Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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GIACINTA

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Capuana, Luigi 3 occorrenze

- rispose Giacinta, abbassando il capo. - Ecco, dunque! Sposerai lui! - Né te, né lui. - E tu m'ami? - Con tutta l'anima! ... Ma è un'altra cosa, Dio mio! - Chi ti capisce? Giacinta fece una mossa di dispetto. - Mi tormenti per capriccio! Non può essere altrimenti. Tu sai che io non mento - ella aggiunse; - ti ho detto che t'amo; sei il solo a cui l'abbia detto! Non lo dirò a un altro, sta sicuro! ... Ma t'amo a modo mio ... Lasciati amare cosí; non tormentarmi! A quella dolcezza di voce che contrastava coll'altiera fierezza degli sguardi, Andrea, un po' rabbonito, rispose: - E l'avvenire? Giacinta stese un braccio sul leggío, vi posò la testa in atto di abbandono e chiuse gli occhi un istante. Andrea l'osservava, ansioso, con le labbra inaridite. - L'avvenire? - ella disse, come destatasi da un breve sonno. - L'avvenire è ... che t'amerò sempre! ... Che non posso, intendi? né voglio amare altro che te! Ma è appunto per questo, intendi? che non saremo mai sposi! ... Lasciati amare cosí, a modo mio. Non tormentarmi! Andrea si sentiva vincere da quella voce carezzevole, insinuante. Ma che significavano tali parole in bocca a una ragazza da cui appena gli era stato permesso, di furto, qualche bacio sulle dita? Non riusciva a capirlo. - E dopo? - insisteva. Giacinta si era fermata a riflettere. - Dopo? ... Oh, no! no! - poi disse, tristamente. - È impossibile; no! L'uomo non è mai generoso. Dimenticare, perdonare non è per lui ... Verrebbe un giorno, arriverebbe un momento che anche tu saresti cosí vile ... E tacque coprendosi la faccia con le mani. Un tremito di ribrezzo le correva per tutto il corpo. - No, è impossibile! ... Tu sai ... Esitava. Evidentemente il parlare le costava un grande sforzo. Andrea le fece cenno di no. - Non mentire, tu lo sai! - replicò con dignitosa alterigia. - In questo punto non saprei tollerare nemmeno la tua pietà: comincerei a disamarti. - T'amo! - rispose Andrea - T'amerò sempre! So dimenticare; l'hai già veduto. Perdonare? ... Non è il caso. - Non m'illudi - lo interruppe Giacinta. - Ti vo' troppo bene da mettermi a repentaglio di doverti odiare o disprezzare, che sarebbe anche peggio. Senti, Andrea; non fare piú scene; te ne supplico! Non far comprendere alla gente che tu sii per me qualcosa piú degli altri ... E se ti pesa l'essere amato a modo mio, se non hai piú la forza o il coraggio di continuare ad amarmi ... lasciami in pace; sarà quel che sarà! ... Che posso dirti di piú? - Ma io t'amo tanto! Giacinta, commossa, abbandonò la mano in quelle di Andrea. - Già, ad una spiegazione dovevamo venirci. Ti vedevo, da qualche tempo, cosí irrequieto, cosí smanioso ... - Come non esserlo? - Ora non piú, è vero? Avrai fede in me, sarai prudente, non t'adombrerai di nulla; è vero? Sono un po' diversa dalle altre donne; forse son fatta male. Non è colpa mia ... Sí, son fatta male! Me ne accorgo ... Ah se tu sapessi quello che ho sofferto! ... Ma non sono cattiva. Orgogliosa, anche troppo. L'orgoglio è il mio coraggio. - E, per l'avvenire? - tornò a ripetere Andrea. - Oh! - esclamò Giacinta. - Vuoi dunque strapparmela per forza la terribile parola? ... Vuoi dunque ... Tentò d'alzarsi; ma un lembo della veste, impigliato sotto il piede dello sgabello, la ritenne. Allora, chinatasi per scostare lo sgabello e nascondendo con quel pretesto il suo imbarazzo: - Ebbene - disse - l'uomo del mio cuore potrà, forse, un giorno ... diventare il mio ... amante; marito mio, no; mai! E si levò, strappando la veste. Andrea, visto rientrare il commendatore Savani con la signora Marulli, gli andò incontro: - Mi aveva detto di aspettarla! ... Eccomi qui. - Ah! ... Mi rammento - rispose il commendatore, prendendogli il braccio - Venite. Buona notte, Teresa. La signora Marulli attese che fossero usciti dal salotto; poi, con una di quelle sue occhiate che dicevano tanto, le gridò sotto voce: - Grulla! - Mamma! - rispose Giacinta sdegnata. - Che c'è? - domandava il signor Marulli apparso sull'uscio. - C'è ... che tua figlia è pazza! - rispose la signora Teresa, passando con tanta furia da dare appena tempo al marito di tirarsi da parte. Giacinta con le braccia tese in giú irrigidite, coi pugni stretti, era diventata bianca come un cencio lavato. - Che vuol dire? - tornò a domandare il signor Marulli, interdetto. - Nulla, babbo - rispose Giacinta frenando a stento le lagrime - Tu lo sai bene ... la mamma! E si sforzava di sorridere.

