Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 3 occorrenze

Donna Cristina, abbassando la testa, acconsentí con un sospiro. - Nemmeno monsignor vescovo potrebbe pretendere tanto. E allora non vi resta che di offrire un altro genere di risarcimento. Hai detto che la ragazza aveva già il cuore impegnato con qualcuno? Non si potrebbe persuadere questo qualcuno ad accettare una ventina di mille lire? il povero papà nel caso di Costanza, se l'è cavata con meno: perché, via, tu sei buona e fai bene a credere all'innocenza; ma ritieni pure che in questi nostri paesi le ragazze, piú furbe del diavolo, sanno rappresentare a meraviglia la parte di vittima. Alle volte anche i parenti si mettono della partita e fan presto ad avere buon giuoco in mano. No? non credi che sia possibile persuadere Menelao a ripigliarsi la sua belle Helene? Che uomo è questo Renzo Tramaglino? Un contadino? un operaio? A queste domande cosí incalzanti e taglienti, donna Cristina Magnenzio non seppe rispondere che con uno sguardo freddo e dolente, in cui si leggeva tutta la grande desolazione del suo cuore. Alla curiosità di Fulvia essa avrebbe dovuto opporre un nome, che non osava pronunciare, come se temesse di evocare tra loro un terribile giustiziere. Mai la bontà e la giustizia d'un uomo avevano parlato con tanta forza alla sua coscienza! e come se provasse in sé stessa l'offesa atroce che si recava all'assente, con un atto di nobile risolutezza, protestò: - No, questo è impossibile! - E allora bisogna raccomandarsi alla ragazza e farsene, se è possibile, una alleata. Se ti vuol bene, se non è una cattiva leggerona, se sente il suo stato, capirà che non ha a guadagnar nulla da uno scandalo. Procurate di allontanarla, di metterla per qualche tempo in un sito sicuro e di lasciare a lei l'incarico di persuadere il suo Tramaglino a voltarsi da un'altra parte. Questa gente non sta poi a far della psicologia troppo sottile, come si farebbe tra noi. Per loro tutte le donne son donne, e le ragazze dicono che un papa val l'altro. Se vuoi posso aiutarti. La sorella della mia maestra di piano è direttrice d'una Casa a Treviglio, una specie di rifugio, che ricovera appunto questi peccati, dove c'è anche un ospedale sotto la sorveglianza delle suore. - Potrò io persuadere la povera creatura a rinunciare al suo ideale, a lasciar la casa, a rinchiudersi in un ospizio? tu non sai la battaglia che io combatto da un mese in qua. Sí, finora ho potuto far tacere la ragazza colle carezze, colle promesse, colle preghiere, con tutto ciò che soltanto il cuore d'una madre sa trovare in queste disperate circostanze; ma vedo che l'impresa è piú forte di me. Celestina oggi promette che non farà nulla, che non dirà nulla, che andrà dove voglio io, che non penserà piú al suo passato, che mi vuol bene, che accetta la volontà di Dio; ma non arriva il domani e me la vedo tornar davanti tutta cambiata. Non dorme quasi piú, non mangia quasi piú; di notte scende dal letto, attraversa il corridoio e viene a piangere nella mia stanza, si strappa i capelli, dice che il diavolo la batte con una catena . - Taci! - pregò donna Fulvia, impallidendo, con voce spaventata, rabbrividendo nelle spalle. - Vedi, Fulvia, dove siamo? - domandò con lamento straziante la povera contessa, battendo forte le ciglia e cercando di attaccarsi alle mani dell'amica come se avesse avuto bisogno di chi la tenesse su. - Vedi che cosa hanno fatto della tua povera Cristina? Il Signore non mi ascolta piú, il Signore mi ha abbandonata. - No, no, povero angelo, non dir cosi. - proruppe la di Breno, compassionandola, e sorpresa in fondo all'animo di dover fare verso una tal donna la parte di madre consolatrice. - Tu hai troppi meriti, perché il Signore ti debba abbandonare. Sono tribolazioni che ti manda per provare la tua virtú. Vedo tutta la gravità del caso e trovo che non c'è tempo da perdere. È necessario, assolutamente necessario, evitare questo scandalo, che darebbe i nostri nomi in bocca ai framassoni, che non aspettano che un pretesto per dar fuoco alle mine. Lodovico dice che quest'anno la lotta amministrativa sarà combattuta con accanimento, perché il governo, che è