Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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IL FIGLIO DEL CORSARO ROSSO

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Salgari, Emilio 2 occorrenze

. - Non può essere che la Santa Maria, - disse il conte, abbassando l'istrumento. - Io credo, don Barrejo, che avrete da menar le mani e che questa volta non vi mancherà l'occasione di mostrare ai miei marinai il valore dei guasconi. - Spero, Signor Conte, che voi non mi farete l'offesa di dubitare del coraggio dei costieri del mar di Biscaglia, - rispose l'avventuriero. - Non vi avrei arruolato. - Morte e dannazione eterna! Sarò il primo a saltare sulla Santa Maria. - Dopo di me, don Barrejo, - rispose il corsaro. - Nessuno deve passarmi avanti: sono il figlio d'un corsaro. - Ebbene, sarò il secondo, - disse il terribile guascone. - Ed io il terzo allora, - rispose una voce. Era Mendoza, il quale era salito inosservato sul ponte di comando. - Ah! siete voi, compare? - disse il guascone, mentre il conte scendeva sulla tolda per accertarsi se gli uomini erano tutti ai posti di combattimento. - Vi starò alle costole, signor guascone, - disse il lupo di mare. - Per sorvegliarmi? - chiese l'avventuriero, aggrottando la fronte. - Ma che? Per prendervi i dobloni che avete in tasca, affinché non cadano nelle mani degli spagnuoli e farvi celebrare un centinaio di messe, - rispose il basco, ridendo. - Mi augurate la morte forse? - Ad un guascone! Se non crepano mai! ... - Avete ragione, compare. - Nessuno li vuole: sono troppo pericolosi. - È proprio vero, - rispose don Barrejo, con accento grave. Siamo troppo terribili noi, del mare di Biscaglia. - Dì ponente o di levante? - Sempre di ponente. Quelli di levante non sono guasconi. - È vero: sono baschi quelli! - disse Mendoza, scoppiando in una risata. - Questi indiavolati guasconi hanno sempre ragione! - Sfido io! ... Siamo guasconi, sí o no? - Guasconissimi! ... - E allora è inutile discutere, - disse l'avventuriero. In quel momento il conte rimontava la scala del ponte di comando, seguito dal luogotenente. - È la Santa Maria, - disse a Mendoza che lo interrogava collo sguardo. - Non è piú possibile ingannarsi. Prendi tu la direzione del timone, in attesa di sparare un buon colpo di cannone. Mi occorre un albero di quel galeone. - L'avrete, signor conte, - rispose il lupo di mare. - Con cinquanta dobloni di regalo, se riuscirai. - Morte e dannazione! - esclamò il guascone, mordendosi le labbra. - Nel mio paese per un simile premio ammazzerebbero dieci persone. Perché mio padre non ha fatto di me un cannoniere? Il compare però mi pagherà il doblone che ha perduto nelle cantine della marchesa di Montelimar. Perdinci! Non l'ho mica dimenticato, e i guasconi hanno la memoria buona. Una viva agitazione regnava sulla fregata. La notizia che si trattava di abbordare un galeone spagnuolo, si era sparsa dovunque e l'intero equipaggio si preparava animosamente all'abbordaggio, certo di aver non poco da fare, sapendo che quei grossi velieri erano poderosamente armati e montati da marinai scelti, composti per la maggior parte di biscaglini. La Folgore si era messa in gran corsa per raggiungerlo. Tutte le vele erano state spiegate e Mendoza aveva presa la ribolla del timone. Il galeone, accortosi d'aver dietro la poppa una nave corsara, si era subito diretto verso la costa sandominghese, per cercare qualche rifugio in qualcuno dei numerosi porti o rade dell'isola, protette da qualche forte. Il conte però, accortosi a tempo delle sue intenzioni, aveva lanciata la Folgore lungo la spiaggia, per impedire al galeone di sfuggire all'abbordaggio. Essendo il vento piuttosto debole e contrario, con quattro bordate lunghissime si portò all'altezza del galeone, poi mosse arditamente verso il largo, facendo cosí capire agli spagnuoli che non vi erano altre speranze che la resa a discrezione o un combattimento disperato. - A me, Mendoza! - gridò il conte. - Questo è il buon momento! Il galeone non si trovava che ad un miglio di distanza e veleggiava pesantemente. Era uno di quei grossi navigli che gli spagnuoli adoperavano per trasportare in Europa i tesori strappati alle miniere allora inesauribili del Messico, del Guatemala e di Costarica, larghi di fianchi, a due ponti, ma troppo pesanti per poter gareggiare colle svelte navi dei filibustieri i quali, forti dell'appoggio dei bucanieri, pensavano piú alla velocità che al numero dei pezzi di cannone. - A te, Mendoza! - gridò il conte. - Spaccami l'albero maestro di quel galeone e fermalo in piena volata! - Se colla mia draghinassa potessi farlo, non esiterei un solo istante, - borbottò il guascone. - Il compare ha davvero una fortuna indiavolata, però mi pagherà il doblone! Il galeone, accortosi di essere inseguito da una grossa nave capace di disputargli e anche fargli pagare caramente la vittoria, aveva cambiato bruscamente rotta, forse colla speranza di rifugiarsi nel piccolo porto di Jacmel e mettersi sotto la protezione dei fortini colà eretti dagli spagnuoli. Ma aveva da fare con degli arditi uomini di mare, che