Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassandosi

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

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La fatica

169068
Mosso, Angelo 1 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Si scorge una nuvola scura, bassa, aleggiante al disopra delle onde, che rapidamente si avvicina, nello stesso tempo che va sempre abbassandosi, ed immediatamente dopo precipita al suolo sul margine estremo dell'onda del flusso la massa delle quaglie mortalmente stanche. Qui le povere creature giacciono da principio alcuni minuti come sbalordite e quasi incapaci di inuoversi: ma questo stato cessa in breve. Comincia a manifestarsi un movimento: una delle arrivate dà principio e tosto saltella e corre affrettatamente sulla nuda sabbia cercando il luogo più adatto per nascondersi. Passa un tempo considerevole prima che una quaglia si decida a mettere nuovamente in esercizio gli spossati muscoli del petto: di regola generale ciascuna cerca la sua salvezza nel correre, non alzandosi a volo, nei primi giorni dopo l'arrivo, che per necessità inesorabile. Per me non v'ha dubbio alcuno che, dal momento in cui lo stuolo ha nuovamente sotto di sè la terraferma, compie correndo la massima parte del viaggio che gli rimane"Opera citata, pag. 414.. Il De Filippi racconta di aver veduto delle colombe posarsi in alto mare colle ali aperte sulle onde; e per questi uccelli deve essere un segno di insuperabile stanchezza. Brehm dice aver inteso da marinai degni di fede che anche la quaglia in caso di straordinaria stanchezza si posa sulle onde, vi si riposa per qualche tempo, indi s'alza nuovamente a volo e va oltre. Non so più in che libro io abbia letto che qualcuno vide in alto mare degli uccelli, tra i volatori più forti, che avevano sulla schiena qualche uccello piccolo il quale facevasi portare e che a questo modo aveva trovato nella disperazione la salvezza. Una memoria antichissima della stanchezza delle quaglie l'abbiamo nella sacra Bibbia dove nell'Esodo si racconta come gli Israeliti si nutrirono di quaglie nel deserto. La facilità colla quale si lasciavano prendere dimostra che erano esauste dal viaggio. Vi sono degli uccelli che ad ogni primavera fanno più di quindicimila chilometri per andare dall' Africa australe, dalla Polinesia e dall'Australia fino alle regioni polari; e nell'autunno rifanno indietro il medesimo viaggio per ritornare alle loro stazioni d'inverno. Il rondone compie ogni anno il viaggio dal Capo Nord al Capo di Buona Speranza, e viceversa. Le emigrazioni delle gru e delle cicogne le vediamo ripetersi ogni anno. Ma come si orientino a traverso i monti e nel mare, come dall'Africa le cicogne e le rondini tornino al loro antico nido, come siasi sviluppato l'istinto che le guida, non sappiamo ancora. In questi ultimi anni si sono scritti libri assai pregevoli su questo argomento: citerò quelli di PalmènI. A. PALMÉN; Ueber die Zugstrassen der Vögel, 1876, Leipzig., di Weismann WEISMANN, Ueber das Wandern der Vögel. Berlin, 1878., e di Seebohm SEEBOHM,The geographical distribution of the Charadriidoe.. Ora non si contentano più gli ornitologi, contemplando gli uccelli che passano per l'aria, di dire che si tratta di un istinto mirabile. Anche su quest'argornento sono cominciati gli studi analitici. Palmèn dimostrò che gli individui più vecchi e più forti guidano le schiere migratrici, e che la maggior parte degli uccelli che fuorviano e si perdono per strada, sono individui giovani dell'ultima covata, o madri che si fermano e deviano per cercare i figli smarriti. Difficilmente i maschi adulti, se non sono sbattuti da una tempesta, perdono la strada. Palmèn ha pubblicato una carta delle grandi vie delle emigrazioni. I termini miliari di queste lunghe strade sono certi luoghi, dove gli uccelli possono riposarsi e trovare nutrimento abbondante.Palmén dice che sarebbe mancar di criterio l'ammettere che gli uccelli escano dall'uovo portando innata la conoscenza di questi luoghi. L'istinto che posseggono gli uccelli ha bisogno di essere educato. Appena escono dal nido cominciano a studiare lo spazio che li circonda, poi si allontanano in cerca del cibo e la foga del volare li spinge lontano quanto loro serve la memoria. Così sviluppasi rapidamente in essi il senso dei luoghi e della direzione. Quando giunge l'autunno si lanciano intrepidi verso i paesi del mezzogiorno; e, se un uccello nato in quell'anno è così irrequieto che non aspetta i genitori, può riuscire a trovare una via che lo conduca al suo scopo, ma il più delle volte soccombe. E perciò che generalmente viaggiano in stormi e in grandi comitive.Così imparano dai vecchi a conoscere gli accidenti del terreno, i monti, i fiumi e le valli, che sono le grandi vie maestre delle emigrazioni. Ciò che a noi sembra un istinto meraviglioso e cieco sarebbe una conoscenza dei luoghi, che le generazioni degli uccelli si tramandano come una tradizione.