- esclamò il dottore abbassando la voce. - Perché? - Debbo dirglielo? ... È una persona comune, quasi volgare ... - M'ama! ... Mi ha amato! - si corresse Giacinta, tristamente. Quelle due inflessioni di voce colpirono il dottore. - È una ragione, ne convengo. Però, dopo tutto lei sentirà, di quando in quando, un'aspirazione verso qualche cosa di piú elevato; la sente, ne son sicuro. - Amando, la persona amata ci apparisce unicamente quale noi ce la foggiamo; l'ho osservato un po' negli altri, un po' in me stessa. Poi, le circostanze modificano tutto. Le piccole qualità possono valere piú delle grandi; i difetti diventare un merito. Da che cosa lei crede che dipenda il predominio di lui sul mio cuore? Quasi unicamente da quella sua mitezza di carattere, da quella sua bontà che gli altri, forse, chiamano debolezza. Mi amava diversamente da tutti, compatendomi ... E gli ho immolato ogni cosa, e n'ho fatto lo scopo della mia vita! ... Il disinganno mi ucciderebbe. Già ... mi sento colpita. Il dottore rimaneva indeciso. Certe inflessioni, certe sfumature dell'accento e della voce di lei, alcuni rapidi movimenti delle labbra e degli occhi gli avevano rivelato assai piú che le parole non dicessero. - Vi è un solo rimedio - rispose. - Viaggi. - Mi faccia dormire; non le chieggo altro! Follini cavò di tasca il portafogli, scrisse la sua ricetta e la posò sul tavolino. - Un cucchiaio, prima d'andare letto ... Oh, la cattiva bambina! E si mise a fare una carezza all'Adelina che, entrata di corsa, scalmanata, s'era afferrata al collo della mamma coprendola di baci. - Non si dice nulla al dottore? - la rimproverava la mamma. La bambina gli fece una smorfietta, ma un colpo di tosse la interruppe. - Badi: la stagione è pericolosa. La difterite infierisce. Giacinta trasalí e strinse, istintivamente, la figliolina tra le braccia: - È un po' calda, è vero? ... Non mi faccia paura. La osservava tutta, passandole le mani sul viso, prendendola per le manine, interrogando con occhio inquieto ora la bambina, ora il dottore: - Le tasti il polso. Adelina stava ferma, seria seria, accigliata, sospettosa di quella mano del dottore. - C'è un po' di febbre ... La cattiva signorina anderà a letto: capisce? E starà tranquilla, altrimenti la mamma non le vorrà piú bene ... - Se lo avessi saputo! - esclamò Giacinta, impallidendo. - Ier sera la trattenni fuori fino a tardi. Aveva freddo; voleva tornarsene a casa ... Ma non è nulla, spero ... Mi dica che non è nulla; mi rassicuri! - Speriamolo! - rispose il dottore, impensierito di certe macchie violette della faccia di Adelina.

