Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassando

Numero di risultati: 12 in 1 pagine

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Passa l'amore. Novelle

241446
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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E lo zi' Pecoro sparava senza saper dove, tra il fumo, abbassando la testa a ogni fischio di palla. Ed ecco, dai fianchi, cannonate, fucilate! E uno sbandarsi improvviso: gente che scappa quasi impazzita, urli, bestemmie, uomini che cadono come mosche, e il leprino, sanguinante, che grida: - Zi' Croce, fratello mio, non mi abbandonate! Essere scampati vivi da quell'inferno gli era parso un miracolo. - Zi' Croce, fratello mio, non mi abbandonate! Il leprino aveva una palla nella coscia; e lo zi' Croce ora lo reggeva col braccio, ora lo prendeva su le spalle; così si erano trovati alla riva del Fiume Grande, tra una gran calca di fuggiaschi, con un immane ingombro di carri, di carrozze, di animali, e uomini, donne, vecchi, fanciulli, d'ogni condizione, tutti col terrore del massacro in viso, tutti con gli occhi rivolti verso Catania che bruciava e fumava sinistramente nella notte serena, lontano, quasi l'Etna, squarciati i suoi fianchi, riversasse sulla città fiumi di lava.

Pagina 195

- rispose il barone abbassando gli occhi. Don Emanuele tirò il cassetto del tavolino e presa una manciata di monete di rame, carlini, pezzi di sei grani e di due grani, contava: - uno, due, tre.... Sei tarì vi bastano? - Per due settimane. Prendetene nota. - Campate di vento! - esclamò don Emanuele, crollando compassionevolmente la testa. E mentre il barone ritirava con mano tremula i quattrini, prendendo una dopo l'altra le pilette dei tarì e mettendole in tasca, egli faceva quattro rapidi sgorbi sur un quadernetto dove si allineavano filze di cifre significanti altri e altri tari somministrati al barone durante la lite, e tutte le spese anticipate per lui, da riprendere assieme con gli onorari a lite vinta e finita. Questo, insomma, voleva dire che il procuratore legale era sicurissimo del buon esito di essa; ma voleva anche dire che quel povero vecchio gli ispirava profonda pietà, ridotto quasi a mendicare dalla cattiveria della moglie e dei figli. Moglie o figli si erano ribellati contro il barone appunto per quella lite, che durava da dieci anni, e nessuno poteva prevedere quando sarebbe terminata. Il marchese di Camutello, cugino del barone e suo avversario, prima gli aveva messo l'inferno in famiglia per mezzo del confessore della baronessa, facendole dipingere a nerissimi colori l'avvenire della casa poi aveva proposto, con lo stesso mezzo, una transazione. - Un'infamia! - diceva il barone. - Piuttosto farsi tagliare le mani, che sottoscrivere quell'attentato ai sacrosanti diritti della baronia di Fontane Asciutte e Cantorìa. Finchè campo io!... Ma dopo sei mesi di terribile lotta, un giorno, per le silenziose stanze del palazzo Zingàli erano risuonati urli di voci maschili, strilli di voci di donne che si udivano fin dalla via e facevano fermare la gente.

Pagina 86

Documenti umani

244421
Federico De Roberto 2 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
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Come restava lì, impalato, dietro le spalle del Natali, questi cominciò a soffiare, e abbassando pennelli e tavolozza: - Se non ti levi di lì - esclamò - non potrò fare più nulla. - Sarebbe un peccato. E, scostatosi, l'Albani si guardò attorno, in cerca di una sedia. L'impresa non era agevole. Un'artistica confusione regnava nello studio, e i drappi dai colori smaglianti, i costumi antichi, i libri dalle ricche legature, gli album di fotografie, le scatole dei colori si ammonticchiavano sopra le quattro o cinque sedie spaiate e di vecchio modello che parevano perdute nella vastità dello stanzone. Solo un teschio mancante delle mascelle troneggiava sopra uno sgabello di legno scolpito, accanto alla mensola rococo. L' Albani si diresse da quella parte, prese il teschio per le occhiaie e si mise a sedere. Allora, il silenzio si fece profondo. Nascosto in fondo a un aranceto, invisibile dalla stradicciuola per la quale i carri non potevano passare, lo studio del Natali era un vero romitaggio. - Ci siamo! - esclamò finalmente il pittore, dopo una mezz'ora di lavoro silenzioso, e buttati da canto tavolozza e pennelli, levatosi in piedi e indietreggiando di qualche passo con una mano sugli occhi a guisa di visiera, si mise ad esaminare l'opera propria. Luigi Albani lasciò anche lui di misurare in tutti i sensi iI cranio che teneva ancora sulle ginocchia, lo posò sulla mensola, vi adattò sopra il suo cappello e si fece incontro all'amico. - Dunque, ti piace davvero? - chiese il pittore. - È un imbratto. Il Natali lo guardò un istante. Poi, scrollando le spalle: Ah, sì; hai ragione! Dimenticavo di parlare col maestro Albani. - Cioè, col critico più acuto dell'ex-regno delle Due Sicilie, - rispose l'altro, senza scomporsi. E avvicinatosi al quadro, accompagnando le proprie parole con gesti sobrii e compassati, riprese: - Prima di tutto, questa lava è di cioccolata; come réclame nelle scatole del Suchard sarebbe impagabile. Poi, il cielo è oleogratico e le nuvole sono di bambagia. Toccale, e vedrai che sfilaccicano. Ora, bisognerebbe parlare del soggetto.... - Eh! parliamone pure! - esclamò il pittore sorridendo. E accesa una sigaretta, sedette incrociando una gamba sull'altra e guardando curiosamente l'Albani. - II soggetto, a tuo vedere, dovrebbe essere pieno di filosofia; il fiore nel deserto, l'antitesi eterna della natura che sorride mentre tende le sue insidie, o che insidia mentre sfoggia i suoi sorrisi - a piacere. Sta bene. Solamente, per maggiore intelligenza, ti consiglierei di imitare quel pittore polacco che, esponendo un quadro rappresentante L'ultima composizione di Mozart, faceva eseguire, da suonatori nascosti dietro la tela, la Marcia funebre del maestro. Se vuoi, potrei declamare io stesso i versi del Leopardi. E, passando dall'altro lato del cavalletto, il maestro Albani cominciò:

