Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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ATTRAVERSO L'ATLANTICO IN PALLONE

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Salgari, Emilio 3 occorrenze

"Comprendo da cosa deriva questo brusco abbassamento della temperatura," disse, "attraversiamo uno strato di sottili ghiaccioli. Brutto segno: porterà una nevicata." "Tò!" esclamò O'Donnell. "Non vi sembra che ci stiamo abbassando?" "Infatti è vero. Questo freddo repentino tende a restringere l'idrogeno, ma appena saremo usciti da questo strato, il sole tornerà a dilatarlo e noi a salire." Il vascello aereo si abbassava lentamente, ma doveva essere cosa di breve durata. Ben presto il barometro avvertì gli aeronauti che i trovavano a 3000 metri di altezza, mentre prima si erano sempre tenuti a 3500. Quell'abbassamento permise di osservare meglio la grande isola che si stendeva sotto di loro. Si distinguevano perfettamente le abitazioni sparse sul bordo delle grandi boscaglie, gli abitanti che cercavano di correre dietro all'aerostato, credendolo forse un gigantesco uccello di nuovo genere, data la sua forma così differente dai soliti palloni, e si udivano nettamente le loro grida di stupore. Alle tre pomeridiane O'Donnell e l'ingegnere scorsero, come annidata sulle sponde di una baia, San Giovanni, la capitale dell'isola. Per alcuni istanti poterono vedere il palazzo dell'assemblea, la dogana, le fortificazioni e le numerose graves che si estendevano per lungo tratto fuori dalla città, poi non videro più che una massa biancastra poiché il vento li spingeva verso nord, ossia in direzione delle baie di Trinità e Bonavista. Alle tre e quaranta minuti si libravano sopra il capo Fuels, avvistando l'isola del Fuoco, e pochi minuti più tardi l'aerostato abbandonava l'isola, filando sopra l'oceano Atlantico, le cui onde si urtavano con profondi muggiti, coprendosi d'un immenso manto di candida spuma." "Addio terra!" esclamò O'Donnell. "D'ora innanzi non vedremo che acqua." "Purché il vento non cambi direzione," disse l'ingegnere. "Potrebbe spingerci verso il nord e fors'anche ricondurci verso l'America." "Dove ci porta ora?" "Diritti al grande banco. Non vedete laggiù, verso l'est, quei punti neri? Sono le navi occupate nella pesca ai merluzzi." "E lontano però il grande banco" "Vi giungeremo fra un paio d ore, se la nostra velocità, che è ora di quaranta miglia, non diminuisce." "Si pescano dappertutto i merluzzi, intorno all'isola?" "Sì, specialmente quando i pesci cominciano a lasciare il banco per cercare un altro cibo. In primavera i merluzzi si radunano in grandi masse nei dogger-banks delle coste di Islanda, nei fiorden della Norvegia e nei golfi dell'Irlanda, poi si dirigono tutti insieme verso Terranova. È in questa stagione che dalle coste della Norvegia, della Francia, dell'Inghilterra e dell'Olanda partono vere flottiglie di pescatori, i quali, cosa sorprendente davvero, qui vengono senza bisogno di carte e di strumenti necessari a fare il punto, seguendo, direi quasi, una traccia secolare. Si calcolano fino a seimila navi che tutti gli anni vengono impiegate nella pesca del prezioso pesce." "Devono pescarne una quantità immensa." "Dai 35 ai 40 milioni." "E chi per primo s'accorse della riunione dei merluzzi su questo grande banco?" "Caboto lo aveva notato; poi un altro ardito navigatore italiano, il fiorentino Giovanni da Verrazzano, che prese possesso di Terranova nel 1525 in nome di Francesco I re di Francia e che poco dopo cadde sotto le lance e le scuri degli indigeni; poi Cartier, lo scopritore del fiume San Lorenzo." "Si pescano anche nel San Lorenzo?" "No, i merluzzi non penetrano mai nei fiumi, anzi si tengono lontani dalle foci." "Terminata la stagione sul grande banco, si radunano altrove?" "No, si disperdono, scompaiono e non si vedono più per il resto dell'anno. Si ignora dove vadano a svernare durante la stagione fredda, ma pare che si tengano in acque assai profonde. Ma ecco le prime barche da pesca, O'Donnell, aprite bene gli occhi, e non vi dispiacerà di aver fatto una volata sopra il grande banco di Terranova.

