Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbassando

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Come devo comportarmi. Le buone usanze

185066
Lydia (Diana di Santafiora) 2 occorrenze
  • 1923
  • Tip. Adriano Salani
  • Firenze
  • paraletteratura-galateo
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Tutt'al più, incontrando nei corridoi una persona già vista altre volte, si farà atto di dovere abbassando leggermente la testa in segno di saluto, o sollevando il cappello. Ciò non toglie che non si possa, quando si voglia, avviare una di quelle conversazioni, che lasciano il tempo che trovano e servono a far passare un quarto d'ora d'attesa. Ma si anderà molto adagio con queste conoscenze effimere con persone ignote che possono esser ben diverse da quello che sembrano; e soprattutto si eviterà ogni intimità, non si accetteranno inviti, non si faranno promesse di futuri legami. In generale le amicizie contratte all'albergo non hanno seguito, ed è inutile far promesse che si è convinti di non mantenere. Chi sta in albergo deve adattarsi alla vita comune e non pretendere attenzioni speciali, cui creda aver diritto per il suo titolo o per la sua posizione. Tutti sono uguali dinanzi all'albergatore, il quale, se mai, favorirà di più coloro che si mostrano più gentili e meno esigenti. Se lo tengano per detto tutti quelli che credono d'imporsi con l'albagia e con le maniere arroganti. È un buon uso saldare i propri conti settimanalmente, e anche più spesso. Si evitano così molte contestazioni e molti errori, che è quasi impossibile mettere in chiaro, quando il conto risale a quindici giorni o un mese. Ad ogni modo, quando si abbiano reclami da fare, sarà bene farli con cortesia: così, oltre a dar prova di buona educazione, si raggiungerà più facilmente lo scopo. Lasciando l'albergo, si prenderà congedo soltanto da quelle persone con le quali si è fatto conoscenza, approfittando del momento in cui le incontriamo: per esempio a tavola o in sala di lettura. Non usa recarsi a salutare negli appartamenti altrui. Venendo a mancare l'occasione, si lascerà al bureau un biglietto da visita.