Poi, abbassando lentamente le palpebre, con voce fievolissima, rispose: - Una volta.... fui molto amata.... - Ah! - Andrea! Perchè non mi guardi?... Che cosa ti ho detto?... Ti ho fatto male? Oh, non sei stato tu che l'hai voluto?... Andrea, io non ti conoscevo, allora!... Ne è passato del tempo!... Io sono vecchia; il torto è tuo, di esserti innamorato di una vecchia!... Ma ridi, parla, guardami una buona volta, in nome di Dio!... Egli restò a guardarla a lungo, muto, immobile. La baronessa non poteva sostenere la fissazione di quello sguardo. Due volte, tre volte, ella aveva fatto battere le palpebre sugli occhi stanchi, ma tutte le potenze dell'uomo parevano concentrate nella facoltà visiva. Poi, lentamente, egli avvicinò le labbra alla fronte di lei, vi depose un bacio lievissimo; e, chiudendole la bocca con la mano per impedire che ella nulla dicesse, uscì. Quella bocca era stata baciata! Quella fronte era stata baciata! Quelle mani erano state baciate! Quegli occhi avevano visto altri uomini in ginocchio dinanzi a quelle forme adorate! Dietro quella fronte, dei ricordi d'amore - di altri amori! - si svolgevano nell'istante preciso ch'egli metteva tutta l'anima nel parlarle dell'amore di lui! Quelle orecchie avevano sentite altre parole d'amore! Quelle labbra ne avevano pronunziate delle altre!... Ah! non era vero ch'ella fosse nata soltanto il giorno che era stata sua! Il passato esisteva, e fatale, irreparabile! Ah! ella aveva bene indovinato, prevedendo ch'egli sarebbe stato geloso del suo passato! Geloso egli lo era, e tanto più tormentosamente, quanto più inafferrabile era l'oggetto della sua gelosia. Disputarla ad un rivale presente, dare tutto il proprio sangue per conquistarla: che cosa sarebbe mai stato di fronte alla tortura del saperla stata già di altri, di non poterle cancellare dalla memoria il ricordo di altri? Egli non era più solo nel suo pensiero! Chi erano, quanti erano questi altri? Impossibile ancora saperlo; più presto egli si sarebbe fatta strappare la lingua, che chiederlo a qualcuno, che chiederlo a lei. Come infliggere alla donna idolatrata il tormento di rievocare una storia di pianto? Come sopportarne lui stesso il racconto? E perchè?... Noti od ignoti, i fantasmi inafferrabili di quegli uomini vagavano ancora intorno a lei; per le stanze, nel santuario suo, egli sentiva che la chiamavano: Costanza - come lui! che le parlavano di tu, come lui! Egli li vedeva, in attitudini familiari, avvicinarsi a lei! abbracciarla! baciarla!... Egli aveva paura di sedere dove quegli altri si erano seduti, di muoversi come gli altri si erano mossi, di parlare come avevano parlato. Con la sua sola presenza, egli contribuiva a ridestare più chiari, più netti, i ricordi di lei! E tra i ricordi del passato e le impressioni del presente un paragone doveva necessariamente determinarsi! L'amor suo infinito veniva dunque misurato, in ogni parola, in ogni gesto, in ogni bacio!... Dal posto dove se ne stava abbandonata, la baronessa lo attirava a sè; ma tutte le volte uno sforzo formidabile su sè stesso poteva soltanto deciderlo ad avvicinarsi a lei. Quando egli le si avvicinava, i fantasmi si frapponevano, glie la disputavano, lo afferravano con la loro gelida mano, facevano morire il suo bacio, scioglievano le sue braccia allacciate intorno alla vita di lei. E come più cresceva lo strazio dell'uomo dinanzi alla propria impotenza contro quella persecuzione, più lamentosa si faceva la voce della donna: - Andrea, tu non mi ami più!