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L'angelo in famiglia

183349
Albini Crosta Maddalena 1 occorrenze
  • 1883
  • P. Clerc, Librajo Editore
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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È un camerone ampio, ma il di cui soffitto va abbassandosi tanto da toccar quasi il pavimento, dalla parte in cui alcune sottili feritoje apron l'unico passaggio alla luce ed all'aria pregna delle miasmatiche esalazioni delle stalle che vanno a sfogare in un angusto cortile. Alcuni pagliericci sono distesi là in terra, ed un branco di figliuoli sta avidamente attendendo che la madre versi sul tagliere la scarsa polenta che sta rimestando; mentre il padre, seduto, o piuttosto accovacciato su di uno sgabello, si copre il viso colle mani per nascondere la pena straziante che in esso traspare. Allorchè la porta si è aperta e sulla soglia è apparsa, quasi visione consolatrice, una gentile figura di donna sconosciuta, tutti si sono levati in piedi, per un movimento simultaneo, imbarazzati e confusi, e solo la maggiore figliuola si fa animo, presenta alla dama una rotta seggiola e la invita a sedere. La dama saluta con garbo, e dopo d'averle stretto la mano, interroga la povera donna della salute sua, del marito e dei figli, ed a menomare la meraviglia e lo smarrimento della famigliuola, si dice inviata dal Parroco o dalla società di S. Vincenzo de' Paoli, o di qualche anima benefattrice, per portarle il soccorso della sua amicizia e del suo appoggio. Mentre essa parla, i figliuoli le si vanno accostando, finchè le son vicini vicini, la guardano ammirati, pendono dalle sue labbra, la toccano e si consolano di venire da lei carezzati, mentre la mamma affettando severità cerca di allontanarli. La dama cava dalla piccola borsa sospesa al suo braccio alcuni biglietti o boni di pane e di minestra che i giovani della Gioventù Cattolica distribuiscono pubblicamente; poscia prende nota del numero e dell'età dei figliuoli per trovare agli uni un posto presso qualche onesto bottegajo o lavorante, e collocare i piccini agli asili di carità, dove avranno un po' di cibo all'anima, alla mente ed al corpo. Ma il padre di famiglia conserva un profondo silenzio e sembra annichilito sotto il peso della riconoscenza; ecco la dama rivolgersi a lui, chiederlo del suo mestiere, e sentito che il suo faticoso e lungo lavoro è insufficiente a procurare il vitto alla famiglia, s'intrattiene con lui amorevolmente, ne provoca e riceve le confidenze, si offre ad interessare il suo padrone a voler migliorare la condizione sua, e... volere o non volere essa è l'angelo della consolazione inviato dal Signore in quella povera casa. Il pover uomo è intenerito, e con voce rozza ma commossa, alieno com'è dalle usanze sociali, stringe nelle sue mani callose le mani della dama, la quale ha pur essa rigato il volto di caldissime lacrime, ma non lacrime di dolore, sibbene di lacrime consolanti! Tu, mia cara e tenera amica, che mi sei stata compagna fin qui nella lunga lettura, non respingere la mia preghiera, te ne supplico pel tuo bene: procurati tu pure molte lacrime consolanti colle visite ai poveri, agl'infermi, nelle case o negli spedali, e se i tuoi mezzi non ti permettono d'offrire un soccorso materiale ai tuoi fratelli indigenti, offri loro almeno il soccorso morale della tua persona, del tuo cuore, della tua volontà. Oltre alle lacrime consolanti, indivisibili dalla cristiana beneficenza, ne avrai mille altri grandissimi vantaggi, e non ultimo quello d'imparar a sopportare con rassegnazione le proprie miserie toccando le altrui. All'aspetto del dolore si migliora e perfeziona l'uomo non interamente guasto di mente o di cuore, e se tu non vuoi che il dolore venga lui a trovarti, vagli tu stessa incontro; va tu a guardarlo in faccia nelle case in cui regna, sovrano, portavi il balsamo della pietà, della religione; parlavi di affetto, di Dio, e le lacrime tue e dei tuoi beneficati, sarei tentata di ripetertelo all'infinito, saranno sempre lacrime consolanti. 54