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I Romani, che non portavano cappello, si salutavano stendendo la mano in avanti e abbassando la testa. Oggi, ci si leva il cappello. Le donne, naturalmente, salutano soltanto con la testa. Vi figurate voi una donna che dovesse a ogni momento, per la strada, togliersi il cappello? Sarebbe un disastro! Ogni saluto richiederebbe, dopo, un quarto d'ora per accomodare i capelli e fermarsi di nuovo il cappello, e ci vorrebbero specchi sui muri di tutte le case. Il saluto dell'uomo dev'esser fatto con eleganza e con semplicità, soprattutto con naturalezza. Il gesto dev'esser sobrio e disinvolto, senza affettazione e nello stesso tempo senza impaccio: esso sarà tuttavia diverso nelle diverse circostanze. Una persona di rispetto, una signora, un uomo illustre devono esser salutati con una certa cerimonia, e il gesto avrà una certa ampiezza e solennità. Per gli amici, le persone di confidenza, i parenti basterà un saluto più semplice. Senza arrivare alla esagerazione di certuni, che colgono continuamente l'occasione di salutare, per far vedere che hanno molte conoscenze, ricordatevi che il saluto è un atto di civiltà, e non ne siate avari. Soprattutto, rispondete sempre a chi vi saluta: non c'è cosa più brutta che vedere un uomo che, salutato, non risponde, o si contenta di un vago cenno del capo. A chi si leva il cappello incontrandovi, fosse anche il vostro servitore o il vostro contadino, rispondete con un saluto uguale. Molte persone, per salutare, hanno la brutta abitudine di portar la mano al cappello, senza levarselo. Un tal gesto non è permesso che a un vetturino; in una persona civile, si considera a buon diritto come un atto di negligenza o anche come un'impertinenza. Quando salutate una persona di rispetto, se avete il sigaro o la sigaretta in bocca, levateveli prima di salutare. Se una signora, che avete salutata, si ferma a parlare con voi, sarà un atto cortese da parte vostra di parlarle col cappello in mano, finchè essa non vi preghi di coprirvi; ed è cortesia da parte sua pregarvene. Salutate la bandiera nazionale, quando sventola in testa a un reggimento o a un corteo: è un atto di patriottismo, doveroso in ogni buon italiano. Salutate i cortei funebri, i carri-lettiga che trasportano malati o feriti; è un omaggio all'infelicità e alla sventura. Non entrate mai in una casa, anche di persone di gran confidenza, col cappello in capo; ma levatevelo sulla porta d'ingresso, e non rimettetevelo che sul pianerottolo delle scale. Quanto alla precedenza del saluto, di regola l'inferiore deve salutare per il primo il suo superiore; ma il superiore preverrà il saluto dell'inferiore, se questo è accompagnato da una signora. Un uomo deve sempre salutare per il primo una signora, anche se inferiore a lui di condizione. In omaggio a quelle norme di civiltà che debbono osservarsi anche fra persone strettamente congiunte, noi stimiamo doveroso il saluto anche fra i componenti la stessa famiglia. È bello vedere un figlio salutare il padre o la madre con la stessa cortesia con la quale saluterebbe un superiore, o un fratello togliersi il cappello incontrando la propria sorella. Chi assiste a tali incontri, si fa subito un buon concetto di quel figlio o di quel fratello. In generale, il saluto, una volta fatto, non si ripete dopo breve tempo. Accade non di rado, su una passeggiata o per le vie d'una piccola città, d'incontrare di nuovo persone già salutate poco tempo prima: non è buona educazione ripetere il saluto. Se incontrate delle persone, e non siete sicuri se esse vi vedono o no, salutate lo stesso, senza avervi a male se il saluto non vi viene reso. Meglio un saluto perduto che il rischio di passare per ignoranti. In questo caso, incontrando di nuovo la stessa persona, rinnovate il vostro saluto. Se siete seduti in un giardino pubblico, salutate levandovi il cappello e facendo l'atto di alzarvi, se si tratta di uomini; se passano davanti a voi delle signore, salutatele alzandovi del tutto da sedere. Se vi trovate al caffè o al ristorante, e siete senza cappello, salutate con la testa. Oggi è di moda girare per la città senza cappello. L'uomo che è senza cappello, o che, per un caso qualunque, lo tiene in mano, saluterà inclinando la testa, su per giù come le signore. Se il saluto dovrà esser profondo e rispettoso, all' inclinazione della testa s'aggiungerà quella del busto, sempre però senza esagerazione. Avvezzate i vostri bambini a salutare tutte le volte che voi salutate. Le signore, come abbiamo detto, salutano con la testa. Come regola generale, esse non salutano mai per le prime, ma restituiscono il saluto, quando s'incontrano con uomini: potranno tuttavia, anzi dovranno salutare per le prime gli uomini di età, gli uomini illustri, coloro cui son legate da vincoli di obbedienza o di rispetto; ma questi, alla lor volta, faranno di tutto per prevenire il loro saluto. Incontrandosi con persone del loro sesso, osserveranno le stesse regole che abbiamo date per gli uomini.

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Galateo per tutte le occasioni

187620
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
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Piuttosto, virate rapidamente su un altro argomento, abbassando gradualmente il volume della voce fino a scomparire nel brusio generale. Se avete appena consumato la gaffe con il direttore, aggiungete una preghiera silenziosa al nume del lavoro.