Pagina 40

Il romanzo della bambola

245553
Contessa Lara 1 occorrenze
  • 1896
  • Ulrico Hoepli editore libraio
  • Milano
  • Verismo
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camera di stoffa forata, come l'usavano i nostri bisnonni, il quale si cavava l'orologio dal taschino del panciotto, e abbassando il capo canuto per antica bambagia, Io guardava e gli faceva batter l'ore, come si fa con gli orioli a ripetizione. In pari tempo, sur un teatrino meccanico si eseguiva una pantomima, dove a Pulcinella, ladro, secondo il solito, toccava un fracco di legnate, ch'egli si meritava; e più in là dei Beduini a cavallo, co' visi neri come il carbone e i bianchi mantelli al vento, galoppavano sotto gli alberi d'una strada di campagna, infilavano una porta ad arco e sparivano, per tornar a comparire di nuovo in fondo alla strada, sempre di corsa: una corsa che non s'arrestava mai. La calca cresceva ogni momento. - Oh, mamma, guarda come è carina quella bambola che sona il piano - esclamò una fanciulletta accanto al signor de' Rivani. Guardò anche lui dalla parte che la piccola mano additava; e la bambola gli parve carina davvero. Era quasi alta un metro, vestita d'un costume celeste, da ballo. Su' capelli, pettinati all'ultima moda, le si alzava un gruppettino di penne bianche; allo scollo, e su la sottana a strascico, portava delle trine tutte pieghe leggiere. La pupattola guardava verso la Galleria fisso fisso. In una manina, inguantata di bianco, teneva con gesto civettuolo un occhialino d'oro a lungo manico; appoggiava l'altra manina su la tastiera del pianoforte - un pianoforte da bambole - come chi cerca ricordarsi un accordo musicale. Il signor de' Rivani entrò nel magazzino e chiese che gli si facesse vedere la bambola celeste. Quella sì che sarebbe stata una bella cosa agli occhi della sua Marietta. Subito un commesso ritirò il giocattolo dalla mostra; e chi era di fuori vide una mamma farsi largo tra la folla per condur via una bimba piagnucolante, alla quale ella badava a ripetere: - Te ne compro un'altra, se sei buona, te ne compro un'altra! - No, voglio quella, io, quella che prende quel signore!... È la più bella di tutte!... Di fatti, la bambola scelta dal babbo della Marietta era proprio fra le più belle che si possano vedere. Il mercante ne chiese cinquecento lire. - È un po' cara! - disse, con un sorriso bonario, il signor de' Rivani. - Creda, anzi, che non è affatto cara - rispose subito il commesso - perché, osservi bene, è tutta di pelle di guanto carnicina; muove le gambe, le braccia, la vita, come si vuole; gira la testa, alza e abbassa gli occhi; ha i capelli veri, non di seta, sa? Chiama Mamma! tirando questo spago, vede? E dice anche T'amo!, tirando quest'altro. Poi non ha soltanto questo vestito; ha un ricco guardaroba; adesso glie lo mostro. Vede? Un abito da corse, di seta scozzese, col cappello grande guarnito di penne di struzzo; una veste da casa di crespo della China color limone e frange...; un abito da visita di velluto marrone ricamato d'oro, col cappello pure di velluto e penne di struzzo... - Va bene, va bene - l'interruppe il compratore - questo lo vedrà e lo ammirerà la mia bambina. Ma il commesso riprese: - Quanto al corredo di biancheria, è tutto di tela batista finissima, guarnito di pizzo vero!...vero, creda... - Lo credo, lo credo. - Sta in un baulino coperto di velluto, ch'è anch'esso un mobilino elegante... Vede, dunque, signore, che non è caro, tutto insieme... Il signor de' Rivani sorrise di nuovo, e pagò. Quando si trattava di far piacere alla sua Marietta, nulla gli pareva un sacrifizio. - Eccomi venduta! - pensò tra sè la bambola, mentre la involgevano delicatamente nella carta velina e la mettevano dentro una grande scatola di cartone piena di ovatta, come in un letto morbido e sicuro. E durante il viaggio da Milano a Roma, ch'ella fece sempre accanto al signor de' Rivani, stette come in un dormiveglia curioso, in cui alle memorie del passato s'univan le fantasticherie dell'avvenire. A dir vero, le memorie di codesta bambola non erano molte nè fino allora interessanti. Non avrebbe saputo precisare da quanti giorni o da quante settimane era nata: ma doveva essere al mondo da poco tempo, perchè tutto in lei era d'una modernità estrema. Si ricordava vagamente un grande laboratorio con tante donne che tagliavano, cucivano; cucivano, tagliavano... Il corpicino di lei, coperto, come aveva detto il mercante, d'una sottile pelle rosata, con le sue molle per giunture e un meccanismo nella pancia che le faceva dire due parole, a uso pappagallo, s'era completato con una testolina d'una leggiadria rara, abbellita da due larghi occhi azzurri di vetro. E quando ella ebbe su le spalle quella testolina dalla folta