L'articolo 24 della Finanziaria 2003 è rilevante sotto due profili: abbassa la soglia al di sopra della quale le amministrazioni che espletano procedure aperte o ristrette devono applicare la normativa nazionale di recepimento della normativa comunitaria in materia di acquisti di beni e servizi e rafforza il ruolo della Consip s.p.a. La corretta lettura della disposizione in commento non può prescindere dalle indicazioni fornite da una recente deliberazione della Corte dei conti e da una segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, entrambe pubblicate nella sezione Documenti del presente fascicolo.
Dovendo decidere se possa qualificarsi come reato la condotta di indebita compensazione posta in essere prima dell'introduzione "ex lege" n. 248/2006 di una specifica figura di reato, la Suprema Corte ha dovuto valutare se nella condotta del soggetto che in tal modo abbassa abusivamente il proprio reddito imponibile siano ravvisabili gli elementi costitutivi del reato di truffa. I giudici escludono tale possibilità per mancanza, nel caso in esame, della connotazione artificiosa della condotta, e ritengono comunque penalmente sanzionabile il contribuente per l'illecito di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato. La soluzione sembra aprire la strada alla possibilità di inquadrare le condotte di indebite compensazioni, basate su malizie ulteriori, in fattispecie di maggiore gravità sanzionatoria.
È soprattutto la funzione attribuita, nel contesto europeo, alla sanzione penale a discostarsi dalle opzioni proprie di un sistema giuridico penale che possa dirsi espressione di una concreta unità tra stato di diritto e stato sociale: vale a dire, tra le tradizioni nobili del pensiero politico europeo "forte". Nel silenzio dei Trattati e delle stesse Carte dei diritti europee circa la funzione della pena, viene a mancare un referente teleologico vincolante, fondamentale per la costruzione dell'intero sistema degli interventi penali europei. L'assenza, sul piano del diritto primario, di un riferimento alla funzione rieducativa della pena, intesa come offerta di reinserimento sociale, quale emerge, invece, dalla nostra Carta costituzionale, ha aperto alla giurisprudenza della Corte di giustizia ed al diritto secondario dell'Unione un inaccettabile spazio di "supplenza" entro cui ha avuto luogo l'imposizione agli Stati membri di obblighi di prevedere sanzioni penali non solo efficaci e proporzionate, ma anche "dissuasive", ove tale dissuasività rimanda evidentemente alla deterrenza, sia individuale, che generale. E, del resto, nella prospettiva di una mera deterrenza s'inquadrano l'imposizione di minimi di massimi edittali particolarmente elevati, la mancata previsione di sanzioni alternative alla detenzione e l'esasperata anticipazione della tutela penale che caratterizzano provvedimenti normativi europei di respiro corto, molto poco attenti a quei principi della comune tradizione illuministica e solidaristica richiamati nell'importante assunto dell'art. 6 comma 3 del Trattato sull'Unione europea, che si propone quale norma di riferimento in grado di consentire alle Corti costituzionali interne di correggere eventuali abbassa menti, ad opera di interventi normativi europei, dello standard delle garanzie stabilite dal diritto nazionale.