Pagina 24

Nuovo galateo

189953
Melchiorre Gioja 1 occorrenze
  • 1802
  • Francesco Rossi
  • Napoli
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I guerrieri salutavano abbassando le armi, come si usa presentemente. Si tra i Greci che tra i Romani la pulitezza voleva che si salutassero le persone chiamandole col loro nome e soprannome, a fine di provare che conservavasi memoria de'nomi perchè si stimava ed era cara la persona. Plauto parla di popoli che si salutavano tirandosi l'orecchio. I guerrieri presso gli antichi Caledonii esternavano la loro amicizia e riconciliazione, gettando a piedi, l'uno dell'altro le loro lance. Gli inferiori ed oppressi che andavano a chiedere soccorso ai generosi e potenti, tenevano in una mano uno scudo coperto di sangue, nell'altra una lancia spezzata; quello in segno della morte de'loro amici, questa per emblema della loro miseria e disperazione. I Franchi si strappavano un capello e lo presentavano alla persona che volevano salutare. Col quale uso il salutatore voleva dire al salutato: Io sono a voi si ligio come se fossi vostro schiavo. In fatti l'uomo che allora diveniva schiavo, tagliava i suoi capelli e li presentava al suo padrone. Le donne della Costa d'oro, che portano nei loro capelli de'piccoli pettini a due denti, li tolgono colla sinistra, salutando quelli che vanno a visitarle. Al Giappone un amico, un conoscente vi saluta togliendosi dal piede una pantofola; e nell'Indostan viene a prendervi per la barba. A detta di Montaigne alcuni popoli si salutano voltandosi la schiena. I popoli d'Arrakan giungono le mani al di sopra della testa e curvano il corpo. Gli abitanti delle Filippine piegano il corpo molto basso ponendosi una od amendue le mani sulle guance, ed alzano nel tempo stesso un piede col ginocchio piegato. Gl'isolani della Nuova Guinea si contentano di porsi delle foglie d'albero sul capo, riguardate da essi come simboli d'amicizia e di pace. In una delle grandi Cicladi la pulitezza vuole che gettiate dell'acqua sui capelli di chi salutate. La maggior parte degl'isolani del Grande Oceano e gli abitanti di molte contrade boreali del globo si salutano fregando il proprio coll'altrui naso. Nell'isola Tonga il naso del salutante è applicato alla fronte del salutato. Quest'uso si estende dalle isole di Sandwick sino alla Nuova Zelanda. Gli Ayenis soffiano nell'orecchio alla persona salutata, fregando dolcemente il loro stomaco colla di lei mano. Gli abitanti dell'isola di S. Lorenzo (nel grande Oceano) volendo dar prova di grande affezione a qualcuno, si sputano villanamente nelle mani, e ancora più villanamente fregano con esse il di lui volto. Gl' isolani di Socotora si salutano baciandosi le spalle, e quelli d'Horne coricandosi col ventre a terra. Gli abitanti di Lamnrec, presso le lsole Filippine, e quelli de' Palaos prendono la mano o il piede di quello che vogliono onorare, e se lo fregano dolcemente sul loro volto. La maggior parte de'Negri si prendono a vicenda il pollice o tutte le dita, e le fanno scricchiolare. * Al Monomotapa quando il re starnuta devi starnutare tu pure, e chi t'ascolta imitarti, quindi lo starnuto passando dalla corte alla città, dalla città alla provincia, tutto il regno sembra affetto da reuma generale. * Alla China gli uomini tenendo le due mani unite sul petto, le movono in modo grazioso, ed abbassano un poco la testa, dicendo Isin, Isin. Abbordando una persona rispettabile, alzano le due mani giunte, quindi si abbassano sino al suolo. Se due persone dopo una lunga separazione vengono ad incontrarsi, s'inginocchiano amendue, abbassano la testa sino a terra, e ripetono due o tre volte la stessa cerimonia. Chi facesse la riverenza all'europea, riceverebbe cinquanta colpi di bambou per ordine paterno del benignissimo mandarino del suo quartiere. L'abitante della Nuova Orleans, allorchè presentasi al capo della sua nazione, lo saluta con un urlo: passa quindi nel fondo della regia capanna senza guardare nè a destra nè a sinistra, e là rinnova il saluto alzando le braccia sulla testa ed urlando tre volte. Il re lo invita a sedere con un piccolo sospiro; il suddito lo ringrazia con un nuovo urlo; a ciascuna dimanda del re il suddito urla pria di rispondere, e rinnova la stessa gentilezza allorché parte. Nelle Indie si misura il rispetto dalla distanza a cui si ritira il salutante dal salutato: allorché passa un Bramine (specie di sacerdote o di monaco) grida o fa gridare da lungi ad alcuno di casta impura di ritirarsi alla distanza che basta: questa distanza è fissata, ed é più o meno grande in proporzione della bassezza della, casta. Un Cego o Tier, per es., dee rimanersi a quella di 64 passi; e le caste più basse, come i calzolai, i Paria' i Pulià , a quella di 128. L'Europeo volendo cogli atti dar argomento di rispetto e di venerazione, si nuda il capo; l'Orientale se lo copre; quegli nella massima effusione del sentimento curva soltanto il capo e il dorso; questi volendo anch'egli esprimere la sua riverenza, nasconde il capo e prostrasi faccia a terra. L'lnglese in un accesso d'urbanità o d'amicizia vi afferra pel braccio, ve lo scuote vigorosamente come se volesse strapparvi la spalla, il tutto freddamente, senza che il volto dica nulla, e quasi che tutta l'anima fosse passata nel braccio che vi viene scosso a più e forti riprese. Questa gentilezza facchinesca fa le veci degli abbracci de'Francesi e degl'Italiani.

