Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbassai

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Senso

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Boito, Camillo 1 occorrenze

Abbassai il cristallo, e l'ufficiale mi porse qualcosa: era il mio portamonete, dimenticato sulla tavola della bottega da caffè, mentre stavo per pagare e successe il tafferuglio. Lo avevano trovato e riportato i tre compagni di lui, il quale disse con gravità solenne: - Non manca né una carta, né un soldo. - Ma le carte sono state lette? - e pensavo alla lettera di Remigio, l'unica serbata da me e che non avrei voluto per cosa al mondo vedermi uscire di mano. - No, signora contessa. Sono stati visti i suoi biglietti da visita e il ritratto del tenente Remigio: niente altro, lo dichiaro sul mio onore. La mattina seguente, prima delle nove, mi feci condurre nella mia carrozza al Comando della fortezza. L'erta mi pareva interminabile: gridavo a Giacomo di frustare i cavalli. Una folla di militari d'ogni colore, di feriti, di popolani, ingombrava il piazzale innanzi al Castello; ma giunsi senza ostacoli all'anticamera degli uffizii, dove un vecchio invalido pigliò il mio biglietto da visita. Dopo qualche minuto ritornò, dicendomi che il generale Hauptmann mi pregava di passare nel suo quartiere privato, e che appena sbrigati certi affari urgentissimi, sarebbe venuto a presentarmi il suo omaggio. Fui condotta attraverso logge, corridoi e terrazze in una sala, che dominava dalle tre larghe finestre la città intiera. L'Adige, interrotto da' suoi ponti, si torceva in una S, avente la prima delle sue pancie a' piedi del monticello su cui sorge Castel San Pietro, e la seconda a' piedi di un altro bruno castello merlato; e sorgevano dalle case i culmini e le torri delle vecchie basiliche; e in un largo spazio si vedeva l'ovale enorme dell'Arena antica. Il sole mattutino rallegrava l'abitato ed i colli, e dall'una parte indorava le montagne, dall'altra gettava una luce placida sulla interminabile pianura verde, sparsa di villaggi bianchi, di case, di chiese, di campanili. Entrarono nella sala con fracasso di risa e salti due bimbe, le quali avevano il volto color di rosa e i capelli biondi paglierini. Vedendomi, di primo botto rimasero impacciate, ma poi subito si fecero coraggio e mi vennero accanto. La più grandicella disse: - Signora, s'accomodi. Vuole che vada a chiamare la mamma? - No, fanciulla mia, aspetto il tuo babbo. - Il babbo non l'abbiamo ancora visto stamane. Ha tanto da fare. - Lo voglio vedere io il babbo - gridò la più piccina. - Gli voglio tanto bene io al babbo. In quella entrò il generale, e le bimbe gli corsero incontro, gli si avviticchiarono alle gambe, tentavano di saltargli sulle spalle; egli prendeva l'una e l'alzava e le dava un bacio, poi prendeva l'altra; e le due pazzerelle ridevano, e negli occhi del generale spuntavano due lagrime di tenerezza beate. Si volse a me, dicendo: - Scusi, signora; s'ella ha figliuoli mi compatirà -. Si mise a sedere in faccia a me, e soggiunse: - Conosco di nome il signor conte, e sarei lieto se potessi servire in qualcosa la signora contessa. Feci un cenno al generale perché allontanasse le bambine, ed egli disse loro con voce piena di dolcezza: - Andate, figliuole mie, andate, dobbiamo parlare con la signora. Le bambine fecero un passo verso di me come per darmi un bacio; voltai la testa; se ne andarono finalmente un poco mortificate. - Generale - mormorai - vengo a compiere un dovere di suddita fedele. - La signora contessa è tedesca? - No, sono trentina. - Ah, va bene - esclamò, guardandomi con una cert'aria di stupore e d'impazienza. - Legga - e gli porsi in atto risoluto la lettera di Remigio, quella che avevo ritrovata nel taschino del portamonete. Il generale, dopo avere letto: - Non capisco; la lettera è indirizzata a lei? - Sì, generale. - Dunque l'uomo che scrive è il suo amante. Non risposi. Il generale cavò di tasca un sigaro e lo accese, s'alzò da sedere e si pose a camminare su e giù per la sala; tutt'a un