Proprio in quel momento, Giacinta si era messa a sorridere, soddisfatta, abbassando le palpebre, scotendo lentamente il capo in segno di conferma, intanto che il Ranzelli, eretto sulla vita, impettito, scuro in viso, mordevasi i baffi e si guardava, per darsi un contegno, le mani. Alzando gli occhi, ella scorse in un angolo sua madre che le gettava, di sfuggita, certe occhiate penetranti come un succhiello. - La mamma ci osserva - disse al capitano. - Tanto meglio - rispose questi, guardando dalla parte dove la signora Marulli, col vestito nero accollato, orlato da un goletto bianchissimo, a cartocci, che dava risalto alla sua bella testa di donna matura, pareva ragionasse fitto fitto colla signora Villa, senza neppure badare ai continui dinieghi di questa. Poco dopo, Giacinta diceva al capitano: - Gerace ci mangia con gli occhi. - Peggio per lui! Questa volta il Ranzelli non si degnò di voltarsi. Giacinta, però, continuò a guardare laggiú, verso il pianoforte. Da un pezzetto Andrea Gerace non prestava piú orecchio alla signora Maiocchi che, seduta dirimpetto a lui, pareva gli parlasse di qualche cosa interessante, facendo ballare i nastri, i fiori, i tralci della sua enorme pettinatura. Egli tormentava, ora con una mano ora coll'altra, la punta dei suoi baffettini incipienti e aveva negli occhi tutto il dispetto per quella eterna conversazione tra il capitano e Giacinta. - E i dieci minuti? - diceva infatti Giacinta, con aria di rimprovero, al Ranzelli. - Per me non sono ancora passati ... , se non la infastidisco. Giacinta gli accennò di continuare, col ventaglio di tartaruga a cui teneva appoggiata la faccia; e riprese a fissare Gerace, che, pallido, cogli occhi intorbidati, non ne perdeva il piú piccolo movimento. La signora Maiocchi, nella foga del ragionare, non gli aveva badato; ma quando gli vide rizzare improvvisamente il capo, si voltò subito indietro agitando il pensile giardino della sua testa, per vedere che cosa accadesse. Il Ranzelli, accostata un po' piú la seggiola alla poltrona, parlava con grande efficacia, curvo, accompagnando le parole con brevi gesti nervosi; e Giacinta, a fronte bassa, mordendo la punta del ventaglino, stava ad ascoltarlo immobile, il seno ansante, infiammata nel viso. - Ma dunque questa Giacinta vi fa ammattire tutti! La signora Maiocchi prese stizzosamente una delle tante partiture ammonticchiate sul pianoforte e cominciò a sfogliarla. - Volete un consiglio? - soggiunse, rimettendo la partitura a posto. - Lasciate andare; quella ragazza è impastata di ghiaccio. - Il capitano sta per scioglierlo! - rispose Andrea. - Non vi credevo cosí sciocco - disse la Maiocchi, levandosi a sedere. Nello stesso punto Giacinta si era alzata dalla poltrona. - Poesia! Poesia! - mormorava, fissando il capitano negli occhi. E si stirava graziosamente con un fare di persona stanca; ma il capitano, indovinando sotto quella sonnolente indifferenza la commozione vibrante ancora nei delicati nervi di lei, pensava un po' mortificato: - Strana ragazza! - Insomma? ... - le domandò tutt'a un tratto. E siccome a questa insistenza Giacinta non poté trattenere un sorriso, il Ranzelli, per ricambio, voleva darle una stretta di mano. - Oh, no! - ella disse, avvedendosi dell'abbaglio di lui. Ma non poté aggiungere altro, sotto tanti sguardi rivolti curiosamente su di loro. Gli fece un piccolo inchino con la testa, e andò incontro al padre che rientrava dalla stanza da giuoco discutendo, col signor Rossi e il cavaliere Clerici, l'ultima partita di tressette. Il Signor Marulli voleva giustificare, a tutti i costi, una giocata andatagli male. - Babbo, devi aver torto - gli disse Giacinta, sforzandosi di parer di buon umore. - Ha perduto, è vero cavaliere? - Come sempre - rispose Clerici. Il Signor Marulli protestava. Ranzelli intanto, rimasto a riflettere sulle ultime parole