Pagina 169

IL nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli altri

190590
Schira Roberta 1 occorrenze
  • 2013
  • Salani
  • Milano
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Si sfiora la mano abbassando il capo. Consigliabile esercitarsi con amici compiacenti.

Pagina 44

Le buone maniere

202927
Caterina Pigorini-Beri 1 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
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Essi o chiedono un favore con insistenza dicendo che voi solo potete farglielo, e nel tempo stesso vi fanno comprendere che è una cosa da nulla, abbassando il valore della cosa richiesta; o vogliono sapere gli affari vostri e qual libro leggiate e chi avete veduto in quel giorno, o quanto avete speso pel vostro abito o per le derrate; essi vi troncano la parola in bocca, vi contraddicono, rettificano il vostro racconto, vi vogliono parlare in segreto, si vantano, hanno veduto tutto essi, sanno tutti essi i segreti, gli affari, i dolori, i piaceri del prossimo dall'a alla zeta; vi dicono dove e da chi si son recati in quel giorno e le cose più riservate di cui hanno parlato. Se avete fatto fare il vostro ritratto, ve ne domandano una copia, se avete scritto un libro ne vogliono un esemplare, se ne hanno (per disgrazia) fatto uno essi, vi chiedono una recensione, il vostro parere, il che vuol dire un elogio, una gonfiatura, un'apoteosi: e questo è ancora il minor male; spesso vogliono infliggervi lo spasimo d'una lettura, durante la quale vi sentite morire di noia e di rabbia compressa. Se sono specialisti, non sanno parlare e dire che di quella tal cosa di cui si occupano, e se pel Conte Zio tutte le strade conducevano a Madrid, e per il mondo tutte le strade conducono a Roma, per essi tutto serve per arrivare alla loro specialità prediletta. Se parlate un po' forte, un po' animato, vi dicono: «per carità calmatevi, ciò vi può far del male»; se un balbuziente è costretto a parlare con essi o un timido o un novizio, lo spronano con degli avanti! bene! e poi! e lo confondono fino alle lagrime; se avete un abito nuovo, ve lo criticano e vi dicono costa troppo, o troppo poco, o il taglio va male, ed è lungo, è corto, voleva così e così; se avete un piacere noto a tutti, di cui tutti parlano e si rallegrano e vi fanno felicitazioni, essi tacciono, dissimulano, portano via il discorso, fanno gli scordati, i noncuranti, gli indifferenti; e se avete un affanno, prendono gusto a ricordarlo a tutti e a voi stessi, compassionando, incoraggiando, mostrando un'aria di pietà e di protezione che vi offende: parlano del vostro nemico con ammirazione, del vostro amico con dispregio, di voi abbassandovi, di sè gloriandosi, del mondo come se essi soli avessero il diritto di starci, delle persone di casa loro come se facessero testo; e in presenza di altri si raccontano tra di loro dei fatti intimi di un tale che conoscono essi soli e che evidentemente si erano raccontati le mille volte, e che non dovevano ad ogni modo venirsi a raccontare in casa vostra. Se li fate entrare durante il pranzo, tanto per non farli impermalire, toccano la vostra tovaglia, il pane, le vivande; e pare proprio scelgano quell'ora per farvi visita, senza pensare che taluni sono ghiotti, taluni parchi, taluni prodighi, taluni avari e che non vogliono far sapere i loro gusti ad alcuno. Talvolta questi messeri appartengono alla specie pericolosa dei gloriosi; che battono nella tasca, mostrano il portamonete, si vantano dei loro possedimenti, dei loro avi, dei loro parenti ed affini, della confidenza che godono con grandi personaggi, del potere che esercitano sui dicasteri, e vi ripetono le spiritosità che hanno detto nella tale e tal'altra occasione, esigendo da voi l'applauso, il riso, il rallegramento. Talvolta ancora vi