Pagina 839

Nuovo galateo

189687
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
  • paraletteratura-galateo
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Crescerebbe impulitezza, se il padrone stesso volesse prendersi giuoco de'suoi convitati, e con qualche tratto villano ridere a loro spese, come quel pazzo di Eliogabalo, il quale avendo fatto costruire letti di cuoio ed empire d'aria in vece di lana, mentre i suoi commensali mangiavano e bevevano allegramente. faceva aprire un lucchetto nascosto al di sotto, cosicché i letti abbassandosi improvvisamente, quei poveri diavoli che vi erano seduti sopra, davano del naso nella mensa. XIII. Dirò finalmente che non la pulitezza e la decenza soltanto, ma l'onore e la buona morale vietano al padrone di fare inviti a fine di porgere ai commensali occasione di tresche licenziose e di scostumatezza, imitando Sulpicio Galba, il quale, dopo d'avere pranzato, addormentavasi regolarmente, acciò la sua sposa avesse libero campo d'intrattenersi a quattr'occhi con Mecenate. Questo sonno era sì volontario, che una volta volendo un servo profittarne per bere una bottiglia di vino, Galba s'alzò prontamente, e, Alto là, disse, o ragazzo, io non dormo per tutti: egli non dormiva che per sua moglie.

Pagina 112

Lo stralisco

208400
Piumini, Roberto 1 occorrenze
  • 1995
  • Einaudi
  • Torino
  • paraletteratura-ragazzi
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Scivolando sulla curva che raccordava le pareti, le montagne continuavano, mutando tessitura e tinta, abbassandosi in colline brune, spoglie di boschi e ricche di pietraie. Una zona pianeggiante fu poi distesa, con casupole sparse e lontani villaggi dai muri bianchi, molto simili a quelli di Nactumal. In primo piano, anzi in secondo, giacché in primo piano vi era una sensazione luminosa di aria, una trasparenza adatta a guardare, un carro di nomadi con la tenda azzurra attraversava un ponticello di legno su un torrente. Era una illustrazione trovata da Madurer su uno dei suoi libri, e cosí amata e guardata che Sakumat l'aveva rifatta sulla parete. Ma dietro, sul piccolo cavallo pelo-di-pepe che trottava legato al carro, avevano aggiunto una bambina col fazzoletto rosso in testa, che si chiamava Talya. — Dove va il carro, Madurer? — Va molto molto lontano, Sakumat. — Sí, ma è diretto verso le colline, laggiú, o dall'altra parte? — Perché lo chiedi? — Vedi, qui, dopo la curva, la strada non è ancora disegnata. Possiamo farla proseguire verso le colline, cosí, con un largo giro, fino a quel villaggio; oppure possiamo farla andare a destra, verso la nuova parete. — Cosa ci sarà sulla nuova parete, Sakumat? — Continuerà il mondo. Non avevamo pensato di metterci una pianura? Terra e terra fino all'orizzonte. — Sí. Fa' la strada che va verso la pianura, — disse il bambino, — il carro di Talya va laggiú. Quando arriverà laggiú, Talya scenderà dal cavalluccio e raccoglierà fiori... Però, per favore, fai anche una strada che va verso il villaggio. Il carro prenderà l'altra, ma perché lo vuole, non perché c'è una sola strada. — Certo, Madurer. Non c'è una sola strada, al mondo. La terza parete, e anche la quarta, diventarono una pianura. Ci vollero due pareti perché era una pianura molto grande e conteneva moltissime cose: due villaggi, uno vicino e uno lontano, campi di grano e tabacco, mulini a vento simili a quelli della lontanissima Olanda. Era proprio verso i mulini che viaggiava il carro di Talya, su una strada che tagliava campi e villaggi, costeggiava un fiume verde: finché, ormai nella quarta parete, a sinistra dell'ingresso da cui la pittura era partita, arrivava ad una città assediata. Coloratissimi accampamenti di soldati circondavano le mura giallastre della città fortificata, batterie di panciuti cannoni sparavano palle e drappelli di cavalieri sollevavano polvere in carosello attorno alle mura. C'erano anche una catapulta e una torre di legno da cui gli arcieri