Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Il Marchese di Roccaverdina

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Capuana, Luigi 3 occorrenze

Poi, una delle nuvole più lievi si staccò, si avviò come nave di avanguardia, subito seguita da un'altra e da una terza; e le palpebre di quegli occhi che stavano a spiarne ogni movimento cominciarono a battere frequenti dalla profonda commozione; e quei cuori, tremanti per la dubbiosa aspettativa, palpitarono di gioia vedendole venire avanti, non più una dietro all'altra, ma insieme, silenziosamente, e invadere il cielo azzurro e oscurarlo, abbassandosi verso terra quasi appesantite dal carico che portavano in seno. E, dietro i colli di Barrese, altre già ne spuntavano più cupe, più scure che salivano su spinte dal vento di levante messosi a spirare tutt'a un tratto, impregnato di umidore; e non appena queste si eran liberate nell'aria uscite fuori dalla linea curva dei colli, altre si affacciavano, sormontavano lo spazio, incalzando le precedenti che affrettavano la corsa verso Ràbbato, coprendo con la loro ombra le campagne, le vallate illuminate dal sole, quasi ne divorassero lo splendore dorato di mano in mano che s'inoltravano verso le braccia tese incontro a loro, benedicenti quelle di esse già arrivate su Ràbbato e che passavano avanti frettolose. E alle prime gocce di pioggia rare e stentate: «Viva! Viva la divina Provvidenza!». Non lo gridava soltanto quel centinaio di persone che parevano impazzite dalla gioia su la spianata del Castello, ma tutte le campane delle chiese squillanti a distesa, ma Ràbbato intera dai balconi, dalle finestre, dalle vie, dalle piazze dove la gente si era riversata per inebriarsi dello spettacolo della pioggia fina, fitta, e che ancora sembrava incredibile. Nessuno pensava a scansarsi, tutti volevano sentirsela sbattere su le teste scoperte, su le facce sporte indietro, su le mani levate in alto con le palme riunite a mo' di coppa per raccogliere quella grazia di Dio, che irrompeva con impeto, rumoreggiando su le tegole, riversandosi dai canali, formando rigagnoli e gore dove si gonfiavano e scoppiavano mille bollicine, quasi l'acqua ribollisse. E, sotto la pioggia, parecchi erano tornati prima di sera lassù, a osservare dalla spianata del Castello le campagne sottostanti che bevevano, bevevano, bevevano e non riuscivano a saziarsi. Le viottole però, i sentieri, le carraie luccicavano, segnando una gran rete argentata su i terreni scuriti; e luccicava il fiume ingrossato, che serpeggiava lambendo il piè delle colline; e luccicavano i rigagnoli rovesciantisi su la pianura dai dossi rocciosi delle colline che non sapevano che farsi dell'acqua e la rimandavano a chi più ne aveva bisogno. E la pioggia continuava, fitta, uguale, senza tregua, stendendo un immenso velo che nascondeva le linee; i contorni, i colori, sfumando le masse delle colline e delle montagne, facendo quasi scomparire l'Etna, da farlo supporre una nuvola scioglientesi in pioggia anch'essa, laggiù, lontano. Il cavaliere Pergola, riparato dall'ombrello, cercava con gli occhi i suoi piccoli fondi che si distinguevano appena, uno a diritta, uno a sinistra, un terzo più giù: e guardava anche verso Margitello, dove l'edificio della Società Agricola biancheggiava tra il bruno dei terreni inzuppati di acqua, e con le buche nere delle finestre senza imposte e con le mura senza tetto sembrava lo scheletro di un grande animale buttato a marcire colà. «Anche voi qui, compare Santi? Ora non avete più niente da venire a vedere da questo lato.» «Vengo a guardare quel che non ho più, dice bene voscenza. La roba mia se la gode il marchese di Roccaverdina!» «Ve l'ha pagata.» «Chi lo nega? Ma se l'è presa quasi di prepotenza; ed io ho dovuto appollaiarmi su le rampe delle Pietrenere, che sono rampe maledette!» «Con questa pioggia però ... » «Là, a Margitello, era la pupilla dei