capigliatura bionda come il grano, sentì di aver acquistata un'anima; un'anima piccola, sì, molto soffocata tra la segatura che le riempiva il corpo, e impotente a manifestarsi in un movimento spontaneo, nella più leggiera vibrazione de' muscoletti di acciaio, ma, in fine, un'anima che aveva sensazioni piacevoli e dolorose, sentimenti d'affetto e d'avversione; qualche cosa tra l'anima de' fanciulli e quella delle povere bestie, che nè anch'esse possono parlare. A mano a mano che l'avevano vestita e fatta bella, la pupattola avea capito di poter fare un giorno o l'altro buona figura nel mondo; intorno a lei, nell'accomodarle addosso stoffe di seta e trine, c'era chi aveva detto: - È una principessina! - Allora, se lo confessava, le era venuta un po' d'ambizione; e l'ambizione era cresciuta quando ella fu posta quasi al centro della vetrina sfolgorante di luce, dove era rimasta esposta quattro o cinque sere davanti al pubblico estasiato della sua personcina. Guardava gli altri fantocci con superiorità. Non erano, certo, le contadine brianzuole quelle che potevano rivaleggiare con lei! Una marchesa del settecento appariva gentile nel suo gonnellino drappeggiato a fiorami e nastri rosei; una suora della carità era un modello d'esattezza, quanto al costume; ma la monaca, povera, s' intende, come tutte le monache, non aveva corredo; la marchesa aveva un lettino, non altro; Io scimiotto... Oh, lo scimiotto era un giocattolo per un maschio: come il cane barbone, come la carovana dei Beduini e tanti, tanti altri giocattoli. Dunque, lei era lì in mezzo una principessina; questo era vero; e non si curava di certe occhiate un po' canzonatorie che le dava il vecchietto dall'oriolo, scrollando il capo bianco davanti alla superba creaturina. Erano venute, in que' giorni, parecchie signore con delle bambine vogliolose a domandar di lei, ma nessuna se l'era portata via; a causa del suo prezzo, enorme per una pupattola. Chi, dunque, poteva essere il signore che l'aveva comprata? Pareva buono, e doveva esser più ricco di molti altri; sopra tutto si vedeva ch'egli adorava la sua figliuoletta, se per lei non badava a far certe spese. E la bambina, come l'avrebbe trattata? Purché non le avesse fatto troppo male! Le tornava in mente, a questo proposito, che nel nativo laborotorio, mentre la stavano vestendo, era stata riportata una bambola comprata due giorni avanti, alla quale la piccola padrona aveva aperto la pancia con le forbici, per vedere che cosa la facesse parlare quando le si tirava lo spago. Aveva tutto il ventre squarciato, la poverina, e versava segatura come gli uomini feriti versano sangue. Non si poteva accomodarla che male, disse una lavorante tra le più brave; e la pupattola era stata messa in un angolo, con le braccia aperte, come una morta... Brr! Uno strano brivido senza scossa apparente raggricciava la bella bambola! Dio mio, se anche a lei fosse toccata una sorte cosi infelice, quali sofferenze non viste, non intese, non indovinate da nessuno avrebbe dovuto sopportare. Chi mai, al mondo, sa quanto patiscono tante cose che ci sembrano insensibili? Cosi ragionava, tra' suoi sogni, la bambola, nell'oscurità della scatola, dove giaceva supina, immobile, in un rumore assordante, mentre il treno correva traversando tanto paese. Ogni volta che si fermavano a una stazione, ella credeva d'esser giunta a Roma; ascoltava, attenta, delle voci confuse... Ma no, no, non era Roma. E il treno ripigliava, rapido, il cammino; e il rumore, simile al brontolio cupo del tuono, ricominciava. Come Dio volle venne la volta in cui udì gridare: - Roma! Romaa!! - e di lì a un momento: - Avanti l'uscitaa! Ah, finalmente, erano giunti! La scatola della bambola venne afferrata da una mano ruvida. Era, certo, d'un facchino. - Fate piano! - esclamò la voce del signore che l'aveva comprata. D'improvviso, sonarono dolci parole interrotte da baci, da domande che s'incrociavano: - Babbo mio! - Ben arrivato! - Ben trovate, care! - Come stai? Hai fatto buon viaggio? - E voi, come state? - Come sono contenta, babbo! - Anch'io, tesoretto mio! - È la bambina alla quale son destinata! - pensava la pupattola. - Dimmi, babbo, m'hai portata una cosa bella, bella? - chiese la Marietta quasi a mezza voce. - No, me ne sono dimenticato - le rispose il padre, per celiare. - No, non è vero! Tu non ti scordi di me! - gridò la piccina con accento di sicurezza. Il babbo rideva, ripetendo: - Birichina, Io sai, eh? - È lì dentro a quello scatolone, babbo? - ripigliava la Marietta, messa in curiosità. - Non ti voglio dir nulla. Ora, a casa, vedrai. La carrozza di casa de' Rivani aspettava davanti alla stazione. I signori e la bambina vi salirono in fretta, e vi salì anche la pupattola dentro la scatola, occupando