Ma a che cosa si deve questo brusco abbassamento di temperatura?" "Forse a qualche grande uragano che si è scatenato nelle regioni settentrionali." rispose l'ingegnere. "Non durerà molto, O'Donnell e domani tornerà a fare caldo." "Lo credete?" "Sì, questa corrente non tarderà a scaldarsi sotto questi climi ardenti" "Che il pallone scenda ancora? " "Non lo credo; tuttavia veglieremo a turni." Cenarono con un po' di carne conservata e una scatola di tonno, misurandosi l'acqua. Poi O'Donnell si sdraiò presso Simone, che continuava a russare, mentre l'ingegnere vegliava, seduto sul suo materasso, che si trovava a prua. Durante quel primo quarto d'ora di guardia non accadde nulla. Solamente il pallone, il cui idrogeno continuava a condensarsi perché la corrente d'aria restava sempre fredda, discese ancora di oltre cento metri. A mezzanotte O'Donnell rilevò l'ingegnere. Diede uno sguardo intorno, un altro all'oceano, che brontolava a soli trenta metri di distanza, poi si sedette a prua, fumando una sigaretta. Erano già trascorse le due ore, e cominciava a socchiudere gli occhi invitato dal leggero dondolamento dell'aerostato, quando tutto ad un tratto la navicella subì una scossa violenta. Si volse rapidamente e ritto sulla poppa vide il negro, coi capelli irti, gli occhi luccicanti come quelli degli animali notturni, le braccia in aria. "Simone!" esclamò "Che cosa fai?" Il pazzo emise un grido rauco: "II mostro! ... il mostro!" esclamò con voce strozzata. L'irlandese si avventò su di lui, ma era troppo tardi. Il povero pazzo preso chissà da quale terrore, fece atto di fuggire e mise i piedi nel vuoto. O'Donnell emise un grido: "Mister Kelly!" Poi mentre il pallone, scaricato del peso di Simone, s'innalzava, egli, senza badare al pericolo che stava per affrontare, si precipitò nell'oceano dietro al pazzo. L'ingegnere, svegliato di soprassalto, udì due gridi e due tonfi, poi più nulla. L'aerostato, bruscamente alleggerito di quei due corpi, che pesavano centoquaranta chilogrammi, trascinava Kelly con rapidità vertiginosa attraverso le alte regioni dell'atmosfera!