tutto nelle mani dei progressisti, vuol rompere la crosta clericale e moderata e sbarazzare il terreno per le prossime elezioni politiche. Converrà quindi fare un concentramento di forze dei vari partiti conservatori controla falange abissina dei sovvertitori, dei radicali, dei massoni, dei socialisti, e di tutti quelli che amano pescar nel torbido. Siamo dunque interessati a difenderci e a riparare i punti deboli della fortezza. Vuoi che io ne parli a Lodovico? Può essere che colla sua influenza morale arrivi a tempo a scongiurare il pericolo. E se vedrò il tuo Giacinto, gli farò una predica coi fiocchi. Noblesse oblige, specialmente lui, che può contare sublimi trionfi. Ragazzacci! - aggiunse, aggrottando le ciglia la bella magra, come se indagasse un mistero: - È un'altra conseguenza di questo sordido sport, che hanno messo di moda. On s'encanaille, ecco! Rimasero d'accordo che Fulvia, senza mettere fuori per il momento i nomi, avrebbe sottoposto il problema alla saggezza politica di don Lodovico, che in questo giuoco di elezioni e di partiti politici aveva sul banco la sua persona e la sua candidatura. L'esperienza insegna che in politica bisogna giovarsi specialmente dei peccati degli altri; e sarebbe stata una bella sorpresa che per il capriccio di un giovinotto ubbriaco fosse andato sommerso il lavoro paziente di dieci o dodici anni di candidatura incontrastata. La di Breno, che, non avendo figliuoli, amava anche lei, alla sua maniera alquanto nervosa, la politica, che le permetteva di passar l'inverno a Roma, non era donna da dormire in pace su questo peccato di Giacinto come aveva dormito sempre sui suoi.

. - Quel che mi dice, caro conte, è veramente brutto - balbettò monsignore, abbassando la testa, coll'abbandono d'un uomo stanco, mentre col fazzoletto si asciugava la pallida fronte. - Perché non mi hanno scritto subito? - Prima non si sapeva, poi si è creduto che il male fosse minore di quel che è. Si è sperato sempre in qualche atto di riparazione… ma è una desolazione, creda, per la povera contessa. Se lei non interviene, monsignore, colla sua autorevole benevolenza, è una rovina per tutti . - E come posso io impedire ai nostri nemici di usare di un loro diritto di guerra .? - Ecco! - riprese colla sua vocetta meticolosa l'ometto avveduto - conosco un poco questi nostri nemici, perché li vedo piú da vicino. Dove non può arrivare la mano consacrata dei vescovo, potrebbe arrivare la mano scomunicata del deputato .(Il conte, per togliere ogni sapore ingrato alla facezia, cercò colla sua la mano paffutella dell'alleato, che rispose con una stretta lunga e cordiale). - Non solo conosco molti di questi avversari, ma so anche quel che costano. Quando poi lasciassi capire al sottoprefetto che una guerra di scandali non sarebbe gradita alla Corte, Gadda é un uomo da far tacere anche le oche del Campidoglio. Ma perché io possa essere forte con Gadda, bisogna che mi senta sicuro nelle mie scarpe, ovverosia che vostra Eminenza mi dica fin dove posso andare col suo nome e col suo appoggio . - Ho capito! - disse monsignore, chinando la testa: e per un istante le due piccole potenze rimasero in silenzio in una grave contemplazione del fuoco. Quindi come due corrieri che, giunti da strade diverse a un crocicchio, si preparano a far insieme il resto della strada, continuarono a discorrere un pezzo, in un colloquio piú sciolto e familiare, da buoni amici, che provvedono a guardarsi dai ladri. Il deputato promise di veder subito il sottoprefetto: il vescovo avrebbe fatto chiamare il curato del sito; se la ragazza era già nelle buone mani delle contesse di Buttinigo, non sarebbe stato difficile farla viaggiare anche piú lontano; non restava che uno scoglio: il fidanzato, questo ex garibaldino. - Come si chiama questo giovane? - chiese il prelato. - Giacomo Lanzavecchia - disse il conte, dopo aver consultato un piccolo taccuino. - 1 suoi hanno una fornace e un deposito di tegole non molto lontano dal Ronchetto. Monsignore prese nota dei nomi, dei siti, delle circostanze, e promise di scrivere al piú presto le notizie delle sue investigazioni. Il conte posò le labbra sul ceruleo topazio e venne