante, con ansietà. - Siamo riusciti al di là delle nostre speranze, signori, - rispose uno dei due. - Sbrigati a spiegarti, Tom, - disse lo yankee. - Sai dove sono state condotte quelle persone? - Sì, capitano. L'ho saputo da un nostro compatriotta che montava quella scialuppa a vapore di cui vi ha parlato il signore, - disse, accennando a Yanez. - Si è fermata a Labuan quella scialuppa? - chiese il portoghese. - Solo pochi minuti per rinnovare la provvista di carbone e per sbarcare quel nostro compatriotta a cui una palla aveva spezzato un braccio, - rispose il marinaio. - Mi disse quell'uomo che a bordo vi era un indiano, una fanciulla e cinque malesi. - E dove li hanno condotti? - A Redjang, nel fortino di Sambulu. - Nel sultanato di Sarawak! - esclamò Sandokan. - Allora è stato quel rajah che li ha fatti rapire? - No, signore. Il nostro compatriotta ci ha detto che è stato un uomo che si fa chiamare il Re del Mare ma che pare abbia l'appoggio, più o meno velato, del governatore di Labuan e del rajah. - Non sa chi è costui? - chiese Yanez. - Lui stesso lo ignora, non avendolo mai veduto. Ma tuttavia ha assicurato che quell'uomo è potente e che è amico del rajah - disse il marinaio. Si volse verso il comandante americano: - Volete sbarcare qui? - gli chiese. - Preferirei piuttosto qui che su di un'altra costa. - Non avrete dei fastidi da parte degli inglesi, dopo quello che avete fatto? - Nessuno mi conosce, signore, e poi sono suddito americano e gli inglesi non oseranno molestarmi. D'altronde inventerò una storiella qualunque per spiegare la mia presenza sulle coste di Labuan: un naufragio per esempio avvenuto molto al largo, la presa della mia nave da parte dei pirati bornesi o qualcos'altro. Non inquietatevi per me. - V'incarichereste di affidare una lettera all'ufficio postale di Victoria pel governatore di Labuan? - Figuratevi se vi negherei un tal favore, signore. - Vi avverto che si tratta d'una dichiarazione di guerra. - Me l'ero immaginato, - rispose l'americano. - Mi guarderò dall'avvertire il governatore di averla impostata io. - Yanez, - disse Sandokan, volgendosi all'amico, - preleva dalla mia cassa, che si trova nella mia cabina della Marianna, mille sterline che regalerai all'equipaggio americano e fa' preparare le scialuppe onde sbarchi. Scendo un momento nel quadro a scrivere la lettera pel governatore. Quando tornò sul ponte, l'equipaggio americano che doveva lasciare la nave, escluso il personale di macchina ed i due quartiermastri cannonieri che avevano già firmato l'arruolamento, lo salutò con un formidabile: - Hurrà alla Tigre della Malesia! Hurrà! Hipp! Hipp! Hipp! Sandokan reclamò con un gesto un breve silenzio, poi fatti salire a bordo della nave i comandanti dei prahos e la maggior parte dei suoi Tigrotti, lesse ad alta voce: Noi Sandokan, soprannominato Tigre della Malesia, ex principe di Kini-Ballon e Yanez de Gemerà legittimi proprietarii dell'isola di Mompracem, notifichiamo al signor governatore di Labuan che da oggi dichiariamo la guerra all'Inghilterra, al rajah di Sarawak ed all'uomo che è da loro protetto. Da bordo del Re del Mare: 24 maggio 1868. SANDOKAN E YANEZ DE GOMERA Un urlo terribile, selvaggio, si scatenò come un uragano dai petti delle terribili tigri di Mompracem. - Viva la guerra! Morte ed esterminio alle giacche rosse! - Signore, - disse il comandante americano, tendendo a Sandokan la destra, - vi auguro di dare a quel prepotente di John Bull una dura lezione. Della potenza della nave che v'ho venduto, ne rispondo pienamente e nessun'altra che si trovi in questi mari potrà tenervi testa. Prima però di lasciarvi vi voglio fare una domanda e darvi un consiglio. - Parlate, - disse Sandokan. - La nave non possiede che cinquecento tonnellate di carbone, provvista che, anche economizzata, non potrà durarvi più d'un mese. Servitevi più che potete delle vele, perchè dopo la vostra dichiarazione di guerra, avrete chiusi i porti olandesi e del sultanato di Bruni che si manterranno indubbiamente neutrali e che si rifiuteranno di provvedervi. - Avevo già pensato a questo, - rispose Sandokan. - Mandate, quindi, prima che la guerra scoppi, la vostra Marianna a caricare carbone a Bruni e datele un appuntamento in qualche punto della