"Questo abbassamento di temperatura deriva dalla nostra elevazione. Guardate il barometro: siamo già a 3700 metri." "Che il pallone voglia scappare nella luna?" "Si fermerà. Non dubitate." "Più si sale, più aumenta il freddo?" "Sì e l'aria diventa talmente rarefatta da uccidere gli imprudenti che osano salire troppo in alto." "E per quali cause?" "Per la diminuzione della tensione dell'ossigeno, che a quelle altezze non penetra più nel sangue e di conseguenza nei tessuti in quantità sufficiente a mantenere le combustioni vitali nel loro stato di energia normale. All'altezza in cui ci troviamo, già il vostro polso deve avere ottanta battiti al minuto, e dovete provare un principio di nausea." "Infatti provo un certo malessere, Mister Kelly." "Se la salita continuerà, il vostro ventre comincerà a gonfiarsi, sentirete la faccia in congestione e proverete anche qualche vertigine. Più su vi è la morte, ma noi non toccheremo quella zona mortale." "Lo spero, Mister Kelly, se non per me, per voi. Ditemi: vi sono stati degli aeronauti che hanno osato spingersi fino a quella zona?" "Sì e alcuni non sono più ridiscesi vivi. I primi che si slanciarono arditamente negli spazi celesti per verificare fino a quale altezza l'aria era respirabile per l'uomo, furono Robertson e Lhoêst, i quali nel 1803 riuscirono a raggiungere, a quanto sembra, i 7000 metri. Si disse allora che a Robertson era gonfiata la testa a tal segno da non potersi più mettere il cappello; ma io la ritengo una frottola. Nel 1804 Gay-Lussac tocca pure 7000; prova nausee, vertigini e un principio di soffocamento; ma ridiscende vivo. Darral e Bixio nel 1850 toccarono anche loro i 7000 metri. Nel 1850 Gaisher e Coxwell affermarono di aver raggiunto i 10.000 metri. Il primo svenne; ma il secondo, quantunque non potesse far uso delle mani perché il freddo intenso gliele aveva assiderate, riusciva ad afferrare coi denti la corda della valvola di sfogo, obbligando il pallone a ridiscendere. Io però sono d'opinione che non abbiano raggiunto quell'altezza, e così pensano pure molti aeronauti. Se si fossero spinti tanto in alto, non sarebbero ritornati a terra vivi. La più drammatica e più terribile ascensione fu quella dello Zenith, che costò la vita a due giovani e audaci aeronauti, a Croce-Spinelli, un italiano naturalizzato francese, ed a Silvel. Già nel 1874, incoraggiati e aiutati dalla Società Francese di Navigazione Aerea, avevano fatto una prima ascensione, raggiungendo i 7300 metri. Il 15 Aprile 1875 partivano sull'aerostato lo Zenith, in compagnia di Tissandier, un aeronauta che aveva eseguito già oltre venti ascensioni. L'aerostato, continuamente scaricato dalla zavorra che portava, s'innalzava rapidamente verso le solitudini gelate delle grandi altezze. Il freddo li intirizzì, le nausee sopravvennero, le vertigini li colsero; ma continuarono intrepidamente a salire. A 8000 metri Croce-Spinelli e Silvel, malgrado respirassero di frequente l'ossigeno che avevano portato con loro, caddero; ma Tissandier resiste ancora e continuò le sue osservazioni. A 8600 metri lo Zenith s'arrestò, poi ridiscese; ma portava con sé due cadaveri: Croce- Spinelli e Silvel erano morti! Che cosa ne dite, O'Donnell?" L'irlandese, che fino ad allora gli stava seduto a sinistra, a cavalcioni d'una panchina del battello, non diede alcuna risposta. L'ingegnere si volse verso di lui e lo vide accasciato su se stesso, come se fosse stato improvvisamente colto da uno svenimento, o da un sonno irresistibile. Guardò a poppa e vide il negro Simone che pareva pure addormentato. "Diavolo!" esclamò. "Dove ci troviamo?" Gettò uno sguardo sul barometro: segnava 4300 metri. "È troppo," mormorò. "Ancora poche centinaia di metri più in alto, e questi uomini, non abituati alle ascensioni, dormiranno per sempre. Afferrò le due corde che mettevano capo alle valvole di sfogo e diede uno strappo. Tosto in alto si udirono degli scoppiettii e all'intorno si sparse un acuto odore di idrogeno. "Basta," disse mezzo minuto dopo. "È troppo prezioso per consumarlo." Il Washington, benché appena salassato, discendeva lentamente nelle regioni più respirabili. In dieci minuti toccò i 3600 metri e colà giunto arrestò la sua discesa. O'Donnell aprì gli occhi, sbadigliando come un orso che non dorme da una settimana. "Che vi pare della disgraziata sorte toccata a Croce-Spinelli e a Silvel?" gli chiese Kelly, con un sorriso leggermente malizioso. "Silvel! Croce-Spinelli! ... " esclamò O'Donnell, guardando l'ingegnere con due occhi strabuzzati. "Ma siete uno stregone voi, che indovinate i miei sogni?" "Avete sognato, O'Donnell?" "Sì, di palloni, di ascensioni di un certo Tissandier e ... Ma perché ridete?" "Perché non avete sognato nulla di tutto ciò, ma l'avete udito dalla mie labbra e vi siete addormentato mentre io vi narravo quella drammatica ascensione." "Mi sono addormentato, io!" "Sì, O'Donnell, ma per effetto dell'altezza del Washington e Simone, che comincia solamente ora ad aprire gli occhi, vi teneva compagnia. Come vi sentite?" "Benissimo: anzi ho una fame da lupo." "Buon segno," disse Kelly, ridendo. "Con la discesa scompaiono repentinamente i disturbi pericolosi cagionati dalle eccessive altezze." "Dev'essere così, signor Ned; ma si vede che le ascensioni non sono fatte per me, né per Simone. Che ne dici, negrotto mio?" Il negro si limitò a sbadigliare in tal modo da correre il pericolo di slogarsi le mascelle, mostrando due file di denti da fare invidia a un coccodrillo dell'Africa equatoriale.

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