Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbarbicato

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La cucina futurista

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Marinetti, Filippo Tommaso - Fillia 1 occorrenze

«Così la battaglia che Lei ha ingaggiato - se pur si presenta durissima, perchè deve cozzare contro tradizioni radicate e tenaci, contro interessi formidabili e contro l'ignoranza diffusa - dovrà trovare molti consensi nell'Italia d'oggi, perchè mentre mira a rinnovare un ambiente rimasto troppo fortemente abbarbicato al passato, ha una enorme importanza sociale ed economica, specie se l'invito alla chimica da Lei lanciato troverà tra gli scienziati italiani buone accoglienze. Un chimico francese - il prof. Mono - ha inventato degli «alimenti concentrati» di cui ho sperimentato l'efficacia, ma essi hanno il torto di essere stranieri innanzi tutto e assai cari. Auguriamoci che dei chimici italiani sappiano fare di più e meglio.

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Il sistema periodico

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Levi, Primo 2 occorrenze

L' avevo incontrato saltuariamente e fugacemente dopo la guerra, ed era un inerte, non un naufrago: è naufrago chi parte ed affonda, chi si propone una meta, non la raggiunge e ne soffre; Cerrato non si era proposto nulla, non si era esposto a nulla, era rimasto ben chiuso in casa, e certamente doveva essere rimasto abbarbicato agli anni "d' oro" degli studi perché tutti gli altri suoi anni erano stati di piombo. Davanti alla prospettiva di quella cena provavo una reazione bifida: non era un evento neutro, mi attirava e mi respingeva allo stesso tempo, come un magnete accostato a una bussola. Ci volevo andare e non ci volevo andare: ma le motivazioni per entrambe le decisioni, a ben guardare, non erano molto nobili. Ci volevo andare perché mi lusingava confrontarmi e sentirmi più disponibile degli altri, meno legato al guadagno e agli idoli, meno giocato, meno sparato. Non ci volevo andare perché non volevo avere l' età degli altri, cioè la mia età: non volevo vedere rughe, canizie, memento mori. Non volevo contarci, né contare gli assenti, né fare calcoli. Eppure Cerrato mi incuriosiva. Qualche volta avevamo studiato insieme: era serio e non aveva indulgenze per se stesso, studiava senza genialità e senza gioia (sembrava che non conoscesse la gioia), abbattendo successivamente i capitoli dei testi come un minatore in galleria. Col fascismo non si era compromesso, e aveva reagito bene al reattivo delle leggi razziali. Era stato un ragazzo opaco ma sicuro, di cui ci si poteva fidare: e l' esperienza insegna che proprio questa, l' affidabilità, è la virtù più costante, quella che non si acquista né si perde con gli anni. Si nasce degni di fiducia, col viso aperto e gli occhi fermi, e tali si resta per la vita. Chi nasce contorto e lasco, tale rimane: chi ti mente a sei anni, ti mente a sedici e a sessanta. Il fenomeno è notevole, e spiega come certe amicizie e matrimoni sopravvivono per molti decenni, a dispetto dell' abitudine, della noia e del logorarsi degli argomenti: mi interessava verificarlo su Cerrato. Versai la quota, e scrissi all' anonimo Comitato che alla cena avrei preso parte. La sua figura non era molto cambiata: era alto, ossuto, olivastro; i capelli ancora folti, la barba ben rasa, la fronte, il naso e il mento pesanti e come appena abbozzati. Ancora, come allora, si muoveva malamente, con quei gesti bruschi e insieme incerti che in laboratorio l' avevano reso un proverbiale spaccatore di vetreria. Come è usanza, dedicammo all' aggiornamento reciproco i primi minuti di colloquio. Appresi che era sposato senza figli, e simultaneamente compresi che questo non era un argomento gradito. Appresi che aveva sempre lavorato in chimica fotografica: dieci anni in Italia, quattro in Germania, poi di nuovo in Italia. Era stato lui, certo, il promotore della cena e l' autore della lettera d' invito. Non provava vergogna ad ammetterlo: se gli concedevo una metafora professionale, gli anni di studio erano