Pagina 5

In Toscana e in Sicilia

245839
Giselda Fojanesi Rapisardi 1 occorrenze
  • 1914
  • Cav. Niccolò Giannotta, Editore
  • Catania
  • Verismo
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. - Eccellenza no - mi rispose, con un certo tremito nella voce e abbassando gli occhi. Dopo un breve silenzio riprese a dire, guardando il giovane che ormai era a molta distanza da noi: - Quello là è un bravo picciottu che lavora e guadagna bene. È poco tempo che è tornato da fare il soldato. Prima di partire dal paese, io non era ancor maritata, mi disse: - Sara, quando torno ci sposeremo. E se la buon'anima di mia madre non fosse morta, certamente l'avrei aspettato. Tornando, la prima cosa che pensò fu di cercar di me, e quando gli dissero che era maritata, jettò nu santiuni (disse una bestemmia). Dopo queste parole abbassò nuovamente gli occhi mentre il suo visetto rotondo era divenuto scarlatto. Poi soggiunse: - Meschino, mi conserva un po' di affezione; sa che son bisognosa, e ogni tanto viene a portarmi qualche cosuccia. Disse quest'ultima frase a reticenze e guardandomi come se avesse paura che io interpretassi malamente le sue parole, o cercasse d'indovinare l'effetto che mi avevano fatto. Il bambino principiò a piangere, a strillare in modo, che non ci lasciò più sentire quello che dicevamo. Seguitai la mia passeggiata, triste e commossa. Avevo letto più a fondo in quella povera anima, e vi avevo scoperta la vera causa dei suoi dolori. Pensavo a questo eterno romanzo del cuore, che si ritrova per tutto, in ogni classe sociale, dalla più alta alla infima, nella misera catapecchia e nello splendido palazzo, a questo amore che è sempre lo stesso, per diverse che siano le evenienze e l'ambiente in cui si svolge e respira, ma è lui, sempre lui che conduce gli avvenimenti più grandi come i più piccoli. In quell'istante mi sentii agghiacciare da un doloroso presentimento; mi voltai per rivedere ancora quell'infelice: si teneva il bimbo stretto stretto al seno e lo cullava per farlo acquietare. Senza spiegarmene la ragione, mi sentii gli occhi pieni di lagrime, ed il cuore gonfio di tristezza. Fu quella l'ultima volta che vidi la povera Sara.

Pagina 89

L'indomani

246319
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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. - Senti - disse la signora Oldofredi prendendole le mani e abbassando la voce in ragione inversa dall'emozione crescente - facciamo un'altra supposizione. Mettiamo una donna, una giovane donna libera di sè, e mettiamo pure che ella incontri sulla sua via l'amore. - Dunque c'è. - Ma Dio! - gemette la signora Oldofredi con tutta l'anima negli occhi - c'è il desiderio, il sogno, l'illusione! C'è l'istante del delirio, c'è la febbre che fa dimenticare tutto, lo spasimo per cui il piacere rasenta il freddo della morte; ma poichè tutto ciò passa, poichè non resta nulla dei più sinceri trasporti, poichè gli amanti finiscono col diventare stranieri l'uno all'altro e incontrarsi senza che più nulla trasalisca del loro cuore nè dei loro sensi, bisogna rinnegare l'amore, bisogna dire l'amore non esiste! Credi a me... credi, credi. Colle mani strette nelle mani si guardarono in fondo all'anima, misurando le loro disperazioni; la madre violentata per non poter dire di più, la figlia temendo di indovinare troppo. - Allora - fece Marta, tergendosi la fronte quasi un sudore improvviso l'avesse bagnata - non c'è nulla. In quel momento si arrestò ascoltando. La stessa sensazione che l'aveva fatta trasalire il giorno prima nella casuccia dei due contadini, si rinnovava. Sentiva le sue viscere commoversi sotto un impulso di persona viva, colla strana rivelazione di un altro essere in se stessa. Sembrava una piccola mano che battesse contro il suo seno, una piccola mano che voleva dire: Aprimi, io sono l'amore e la verità. - Gli uomini - continuò la signora Oldofredi, presa nella foga vertiginosa delle proprie' parole - conoscono presto l'amore, lo valutano per quello che è e passano oltre, attratti dalla ambizione, dagli affari, della vita pubblica. Ma anche noi non possiamo vivere nella continua illusione dell'amore; per questo abbiamo la religione e la maternità. E ancora l'amore, ma l'amore che si trasforma; l'ideale risale al cielo, mentre la parte materiale di noi si anima e vive della nostra stessa carne... Marta non udiva, delle parole di sua madre, che il bisbiglio. Colle mani raccolte sul grembo, le palpebre socchiuse, il corpo abbandonato nei guanciali, aveva l'apparenza della più gran calma, ma un brivido la scuoteva internamente, un brivido e una puntura. Vedeva ancora quell'amplesso, quel bacio... come dubitarne, se tutto il suo essere ne era stato scosso, se all'improvvisa rivelazione aveva compreso, lei già donna, il mistero della virginità, quel mistero che è il segreto di Dio e che l'amore solo comunica agli uomini? Lievi lagrime brucianti sfuggivano dalle sue palpebre. - Marta! Marta! - Chiamava la mamma, curva su di lei, divinatrice amorosa della lotta che si combatteva nel di lei cuore. Marta, senza parlare, ripeteva fra sè: Sarà il raggio che sfolgora e muore, sarà l'illusione che passa, sarà il sogno, il delirio di un istante; pure esiste. Raggio che non scalda tutti i cuori, sogno che non rallegra tutte le notti... Ma intanto la piccola mano ripeteva con insistenza: Apri, io sono l'amore e la verità. E Marta rivedeva, in una specie di visione magnetica, la bella campagna estiva, gli alberi frondosi ramificanti sopra lo sfondo azzurro e un meschino insetto che tendeva i suoi fili d'argento. Spezzato un filo gettava l'altro, e un altro ancora e ancora, sempre avanti, la tela prendeva proporzioni gigantesche, i fili abbracciavano tutto il creato, salivano ad altezze vertiginose, toccavano il cielo. Era la vasta tela della vita umana, il lavoro ogni giorno rinnovato di chi soffre e combatte; il lavoro temerario che poggia nel vuoto guardando arditamente la luce; lo sforzo immane di milioni di esseri, intelligenze torturate, cuori spasimanti, schiavi in pena, tutti sorgenti dalle loro catene, tutti lanciando il loro filo d'argento al misterioso Ignoto. E i fili si spezzano, e la tela si strappa e la felicità dondola sempre sospesa all'impalpabile bava di un aracnide. Che importa? Tutto muore, tutto nasce, tutto cambia, tutto si rinnova, le tombe scoperchiate servono di culla, i cuori insanguinati e piangenti danno nuovo sangue e nuove lagrime alla vita. Avanti, coraggio! FINE.