miei occhi! Lo sa voscenza com'è stato? Volevano impigliarmi nel processo ... perché era corsa qualche parola di rabbia tra Rocco del marchese e me, pel limite di ponente. Rocco (il Signore gliel'avrà perdonato) faceva gli interessi del padrone a diritto e a torto; a torto per quel che mi riguardava.» «Ne parlate ancora?» «Ne riparlerò sempre, finché avrò fiato!» «Vedrete; con questa pioggia anche le rampe delle Pietrenere produrranno. Non le avete scelte male quelle rampe; vi lagnate d'una gamba sana, per non perdere il mal vezzo.» «Eh, già! Noi poveretti abbiamo sempre torto!» «Tempo chiuso, cavaliere! Ogni goccia è un pezzo di oro che casca dal cielo!» «Proprio così, don Stefano!» «Sant'Isidoro finalmente ci ha fatto la grazia!» «Voi, don Giuseppe, s'intende, tirate l'acqua al vostro mulino; non siete sagrestano per nulla!» Si aggruppavano imperterriti, senza curarsi che gli ombrelli li riparassero male; e, per uno che andava via, due, tre ne sopraggiungevano, quasi non potessero contentarsi di sentir scrosciare i canali e veder gonfiare i rigagnoli per le vie; volevano godersi la vista delle campagne che bevevano, bevevano, bevevano e non arrivavano a saziarsi! Ah, quella pioggia avrebbe dovuto durare una settimana, senza smettere un solo momento! Ci volevano pei terreni almeno tre palmi di tempera ! Da una finestra di Margitello l'ingegnere additava al marchese la gente che stava a guardare su la spianata del Castello. Non ostante il velo steso dalla pioggia, si distinguevano le macchiette nere che apparivano, cangiavano posto, si diradavano, tornavano a radunarsi. Era giunto fin laggiù lo scampanio di tutte le chiese alle prime gocce di pioggia. E colà, contadini e lavoranti si erano abbandonati a una frenesia di grida, di salti di gioia nel cortile, mentre i ragazzi si divertivano a pestare coi piedi nelle pozze e a sbruffarsi in faccia, l'uno a l'altro, l'acqua raccolta nelle palme. Ora, affacciati alle porte delle stanze a pianterreno, si davano spintoni per buttarsi fuori a vicenda a prendere un'insaccata di quella che veniva più fitta quasi la rovesciassero con gli orci. «Eh, ragazzi! ... Finitela!», gridò il marchese sporgendosi dal davanzale. Eppure tutta quell'allegria avrebbe dovuto fargli piacere! La pioggia tanto desiderata e tanto invocata, gli aveva messo addosso, al contrario, un senso di tristezza; gli scherzi dei ragazzi lo irritavano. Aveva ripetuto anche ultimamente a Zòsima: «Non piove! Vedete? Non piove», e la risposta di lei: «Non c'è fretta!», gli aveva fatto una cattiva impressione, che però si era subito dileguata appena ella aveva soggiunto: «Margitello non vi lascia pensare ad altro!». E ora che la pioggia era venuta, e che pioggia! ora che il solo lieve ostacolo frapposto tra loro due era già rimosso, egli non solamente non ne sentiva gioia, ma stava là, davanti a quella finestra, con gli occhi fissi su gli eucalitti grondanti acqua dai rami curvi e dalle lunghe vecchie foglie lavate dallo strato di polvere che le aveva fatte ingiallire e inaridire; stava là, con gli occhi fissi, quasi il sogno che avrebbe dovuto presto avverarsi si allontanasse rapidamente, ed egli non potesse far nulla per arrestarlo o richiamarlo. E quel senso di tristezza che gl'invadeva il cuore era tanto più penoso e vivo, quanto meno egli scorgesse occasioni e circostanze da doverlo indurre a pensare così. La casa, rinnovata, era pronta; il voto di Zòsima esaudito. Che altro gli occorreva di fare, all'infuori di andare a prendere lei per mano, condurla davanti al sindaco e poi davanti al parroco, in riprova del proverbio citato spesso dalla zia baronessa: Matrimoni e vescovati dal cielo son destinati? In quel momento però gli sembrava che la riprova, sì, sarebbe avvenuta, ma nel modo opposto a quel che egli credeva e si aspettavano tutti. E, appunto, quasi gli avesse letto nel pensiero, l'ingegnere gli diceva: «La