via in fretta col suo passetto dimezzato, desideroso di veder Giacinto, prima che partisse per Roma. Lo trovò che passeggiava martoriandosi i piccoli baffi, in preda ad una nervosa inquietudine, sotto l'atrio del teatro alla Scala. Infilò il suo braccio in quello del giovine e, rimorchiandolo verso il caffè Cova, andarono a sedersi a un tavolino d'angolo nella sala grande del ristorante, dov'era tutto preparato per la colazione. - Coraggio, le cose si mettono bene. Credo di aver vinto, non una, ma due cause, la tua e la mia. È proprio il caso di ripetere col salmista: " Felix culpa. !" e, tracannato un bel bicchiere d'acqua per spegnere l'arsura interna che lo rodeva, disse al cameriere, che aspettava gli ordini, ritto, impalato nella sua linda falda nera, coll'aria anche lui d'un solenne diplomatico: - Il tenente beve Lafitte e in quanto al resto ci mettiamo nelle tue mani, Biagio. Oggi pago io, s'intende, per diritto d'anzianità. - E dopo aver ripulita due volte la bocca col tovagliolo, don Lodovico, che sentiva d'aver guadagnata la sua giornata, datasi una fregatina di mani, soggiunse: - Peccato non essere un Paolo Ferrari, che avrei l'argomento per una magnifica scena diplomatica. Avessi sentito con che tono alto aveva cominciato: "Vorrà concedere, signor conte, all'ultimo dei ministri di Dio di saper intendere che cosa sia il bene supremo della patria e della religione. A noi non importa tanto il vincere quanto il purificarsi .". Ma poi il sant'uomo scese da cavallo, ammorbidí la voce, sbarrò tanto d'occhi a sentire come suo nipote santifichi le feste, e per farla corta, s'incaricò di far chiamare il prete della parrocchia e mi ha dato un specie di carta bianca per tutte le autorità eretiche e scismatiche. Per questa volta, - continuò con nervosa garrulità l'onorevole di Breno, mentre col tovagliolo finiva di compiere la pulizia delle posate e dei bicchieri - per questa volta anche il diavolo avrà la sua parte. E a rivederci alle elezioni generali! Non resta ora che di mettere a posto quel povero pretendente, che tu hai servito un po' troppo ladramente, turpe seduttore di ragazze oneste. Che porcheria mi dai per cominciare? - chiese, interrompendosi e volgendosi al cameriere, che metteva in tavola un piatto di cibi freddi. - Huîtres à l'huile , signor conte.

. - Sí, sí, ma intanto - brontolò il conte, abbassando la sua testa precocemente calva e aguzzando gli occhi miopi su una certa miscela di carne fritta, che il cuoco aveva mandato in tavola con una salsa, in cui entrava, non so come, il principe di Galles - intanto noi roviniamo la nostra agricoltura. - Voi moderati non vedete che la politica dei vostri fagiuoli. Siete un partito vecchio, senza ideali. La bella faccia del giovane Magnenzio si rianimò all'immagine delle caccie grosse, che si posson fare al pian delle Scimmie, e alzando il calice pieno di bordò, il bel tenente bevette alla gloria dell'esercito. - Noi non ti lasceremo partire, Giacinto - soggiunse la contessa, che nella luce candida della finestra brillava d'una biondezza trasparente; - noi siamo gelose di quest'Africa, che ci toglie i nostri figliuoli. - In quanto a' tuoi figliuoli - brontolò il conte, ridendo nel piatto, mentre rivoltava la carcassa africana di quel suo magro pollo inglese - non te li toglie nessuno i tuoi figliuoli. Giacinto fissò gli occhi scherzosi negli occhi ridenti dell'amica di mammà, che rimbeccò con spirito: - La colpa è della tua politica moderata. Il bel tenente si rovesciò sulla spalliera della sedia e, balestrando il conte con una briciola di pane, gli disse: - Te la sei meritata questa volta, Vico. - Tu, taci - ribatté il conte, minacciando il giovane col dito - ne sappiamo di belle della tua politica liberale. Giacinto arrossí, e fu sul punto d'aversene a male. Ma la contessa fu pronta ad alzarsi e ad invitare il giovine a prendere il thè nel salottino. - Io vi lascio. Ho una seduta al tocco presso la Deputazione provinciale per la difesa di quei quattro fagiuoli che ci restano. Fulvia ha carta bianca per tutto ciò che posso fare per te; abbi confidenza in lei e lasciati guidare, mio caro Orlando paladino. Siamo tutti interessati