tratto mi si piantò innanzi e, ficcandomi gli occhi in volto, disse: - Dunque, ho fretta, si sbrighi. - La lettera è di Remigio Ruz, luogotenente del terzo reggimento granatieri. - E poi? - La lettera parla chiaro. S'è fatto credere malato, pagando i quattro medici - e aggiunsi con l'accento rapido dell'odio: - È disertore dal campo di battaglia. - Ho inteso. Il tenente era l'amante suo e l'ha piantata. Ella si vendica facendolo fucilare, e insieme con lui facendo fucilare i medici. È vero? - Dei medici non m'importa. Il generale stette un poco meditabondo con le ciglia aggrottate, poi mi stese la lettera, che gli avevo data: - Signora, ci pensi: la delazione è un'infamia e l'opera sua è un assassinio. - Signor generale - esclamai, alzando il viso e guardandolo altera - compia il suo dovere. La sera, verso le nove, un soldato portò all'albergo della Torre di Londra, dove finalmente mi avevano trovato una camera, un biglietto, che diceva così: "Domattina alle quattro e mezzo precise verranno fucilati nel secondo cortile di Castel San Pietro il tenente Remigio Ruz ed il medico del suo reggimento. Questo foglio servirà per assistere alla esecuzione. Il sottoscritto chiede scusa alla signora contessa di non poterle offrire anche lo spettacolo della fucilazione degli altri medici, i quali, per ragioni che qui è inutile riferire, vennero rimandati ad un altro Consiglio di guerra. GENERALE HAUPTMANN". Alle tre e mezzo nella notte buia uscivo a piedi dall'albergo, accompagnata da Giacomo. Al basso del colle di Castel San Pietro gli ordinai che mi lasciasse, e cominciai sola a salire la strada erta; avevo caldo, soffocavo; non volevo togliermi il velo dalla faccia, bensì, sciolti i primi bottoni dell'abito, rivoltai i lembi dello scollo al di dentro; quel po' d'aria sul seno mi faceva respirare meglio. Le stelle impallidivano, si diffondeva intorno un albore giallastro. Seguii de' soldati, che girando il fianco del Castello, entrarono in un cortile chiuso dagli alti e cupi muri di cinta. Vi stavano già schierate due squadre di granatieri, immobili. Nessuno badava a me in quel brulichìo silenzioso di militari e in quelle mezze tenebre. Si sentivano le campane suonare giù nella città, dalla quale salivano mille romori confusi. Cigolò una porta bassa del Castello, e ne uscirono due uomini con le mani legate dietro la schiena; l'uno magro, bruno, camminava innanzi ritto, sicuro, con la fronte alta; l'altro, fiancheggiato da due soldati, che lo reggevano con molta fatica alle ascelle, si strascinava singhiozzando. Non so che cosa seguisse; leggevano, credo; poi udii un gran frastuono, e vidi il giovane bruno cadere, e nello stesso punto mi accorsi che Remigio era nudo fino alla cintura, e quelle braccia, quelle spalle, quel collo, tutte quelle membra, che avevo tanto amato, m'abbagliarono. Mi volò nella fantasia l'immagine del mio amante, quando a Venezia, nella Sirena, pieno di ardore e di gioia, m'aveva stretta per la prima volta fra le sue braccia d'acciaio. Un secondo frastuono mi scosse: sul torace ancora palpitante e bianco più del marmo s'era slanciata una donna bionda, cui schizzavano addosso i zampilli di sangue. Alla vista di quella femmina turpe si ridestò in me tutto lo sdegno, e con lo sdegno la dignità e la forza. Avevo la coscienza del mio diritto, m'avviai per uscire, tranquilla nell'orgoglio di un difficile dovere compiuto. Alla soglia del cancello mi sentii strappare il velo dal volto; mi girai e vidi innanzi a me il grugno sporco dell'ufficiale Boemo. Cavò dalla bocca enorme il cannello della sua pipa, e, avvicinando al mio viso il suo mustacchio, mi sputò sulla guancia ... * * * L'avevo detto io che l'avvocatino Gino sarebbe tornato. Bastò una riga: Venite, faremo la pace perché capitasse a precipizio. Ha piantato quella bamboccia della sua sposa una settimana innanzi al giorno destinato pel matrimonio; e va ripetendo ogni tanto, stringendomi quasi con la vigoria del tenente Remigio: - Livia, sei un angelo!

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