conoscevano perfettamente le coste dell'isola e per di piú con una velocità troppo rapida, per poter sfuggire ad un abbordaggio. Il conte, accortosi dell'intenzione dei suoi avversarii, strinse verso la costa per tagliare loro il passo e impedire di cercare un rifugio. La Folgore, che conservava tutta la sua immensa velatura essendo il vento favorevolissimo, giungeva colla velocità d'una rondine marina. Giunta a cinquecento metri dal nemico sparò un colpo a sola polvere, ma il galeone non credette di obbedire all'intimazione. Vedendo che era impossibile raggiungere il piccolo porto, virò nuovamente al largo, mentre il suo equipaggio si preparava animosamente ad impegnare là lotta. - Ah! non volete fermarvi! - disse il conte. - A te allora, Mendoza. Il lupo di mare balzò verso il pezzo di caccia di tribordo e lo puntò sul galeone, il quale aveva, a sua volta, aggiunto nuove vele a quelle già spiegate, per far almeno correre per un po' ancora la fregata. - Che gli altri non facciano fuoco! - gridò il conte col portavoce. - Conservate i vostri colpi pel momento dell'abbordaggio. Mendoza, sei sicuro del tuo tiro? - Accordatemi almeno tre palle, - rispose il basco. - Anche sei, se vuoi. - Allora qualche albero andrà giú: che nessuno parli. - Nemmeno io? - chiese don Barrejo scherzando. - Voi meno degli altri, signor guascone. Un profondo silenzio regnava sulla fregata, rotto solo dal tamburellare delle vele e dai leggieri sibili della brezza la quale faceva vibrare cordami. Tutti gli occhi si erano fissati sul galeone, il quale continuava la sua fuga verso ponente, tendendo però sempre a gettarsi verso la costa che era visibilissima, e non lontana piú di sei o sette miglia. Mendoza continuava a rettificare la mira del pezzo, borbottando e soffiando come una foca. Si sa già che i tiri in mare, contro un corpo mobile e colle improvvise scosse che subisce la nave, sono sempre difficilissimi, specialmente su velieri, i quali non hanno una assoluta stabilità a causa dei soprassalti del vento. L'impresa del basco non era quindi una cosa da ridere. A un tratto una fortissima detonazione che scosse tutto il cassero della Folgore, rimbombò; il pezzo da caccia aveva finalmente fatto fuoco. Mendoza e il guascone che gli stava presso erano saltati in mezzo alla densa nuvola di fumo, mentre il conte ed il suo luogotenente si curvavano sul ponte di comando, come se cercassero di seguire la corsa del proiettile. Mendoza aveva mandato un grido di collera. Non era stato l'albero maestro del galeone a precipitare sulla tolda, bensí il pennone dell'immensa vela di gabbia era spaccato a qualche metro solo dalla coffa. - Ah, lupo mio, non hai strappato che una penna a quell'uccellaccio! - disse il conte. - Era un'ala che io volevo. - Ho ancora cinque palle a mia disposizione, capitano - rispose il basco. - Non ti disperare però: anche una penna è qualche cosa e quel galeone non correrà piú come prima. Un rimbombo spaventevole coprí le sue ultime parole. Il galeone aveva scaricato tutti i suoi pezzi di babordo d'un colpo solo, ma non avendo le artiglierie di quei tempi, ad eccezione dei lunghi pezzi da caccia, che un tiro molto debole, i proiettili non giunsero fino alla fregata. - Quella gente ha polvere e ferro da sprecare! - disse il conte. Che abbiano voluto solamente spaventarci? Oh, siamo troppo abituati a quella musica, non è vero, signor Verra? - Non produce piú alcun effetto su di noi - rispose il luogotenente, il quale stava caricando tranquillamente la sua pipa. - Prima che quelle palle giungano fino a noi, io avrò terminata la mia fumata. Intanto Mendoza, aiutato da alcuni filibustieri aveva ricaricato il pezzo non potendo per il momento servirsi dell'altro, a motivo della posizione che occupava il galeone. Per la seconda volta aveva corretto la mira. Gli spagnuoli avevano subito approfittato di quella sosta per rialzare la loro vela e fissare un lembo alla coffa, non potendo pensare a sostituire il pennone. - Compare, - disse il guascone al basco - badate di non perdere i dobloni, altrimenti non potrete piú restituire quello che avete perduto con me nelle cantine della marchesa. Mendoza non rispose; continuava a mirare attentamente, spostando lentamente la bocca del pezzo per mantenerlo sulla linea del galeone. Il colpo partí, seguito, dopo qualche istante, da un urrà fragoroso e dalle grida di: - Bravo, Mendoza! Non era un'altra penna che il basco aveva strappato alla nave avversaria. L'albero maestro, spaccato un po' sotto la coffa, era caduto attraverso il galeone, spezzando, col proprio peso, le sartie ed i paterazzi e facendo inclinare fortemente la nave sul babordo. La grande vela latina e quella quadrata soprastante erano pure cadute, ingombrando la tolda e coprendo buona parte dell'equipaggio. - Ecco un tiro meraviglioso! - esclamò il guascone. - Il mio doblone è al sicuro. - Siete soddisfatto, signor conte? - chiese Mendoza trionfante. Il signor di Ventimiglia, invece di rispondere, sguainò la spada, gridando con voce tonante: - All'abbordaggio, miei bravi! ... Fra dieci minuti il galeone sarà nelle nostre mani!