scagliavano frecce contro i difensori della città. Ma gli assediati si difendevano bene, e si vedeva che avrebbero potuto resistere ancora per molto tempo. Sulla cima delle muraglie, incuranti di frecce e proiettili, donne belle ed eleganti osservavano l'accampamento avversario come una festa di parata. E, a ben osservare, che altro facevano i cavalieri assedianti, se non delle manovre per farsi ammirare dalle donnine di lassú? Che senso aveva il loro trotto, sotto le inespugnabili mura della città? Pensavano forse di poter spiccare un salto, e portare l'attacco all'interno? Ma le mura erano cosí alte e munite che i poveri fanti, piú in là, cadevano a grappoli dal tentativo di scalarle, e finivano come oche e porci nel fossato. Sakumat impiegò tre mesi a dipingere l'assedio. Era una scena molto complicata, e ogni giorno si aggiungevano personaggi, vicende, storie da raccontare. Poi, con l'aggiunta di un piccolissimo principe assediante che spediva con un piccione un messaggio ad una principessa assediata, quella parte dell'opera fu compiuta. Sarebbe riuscito, il piccione messaggero, a volare illeso nel cielo turbinoso della battaglia? Molte frecce, in basso e in alto, erano puntate nella sua direzione; molti proiettili percorrevano la loro rotta invincibile, senza badare al bianco delle sue penne... Sakumat e Madurer sapevano che i soldati, guerreggiando, spesso si annoiano: e preferiscono mirare a un uccello, che cade senza un grido, piuttosto che tra corazza e corazza dei nemici, con il rischio di colpirli, e sentirli gridare e vederne sgorgare sangue come da una brocca rotta... Tuttavia, per ora, il piccione era là, puro e chiaro nei primi metri del volo: e da lassú, sporta da una feritoia come dalla speranza, la principessa lo guardava arrivare, e col suo sguardo lo proteggeva. Erano ormai trascorsi otto mesi dall'arrivo di Sakumat a Nactumal: ma la pittura, avvolgendosi all'angolo smussato della soglia, non si fermava. Come un orizzonte aperto, la pianura la trapassava verso la seconda stanza, allontanandosi da mulini e assedi, e innalzandosi in dolci ondulazioni nella forma di nuove colline. — Perché ancora colline, Sakumat? — diceva il bambino. — Non abbiamo deciso che in questa stanza comincia il mare? Sakumat non rispose, continuando rapido il disegno. Ma non passò molto che la linea morbida dei colli si interruppe, e un segno netto calò, disegnando una scarpata quasi verticale. Poi, tenendo leggermente il carboncino fra due dita, il pittore tracciò una linea sottile, continua, perfettamente orizzontale, per l'intera parete. — Ecco il mare, Madurer. Il bambino seguiva con lo sguardo la nascita dell'orizzonte. — Non ti fermare, per favore, — disse. Sakumat aveva ormai superato l'angolo tra le pareti. — Ancora? — chiese senza voltarsi. — Sí, ancora! Per tutta la parete, e anche l'altra... per favore! — disse Madurer. — Facciamo tutto il mare, in questa stanza! Sakumat non si fermò. Lentamente, con sicurezza, tracciò la linea orizzontale tutto intorno interrompendola all'ingresso della terza stanza e riprendendola dall'altra parte, fino a tornare alla porta tra la prima stanza e la seconda. — Ecco, è tutto il mare, — disse. Madurer, in piedi al centro della stanza, girava lentamente su se stesso, guardando intensamente la linea leggera che divideva lo spazio bianco della parete. Girò piú volte, rosso in faccia, con gli occhi lucidi e le mani che stringevano l'aria in strane contrazioni. — Sopra è il cielo, e sotto è il mare, — disse. All'improvviso, con uno dei suoi scatti leggeri, corse nella prima stanza e tirò una corda appesa vicino all'ingresso principale. Dopo un istante entrò la piú anziana delle servitrici. — Alika! Corri a chiamare mio padre! — disse il bambino. — Non stai bene, mio piccolo signore? — chiese la donna guardandolo in faccia. — Sto molto bene, Alika, — disse Madurer. — Voglio soltanto che venga mio padre, per mostrargli una cosa. Fai in fretta, per favore!

