Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbassar

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

IL Santo

668502
Fogazzaro, Antonio 1 occorrenze

Il Papa, che da quando Benedetto aveva ricominciato a parlare gli teneva gli occhi in viso, rispose con un lieve abbassar del capo. "Il terzo spirito maligno" riprese Benedetto "che corrompe la Chiesa, non si trasfigura in angelo di luce perché saprebbe di non poter ingannare, si accontenta di vestire una comune onestà umana. È lo spirito di avarizia. Il Vicario di Cristo vive in questa reggia come visse nel suo episcopio, con un cuore puro di povero. Molti Pastori venerandi vivono nella Chiesa con eguale cuore, ma lo spirito di povertà non vi è bastantemente insegnato come Cristo lo insegnò, le labbra dei ministri di Cristo sono troppo spesso compiacenti ai cupidi dell'avere. Quale di essi piega la fronte con ossequio a chi ha molto solamente perché ha molto, quale lusinga con la lingua chi agogna molto, e il godere la pompa e gli onori della ricchezza, l'aderire con l'anima alle comodità della ricchezza pare lecito a troppi predicatori della parola e degli esempî di Cristo. Santo Padre, richiami il clero a meglio usare verso i cupidi dell'avere, sieno ricchi, sieno poveri, la carità che ammonisce, che minaccia, che rampogna. Santo Padre!" Benedetto tacque, fissando il Papa con una espressione intensa di appello. "Ebbene?" mormorò il Papa. Benedetto allargò le braccia e riprese: "Lo Spirito mi sforza a dire di più. Non è opera di un giorno ma si prepari il giorno e non si lasci questo cómpito ai nemici di Dio e della Chiesa, si prepari il giorno in cui i sacerdoti di Cristo dieno l'esempio della effettiva povertà, vivano poveri per obbligo come per obbligo vivono casti, e servano loro di norma per questo le parole di Cristo ai Settantadue. Il Signore circonderà gli ultimi fra loro di tale onore, di tale riverenza quale ora non è nel cuore della gente intorno ai Principi della Chiesa. Saranno pochi ma la luce del mondo. Santo Padre, lo sono essi oggi? Qualcuno lo è; i più non sono né luce né tenebre." Qui, per la prima volta, il Pontefice assentì del capo mestamente. "Il quarto spirito maligno" proseguì Benedetto "è lo spirito d'immobilità. Questo si trasfigura in angelo di luce. Anche i cattolici, ecclesiastici e laici, dominati dallo spirito d'immobilità credono piacere a Dio come gli ebrei zelanti che fecero crocifiggere Cristo. Tutti i clericali, Santità, anzi tutti gli uomini religiosi che oggi avversano il cattolicismo progressista, avrebbero fatto crocifiggere Cristo in buona fede, nel nome di Mosè. Sono idolatri del passato, tutto vorrebbero immutabile nella Chiesa, sino alle forme del linguaggio pontificio, sino ai flabelli che ripugnano al cuore sacerdotale di Vostra Santità, sino alle tradizioni stolte per le quali non è lecito a un cardinale di uscire a piedi e sarebbe scandaloso che visitasse i poveri nelle loro case. È lo spirito d'immobilità che volendo conservare cose impossibili a conservare ci attira le derisioni degl'increduli; colpa grave davanti a Dio!" Il petrolio veniva mancando nella lucerna, il cerchio delle tenebre si stringeva, si addensava intorno e sopra la breve sfera di luce in cui si disegnavano, l'una in faccia all'altra, la bianca figura del Pontefice seduto e la bruna di Benedetto in piedi. "Contro lo spirito d'immobilità" disse questi "io la supplico di non permettere che sieno posti all' Indice i libri di Giovanni Selva." Quindi, posta la seggiola da banda, s'inginocchiò nuovamente, stese le mani al Pontefice, parlò più trepido e più acceso: "Vicario di Cristo, io La scongiuro di un'altra cosa. Sono un peccatore indegno di venire paragonato ai Santi ma lo Spirito di Dio può parlare anche per la bocca più vile. Se una donna ha potuto scongiurare un Papa di venire a Roma, io scongiuro Vostra santità di uscire dal Vaticano. Uscite, Santo Padre; ma la prima volta, almeno la prima volta, uscite per un'opera del vostro ministero! Lazzaro soffre e muore ogni giorno, andate a vedere Lazzaro. Cristo chiama soccorso in tutte le povere creature umane che soffrono. Ho vista dalla Galleria delle lapidi i lumi che fronteggiano un altro palazzo di Roma. Se il dolore umano chiama in nome di Cristo, là