a proteggerti, ma bisogna che tu faccia giudizio. Giacinto strinse la mano del conte con lunga e affettuosa insistenza per fargli comprendere che apprezzava il suo valido appoggio, e, raggirando nei polpastrelli la punta dei baffetti, promise cogli occhi quel che l'emozione non gli lasciò dire colle parole. Nel salottino rosso della contessa ardeva un bel focherello. Quando il giovine fu seduto davanti al caminetto, donna Fulvia gli offrí una sigaretta, poi gli domandò con un'intonazione un po' grave: - Ebbene? devo fare una predica? - Sono cosí pentito, cara contessa, - rispose il giovine, voltando la sigaretta fra le dita - che potrei già scrivere un quaresimale. - La povera mammà è desolata. - È desolata, ma non sa trovare un rimedio. - Non è sempre facile trovare un rimedio: ma come impedire uno scandalo? - Ha parlato con questo signor cugino, sí o no? - Nell'ultima sua lettera non mi dice ancora quale sia stato il risultato del suo colloquio con lui. E comincio anch'io ad essere un po' agitata. Comprendo tutte le preoccupazioni della povera donna. Questa benedetta questione s'impernia in un complesso di cosí gravi circostanze che ogni passo falso può condurre a un disastro. Monsignor vescovo non resterà certamente troppo edificato, quando saprà che quel suo san Luigi di nipote si compromette colle cameriere. Ma come è potuto accadere? - Come, come, - balbettò con una spallata chinandosi ad accendere la sigaretta alla fiamma del camino. - È cosí facile immaginare, Dio buono . - Diremo che è stata anche questa una passione africana, - disse col suo bel ridere argentino donna Fulvia, mentre allungavasi sulla poltrona, stendendo il corpo fino a toccare colle punte delle scarpette gli alari dorati. - È almeno bella questa Lucia del Ronchetto? - Non mi tormenti, via! - replicò egli, non senza una certa scontrosità; e, facendo sonare sul tappeto gli speroni, buttò la sigaretta nel fuoco. - Povero Giacinto, mi piace di vederti cosí contrito e umiliato. Giovinastri senza principii, senza garbo, senza orgoglio! Ma lasciamo perdere le prediche e parliamo seriamente per rendere il male minore di quel che è. Perché è inutile illudersi, in questa faccenda siamo interessati un po' tutti, i Magnenzio e i San Zeno per primi, e un poco anche i di Breno in seconda riga. Vico, che ho dovuto mettere a parte del segreto, come hai capito, ha fiutato subito il pericolo che l'affare, da scandalo privato, pigli per contraccolpo una estensione immensa, fino a compromettere i nostri interessi politici. Siamo alla vigilia delle elezioni amministrative, e puoi immaginare con che gusto i nostri nemici s'impadroniranno di questa belle Hélène. Sai che Vico l'ultima volta la portò fuori per un pelo; e uno scacco nelle elezioni amministrative vorrebbe dire in questi momenti la fine dei partito moderato nella nostra provincia. Tu non capisci che la tua politica africana, ma bisogna essere sul campo di battaglia per capire che cos'è una lotta elettorale. Come una cartuccia sparata a tempo dall'ultimo dei fantaccini può decidere una vittoria, cosí un sasso, una trave messa di traverso, può trascinare la sconfitta. Vedi quindi se Víco è interessato a mettere cenere su questo fuoco, che tu gli hai acceso accanto al pagliaio. Egli ha forti aderenze anche fuori dei suo partito e potrebbe con qualche compromesso ottenere e, se occorre, comperare il silenzio degli organetti. Ma bisognerebbe che tu aggiustassi presto i conti col cugino. Non ho ancora capito di che stoffa sia fatto questo contadino filosofo fabbricatore di tegole. Sento che ha stampato dei libri, quindi è presumibile che sia un uomo ragionevole. Vediamo un caso: potresti accettare senza scapito una sfida da lui e portare cosí la controversia sul terreno cavalleresco? Vico trova che, se egli potesse seguirti su questa via, sarebbe forse il caso di transigere su qualche particolare e di trattarlo come da pari a pari. Un reduce delle patrie battaglie, se non è nato, è cavaliere per diritto di conquista. Vico osserva anche che, se questo signor Lanzavecchia non manca d'orgoglio, dovrebbe aggradire d'essere considerato senza restrizioni. Un duello limiterebbe la