Il cane, giunto in vicinanza del grosso albero del cotone, si era fermato, aspirando fragorosamente l'aria, e la cinquantina, che era guidata da un ufficiale, si era subito disposta su quattro linee abbassando le alabarde. - Camerata, - sussurrò Barrejo, rivolgendosi a Mendoza - voi occupatevi di quel cagnaccio e badate di non sbagliare il colpo o vi salterà alla gola. - È un affare che sbrigherò io, - rispose il filibustiere. - Alla cinquantina penseremo io e il signor conte. Tutti e tre avevano armato le pistole e si tenevano l'uno presso l'altro, pronti a sguainare le spade. Il doz cubano fiutava sempre, volgendo la testa massiccia verso l'enorme albero e ringhiando sordamente. Doveva aver sentito che là si nascondeva il nemico. Un grido s'alzò fra gli uomini d'avanguardia della cinquantina - Ay, perrito! Il cagnaccio, udendo quel comando, si slanciò furiosamente, sperando di azzannare i misteriosi avversari che non osavano mostrarsi. Mendoza, che lo teneva d'occhio, fu pronto a sparare e gli fracassò il cranio, mentre il conte ed il guascone facevano fuoco contro la cinquantina, tirando a casaccio. Allora gli spagnuoli, credendo d'aver dinanzi qualche grosso drappello di quei terribili bucanieri che non sbagliavano mai la mira, in un lampo si dileguarono, gettandosi in mezzo ai canneti delle paludi. - Ecco la cinquantina sgominata! - disse il guascone ridendo. Lavoriamo tuttavia di gambe, perché domani mattina tornerà qui e se si accorgerà, dalle nostre tracce, d'aver avuto da fare con soli tre uomini, ci darà una caccia terribile. Corriamo, signor conte! - E queste sono le splendide passeggiate che si fanno a San Domingo - disse Mendoza. - Preferisco quelle che si fanno sulla tolda della Nuova Castiglia. Si erano messi a correre, come se avessero altri molossi alle calcagna. Il guascone, che aveva le gambe piú lunghe di tutti, marciava con una rapidità incredibile lungo la fronte della boscaglia, dietro però la prima linea degli alberi, per paura che la cinquantina, rimessasi dalla sorpresa, si fosse nuovamente ordinata e formata per la caccia. - Questo briccone ha giurato di farmi morire completamente sfiatato! - brontolava Mendoza, il quale sbuffava come un bufalo. - Quanto durerà questa storia? Pareva proprio che il guascone possedesse una resistenza incredibile e muscoli di acciaio, poiché non rallentava nemmeno un momento la sua corsa. Il figlio del Corsaro Rosso si mostrava non meno resistente, anzi, aveva maggiore slancio, come se fosse già abituato alle lunghe corse. Quella galoppata furiosa durò un'ora, poi il guascone si fermò. - Può bastare - disse. - La cinquantina ha avuto piú paura di noi e non ha osato darci la caccia. Prima che ne incontri altre o che si rifornisca di cane, passerà del tempo e noi potremo raggiungere la villa della marchesa, senza essere piú disturbati. - Se non sapete nemmeno dove si trovi! - disse Mendoza, il quale aspirava, come un mantice da fucina, la fresca brezza notturna. - Camminando sempre, si va anche a Parigi - rispose Barrejo. - Nel mio paese si dice che tutte le vie conducono a Roma - aggiunse il conte. - Ma non alla villa di Montelimar - ribattè Mendoza il quale sembrava di pessimo umore. - Voi, camerata, brontolate sempre contro il vostro capitano - disse il guascone. - Anche questo è un brutto vizio. - Mi correggerò col tempo. - Siete ormai troppo vecchio per farlo. - I filibustieri sono sempre giovani. Lo sanno gli spagnuoli. - Oh, non lo nego, amico! Avete sempre il fuoco nel petto. - E non le vostre gambe. - Orsú, che cosa facciamo ora, don Barrejo? - chiese il conte. - Io per conto mio, farei colazione - disse Mendoza. - Questa corsa mi ha messo un appetito da pescecane. - Contentati di