Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassando

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Le buone maniere

202927
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Essi o chiedono un favore con insistenza dicendo che voi solo potete farglielo, e nel tempo stesso vi fanno comprendere che è una cosa da nulla, abbassando il valore della cosa richiesta; o vogliono sapere gli affari vostri e qual libro leggiate e chi avete veduto in quel giorno, o quanto avete speso pel vostro abito o per le derrate; essi vi troncano la parola in bocca, vi contraddicono, rettificano il vostro racconto, vi vogliono parlare in segreto, si vantano, hanno veduto tutto essi, sanno tutti essi i segreti, gli affari, i dolori, i piaceri del prossimo dall'a alla zeta; vi dicono dove e da chi si son recati in quel giorno e le cose più riservate di cui hanno parlato. Se avete fatto fare il vostro ritratto, ve ne domandano una copia, se avete scritto un libro ne vogliono un esemplare, se ne hanno (per disgrazia) fatto uno essi, vi chiedono una recensione, il vostro parere, il che vuol dire un elogio, una gonfiatura, un'apoteosi: e questo è ancora il minor male; spesso vogliono infliggervi lo spasimo d'una lettura, durante la quale vi sentite morire di noia e di rabbia compressa. Se sono specialisti, non sanno parlare e dire che di quella tal cosa di cui si occupano, e se pel Conte Zio tutte le strade conducevano a Madrid, e per il mondo tutte le strade conducono a Roma, per essi tutto serve per arrivare alla loro specialità prediletta. Se parlate un po' forte, un po' animato, vi dicono: «per carità calmatevi, ciò vi può far del male»; se un balbuziente è costretto a parlare con essi o un timido o un novizio, lo spronano con degli avanti! bene! e poi! e lo confondono fino alle lagrime; se avete un abito nuovo, ve lo criticano e vi dicono costa troppo, o troppo poco, o il taglio va male, ed è lungo, è corto, voleva così e così; se avete un piacere noto a tutti, di cui tutti parlano e si rallegrano e vi fanno felicitazioni, essi tacciono, dissimulano, portano via il discorso, fanno gli scordati, i noncuranti, gli indifferenti; e se avete un affanno, prendono gusto a ricordarlo a tutti e a voi stessi, compassionando, incoraggiando, mostrando un'aria di pietà e di protezione che vi offende: parlano del vostro nemico con ammirazione, del vostro amico con dispregio, di voi abbassandovi, di sè gloriandosi, del mondo come se essi soli avessero il diritto di starci, delle persone di casa loro come se facessero testo; e in presenza di altri si raccontano tra di loro dei fatti intimi di un tale che conoscono essi soli e che evidentemente si erano raccontati le mille volte, e che non dovevano ad ogni modo venirsi a raccontare in casa vostra. Se li fate entrare durante il pranzo, tanto per non farli impermalire, toccano la vostra tovaglia, il pane, le vivande; e pare proprio scelgano quell'ora per farvi visita, senza pensare che taluni sono ghiotti, taluni parchi, taluni prodighi, taluni avari e che non vogliono far sapere i loro gusti ad alcuno. Talvolta questi messeri appartengono alla specie pericolosa dei gloriosi; che battono nella tasca, mostrano il portamonete, si vantano dei loro possedimenti, dei loro avi, dei loro parenti ed affini, della confidenza che godono con grandi personaggi, del potere che esercitano sui dicasteri, e vi ripetono le spiritosità che hanno detto nella tale e tal'altra occasione, esigendo da voi l'applauso, il riso, il rallegramento. Talvolta ancora vi domandano un prestito, un piacere, un libro, la macchina da cucire, il vostro abito per cavarne il modello, il vostro merletto per cavarne il disegno; e infine vi molestano con quella specie di ricatto, che è il forzar la mano alla vostra cortesia, profittando della loro sfacciataggine contro la vostra buona educazione. Se il servo sbaglia, non la finiscono più di garrire in presenza dell'ospite; se voi senza volere avete fatto cosa che a loro spiaccia, non cessano di ritornare sul punto; se si sono dimenticati un nome o una data, stanno lì a cercarla, troncando la conversazione con degli aiutatemi a dirlo, con interminabili esclamazioni e insistenze, stringendo gli occhi e picchiandosi la fronte. Se voi conoscete un personaggio, vogliono essere presentati; se partite per un viaggio, vi caricano di commissioni e perfino vi dànno delle lettere da recapitare. In questo caso non si può biasimare un uomo di spirito, il quale offrì a uno di questi signori tre soldi per comperarsi il francobollo. Vi presentano talvolta un loro amico senza chiedervene licenza; e a farlo apposta ve lo presentano in quella stessa sera che avete un nucleo di invitati; e subito mettono bocca nei discorsi, stonatamente, senza misura e senza freno. Qualche volta si spingono ad atti anche più incivili; si ripuliranno i denti o le unghie; o si strofineranno le orecchie o si asciugheranno il sudore col fazzoletto in vostra presenza; si stenderanno nella vostra poltrona brancicando la spalliera o i bracciali; gireranno le loro dita l'uno intorno all'altro: faranno uno sbadiglio cavernoso... che fa sbadigliare solo a pensarci; o parleranno sempre, sempre, sempre, di cose insignificanti o per voi o per essi, ripetendosi e intercalando lunghe parentesi inutili; poi fischieranno tra i denti o canterelleranno cose da far ammalare d'itterizia un frate gaudente. Guai a voi se per disgrazia appartengono a qualche associazione benefica e pia! Non finiranno mai di spingervi sulla via della virtù e della carità; e all'epoca dei concerti e delle fiere di beneficenza, vi seppelliranno sotto una valanga di biglietti, di inviti, di partecipazioni, per cui ci vuole un coraggio da eroe a sottrarsi. Nel medio evo usava il trombone: uno si metteva dietro la siepe e diceva: o la borsa o la vita. Ma c'era un modo di schermirsi: se uno non si esponeva in strade fuor di mano o in luoghi solitarii, poteva entrare in casa ancora tutto intiero. Ora succede il contrario, e specialmente le signore si rendono colpevoli di tali e tante aggressioni a mano non armata, che si possono iscrivere nei registri dei ricattatori in guanti bianchi. È vero che hanno l'attenuante della carità, ma la carità si può praticare tanto diversamente, che sarebbe una cosa molto lodevole di darne delle lezioni in iscuola. Ciò sarebbe più utile di molte altre scienze. Il modo di praticare la carità sarebbe uno studio complessivo dei costumi e dei sentimenti: esso renderebbe più soave il cuore e più illuminato l'intelletto: esso servirebbe altresì a moderare impeti che sembrano generosi e in gran parte anche lo sono, ma hanno anche una certa dose di vanità e di egoismo, che lungi dal movere la gratitudine nei cuori dei beneficati, rendono più acre l'asprezza, più cocente l'invidia. Tutte queste cose ed altre consimili costituiscono il segreto di rendersi insopportabili alle persone per bene: sarà quindi necessario di fare uno scrupoloso esame di coscienza per evitare a noi la colpa e il rossore di averle commesse, agli altri il dispiacere di doverci tollerare o il disgusto di dover chiudere la porta davanti a coloro, che non sanno nè comprendere il loro ambiente morale, nè stare attenti a conformare le loro azioni ai dettami della civiltà e della buona educazione.