Pagina 27

Gambalesta

215947
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Tirrena
  • Livorno
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Cuddu guardava con terrore il sole che abbassandosi verso le rocce di rimpetto, laggiù laggiù, rendeva prossima l'ora della partenza pel paese. Un gran sgomento lo invadeva. - Non lo farò più! Non lo farò più! - ripeteva mentalmente. E si rallegrava che i palombi selvatici non si accostassero al carrubo, quasi compare Nunzio dovesse decidersi per questo a passare un'altra nottata e un'altra giornata colà. I palombi invece, tornando in denso stormo da lontano, vennero poco dopo ad abbattersi sui rami frondosi, e il fucile a due canne tonò, colpendone quattro. Caddero, spandendo molte penne per l'aria, con gran soddisfazione di compare Nunzio che li raccolse. E, pesandoli a uno a uno con la mano destra prima di metterli nella rete della carniera, egli disse a Cuddu: - Questo, il più grosso, sarà per tua madre. Su, marcia! Come se con questa parola compare Nunzio gli avesse stroncato le famose gambe! Così a stento Cuddu lo seguiva per la salita, quantunque quegli lo avesse sbarazzato della carniera e della gabbiola del furetto. Quando apparvero sul colle le prime case di Ràbbato, suonava l'avemmaria. Cuddu faceva sforzi per non mettersi a piangere.