signorina Mugnos dev'essere lietissima oggi. Per dire la verità, essa si merita la fortuna di diventare marchesa di Roccaverdina; ma credo che se qualcuno, mesi addietro, glielo avesse predetto, la signorina si sarebbe fatto il segno della santa croce, come suol dirsi, quasi per scacciare una tentazione.» «Forse ... anch'io!», disse il marchese. «Il mondo va così, per salti. Non c'è mai niente di sicuro per nessuno. Agrippina Solmo ... per esempio ... chi sa che cosa si era immaginato di dover raggiungere! ... Ed è finita, prima in un modo, poi moglie di un pecoraio di Modica, che forse le farà desiderare fin il pane ... » «No; anzi la tratta come una signora.» «Gliel'ha fatto scrivere lei? Brava ragazza!», continuò l'ingegnere. «Non è facile trovarne, nella sua condizione, una uguale. Qualunque altra, padrona, com'era qui lei, di ogni cosa, avrebbe pensato ai casi suoi, si sarebbe fatto il gruzzoletto. Essa, niente! Ammirevole anche per la modestia. Avea voluto rimanere quella che era, fin nell'apparenza. Non smise mai la mantellina, e avrebbe potuto portare, meglio di tant'altre, lo scialle che ora portano tutte le popolane, anche se più miserabili. E poi, bocca serrata! ... Anche dopo, quando non poteva più lusingarsi con nessuna speranza, mai, mai una parola di dispetto o di sdegno. Dinanzi a lei, il marchese di Roccaverdina era Dio! E se qualcuno, per commiserarla o per stuzzicarla e provocarla, le diceva: "Il marchese avrebbe dovuto comportarsi meglio con voi! ... E qua! ... E là!", sa come sono certe persone! essa non lo lasciava finir di parlare: "Il marchese ha fatto bene! Ha fatto più di quel che doveva! Dio solo glielo può rendere!". Me l'ha raccontato mia moglie, che l'ha sentito proprio con i suoi orecchi, senza esser vista ... Insomma, lei, marchese, è fortunato con le donne ... L'una meglio dell'altra! ... Se lo faccia dire dal notaio Mazza che cosa significhi incappar male!» Il marchese avrebbe voluto interromperlo subito, appena pronunciato il nome di Agrippina Solmo; ma, nella gran tristezza che gl'infondeva la pioggia, quello spiraglio sul passato aperto dalle parole dell'ingegnere, quell'evocazione inaspettata lo avevano un po' commosso, spingendolo a ricordare tante e tant'altre cose con lieve senso di rimpianto. Perché, infine, la colpa era stata tutta sua. Per vanità di casta, per premunirsi contro se stesso, egli aveva dato marito alla Solmo, con quel tirannico patto, senza punto riflettere alle sue possibili conseguenze. L'ingegnere, vedendo che il marchese taceva, e supponendo che gli accenni al passato gli fossero dispiaciuti, tratto di tasca un sigaro e accesolo, si era messo a fumare e a passeggiare per la stanza, stirandosi le fedine. Il marchese intanto, tenendo ancora fissi gli occhi su gli eucalitti grondanti d'acqua, rincorreva col pensiero una figura bianca, con le trecce nere sotto la mantellina di panno blu cupo; e rincorrendola per luoghi da lui visti anni addietro, tra casupole arrampicate a la roccia quasi ad accovacciarvisi al riparo del vento, sentiva un sordo impeto di gelosia diversa assai di quella sentita una volta ... Poteva forse dubitare ora? Poteva forse indignarsi? ... Non era egli stato contento che colei fosse andata ad abitare in quella lontana città mezza rannicchiata nell'insenatura di una roccia, in una di quelle casupole arrampicate su pei fianchi di essa quasi per accovacciarvisi al riparo del vento? E si voltò bruscamente verso l'ingegnere, che passeggiava su e giù col sigaro in bocca stirandosi le fedine, in atto di dirgli: «Ma perché mi avete rimestato nel petto queste ceneri ancora calde?». Come se la tristezza che lo aveva invaso gliel'avesse soffiata addosso colui, come se gli avesse messo lui sotto gli occhi la visione di Zòsima malinconicamente rassegnata e che diceva con voce dolente: «Non c'è fretta. Margitello non vi lascia pensare ad altro!». Ed era vero!