baia di Sarawak onde la vostra nave non rimanga senza combustibile in sul più bello della guerra. Il carbone per voi non sarà meno prezioso della polvere, ricordatevelo. - In caso disperato andrò a saccheggiare i depositi che gli inglesi hanno su certe isole pel rifornimento delle loro squadre, - rispose Sandokan. - Ed ora, signori, buona fortuna, - disse l'americano, stringendo energicamente le mani ai due antichi pirati di Mompracem. Mise la lettera nel portafoglio e scese la scala. Il suo equipaggio aveva già preso posto nelle imbarcazioni che erano guidate da numerosi pirati. La squadriglia prese subito il largo, dopo un altro fragoroso urrah. Mezz'ora dopo, le imbarcazioni, sbarcato l'equipaggio americano sulla spiaggia di Labuan, fecero ritorno. La Marianna ed i prahos avevano sciolte le vele, pronti a salpare pel nord e raggiungere il porto amico di Ambong, con equipaggi ridotti, essendo la maggior parte dei loro marinai passati sull'incrociatore. - Ed ora, - disse Sandokan, quando ebbe dato gli ultimi ordini ai comandanti dei legni e che questi si misero in marcia, - andiamo a liberare Tremal-Naik ed abbattere la potenza del rajah di Sarawak, suoi alleati e protetti. Un momento dopo, il Re del Mare, come era stata battezzata la poderosa nave americana, si slanciava a tutto vapore verso il sud, per raggiungere la baia di Sarawak.

Giunte le scialuppe a trenta passi, Yanez diede imperiosamente l'ordine ai marinai inglesi di abbassare la scala, minacciando in caso contrario di far fuoco. A bordo vi fu un po' di esitazione e di confusione. Alcuni marinai erano comparsi sulle murate armate di fucili, come se avessero avuto l'intenzione di opporre resistenza, poi le grida furiose dei passeggeri, i quali non volevano esporsi al pericolo di venire colati a fondo dalle formidabili artiglierie del corsaro, li avevano subito costretti a ritirarsi e la scala era stata calata d'un colpo solo. Yanez, seguito da Tremal-Naik, da Kammamuri e da dodici uomini, si slanciò sulla piattaforma sguainando la sciabola. Il comandante del piroscafo lo aspettava, circondato dai suoi ufficiali, mentre i passeggeri, una cinquantina di persone per lo meno, si affollavano dietro, muti e terrorizzati. Era un bell'uomo, di statura superiore alla media, dal volto energico ed abbronzato dal sole dei tropici, con capelli bruni e barba arricciata, un bel tipo di marinaio, insomma. Vedendo comparire Yanez, colla sciabola sguainata, impallidì, poi corrugò la fronte. - A quale onore devo la vostra visita? - chiese con voce fremente. - Avete veduto i colori della nostra bandiera? - chiese invece il portoghese, salutando ironicamente. - So che i pirati di Mompracem avevano un vessillo rosso con una testa di tigre, un tempo. - Allora permettetemi di avvisarvi che i pirati hanno dichiarata la guerra alla vostra nazione ed al rajah di Sarawak. - Mi avevano assicurato che non corseggiavano più. - Ed era vero, signor mio. Il vostro governo ha provocato le tigri di Mompracem e quelle hanno riprese le armi. - In conclusione, che cosa volete voi? - Accordarvi venti minuti per imbarcarvi sulle scialuppe e colare a fondo la vostra nave. - È una pirateria questa! - Chiamatela come meglio vi piace, ciò non m'interessa, - rispose Yanez. - O obbedire o affondare: scegliete! - Accordatemi qualche minuto onde interroghi i miei ufficiali. - Ve ne ho concessi venti, dopo noi ci ritireremo e l'incrociatore aprirà il fuoco, ci siate o non ci siate a bordo. Sbrigatevi, perchè abbiamo fretta. Il capitano che si frenava a stento, chiamò a consiglio i suoi ufficiali, poi dette l'ordine di mettere in mare le scialuppe e di farvi scendere innanzi a tutto i passeggeri. - Cedo alla forza, non potendo resistervi, - disse poi a Yanez. - Appena però noi avremo approdato a Natuna o a Banguram informerò telegraficamente il governatore di Singapore. - Nessuno ve lo impedirà, - rispose Yanez. - Vi faccio intanto osservare che sono trascorsi dieci minuti e che permetto ai passeggeri e al vostro equipaggio di portare con loro ciò che posseggono. - E la cassa di bordo? - Non sappiamo che cosa farne: se vi dispiace di perderla, prendetevela. I marinai nel frattempo avevano messo in acqua tutte le lance, dopo d'averle fornite di viveri per