Pagina 44

In Toscana e in Sicilia

245805
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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Allorchè vide la pentola quasi del tutto scoperta e Bussolino sempre più chinato, che stava per smoverla, allora ritrasse con un movimento rapidissimo la mano che aveva tenuta sempre nella tasca del grembiale e, abbassandosi, in un baleno fu sul disgraziato, che le offriva la nuca scoperta, nella quale ella conficcò con quanta forza aveva, un lungo coltellaccio affilato che entrò profondamente..... La lotta fu breve, ma terribile: il povero assassinato stava per stramazzare a bocca avanti sulla pentola, ma la megera infame, ebbe la forza di tirarlo indietro, e quando lo vide steso a terra, senza movimento, aiutandosi con le mani e coi piedi, trascinò il cadavere fin sull'orlo del burrone e con un ultimo calcio lo fece rotolare giù, in fondo al precipizio, buttandogli dietro la vanga. Poi tornò di corsa alla fossa, illuminata dal lanternino, vi scese con precauzione, ne tolse la pentola, che sentì pesantissima e fuggì via a traverso il bosco, tenendosi la preda fra le braccia, stretta contro il petto. La sparizione di Bussolino fu notata dopo quindici giorni e il corpo sfracellato venne scoperto da alcuni boscaioli che tagliavano legna. I Tattanella caddero in sospetto, furono arrestati, ma le prove mancarono e vennero rimessi in libertà. Il marito bensì, per un altro misfatto, fu di nuovo cacciato in galera, dove morì, e la moglie diventò l'Annaccia, la ladra terribile, che metteva lo spavento intorno per un lungo tratto di campagna, finchè un giorno, non si sa come, sparì anche lei, nè più si vide, con gran sollievo delle buone massaie, le quali dicevano che il Signore s' era mosso a compassione delle loro preghiere e l'aveva fatta portar via sulle corna del diavolo, in anima ed in corpo.

Pagina 63

La sorte

247889
Federico De Roberto 1 occorrenze
  • 1887
  • Niccolò Giannotta editore
  • Catania
  • Verismo
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Donna Giovanna era venuta a implorare il suo perdono, umilmente, abbassandosi dinanzi a una che, in altro tempo, non avrebbe neppur salutata, incontrandola per istrada. - Che volete! Alfio è un ragazzo, un ragazzino, così lungo come lo vedete. Chiacchiera un po' troppo; se togliamo questo, nessuno può dir nulla sul suo conto. Non parlo di vizi: innocente come Gesù Bambino; voi mi capite. Se ha detto quella parola, non sapeva ciò che importava; domandate a chi volete, vi diranno tutti che è incapace di voler male ad anima viva. E poi, affezionato, con sua madre, che non si può ridire. Mai un dispiacere, da lui; e si che è rimasto orfano a otto anni... Donna Giovanna aveva gli occhi umidi di pianto. - Questo è il primo dispiacere, che ho per causa dei suoi cattivi compagni. Lasciatelo andare, non ci pensate più; fatelo per me che sono sua madre e vi domando perdono della sua imprudenza... Anna guardava per terra e non diceva niente. - Fatelo per lui. Così ragazzo, con quella condanna infame, è rovinato per tutta la vita. Quale compagnia troverà in carcere! Chi gli vorrà dare la propria figliuola, se un giorno il Signore lo benedice e potrà pensare a farsi una famiglia? - Sentite - disse a un tratto Anna Laferra, con un'animazione straordinaria in viso e il seno che le si sollevava affannosamente. - Vostro figlio m'ha ingiuriata a sangue, e vi giuro, com'è vero Dio! che se lo avessi avuto fra le mani, in quel momento, mi sarebbe bastato l'animo, donna come sono, di strappargli il cuore dal petto. Ora la collera è passata, e per me non ci penserei più. Ma il mondo parla e non si cura di sapere se chi mi ha ingiuriata è un uomo o un ragazzo. Per questo debbo avere una soddisfazione. Vostro figlio mi dica che non ha inteso offendermi, che non sapeva quel che diceva, che parlava d'altri, che aveva bevuto; mi dica ciò che gli piace, e io gli perdono e non ne parlo più. Quella era appunto la quistione: persuadere Alfio a domandarle scusa! Invece, egli era tornato dalla città più arrabbiato che mai, e non parlava che dell'appello, sicuro com'era di vincere, con l'avvocato Saetta. - Tutti lo vantano, e quando una causa gli piace, mette il mondo sottosopra per spuntarla. Leggendo la sentenza del pretore, è partito a ridere che nessuno lo teneva. Vogliamo vedere se i giudici avranno paura pei vecchi cornuti!

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