accendere la tua pipa, per ora - rispose il conte. - Se non basta, stringi bene la cintura. - Ottimo consiglio! - sentenziò gravemente il guascone. - Che non farà bene a nessuno - brontolò Mendoza - Mettetelo in pratica voi. - Ne avete qualche altro da suggerirci don Barrejo? - chiese il conte. - Sí, quello di sdraiarci in mezzo a queste fresche erbe e di tirare il fiato fino all'alba. - E i caimani? - chiese Mendoza. - prima avevate una gran paura di quelle bestiacce. - Sono lontani da qui, e poi non chiuderemo gli occhi - Visto e considerato che non vi è di meglio da fare, lo metto in esecuzione - disse il conte, lasciandosi cadere fra le erbe e allungandosi con visibile soddisfazione. - Sono due giorni che io e questo eterno brontolone non ci riposiamo: è vero, Mendoza? - Saranno forse di piú - rispose il filibustiere imitandolo. Il guascone guardò attentamente in tutte le direzioni, si chinò, accostò un orecchio a terra, ascoltò attentamente e poi, a sua volta, si allungò fra le fresche erbe, dicendo: - Nulla: possiamo riposarci. Non era però troppo facile socchiudere gli occhi. I grossi rospi muggivano sempre, con un crescendo spaventoso; i caimani facevano del loro meglio per imitarli ed i batraci gareggiavano fra di loro per fischiare con maggior furore, come se si fossero messi d'accordo per impedire a Mendoza di schiacciare un sonnellino, fosse pure d'un quarto d'ora. Era però molto tardi, e l'alba non doveva tardar molto a spuntare. Nel Golfo del Messico il sole tramonta presto e si alza anche molto presto. Alle tre e mezzo, durante l'estate, il cielo si tinge dei primi riflessi dell'aurora e le stelle scompaiono. I tre filibustieri - poiché ormai anche il guascone si poteva considerare come tale - si riposavano da un paio d'ore, tendendo continuamente gli orecchi, per paura che i cani delle cinquantine, li sorprendessero, quando le tenebre cominciarono a diradarsi. - In marcia, signor conte - disse il guascone, alzandosi rapidamente. - Cercherò di orientarmi. - È stata accomodata la bussola piantata in mezzo al vostro cervello? - chiese Mendoza beffardamente. - S'incaricherà il sole di rettificarla - rispose l'avventuriero. - Speriamo che sia un abile meccanico. - Vedrete, camerata. Stavano per mettersi in cammino, quando udirono a breve distanza uno sparo. - La cinquantina! - gridò Mendoza facendo un salto. - Sí, che spara con le sue alabarde! - osservò il guascone sorridendo. - Io scommetto invece che è la colazione che giunge. Signor conte, siete conosciuto fra i bucanieri? - Se non io, erano troppo noti i tre corsari: il Rosso, il Nero e il Verde. - Questa archibugiata deve averla sparata un bucaniere. - Andiamo a trovarlo - rispose il signor di Ventimiglia. Attraversarono di corsa una folta macchia e, giunti sul margine, scorsero, in mezzo ad una radura erbosa, un uomo piuttosto attempato, vestito malamente. Aveva un grembiale di pelle ed un largo cappello di feltro in testa e stava ritto accanto ad un gigantesco bue selvaggio il quale stava spirando. Vedendo quegli stranieri, il cacciatore fece alcuni passi indietro, e gridò con voce minacciosa: - Chi siete? Rispondete, o vi uccido prima che possiate giungere fino a me! - Siamo filibustieri, camuffati da spagnuoli - rispose il conte in francese purissimo, perché l'intimazione era stata fatta in quella lingua. - Io sono il figlio del Corsaro Rosso e nipote del Verde e del Nero. - Del Corsaro Nero! - gridò il bucaniere, lasciando cadere l'archibugio e facendosi innanzi. - Di quello che con Grammont, Laurent e Wan Horn ha espugnato Vera-Cruz? Io ho combattuto con lui! Tonnerre de Brest! Signore, sono ai vostri ordini! Comandate!

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