questione personale e obbligherebbe piú tardi le due parti a un reciproco rispetto. Ma questo, ripeto, è il discorso di Vico. Noi donne, naturalmente, e come donne e come buone cattoliche, non possiamo approvare le risoluzioni violente. La tua povera mammà si sente morire alla sola idea che tu possa trovarti di fronte alla canna di una pistola: ma la tua divisa non ti dà un certo diritto per la scelta dell'arme? Oh che pasticcio! Vedi, benedetto figliuolo, in che imbroglio ci ha messi tutti quanti questa tua ragazzata? Donna Fulvia, che si era mossa per accendere la fiamma sotto un bricco di porcellana, si volse e, con un atto di protezione materna, passò leggermente la mano sui capelli corti, tagliati a spazzola, del bel giovinotto, che, sprofondato nella poltroncina, colle mani infossate nei taschini de' suoi stretti calzoni d'alta tenuta, stava come oppresso sotto il peso della sua responsabilità. - Quando penso che Giacinto, il biondo Apollo, è già divenuto papà. - Un sorriso d'ironia, che vibrò nella tenerezza di quella voce carezzevole, fu per il giovine tenente un filo rovente raggirato intorno alla carne viva del cuore. Nell'inchinarsi su lui, l'amica di mammà vide ch'egli piangeva. Una piccola stilla aveva già solcato il panno scuro della giubba, lasciando tra un bottone e l'altro il segno d'un punto esclamativo rovesciato. - O povero Giacinto, ti ho fatto male? come sono stata cattiva! - riprese la signora con delicata sollecitudine e con tono piagnucoloso di rimprovero a sé stessa. Volendo rimoverlo da quell'inerzia di spirito, in cui lo vedeva immiserito, si affrettò a soggiungere: - Io non dico che tu non possa trovare qualche altro rimedio. Tra gli espedienti, se io fossi in te, vorrei prendere il mio coraggio colle due mani e andrei diritto a confessare tutto allo zio vescovo. Peccato confessato è mezzo perdonato. Credo che monsignore amerà meglio saperle da te le cose, come sono andate, mentre si è ancora in tempo a rimediare, che se venisse a conoscerle dai giornali, quando non c'è piú tempo di far nulla. Nella sua alta posizione egli è piú di noi in grado di misurare il pericolo e anche di prendere gli opportuni provvedimenti. Per quanto rigido e intransigente, non può non assolvere un peccatore, che confessa piangendo il suo peccato. - Andrò a farmi ammazzare in Africa - borbottò tra il rustico e lo spavaldo il giovine, buttando nella fiamma, con un gesto aspro, la sua seconda sigaretta, come se cercasse di riaversi e di darsi della forza. Il suo capriccio non si era mai trovato a contrastare con tante seccature. Abituato a trovar sempre le porte del suo piacere spalancate, si meravigliava con attonita impazienza che non si potesse passare anche questa volta. Possibile che mancando la chiave, non si potesse sfondare l'uscio? - Per Dio! - disse ingrossando la voce per far comparire piú rauca la tenue bestemmia soldatesca, alzandosi, movendosi per il salottino. Era agitato e girava in cerca d'uno specchio per vedersi la faccia in collera. Come se l'elettricità gli uscisse da tutti i bottoni lucidi, mosse le sedie, scrollò un tavolino, e mise cosí malamente la mano sopra una gracile donnicciuola di vieux Saxe , che la rovesciò e le ruppe il naso. - Che cosa si vuole, per Dio? che mi tiri un colpo di pistola nella testa? che faccia contessa la mia cameriera? - Queste sono brutte parole, Giacinto, che ti fanno torto. Abbi pazienza. Oggi scriverò a mammà e domani concerteremo qualche cosa con Vico. Avresti difficoltà, per esempio, che mio marito andasse a parlare direttamente con Monsignore? Son due mezze potenze, sai, che nelle condizioni attuali hanno bisogno d'intendersi, e chi sa che il diavolo non sia poi cosí brutto come ce lo immaginiamo. Non andar poi a dirglielo, a monsignore, che l'ho chiamato diavolo. Donna Fulvia, sentendo muggire il thè nel bricco, ne versò una chicchera e l'offrí al giovine, stando in piedi sotto la grande specchiera, nella quale le loro belle immagini si riflettevano con nitido splendore. Calmati gli spiriti, la contessa poté condurre il discorso ad argomenti meno spinosi, e tutti e due, dopo un pezzetto, finirono col ridere come due ragazzi.