parecchi giorni, di remi e di vele. Ad un ordine del loro capitano, l'imbarco cominciò, facendo prima scendere le donne, poi i passeggeri. Ultimi furono gli ufficiali che portavano le carte di bordo e la cassa. - L'Inghilterra vendicherà questo atto di pirateria, - disse il capitano del piroscafo che appariva vivamente commosso. Yanez salutò senza rispondere. Quando la nave fu sgombrata, i malesi delle scialuppe salirono a bordo, mentre la scialuppa a vapore del Re del Mare s'accostava rapidamente. Le carboniere furono aperte e lo scarico del combustibile, molto scarso però, dovendo il piroscafo far scalo e rinnovare le provviste a Saigon, cominciò alacremente. Due ore dopo i malesi lasciavano la nave. Le scialuppe montate dall'equipaggio inglese erano ancora in vista. - Due cannonate alla linea d'acqua, - aveva comandato Sandokan. Poco dopo due granate sfondavano le lamiere di babordo del piroscafo, aprendo due squarci immensi, attraverso i quali si precipitò tosto il liquido elemento. Quattro minuti dopo il piroscafo scompariva negli abissi del mar della Sonda, con un frastuono orrendo, essendo le sue macchine scoppiate, ed il Re del Mare riprendeva la crociera, allontanandosi verso il sud-ovest. L'indomani un veliero inglese, subiva l'egual sorte, dopo d'averlo privato d'una parte del suo carico consistente in pesce secco destinato ai porti d'Hainau, e parecchie altre navi, a vela ed a vapore, andarono a tenergli compagnia nei profondi baratri. L'incrociatore batteva indisturbato le linee di navigazione, corseggiando dalle coste del Borneo fino in vista delle isole Anaba, tagliando la via alle navi provenienti dallo stretto di Malacca e dirette nei mari della Cina e del Giappone. Già oltre trenta navi erano state colate a fondo a colpi di cannone o incendiate causando danni enormi alle compagnie di navigazione, quando un giorno un praho bornese che era stato accostato, informò quei formidabili distruttori che una squadra composta di parecchie navi da guerra era stata veduta nelle acque di Natuna. Doveva certo essere quella di Singapore, inviata a cannoneggiare la nave corsara. Lo stesso giorno Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e l'ingegnere Horward tennero consiglio e deliberarono di interrompere la crociera e di muovere senza indugio su Sarawak, a cercare la Marianna che doveva attenderli alla foce del Sedang. Forse i dayaki, i loro antichi alleati, avevano cominciato ad invadere il sultanato; era quindi quello il momento buono di assalire il rajah dal lato del mare e fargli pagare cara la sua cooperazione nella conquista di Mompracem. Il Re del Mare quindi, che aveva le carboniere piene e anche parte della stiva ingombra di combustibile, fece rotta verso il sud-est, desiderando Sandokan fare prima una punta verso la sua isola, per accertarsi se gli inglesi la tenevano ancora. Aveva dato ordine di procedere colla massima velocità, sicchè l'incrociatore divorava miglia e miglia. Per quarant'otto ore navigò verso le coste bornesi, senza far cattivi incontri, quantunque tutti fossero persuasi che una grossa squadra battesse quei mari per sorprenderli. Verso il tramonto del secondo giorno, il Re del Mare giungeva in vista di Mompracem, l'antico rifugio delle tigri della Malesia. Fu con una profonda commozione che Sandokan e Yanez rividero la loro isola, da dove per tanti anni avevano fatto tremare, coi loro prahos, il possente leopardo inglese. Quando raggiunsero il capo orientale, entro cui aprivasi la piccola rada, la notte era già scesa da qualche ora, ma una luna splendida permetteva di discernere l'alta rupe su cui un giorno sventolava orgogliosa la temuta bandiera della Tigre della Malesia. La casa che aveva servito d'asilo ai due capi della pirateria, non si vedeva più. In suo luogo era stato eretto un fortino, probabilmente poderosamente armato per impedire alle ultime tigri erranti sul mare di riconquistare il loro covo. Anche in fondo alla rada si scorgevano confusamente delle opere di difesa, dei bastioni e delle cinte altissime. Sandokan, appoggiato al coronamento di poppa, collo sguardo torbido e la fronte abbuiata, guardava la sua rupe senza parlare; dall'espressione del suo viso si capiva però facilmente che il suo cuore doveva in quel momento