si risponderà forse: "no" ma si va. Dal Vaticano si risponde "sì" a Cristo, ma non si va. Che dirà Cristo, Santo Padre, nell'ora terribile? Queste parole mie, se fossero conosciute dal mondo, mi frutterebbero vituperî da chi più si professa devoto al Vaticano; ma per vituperi e fulmini che mi si scagliassero non griderei io fino alla morte: che dirà Cristo? Che dirà Cristo? A Lui mi appello." La fiammella della lucerna mancava, mancava; nella breve sfera di luce fioca che le tenebre premevano non si vedeva quasi più di Benedetto che le mani stese, non si vedeva quasi più del Papa che la destra posata sul campanello d'argento. Appena Benedetto tacque, il Santo Padre gli ordinò di alzarsi, poi scosse il campanello due volte. La porta della Galleria si aperse, entrò il fido cameriere già popolare in Vaticano col nome di don Teofilo. "Teofilo" disse il Papa, "in Galleria, è riaccesa la luce?" "Sì, Santità." "Allora passa in Biblioteca dove troverai monsignore. Digli che venga qua, che mi aspetti. E tu provvedigli un'altra lucerna." Ciò detto, Sua Santità si alzò. Era piccolo di statura e tuttavia un po' curvo. Mosse verso la porta della Galleria accennando a Benedetto di seguirlo. Don Teofilo uscì dalla parte opposta. Triste presagio, nella buia sala dov'eran corse tante fiammelle di parole accese dallo Spirito, non rimase che la piccola lucernina morente. La Galleria delle lapidi, là dove il Papa e Benedetto vi entrarono, era semibuia. Ma nel fondo una grande lampada a riflettore illuminava l'iscrizione commemorativa a destra della porta che mette nella loggia di Giovanni da Udine. Fra le grandi ali di lapidi schierate da capo a fondo della Galleria, che guardavano l'oscuro dibattito delle due anime viventi come testimoni muti che già conoscessero i misteri di oltre tomba e del giudizio divino, il Papa si avanzava lento, silenzioso, seguito, un passo indietro e a sinistra, da Benedetto. Sostò un momento presso il torso del fiume Oronte, guardò dalla finestra. Benedetto si domandò se guardasse i lumi del Quirinale, palpitò, attendendo una parola. La parola non venne. Il Papa riprese, tacendo sempre, il suo lento andare, con le mani congiunte dietro il dorso, e il mento appoggiato al petto. Sostò presso al fondo, nella luce della grande lampada; parve incerto se ritornare o procedere. A sinistra della lampada la porta della Galleria si apriva sopra uno sfondo di notte, di luna, di colonne, di vetri, di pavimento marmoreo. Il Papa si avviò a quella volta, scese i cinque gradini. La luna batteva per isghembo sul pavimento rigato dalle ombre nere delle colonne, tagliato in fondo alla loggia dall'obliquo profilo dell'ombra piena, dentro la quale mal si discerneva il busto di Giovanni. Il Papa percorse la loggia fino a quell'ombra, vi entrò, vi si trattenne. Intanto Benedetto, fermatosi molti passi indietro per non avere l'aria di premere irriverentemente nel desiderio di una risposta, mirava l'astro veleggiante fra nuvole grandi su Roma. Mirando l'astro, domandò a sé, a qualche Invisibile che gli fosse vicino, quasi anche allo stesso volto severo e triste della luna, se avesse troppo osato, male osato. Si pentì subito del suo dubbio. Aveva forse parlato egli? Oh no, le parole gli erano venute alle labbra senza meditazione, aveva parlato lo Spirito. Chiuse gli occhi in uno sforzo di preghiera mentale ancora levando la faccia verso l'astro, come un cieco che porgesse il viso avido al divinato splendore di argento. Una mano lo toccò lievemente sulla spalla. Trasalì e aperse gli occhi. Era il Papa e il suo viso diceva come avesse finalmente maturate nel pensiero parole che lo appagavano. Benedetto chinò il capo rispettosamente ad ascoltarlo. "Figlio mio" disse Sua Santità "alcune di queste cose il Signore le ha dette da gran tempo anche nel cuore mio. Tu, Dio ti benedica, te la intendi col Signore solo; io devo intendermela anche cogli uomini che il Signore ha posto intorno a me perché io mi governi con essi secondo carità e prudenza; e devo sovratutto misurare i miei consigli, i miei comandi, alle capacità diverse, alle mentalità diverse di tanti milioni di uomini. Io sono un povero Maestro di scuola che di settanta scolari ne ha venti meno che mediocri, quaranta mediocri e dieci soli