Teresa

678622
Neera 2 occorrenze
  • 1897
  • CASA EDITRICE GALLI
  • prosa letteraria
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Teresina la seguì sopra pensieri, e quando sul sagrato incontrò Orlandi che usciva dall'orto del curato, arrossì, abbassando gli occhi. Dopo mezz'ora si trovavano tutti e quattro nella casa di campagna. Orlandi, pazzo di gioventù e d'allegria, trascinava Carlino ai giuochi i piú arrischiati. Saltarono fossi, ruppero siepi, si schernirono, si accapigliarono, con un rimbalzo di parole frizzanti, di canzonature mordaci; inebbriati dall'onda del loro sangue, dalla forza dei loro muscoli. La visita alla cocomeriera occupò il restante della serata, sempre in mezzo alle risa ed al chiasso: finché Teresina, avvicinandosi al fratello, gli fece osservare che era tardi. Il ritorno fu tranquillo. La signora Letizia, appoggiata al braccio di Teresina, pronunciava tratto tratto qualche frase insignificante, ammirando la bella sera. La ragazza taceva. - Potremmo essere un po' piú galanti, - disse un tratto Orlandi - Carlino, dà il braccio a mia zia. Egli stesso offerse il suo, con molta disinvoltura, a Teresina; camminarono così buon tratto di strada, ciarlando tutti insieme. All'estremità del viale, Orlandi e la ragazza si accorsero di aver perduto i loro compagni e si fermarono per aspettarli. - Non la si vede mai in paese. - Esco poco. - Ma nemmeno alla finestra. - Oh! non ho molto tempo da stare alla finestra, io. Teresina diceva la verità, senza ostentazione e senza vergogna, con quella sua schiettezza ingenua. Orlandi non soggiunse altro, ma parve alla fanciulla che egli la guardasse fissando gli occhi nella semi oscurità del viale; e quello sguardo piú sentito che visto, la turbò tutta. Ai primi fanali, egli disse ancora: - Sarà stanca? - No, niente affatto. Teresina pensava che ella era troppo sciocca per interessare Orlandi; era naturale che il giovane non sapesse che cosa dirle, dal momento ch'ella stessa si trovava imbarazzata a rispondergli. Sulla porta il signor Caccia venne loro incontro, pieno di sussiego, imponente. Teresina lasciò il braccio del suo cavaliere. - Ci rivedremo, nevvero? - così la signora Letizia. Teresina ringraziò, salutando, ricambiando la stretta di mano della signora. Anche Orlandi tese la sua mano, che la fanciulla toccò appena, lasciando la propria inerte per mezzo minuto in quella del giovane.