Pagina 185

Il drago. Novelle, raccontini ed altri scritti per fanciulli

246676
Luigi Capuana 1 occorrenze
  • 1895
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
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— Per lo zucchero, — rispose Bice con un fil di voce, abbassando gli occhi. — Come, per lo zucchero? Nessuno dei due bambini rispondeva. La signora Elvira replicò la domanda e soggiunse: — Chi ve l'ha comprato? Non mi sona mai accorta che ne mancasse dal barattolo, — ella spiegò agli invitati.• — Non lo abbiamo nè comprato, nè sottratto, — balbettò Neo. — O dunque? Vi è piovuto dal cielo? — soggiunse la signora Elvira, che cominciava a sospettare qualche sconveniente monelleria del figliuolo. Bice, facile al pianto, aveva i lucciconi agli occhi; Neo restava lì muto, imbarazzato. Intervenne Maddalena che sapeva la cosa. Per un anno intero, Neo aveva bevuto senza zucchero affatto, e Bice con poco zucchero, il caffè e latte della colazione; e il croccante rappresentava trecento sessantacinque giorni di questo non piccolo sacrificio di gola per quella piacevole sorpresa alla mamma. La signora Elvira era commossa e gl' invitati pure. Bice e Neo si erano nascosti con le mani la faccia, quasi avessero fatto qualcosa di male. In quel momento la mamma perdonò facilmente al figlio tutte le cattiverie dell'annata. Peccato che poi egli ricominciasse peggio di prima!

Pagina 135

Una notte d'estate

249446
Anton Giulio Barrili 2 occorrenze
  • 1897
  • Enrico Voghera editore
  • Roma
  • Verismo
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Per guarire di quest'incomodo non c'è rimedio migliore; - soggiunse il magninco Gian Luca, abbassando un po' il tono. - Cosi è accaduto una volta anche a me. Li ho avuti ancor io, i vostri grilli pel capo. E il mio signor padre me ne guarì, dandomi moglie. Lassù, mi disse quel degno gentiluomo, lassù nel castello der vostri maggiori, lontano dalla vista degli importuni, farete il nido, magari la buca pei i vostri grilli. Così voi, signorino; lassù, nel castello della famiglia. Sian grilli, o merli, abbiatene mezza dozzina come è toccato a me, poveraccio; e vi passeranno, ve lo prometto, vi passeranno, come son passati a me, che ci son diventato vecchio, col senno di più, e la giovinezza di meno. - Oh, io non farò senno mai più! - gridò fra i ,singhiozzi il povero Geronimo, che ancora non aveva capito. - Eh, v'intendo, v'intendo! - rispose il magnifico Gian Luca. - L'ho veduta pur io, quella vostra Arduina. - L'avete veduta, padre mio? L'avete veduta, e non vi siete commosso a pietà? - Per lei? No davvero, non c'era ragione. - Ma per me... ma per me... - Voi non meritereste altro che d'essere mandato a viaggiare, da solo. - Da solo? E non mi ci mandate, da solo? - esclamò Geronimo, che incominciava a capire. - Dunque... dunque, poichè l'avete veduta... - Poichè l'ho veduta, gran sciocco che siete, ho acconsentito di parlare a quel vecchio matto di Bendinello, mio buon collega ed amico. Andate, e preparatevi ad una felicità che non avreste meritata. Mi sa mill'anni di vedervi metter giudizio. - Geronimo Balbi baciò la mano al padre, con una devozione che mai la maggiore. Il povero giovinotto era fuori di sè dalla gioia. E più doveva essere, quando, venuto qui nella sua camera e affaciatosi alla finestra, vide Arduina al suo davanzale. Per quella volta, non si contentò egli di mandarle un bacio colle dita d'una mano; glie ne mandò con tutt'e due, a diecine. La bella Arduina non poteva fare altrettanto, da quella savia e costumata ragazza che era. Si pose in quella vece una mano sulI cuore, e sorrise.