buoni. Egli non può governare la scuola per i soli dieci buoni e io non posso governare la Chiesa soltanto per te e per quelli che somigliano a te. Vedi, per esempio; Cristo ha pagato il tributo allo Stato e io, non come Pontefice ma come cittadino, pagherei volentieri il mio tributo di omaggio là in quel palazzo di cui hai veduto i lumi, se non temessi di offendere così i sessanta scolari, di perdere anche una sola delle loro anime che mi sono preziose come le altre. E così sarebbe se io facessi togliere certi libri dall' Indice, se chiamassi nel Sacro Collegio certi uomini che hanno fama di non essere rigidamente ortodossi, se, scoppiando un'epidemia, andassi, ex abrupto , a visitare gli ospedali di Roma." "Oh Santità!" esclamò Benedetto "mi perdoni ma non è sicuro che queste anime disposte a scandolezzarsi del Vicario di Cristo per ragioni simili poi si salvino, e invece è sicuro che si acquisterebbero tante altre anime le quali non si acquistano!" "E poi" continuò il Papa come se non avesse udito "sono vecchio, sono stanco, i cardinali non sanno chi hanno messo qui, non volevo. Sono anche ammalato, ho certi segni di dover presto comparire davanti al mio Giudice. Sento, figlio mio, che tu hai lo spirito buono ma il Signore non può volere da un poveruomo come me le cose che tu dici, cose a cui non basterebbe neppure un Pontefice giovine e valido. Però vi sono cose che anch'io, con il Suo aiuto, potrò fare; se non le cose grandi, almeno altre cose. Le cose grandi preghiamo il Signore che susciti chi a loro tempo le sappia fare e chi sappia bene aiutare a farle. Figlio mio, se io mi metto da stasera a trasformare il Vaticano, a riedificarlo, dove trovo poi Raffaello che lo dipinga? E neppure questo Giovanni? Non dico però di non fare niente." Benedetto era per replicare. Il Pontefice, forse per non volersi spiegare di più, non gliene lasciò né il modo né il tempo, gli fece una domanda gradita. "Tu conosci Selva" diss'egli. "Privatamente, che uomo è?" "È un giusto" si affrettò a rispondere Benedetto. "Un gran giusto. I suoi libri sono stati denunciati alla Congregazione dell' Indice. Forse vi si troveranno alcune opinioni ardite ma non vi è confronto fra la religiosità calda e profonda dei libri di Selva e il formalismo freddo, misero di altri libri che corrono, più del Vangelo, per le mani del clero. Santo Padre, la condanna di Selva sarebbe un colpo alle energie più vive e più vitali del Cattolicismo. La Chiesa tollera migliaia di libri ascetici stupidi che rimpiccioliscono indegnamente l'idea di Dio nello spirito umano; non condanni questi che la ingrandiscono!" Le ore suonarono da lontano. Nove e mezzo. Sua Santità prese tacendo una mano di Benedetto, la chiuse fra le sue, gli fece intendere con quella muta stretta sensi e consensi trattenuti dalla bocca prudente. La strinse, la scosse, l'accarezzò, la strinse ancora, disse finalmente con voce soffocata: "Prega per me, prega che il Signore m'illumini." Due lagrime brillavano nei belli occhi soavi di vecchio che mai non si macchiò di un volontario pensiero impuro, di vecchio tutto dolcezza di carità. Benedetto non riuscì, per la commozione, a parlare. "Vieni ancora" disse il Papa. "Dobbiamo discorrere ancora." "Quando, Santità?" "Presto. Ti farò avvertire." Intanto l'ombra, avanzando, aveva inghiottito la Figura bianca e la Figura nera. Sua Santità pose una mano sulla spalla di Benedetto, gli domandò sommessamente, quasi esitante: "Ricordi la fine della tua visione?" Benedetto rispose, pure sottovoce, abbassando il viso: "Nescio diem neque horam." "Non sono nel manoscritto" riprese Sua Santità. "Ma ricordi?" Benedetto mormorò: "In abito benedettino, sulla nuda terra, all'ombra di un albero." "Se così sarà" riprese il Santo Padre, dolcemente "ti voglio benedire per quel momento. Allora sarò ad aspettarti in cielo." Benedetto s'inginocchiò. La voce del Papa suonò solenne nell'ombra: "Benedico te in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti." Il Papa risalì rapidamente i cinque gradini, scomparve. Benedetto rimase ginocchioni, assorto in quella benedizione che gli era parsa venire da Cristo. Si alzò al suono di un passo nella Galleria. Pochi momenti dopo egli scendeva, accompagnato da don Teofilo, al Portone di bronzo.