Si era seduta vicino ai seggioloni dove i due superstiti canini della baronessa stavano accovacciati coi musi appoggiati sul piano imbottito e con gli occhi socchiusi, e ne accarezzava con una mano le teste che mostravano di gradire assai la carezza, tremando leggermente ed abbassandosi sotto la mano. Intanto il marchese, tratta un po' in disparte Zòsima, le diceva quasi sottovoce: «Voglio giustificarmi». «Di che cosa?» «Di quel che voi sospettate.», «Non sospetto niente; temo. È naturale.» «Non dovete temere di nulla.» Guardandola e sentendola parlare, egli riconosceva più chiaramente il suo torto; e le parole di una volta: «Questa è la donna che ci vuole per me!», gli ronzavano nel cervello come un rimprovero. «Un po' di pazienza», rispose. «Qualche altro mese ancora. Voglio liberarmi dall'ingombro di parecchi affari. In certi giorni, ho una specie di stordimento, tante sono le cose a cui mi tocca di badare. Dovrebbe farvi piacere questa febbre di attività, dopo il mio balordo isolamento.» «Non me ne sono mai lagnata.» «Lo credo; siete immensamente buona. Voglio farvi ridere. Ho pensato di dare il vostro nome alla botte grande dello Stabilimento; porterà fortuna all'impresa.» «Grazie!», disse Zòsima sorridendo. «È una sciocca idea, forse ... » «Niente è sciocco se fatto seriamente.» Lieto della risposta, egli tacque un istante; poi riprese: «È vero che vostra sorella pensi di farsi monaca? ... ». «Non lo so; può darsi.» «Dissuadetela.» «Assumerei una grande responsabilità.» «Non vi ho mai palesato una mia idea. Non voglio separarvi dalla mamma e dalla sorella. La mia casa è abbastanza vasta da poter accogliere anche loro.» «Ve ne sono gratissima da parte mia. La mamma però ha una particolar maniera di vedere le cose.» «La sua delicatezza non potrà offendersi dell'invito ad abitare in casa di sua figlia.» «La nostra condizione c'impone molti riguardi di dignità. Quante volte non ho io pensato: "Che diranno di me?". È vero che non bisogna occuparsi della malignità della gente. Basta la propria coscienza.» «Io non mi sono mai occupato dell'opinione degli altri. Non mi chiamo Antonio Schirardi marchese di Roccaverdina per nulla!» «A voi sarà lecito; ma una famiglia come la nostra ... » «I Mugnos non sono da meno dei Roccaverdina.» «Erano!» «Il sangue non muta; il nome è qualche cosa.» «C'è un orgoglio che non può essere scompagnato dai mezzi di farlo valere. Io la penso come la mamma. E per ciò ho detto alla baronessa quel che deve avervi riferito, se ho ben compreso il significato delle vostre prime parole. Siate sincero, per vostro bene e mio! Tutto è rimediabile ora.» «Quando il marchese di Roccaverdina ha impegnato la sua parola ... » «Potete esservi ingannato. Qui non si tratta della vanità di mantenere o no la propria parola. Io vorrei detto da voi ... » Ella parlava con gentile timidità, quantunque non timide fossero le parole. La voce era alquanto affiochita dalla commozione, e anche dalla circostanza di dover ragionare alla presenza della baronessa, della mamma e della sorella. Il marchese, ammirando l'assennatezza delle parole di Zòsima, cominciava a scoprire che sotto quel contegno nobile e riservato covava un fuoco intenso, a cui soltanto la fortezza della volontà di lei non permetteva di divampare. Ebbe uno slancio; e prendendole le mani con rapido gesto, senza ch'ella avesse tempo d'impedire quell'atto, disse: «Non ho altro da dirvi, Zòsima, che sono dispiacentissimo di avervi dato occasione di dovermi parlare così!». Una leggera pressione delle belle mani di lei fu la risposta. Zòsima abbassò gli occhi, col volto colorito da una sfumatura di roseo.