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Fu grande lo stupore del signor Ascanio, ravvisando al lume delle due lampade un piccolo, anzi un minuscolo uomo, che alzando ed abbassando un minuscolo martello, tempestava di colpettini secchi il coperchio di una minuscola cassa. Il piccolo personaggio, più piccolo del più piccolo tra i nani, era vestito alla leggera, d'una tunichetta succinta, che gli scendeva appena al ginocchio. Dai lembi di questa spuntavano due gambettine eleganti, ben nutrite nella loro sottigliezza, come le zampe d'una cavalletta, rimpolpata da due settimane di pastura all'erba tenera; due gambettine che andavano a finire in due borzacchini di cuoio rosso, dalle punte affilate e volte all'insù come due piccoli uncini. Una mantellina corta, a foggia di clamide, gli si rigirava intorno al petto, ricadendo con un capo dalla spalla sinistra; ed anche quella era rossa, come era rosso il cappello, di bassa testiera e di larga falda, simile a quello dei Romani antichi e dei cardinali in viaggio. Rimase male, il signor Ascanio Denèa, vedendo quella strana apparizione; e stette parecchi minuti secondi, che gli parvero secoli, come impietrito, a guardare. Che in quella casa ci fossero le paure, Io aveva pensato più d'una volta, sentendo tutti quegli scricchiolii, colpettini secchi, fischi sottili, frulli misteriosi ed altri inesplicabili rumori notturni, di cui si accusano ordinariamente a giorno chiaro i tarli, i sorci, i ragni canterini, gli orologi della morte, l'umidità, l'arsura, i riscontri d'aria, le folate di vento tra le fessure degli usci. Ma se lo aveva pensato, aveva anche riso delle sue supposizioni. E ora? Ora, bisognava arrendersi alla evidenza; c'erano le paure. Ma non per lui, vivaddio! Già, le paure non son più paure, e non devono farne alcuna, quando si è veduto in faccia e misurato il pericolo. Un nano, poh! anzi incito di un nano. - Che novità è questa? - brontolò il signor Ascanio, tanto per cominciare. - E tu, per tutti i settemila, chi sei? -

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Una peccatrice

249586
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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Pietro fissò uno sguardo sull'amico, poi un altro sulla signora ch'era già molto lontana, e rispose semplicemente, abbassando il capo: - Maddalena non sa neanche annodarsi il nastro del cappellino come colei. - È graziosa! - esclamò Raimondo. - Dunque ameresti dippiù una donna che avesse bisogno, per essere amata, d'impiegare prima due ore allo specchio? - Sì, lo confesso... Chiamala anche civetteria, o ciò che vuoi; nella donna che dovrei amare io vorrei tutte queste cure minute, tutte queste precauzioni delicate, tutte le perfezioni dello spirito e le squisitezze dell'educazione, tutti questi dettagli dell'assieme, insomma, che servirebbero a formarmi l'aureola della donna che dovrei avvicinare colla riverenza e il delirio dei sensi, che tal prestigio dovrebbe recarmi, poichè a riverenza del cuore io non l'ho più. Io amo nella donna i velluti, i veli, i diamanti, il profumo, la mezza luce, il lusso... tutto ciò che brilla ed affascina, tutto ciò che seduce e addormenta.. tutto ciò che può farmi credere, per mezzo dei sensi, che questo fiore delicato, del cui odore m'inebbrio, che mi trastullo fra le mani, non nasconde un verme; che quest'essere non è come il mio, debole e creta... E allora io l'amerei... un giorno, un'ora, ma l'amerei... Quanto alle altre donne, le amerò allorchè scoprirò un cuore nella donna. Pietro, dopo questa scappata, rimase muto alcuni altri secondi, aspirando voluttuosamente, colle narici dilatate, il fumo del sigaro, come se attraverso quella nube cenerognola volesse discernere le forme indecise del tipo che avea ornato di tale incanto nella sua imaginazione. Poscia, come arrossendo del suo trasporto, si mise a ridere fragorosamente, esclamando: - Che ne dici della mia tirata, Pilade? - Non è cosa nuova in te. Dimentichi troppo spesso che sei scritto sul ruolo degli studenti di terzo anno in legge, per trasportarti ai tempi in cui impiastricciavi carta. - Hai ragione; bisogna dimenticare quei tempi... - disse il giovane con una forzata allegria, che pure avea una leggiera tinta d'amarezza. - Destino! ecco la gran parola che gli uomini non sanno proferire più spesso, ma nella quale io son credente come un maomettano... Io, povero sciocco, che m'ero fitto in capo di salire le scale del Campidoglio, e raccogliervi una corona qualunque... eccomi destinato probabilmente a logorare quelle dei tribunali, e di corone non si parla più... fossero anche di cavoli. Se gli uomini sapessero far valere questa parola quanto essa lo merita, l'incolpabilità delle azioni umane rimarebbe sugli scritti dei penalisti: ecco che, almeno una volta, parlo da saggio... - Ed anche il merito delle azioni umane, in tal caso... E tu sei superstizioso in quest'idea? - Al fanatismo! - Ma se tu fossi destinato ad amare quella donna, che non hai veduto che due volte, in passando?... Pietro cominciò dallo scrollare le spalle, al solito; indi rimase alcuni minuti in silenzio, e disse tristamente, come se quell'idea gli facesse pena o paura: - Chi lo sa!?...