CAINO E ABELE

678792
Perodi, Emma 1 occorrenze

Le parve che la sua anima, la sua carne, tutto l'essere suo fosse macchiato dal contatto morale, dal contatto fisico di quel forzato, che anch'olla dovesse arrossire, abbassar gli occhi dinanzi a tutti; e l'illusione era così grande che sentiva anche lei una stretta al collo del piede, la pressione di un anello, come se avesse trascinato, se trascinasse la catena. Oh! io impazzisco! - esclamò balzando in piedi dalla poltrona su cui erasi seduta e accendendo quante candele potè trovare. La luce parve la calmasse e, svestitasi lentamente, si coricò dopo avere spento i lumi. Ma, appena al buio, ecco di nuovo l'incubo a tormentarla. Questa volta prendeva la figura di Franco, di colui che l'aveva perseguitata, che sentiva la perseguitava ancora, che doveva aver fatto liberare il marito dal carcere, per infliggerle quell'onta. E se lo vedeva accanto con le braccia protese, ne sentiva l'alito infuocato e la pressione bramosa delle mani sulle carni nude. Le pareva addirittura di morire. Cercò i fiammiferi sul comodino senza trovarli, tastò per sentire se v'era la bottiglia della morfina e non riuscì a trovarla e allora urlò: Costanza! Costanza! Il grido fu udito subito dalla donna, che vegliava ancora, ebra dei baci d'Alessio. Ella comparve in camera col lume e ne accese altri. La morfina! la morfina! - diceva Velleda cui il professor Angelini aveva prescritto quel rimedio, raccomandandole di non abusarne. Costanza le versò la medicina in un bicchierino ed ella guardò la dose e quindi la bevve. Ora dormirò fino a domattina, - disse. - Andate pure a riposare. Costanza uscì, ma poco dopo ritornava scalza. Velleda dormiva già di un sonno profondo. Vedendo l'effetto prodotto da quel rimedio, che non aveva odore e che aveva l'apparenza dell'acqua sorgiva, Costanza sorrise malignamente, e nel suo cervello, in cui non aveva posto altro che un pensiero di vendetta, concretò l'infernale disegno che andava architettando da tanto tempo. Ella vegliò tutta la notte Velleda; la toccava, le tirava via le coperte, le faceva cambiar posizione, le metteva altri guanciali sotto il capo, come se volesse esperimentare la profondità del sonno; la dormente mugolava a pena, ma non apriva gli occhi, non faceva nessun movimento, dormiva sempre. E Costanza, con l'orologio alla mano, osservò che quel sonno aveva durato sei ore. È quel che ci vuole, - disse fra sé, mentre con premura domandava alla signora se si sentiva meglio. Molto meglio, ma stanca, stanchissima, - rispose, non ho forza di alzare un braccio. Ma quando Costanza le ebbe detto che il padrone non era ancora partito, riunì le forze e vestitasi in fretta, scese a recargli in giardino il suo augurio. Torni eletto, - gli disse. La carrozza si allontanò e Franco dalla finestra del suo stanzino da bagno la vide sparire sulla via maestra. Nessuno parlavagli mai, meno