sanguinare. Yanez che gli stava presso, gli mise una mano sulla spalla, dicendogli: - Un giorno noi la riconquisteremo, è vero Sandokan? - Sì, - rispose il pirata, tendendo minacciosamente il pugno verso l'isola. - Sì, quel giorno li cacceremo tutti in mare senza misericordia. Volse lo sguardo verso il mare che scintillava superbamente sotto i raggi della luna. - Mi riprende una voglia furiosa di tutto distruggere, - disse poi. - Rivedo sangue dinanzi ai miei occhi. Quasi nel medesimo istante, si udirono verso la prora delle grida: - Là! Là! Guardate! Sandokan e Yanez si erano precipitati verso la murata di babordo vedendo gli uomini di guardia slanciarsi attraverso la tolda: - Dei fanali! - aveva esclamato il portoghese. - Il sangue che cercavo! - gridò Sandokan, nel cui cuore pareva che d'un tratto si fossero risvegliati gli antichi istinti di ferocia. Verso levante, in direzione delle isole Romades, le cui cime si delineavano di già, sei punti luminosi, verdi e rossi, quasi a fior d'acqua e due bianchi in alto, apparivano distintamente. - Sono due navi a vapore, - disse Yanez, - e scommetterei che vengono da Labuan. - Tanto peggio per loro, - disse Sandokan, tendendo i pugni verso quei punti luminosi. - Pagheranno per Mompracem! Da' ordine di alimentare i fuochi. - Che cosa vuoi fare, Sandokan? - chiese il portoghese impressionato dal lampo sinistro che brillava negli occhi del formidabile uomo. - Colarli con tutti quelli che li montano. - Sandokan, non dimenticare che noi siamo corsari e non più pirati. E poi non sappiamo ancora se quelle sono navi da guerra o mercantili e se battono bandiera inglese. Invece di rispondere, la Tigre della Malesia comandò di spegnere i fanali, di far suonare il "tutti in coperta" e dirigere l'incrociatore verso le due navi. Alle undici di sera il Re del Mare virava di bordo a soli cinquecento metri dai due piroscafi, i quali ignari del tremendo pericolo che li minacciava, navigavano a breve distanza l'uno dall'altro, a piccolo vapore. - Sembrano due trasporti, - disse Yanez. - Ascolta, Sandokan. Dai frapponti illuminati, s'alzavano rulli di tamburi, squilli di trombe e dei canti. Pareva che dei soldati si divertissero, approfittando della splendida serata e della tranquillità del mare. Il vento che soffiava da settentrione portava quei clamori fino sul ponte del Re del Mare. - Sono soldati inglesi di Labuan che tornano in patria, - disse Yanez. - Odi, Sandokan? Noi abbiamo udito ancora queste canzoni negli accampamenti inglesi dell'India, durante l'assedio di Delhi. - Sì, sono soldati, - rispose la Tigre della Malesia con strano accento. - Ridono e salutano la patria lontana e la morte invece sta per piombare su di loro. - Non parlare così, amico. - E non pensi tu, Yanez, che quegli uomini m'hanno cacciato dall'isola, dopo d'aver fatto strage dei miei prodi? Si era rizzato in tutta la sua altezza, col viso animato da una collera terribile, gli occhi fiammeggianti. L'antico pirata, la formidabile Tigre della Malesia che per tanti anni aveva bagnato di sangue quei mari, si risvegliava. - Sì, ridete, cantate, intrecciate danze: sono danze funebri! Domani, ai primi albori, le vostre risa vi si geleranno sulle labbra. Troppo presto avete dimenticato il mio piccolo popolo, soppresso e sgozzato sulle spiagge della mia isola. Il vendicatore è qui e vi spia! Il Re del Mare, virato di bordo, si era messo a seguire silenziosamente le due navi, tenendosi ad una distanza di un miglio. Ormai non potevano più sfuggire, non potendo gareggiare con un camminatore di quella forza. Avrebbero potuto bensì poggiare verso le Romades, che erano allora vicinissime e tentare di gettarsi verso la costa, ma anche in tale caso non sarebbero riuscite a salvarsi. Sandokan, curvo sulla murata, non staccava gli sguardi da loro. Pareva calmo, eppure terribili pensieri di vendetta, di stragi, di sangue, dovevano tormentare ancora il suo cervello. - Chi m'impedirebbe, - disse ad un tratto, - di piombare come un avvoltoio su di esse e mandarle fracassate a fondo, a colpi di sperone? E non sarei nel mio diritto? Il mare custodisce bene i segreti che gli si affidano e più nessuno saprebbe nulla! - Non lo farai, per umanità, Sandokan, - disse Yanez. - Umanità! Parola