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Dramm intimi

249966
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1884
  • Casa Editrice A. Sommaruga e C.
  • Roma
  • Verismo
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Il primo turbamento che l'aveva sorpresa al sentire annunziare la solita visita di lui, — il silenzio che era caduto all' improvviso fra loro due, o la parola che egli le aveva susurrato all'orecchio, abbassando la voce ed il capo, — il batticuore delizioso che le aveva imporporato le gote ed il seno quando egli l'aveva aspettata nel vestibolo dell'Apollo per vederla passare, bionda, nella mantellina di raso bianco. — Poi lo lunghe fantasticherie color di rosa, a quel medesimo posto, le gioie trepido e intenso, le attese febbrili, nelle ore in cui Bice prendeva la sua lezione di musica o di disegno. Ora, allo squillare del campanello si rizzò con un tremito nervoso. Tornò a sedere, calma, con le mani in croce sulle ginocchia. Il marchese si fermò esitante sull'uscio. Ella gli stese la mano che ardeva, evi- tando di guardarlo. Siccome Danei, non sapendo che pensare, chiedeva della Bice, rispose dolo un breve silenzio: — La sua vita è nelle vostre mani. — Per l'amor di Dio, Anna!... Voi v'ingannate! ... — esclamò egli — Blice s'inganna!... Non può essere! non può essere!... La contessa scosse il capo tristamente, — No, non m'inganno! Me l'ha confessato ella stessa... Il dottore dice che la sua guarigione dipende... da ciò!... — Da che cosa?... Per tutta risposta ella gli fissò in volto gli occhi arsi di febbre. Allora, sotto quello sguardo, la prima parola di lui, impetuosa, quasi brusca, fu: — Oh!... no!... Ella giunse le mani. — No, Anna; pensateci bene... Non può essere! Voi v'ingannate! — ripeteva Danei, agitato anche lui violentemente. Le lagrime le soffocarono la voce in gola. Poi stese le mani a Danei, senza dir nulla, come nei bei tempi trascorsi. Soltanto quegli occhi che lo fissavano con un'espressione di preghiera e d'angoscia straziante erano diventati tutt'altri in ventiquatt'ore. Roberto chinò il capo al pari di lei. Entrambi erano due cuori onesti e leali, nel significato mondano della parola, nel senso di poter sempre affrontare a fronte aperta qualsiasi conseguenza di ogni loro azione. Perché la fatalità facesse abbassare quello teste alte e fiere, bisognava che le avesse messo per la prima volta di fronte a un fatto che rovesciava bruscamente tutta la loro logica o no mostrava la falsità. La rivelazione della contessa aveva sbalordito Danei; ora ripensandoci ne era spaventato; e in quel contrasto d'affetti e di doveri combattentisi sotto il riserbo imposto ad entrambi dalla rispettiva posizione che li rendeva più difficili, si trovava imbarazzato. Parlò di loro due, del passato, dell'avvenire che gli faceva paura, cercando le frasi e le parole per scivolare fra tanti argomenti scabrosi, per non urtare o ferire alcuno di quei sentimenti così delicati e complessi. — Pensateci bene, Anna! a! Questo matrimonio è impossibile! Ella non sapeva che dire. Balbettava solo: — Mia figlia! mia figlia! — Ebbene... Volete che parta?... che mi allontani per sempre?... Sapete qual sacrifizio io farei!... Ebbene, lo volete? — Ella ne morrebbe. Roberto esitò, prima d'affrontare l'ultimo argomento. Poi mormorò, abbassando la voce: —Allora..... allora non resta che confessarle ogni cosa.... La madre s'irrigidì in una contrazione nervosa, con le dita increspate sul bracciuolo della poltrona. E rispose con voce sorda, chinando il capo: — Lo sa!... Lo sospetta!... — E nondimeno?.... — ripreso Danei dopo un breve silenzio. — Ne sarebbe morta.... Lo ho fatto credere che s'ingannava. — E lo ha creduto? — Oh! — esclamò la contessa con un triste sorriso.— L'amore è credulo... Lo ha creduto! — E voi? — chiese Roberto con un tremito che non potè dissimulare nella voce. — Io ho già tutto sacrificato a mia figlia. Poi gli stese la mano, e soggiunse: — Sentite com'è calma? — Siete corta che sarà sempre così calma? Ella rispose: — Sempre! E sentì freddo sulla nuca, alla radice dei capelli. Si alzò vacillante, e si strinse il capo di lui sul petto. — Ascoltate, Roberto, ora è vostra madre che vi abbraccia! Anna é morta. Pensate a mia figlia! Amatela per me o per lei. Ella è pura e bella come un angelo. La felicità, la farà rifiorire. Voi l'amerete come non avete mai amato... Dimenticherete ogni cosa... siate tranquillo!... Roberto era pallido.*

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