che Costanza, eppure da quella finestra e dalle altre che guardavano sul viale, aveva tanto veduto e udito, che avrebbe potuto far la storia degli avvenimenti di quegli ultimi giorni. Nulla eragli sfuggito, neppure l'arrivo dell'ex forzato, di cui aveva ottenuto la liberazione mercé donna Paola, dipingendole Velleda, la sirena, con tinte fosche, e supplicandola di far sì che il marito la strappasse da quel luogo, ove esercitava una funesta influenza. E quel giorno, come ogni volta quando vedeva che una delle sue perfidie, susurrate all'orecchio di un perverso o dette in confidenza a Costanza, producevano l'effetto voluto, sussultava di gioia credendosi anch'egli una forza. In quella solitudine, disprezzato da tutti, da tutti sospettato, Franco inasprivasi ogni giorno di più. Dal tristo che invidiava tutti, odiava tutti e si compiaceva nel commettere il male, all'indifferente disoccupato che non calcolava la portata delle azioni; dal don Franco di Selinunte al duca d'Astura di Roma, correva un gran divario. Finché la vita gli aveva sorriso, la ricchezza e la posizione gli avevano appianato la via, era rimasto un uomo relativamente onesto; ora che tutto gli mancava, ridiveniva tale quale lo avevano fatto la natura e l'educazione: uno sciagurato. Era ancora appoggiato alla finestra dietro le persiane, pregustando il piacere che avrebbe provato il giorno dopo nel veder Roberto tornare battuto dalle mene elettorali alle quali sentiva di aver fornito tanto contributo, quando si sentì battere familiarmente sulla spalla. Si voltò a un tratto e vide Costanza dinanzi a sé. Don Franco, la volete stasera la fiorentina? - gli disse brutalmente. Che dici? Stasera, dove? - domandò il duca sentendosi ribollire il sangue a quella notizia. Sì, stasera alle undici, nella grotta sul mare, dopo la villa. Costanza, come farai a indurla ... ? La donna abbassò gli occhi e alzò il mento con una mossa che significava: "Lasciate fare a me!. Ma dimmi ... ? Non saprete nulla; trovatevi là alle undici. Non è perché voi mi facciate compassione, che ve la metto nelle braccia, no. Rammentatevi che è per vendicarmi di lei. Queste sottigliezze importavano ben poco al duca; gli bastava che Costanza mantenesse la promessa, che alla fine, dopo tanti mesi di acre desiderio, egli potesse farla sua, procurarsi l'appagamento di quel desiderio e la soddisfazione di umiliarla. La conosceva bene, aveva su di lei concentrato tutta la sua osservazione in quegli ultimi tempi e sapeva che Velleda si sarebbe sentita così macchiata dai baci di lui, da ricusare la sua bocca a quelli di Roberto. Così li avrò divisi e dopo tornerà a me; poche donne sanno negare l'amore a chi glielo ha rubato una volta; Velleda sarà mia, mia! Impazziva davvero, ora che il sogno stava per avverarsi, che la brama stava per essere appagata. Sarà mia, mia! - ripeteva socchiudendo gli occhi.

Cerca

Modifica ricerca