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Passa l'amore. Novelle

241446
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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E lo zi' Pecoro sparava senza saper dove, tra il fumo, abbassando la testa a ogni fischio di palla. Ed ecco, dai fianchi, cannonate, fucilate! E uno sbandarsi improvviso: gente che scappa quasi impazzita, urli, bestemmie, uomini che cadono come mosche, e il leprino, sanguinante, che grida: - Zi' Croce, fratello mio, non mi abbandonate! Essere scampati vivi da quell'inferno gli era parso un miracolo. - Zi' Croce, fratello mio, non mi abbandonate! Il leprino aveva una palla nella coscia; e lo zi' Croce ora lo reggeva col braccio, ora lo prendeva su le spalle; così si erano trovati alla riva del Fiume Grande, tra una gran calca di fuggiaschi, con un immane ingombro di carri, di carrozze, di animali, e uomini, donne, vecchi, fanciulli, d'ogni condizione, tutti col terrore del massacro in viso, tutti con gli occhi rivolti verso Catania che bruciava e fumava sinistramente nella notte serena, lontano, quasi l'Etna, squarciati i suoi fianchi, riversasse sulla città fiumi di lava.

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- rispose il barone abbassando gli occhi. Don Emanuele tirò il cassetto del tavolino e presa una manciata di monete di rame, carlini, pezzi di sei grani e di due grani, contava: - uno, due, tre.... Sei tarì vi bastano? - Per due settimane. Prendetene nota. - Campate di vento! - esclamò don Emanuele, crollando compassionevolmente la testa. E mentre il barone ritirava con mano tremula i quattrini, prendendo una dopo l'altra le pilette dei tarì e mettendole in tasca, egli faceva quattro rapidi sgorbi sur un quadernetto dove si allineavano filze di cifre significanti altri e altri tari somministrati al barone durante la lite, e tutte le spese anticipate per lui, da riprendere assieme con gli onorari a lite vinta e finita. Questo, insomma, voleva dire che il procuratore legale era sicurissimo del buon esito di essa; ma voleva anche dire che quel povero vecchio gli ispirava profonda pietà, ridotto quasi a mendicare dalla cattiveria della moglie e dei figli. Moglie o figli si erano ribellati contro il barone appunto per quella lite, che durava da dieci anni, e nessuno poteva prevedere quando sarebbe terminata. Il marchese di Camutello, cugino del barone e suo avversario, prima gli aveva messo l'inferno in famiglia per mezzo del confessore della baronessa, facendole dipingere a nerissimi colori l'avvenire della casa poi aveva proposto, con lo stesso mezzo, una transazione. - Un'infamia! - diceva il barone. - Piuttosto farsi tagliare le mani, che sottoscrivere quell'attentato ai sacrosanti diritti della baronia di Fontane Asciutte e Cantorìa. Finchè campo io!... Ma dopo sei mesi di terribile lotta, un giorno, per le silenziose stanze del palazzo Zingàli erano risuonati urli di voci maschili, strilli di voci di donne che si udivano fin dalla via e facevano fermare la gente.

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