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Un rossore di fanciulla spaurita apparve e sparì subito dalle guancie della signora Soave; ella balbettò abbassando gli occhi: - Sai bene, le ragazze ... - Come? - interruppe tuonando il signor Caccia. - È di mia figlia che debbo udire queste cose? Sono questi i principii da me inculcati? Sono questi gli esempi dati? - Volevo dire ... Non c'è niente di male in ciò. Teresina ha quasi ventitre anni; sarebbe tempo che si mettesse a posto. - E per mettersi a posto fa la civetta cogli scapestrati! Udendo parole così grosse, la signora Soave si turbò tutta, e riprincipiò a tremare; non bastandole l'animo di tener fronte a suo marito, eppure disperata per le accuse fatte a Teresina. - Come puoi dire così di una ragazza tanto buona? La frase le venne spezzata due o tre volte dai singhiozzi, i quali non commossero affatto il signor Caccia, fisso nel principio dell'inflessibilità. - Era una buona ragazza, o almeno la credetti tale, il che è certamente piú esatto; perché una figlia rispettosa non si sarebbe mai arrischiata a incoraggiare, senza il consiglio dei genitori, l'amore di un giovane ozioso e vagabondo. Pare che egli metta giudizio. Ha terminato gli studi, ha fatto la pratica… E poi? ... e poi non ha un soldo. Non ha una professione. Aspettando che gli capitano i clienti vorrebbe mangiarsi la dote della moglie. Bel partito! Ella fu sopraffatta dall'evidenza del ragionamento. Per quanto il signor Caccia vi aggiungesse di suo, spinto da una naturale antipatia, la posizione di Orlandi non era la più sicura. Avvezza d'altra parte a riconoscere sempre, in ogni occasione, la superiorità di suo marito, si persuase che egli aveva ragione in massima; salvo il caso che Oralndi, col suo ingegno, riuscisse a far fortuna. - E però - disse ancora la signora Soave, sentendo nel cuore tutta l'angoscia della figlia - se egli mostrasse di far bene veramente, se ottenesse un impiego, che so io? Un mezzo per crearsi una posizione onorevole, non saresti disposto ad anticipare qualche cosa a quella povera ragazza? - Si vede proprio che non hai un'idea pratica della vita, che sei una donnicciuola, non capace che di cianciare. - La mia dote… - La tua dote, divisa in cinque, non darebbe a ciascuno il pane. E abbiamo il maschio, il sostegno della famiglia! È per lui che dobbiamo fare dei sacrifici. Quando saremo vecchi non è dalle ragazze che potremo sperare aiuto. Il maschio porta il nome e l'onore dei Caccia: non posso trascurare il suo avvenire per dare alle femmine una dote, che andrebbero a portare in casa altrui. La signora Soave non parlò piú. Era convinta, rassegnata; piegava il capo davanti all'eloquenza del marito, fatta persuasa da una lunga abitudine che le donne devono cedere sempre. Lo strazio fu quando dovette spiegarsi con Teresina. La ragazza aveva già letta la propria sentenza sul volto accigliato del padre, che a lei non si degnò dir nulla; ma quando la mamma tentò di rimuoverle il pensiero di quell'amore, mostrandole che non poteva condurla ad altro che a gravi dispiaceri, ella proruppe in un pianto così disperato, e si disse cosí ferma nella decisione di sposare Orlandi, che la signora Soave dovette, per la prima volta, riconoscere in sua figlia qualche somiglianza coll'energia e colla fermezza del signor Caccia. Né tale scoperta in quel momento poteva farle piacere, che vide subito a quali attriti sarebbero giunti i due caratteri in lotta. Veramente spaventata, ella chiese a Teresina, se avrebbe avuto il coraggio di resistere a suo padre. Senza esitare la fanciulla rispose: - Sì. - Di disobbedirgli? Il sì, questa volta non venne cosí subito. - Disobbedirgli veramente ... non credo ... ma nemmeno rassegnarmi. - Figlia mia! - gridò la povera donna singhiozzando - non vorrai dare a me e a tuo padre il dolore di maritarti, senza la nostra benedizione! Teresina la rassicurò, dicendole che non avrebbe fatto cosa che potesse recare disonore o dispiacere alla propria famiglia. - E allora? - Aspetterò. E perché questa parola non avesse da essere fraintesa, soggiunse prontamente: - Orlandi mi ama ed io ho fede in lui. Fra un anno egli avrà una posizione così brillante che mio padre non potrà piú rifiutarlo per genero. La signora Soave credeva di sognare. Sua figlia parlava con sicurezza, coll'accento di una volontà irremovibile. La guardava e le sembrava trasfigurata: piú alta, colle linee del volto che avendo perdute le rotondità esuberanti della giovinezza, davano alla fisionomia una espressione caratteristica. Aveva nell'occhio la serietà pensosa delle donne che amano, e il raggio di quelle che si sanno amate. Era nel massimo sviluppo della sua bellezza e della sua forza. - Che Dio t'ascolti e ti benedica! La madre non trovò altro da dire. Dopo averla contemplata se la tirò vicina, abbracciandola, ravviandole i capelli sulla fronte, come avrebbe fatto con un bambino; presa tutta dalla tenerezza di quella grande passione. La sera stessa Teresina riceveva una lettera d'Orlandi, nella quale il giovane le giurava eterno amore. Madre e figlia piansero nel leggerla.

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