di Giacinta, si arrabbattava colle dita contro un bottone della divisa che stentava a entrare in un occhiello. Poi, vedendo passare il commendatore Savani scappato da un piccolo crocchio di persone con le quali era stato lungamente a discorrere, gli si accostò, dicendo: - Buoni affari, commendatore? - Ah! gli azionisti son piú noiosi delle mosche - rispose Savani. - Il miele dei dividendi li attira! - aggiunse il Ratti salutandolo e ammiccando malignamente al capitano e alla Maiocchi la quale aveva alzato la testa lasciando di parlare al cavaliere Mochi in un orecchio. Questi, con la lente all'occhio sinistro, senza smettere di osservare le fotografie del grande album aperto sul tavolino, rispondeva alla signora Maiocchi: - V'ingannate, non mi riguarda. - Andate là! Come antico cugino della mamma, dovrebbe interessarvi. E dondolava il capo affermativamente, benché Mochi le dicesse: - Niente affatto! Quella parentela costava troppo, allora; e non valeva quel che costava. Oh! io sono sempre economo in vita mia. - Sia pure! E la signora Maiocchi rideva, ma non pareva ben persuasa. Nel centro del salotto, attorno alla signora Rossi, alla Gina, alla signora Clerici e alla signora Mazzi che si faceva sempre vento indolentemente, la conversazione era diventata animatissima. - Che pazzerellone quel Ratti! - Non c'era altri che lui per rallegrare la brigata! Infatti ridevano tutti. Giacinta, in piedi, a braccio della Gina che aveva ceduto il suo posto alla signora Mazzi, non perdeva di vista Gerace. Egli picchiava leggermente con un dito sopra un tasto del pianoforte, mordendosi il labbro, gli occhi rivolti al soffitto; e quella nota, sorda e continua, irritava Giacinta, benché il rumore della conversazione la facesse appena avvertire dagli altri. Ogni battuta era per lei una puntura di spillo. Finalmente non ne poté piú! Svincolatasi dal braccio della Gina, si fece largo colla mano fra il conte Grippa e il Porati, e fermatasi a pochi passi dal pianoforte: - Dio mio, signor Andrea! - gli disse. - Non ha altro da suonare? - Musica del cuore! - esclamò la signora Maiocchi. E vedendo che gli altri ridevano di quella spiritosaggine buttata quasi in viso a Giacinta, si ringalluzzí tutta. Gerace, sorridendo impacciatamente, erasi già scostato dal pianoforte. - Musica del cuore! - ripeté la signora Maiocchi. - Ton! Ton! Ton! ... Cotesta musica la faccio anch'io che non so suonare nemmen le campane. Ecco qui! E il Ratti si mise a pestare all'impazzata sui tasti, lavorando furiosamente il pedale. I bassi muggivano come tori feriti; gli acuti stridevano con un miagolio indiavolato. - Bravo! Bravo! Il conte Grippa cominciò a batter le mani il primo, sgangherandosi la bocca dalle risa. - Bravo! ... Benissimo! Tutti gli fecero coro. Quella grassona della signora Mazzi, a cui il gran ridere dava il convulso, si aggravava con tutta la sua persona sopra una spalla del Merli che, piccino com'era, aveva paura di essere schiacciato. Con tal successo e con tanta ressa di persone attorno al pianoforte, il Ratti pestava, pestava sulla tastiera, stralunando gli occhi, agitando il capo come in preda all'ispirazione musicale, facendo le viste di svenirsi nei momenti patetici. - Povero pianoforte! - disse allora la signora Villa a la Marulli che, a quel chiasso, aveva smesso di parlare, nell'angolo dov'eran rimaste esse sole. Profittando della confusione, Giacinta si era avvicinata a Gerace. Imbroncito, in disparte, Andrea lisciava le foglie della gypsophila paniculata posta in un vaso di porcellana su un treppiede di bronzo. - Che ti prende? - gli disse sdegnosamente sotto voce, passando oltre senz'attendere la risposta. - Beene! ... Braavo! ... Beeenissimo! Ratti, dato un ultimo strappo alla tastiera, si applaudiva da sé, battendo le mani piú forte degli altri.

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