vuota di senso in guerra. Forse che gli inglesi se ne sono ricordati, quando decretavano a sangue freddo la conquista della nostra isola e l'esterminio del nostro piccolo popolo? Che cosa rimangono oggi delle Tigri di Mompracem? Di quelle Tigri che resero a questi inglesi un così grande servigio, liberandoli dalla infame setta dei thugs? Per riconoscenza quegli avidi cenciaiuoli degli oceani ci hanno carpito a tradimento la nostra isola, assalendoci di notte, dieci volte superiori, come se noi fossimo belve feroci, e tu Yanez, parli d'umanità! Credi tu che se domani una squadra inglese piombasse su di noi o sui nostri prahos, ci risparmierebbe? No, ci colerebbe a fondo e ci manderebbe a dormire il sonno eterno negli abissi del mare della Malesia. - Noi potremmo difenderci, Sandokan, disputare la vittoria, mentre quelle due navi nulla potrebbero opporre alle nostre formidabili artiglierie ed al nostro sperone. - È vero, signor Yanez, - disse una voce dietro di loro. Sandokan si era voltato impetuosamente e si trovò dinanzi a Darma. - Tu l'approvi, perchè ... Non compì la frase, che doveva alludere all'amore della giovane coll'anglo- indiano. - Che provino a difendersi anche essi, Darma, - disse poi, cambiando tono. - Non lo potrebbero, signor Sandokan, - ribattè la giovane. - Forse vi sono su quelle due navi cinque o seicento poveri giovani che sospirano il momento di rivedere la loro patria e di abbracciare i loro vecchi genitori. Non fate piangere tante madri, voi che siete sempre stato generoso. - Anche i miei uomini, le vecchie Tigri di Mompracem hanno pianto la notte che venivano cacciati dalla loro isola, - disse Sandokan, con ira repressa. - Piangano dunque le loro donne dell'Inghilterra. Sandokan si era staccato dalla murata volgendosi verso le due torri di poppa dalle cui feritoie uscivano le estremità dei due grossi pezzi da caccia, minacciami l'orizzonte. Stava per aprire la bocca e far scatenare quei due mostri di bronzo, quando Darma posò la sua mano sulla bocca del formidabile pirata: - Che cosa state per comandare, mio generoso protettore? - chiese l'anglo- indiana. - Il segnale della strage. Io voglio mutare quei canti giocondi in un immenso urlo d'angoscia e di morte. Il mare apra i suoi baratri e inghiotta i conquistatori della mia isola. - Non lo farete, signor Sandokan, - rispose Darma, con voce ferma. - Pensate che un giorno potreste venire assalito da forze superiori e vinto. Chi di noi risparmierebbero i vincitori? - Mentre tu non devi dimenticarti, Sandokan, - aggiunse Yanez con voce grave, - che noi a bordo abbiamo due fanciulle, Surama, la prima donna che io abbia amata e questa fanciulla che per salvarla noi abbiamo intrapresa una guerra contro ai thugs e compiuti mille prodigi. Nemmeno esse sfuggirebbero alla rabbia dei vincitori. Vorresti tu, con questo atto inumano, renderle nostre complici? - La Tigre della Malesia aveva incrociate le braccia, guardando ora Darma ed ora Surama, che s'avanzava lentamente in quel momento, scendendo dal ponte di comando. Il lampo terribile che poco prima gli balenava negli occhi, a poco a poco si spegneva. Ad un tratto tese la mano a Yanez, senza parlare, scosse due o tre volte il capo, poi si mise a passeggiare, fermandosi di quando in quando a guardare le navi che continuavano la loro rotta, passando al largo delle Romades. Il Re del Mare le seguiva sempre, mantenendo la distanza. La notte trascorse senza che Sandokan avesse preso un momento di riposo. Aveva continuato a passeggiare in coperta, fra le torri, senza mai aprire bocca. Quando però i primi albori cominciarono a diffondersi pel cielo, fece accelerare la marcia dell'incrociatore, comandando agli artiglieri di prendere i loro posti di combattimento. Con una rapida manovra si portò a poche gomene dalle due navi e fece issare la sua bandiera, appoggiandola con un colpo in bianco. Urla acutissime si erano alzate dai due trasporti, i cui ponti si erano gremiti di soldati, pallidi di terrore. - Mettetevi in panna e arrendetevi a discrezione o vi affondo, - aveva fatto segnalare Sandokan. Nel medesimo tempo aveva fatto puntare le artiglierie sulle due navi, pronto a far eseguire alla lettera la minaccia.

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