domandano un prestito, un piacere, un libro, la macchina da cucire, il vostro abito per cavarne il modello, il vostro merletto per cavarne il disegno; e infine vi molestano con quella specie di ricatto, che è il forzar la mano alla vostra cortesia, profittando della loro sfacciataggine contro la vostra buona educazione. Se il servo sbaglia, non la finiscono più di garrire in presenza dell'ospite; se voi senza volere avete fatto cosa che a loro spiaccia, non cessano di ritornare sul punto; se si sono dimenticati un nome o una data, stanno lì a cercarla, troncando la conversazione con degli aiutatemi a dirlo, con interminabili esclamazioni e insistenze, stringendo gli occhi e picchiandosi la fronte. Se voi conoscete un personaggio, vogliono essere presentati; se partite per un viaggio, vi caricano di commissioni e perfino vi dànno delle lettere da recapitare. In questo caso non si può biasimare un uomo di spirito, il quale offrì a uno di questi signori tre soldi per comperarsi il francobollo. Vi presentano talvolta un loro amico senza chiedervene licenza; e a farlo apposta ve lo presentano in quella stessa sera che avete un nucleo di invitati; e subito mettono bocca nei discorsi, stonatamente, senza misura e senza freno. Qualche volta si spingono ad atti anche più incivili; si ripuliranno i denti o le unghie; o si strofineranno le orecchie o si asciugheranno il sudore col fazzoletto in vostra presenza; si stenderanno nella vostra poltrona brancicando la spalliera o i bracciali; gireranno le loro dita l'uno intorno all'altro: faranno uno sbadiglio cavernoso... che fa sbadigliare solo a pensarci; o parleranno sempre, sempre, sempre, di cose insignificanti o per voi o per essi, ripetendosi e intercalando lunghe parentesi inutili; poi fischieranno tra i denti o canterelleranno cose da far ammalare d'itterizia un frate gaudente. Guai a voi se per disgrazia appartengono a qualche associazione benefica e pia! Non finiranno mai di spingervi sulla via della virtù e della carità; e all'epoca dei concerti e delle fiere di beneficenza, vi seppelliranno sotto una valanga di biglietti, di inviti, di partecipazioni, per cui ci vuole un coraggio da eroe a sottrarsi. Nel medio evo usava il trombone: uno si metteva dietro la siepe e diceva: o la borsa o la vita. Ma c'era un modo di schermirsi: se uno non si esponeva in strade fuor di mano o in luoghi solitarii, poteva entrare in casa ancora tutto intiero. Ora succede il contrario, e specialmente le signore si rendono colpevoli di tali e tante aggressioni a mano non armata, che si possono iscrivere nei registri dei ricattatori in guanti bianchi. È vero che hanno l'attenuante della carità, ma la carità si può praticare tanto diversamente, che sarebbe una cosa molto lodevole di darne delle lezioni in iscuola. Ciò sarebbe più utile di molte altre scienze. Il modo di praticare la carità sarebbe uno studio complessivo dei costumi e dei sentimenti: esso renderebbe più soave il cuore e più illuminato l'intelletto: esso servirebbe altresì a moderare impeti che sembrano generosi e in gran parte anche lo sono, ma hanno anche una certa dose di vanità e di egoismo, che lungi dal movere la gratitudine nei cuori dei beneficati, rendono più acre l'asprezza, più cocente l'invidia. Tutte queste cose ed altre consimili costituiscono il segreto di rendersi insopportabili alle persone per bene: sarà quindi necessario di fare uno scrupoloso esame di coscienza per evitare a noi la colpa e il rossore di averle commesse, agli altri il dispiacere di doverci tollerare o il disgusto di dover chiudere la porta davanti a coloro, che non sanno nè comprendere il loro ambiente morale, nè stare attenti a conformare le loro azioni ai dettami della civiltà e della buona educazione.

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