Un gatto cominciò a lamentarsi nella via con voce quasi umana ora di bambino piangente, ora di uomo ferito a morte; e il lamento si allontanava, si avvicinava, elevandosi, abbassandosi di tono, prolungatamente; grido di malaugurio, sembrava al marchese, quantunque lo sapesse richiamo di amore. Non poté fare a meno di stare in ascolto, distraendosi, o piuttosto confondendo con quel grido l'intima voce che gli si lamentava nel cuore, mentre gli sfilavano quasi davanti agli occhi a intervalli o confusamente Rocco Criscione, Agrippa Solmo, don Silvio La Ciura, Zòsimo, Neli Casaccio, dolorose figure di vittime sacrificate alla sua gelosia, al suo orgoglio, alla sua impenitenza. Rocco, bruno, con neri capelli folti, con occhi nerissimi, penetranti, con impeto di virilità che scattava nella parola e nei gesti, eppure devoto a lui, altero di sentirsi chiamare Rocco del marchese , e in atto di ripetergli le parole di quel giorno. «Come vuole voscenza !». Agrippina Solmo, chiusa nella mantellina di panno scuro, che andava via singhiozzando, ma con un cupo rimprovero, quasi minaccia, nello sguardo. Don Silvio La Ciura, steso sul cataletto, col naso affilato, con gli occhi affondati nelle occhiaie illividite dalla morte, la bocca sigillata per sempre, come egli si era rallegrato di vederlo, davanti a la cancellata del Casino , tra la folla. Zòsima, con quella bianchezza smorta, con quel sorriso di tristezza rassegnata, che non osava ancora credere alla sua prossima felicità, con quel diffidente «Ormai!» su le labbra, che in quel punto gli sembrava profetico: «Ormai! Ormai! ... ». Come avrebbe potuto avere il coraggio di associarla alla sua vita, ora che egli si sentiva alla mercé di una vindice forza, avverso alla quale non poteva nulla? ... No, no! Doveva espiare, solo solo, non procurarsi un nuovo rimorso travolgendo quella buona creatura nella inevitabile ruina! Inevitabile! ... Non sapeva da che parte, né da parte di chi, né come, né quando; ma non poteva più dubitare che una parola rivelatrice sarebbe pronunciata, che un castigo gli sarebbe piombato addosso presto o tardi, se non si fosse volontariamente imposta una penitenza, un'espiazione, fino a che non si sentisse purificato e perdonato. Don Silvio gli aveva detto: «Badate! Dio è giusto, ma inesorabile! Egli saprà vendicare l'innocente. Le sue vie sono infinite!». E con l'accento di queste parole gli risuonava nell'orecchio anche il ricordo del vento che scoteva le imposte della cameretta, e passava e ripassava via pel vicolo, urlando e fischiando. Non osava più alzarsi dalla seggiola, con la strana sensazione che la sua camera fosse diventata una prigione murata da ogni parte, dove lo avrebbero lasciato morire di terrore e di sfinimento, com'era morto Neli Casaccio, immeritatamente, in scambio di lui. Si era lusingato di sfuggire alla giustizia umana e alla divina, dopo che i giurati avevano emesso il loro verdetto; dopo che don Silvio era stato reso muto prima dal suo dovere di confessore, poi dalla morte; dopo ch'egli si era illuso di essersi sbarazzato di Dio, della vita futura e di avere acquistato la pace con le dottrine e con l'esempio del cugino Pergola ... E, tutt'a un tratto! ... O aveva sognato? ... O continuava a sognare a occhi aperti? Sentì il primo cinguettio dei passeri sui tetti, vide infiltrarsi a traverso gli scuri mal chiusi del balcone il chiarore dell'aurora, e gli parve di destarsi davvero da un orribile sogno. Spalancò l'imposta, respirò a larghi polmoni la frescura mattutina, e sentì invadersi da un dolce senso di benessere di mano in mano che la luce del giorno aumentava. I passeri saltellavano, si inseguivano sui tetti, cinguettando allegramente; le rondini gorgheggiavano su la grondaia, dove avevano appesi i loro nidi; pel vicolo, per le case riprendeva il rumore, l'affaccendamento della vita ordinaria. E il sole, che già dorava la cima dei campanili e delle cupole, scendeva lentamente, gloriosamente sui tetti, faceva venire avanti, quasi le ravvicinasse, le colline lontane, le montagne che formavano una lieta curva di orizzonte attorno alle colline che digradavano e si perdevano nella vasta pianura verde, coi seminati qua e là luccicanti di rugiada, nell'ombra. Con la crescente luminosità del giorno, i tristi fantasmi che lo avevano contristato durante la nottata si erano già dileguati. E appena gli tornò davanti agli occhi la figura del cugino Pergola, col berretto bianco, di cotone, calcato fin su le orecchie, il collo circondato d'empiastri sorretti dalla grigia fascia di lana, seduto sul letto, appoggiato al mucchio dei guanciali, col viso congestionato e gli occhi rigonfi, quella risata che colà, nella camera, tra le candele ardenti sui candelabri di legno dorato attorno alle teche delle reliquie e al cordone di argento del Cristo alla Colonna, quella risata che gli era stata soffocata in gola, più che dal turbamento, dalla presenza dell'afflitta signora e dei bambini, gli scoppiò ora irrefrenabile in faccia al cielo azzurro, luminoso, in faccia alle cupole, ai campanili, alle case di Ràbbato, alla campagna, alle colline; e senza nessuna amarezza di delusione, quasi finalmente comprendesse di aver ecceduto, di essersi lasciato vigliaccamente impressionare anche lui! E apriva soddisfatto i polmoni a lunghi respiri di soddisfazione!

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