il suo Technicolor, il resto era bianco e nero. Quanto agli "eventi" (mi trattenni dal fargli notare la goffaggine dell' espressione), gli interessavano veramente. La sua carriera era stata ricca di eventi, anche se per lo più, appunto, non erano stati che in bianco e nero: anche la mia? Certo, gli confermai: chimici e non chimici, ma negli ultimi anni gli eventi chimici avevano prevalso, per frequenza e intensità. Ti dànno il senso del "nicht dazu gewachsen", dell' impotenza, dell' insufficienza, non è vero? Ti dànno l' impressione di combattere un' interminabile guerra contro un esercito avversario ottuso e tardo, ma tremendo per numero e peso; di perdere tutte le battaglie, una dopo l' altra, un anno dopo l' altro; e ti devi accontentare, per medicare il tuo orgoglio contuso, di quelle poche occasioni in cui intravvedi una smagliatura nello schieramento nemico, ti ci avventi, e metti a segno un rapido singolo colpo. Anche Cerrato conosceva questa milizia: anche lui aveva sperimentato l' insufficienza della nostra preparazione, e il dovervi surrogare con la fortuna, l' intuizione, gli stratagemmi, ed un fiume di pazienza. Gli dissi che andavo in cerca di eventi, miei e d' altri, che volevo schierare in mostra in un libro, per vedere se mi riusciva di convogliare ai profani il sapore forte ed amaro del nostro mestiere, che è poi un caso particolare, una versione più strenua, del mestiere di vivere. Gli dissi che non mi pareva giusto che il mondo sapesse tutto di come vive il medico, la prostituta, il marinaio, l' assassino, la contessa, l' antico romano, il congiurato e il polinesiano, e nulla di come viviamo noi trasmutatori di materia; ma che in questo libro avrei deliberatamente trascurato la grande chimica, la chimica trionfante degli impianti colossali e dei fatturati vertiginosi, perché questa è opera collettiva e quindi anonima. A me interessavano di più le storie della chimica solitaria, inerme e appiedata, a misura d' uomo, che con poche eccezioni è stata la mia: ma è stata anche la chimica dei fondatori, che non lavoravano in équipe ma soli, in mezzo all' indifferenza del loro tempo, per lo più senza guadagno, e affrontavano la materia senza aiuti, col cervello e con le mani, con la ragione e la fantasia. Gli chiesi se a questo libro gli sarebbe piaciuto contribuire: se sì, mi raccontasse una storia, e, se mi era permesso dare un suggerimento, doveva essere una storia delle nostre, in cui ci si arrabatta nel buio per una settimana o per un mese, sembra che sarà buio sempre, e viene voglia di buttare via tutto e di cambiare mestiere: poi si scorge nel buio un bagliore, si va a tentoni da quella parte, e la luce cresce, e infine l' ordine segue al caos. Cerrato mi disse seriamente che in effetti qualche volta le cose andavano così, e che avrebbe cercato di accontentarmi; ma che in generale era proprio buio sempre, il bagliore non si vedeva, si picchiava il capo più e più volte contro il soffitto sempre più basso, e si finiva coll' uscire dalla grotta carponi e a ritroso, un po' più vecchi di quando ci si era entrati. Mentre lui interrogava la sua memoria, con lo sguardo verso il soffitto presuntuosamente affrescato del ristorante, gli scoccai una rapida occhiata, e vidi che era invecchiato bene, senza deformarsi, anzi crescendo e maturando: era rimasto greve come un tempo, negato al refrigerio della malizia e del riso, ma questo non offendeva più, si accettava meglio da un cinquantenne che da un ventenne. Mi raccontò una storia d' argento. _ Ti racconto l' essenziale; il contorno ce lo metti tu, per esempio come vive un italiano in Germania; del resto, ci sei pure stato. Ero al controllo del reparto dove si fabbricano le carte per radiografia. Ne sai qualcosa? Non importa: è un materiale poco sensibile, che non dà rogne (rogne e sensibilità sono proporzionali); quindi anche il reparto era piuttosto tranquillo. Ma devi pensare che, se funziona male una pellicola per dilettanti, nove volte su dieci l' utente pensa che sia colpa sua; o se no, al massimo ti manda qualche accidente, che non ti arriva per insufficienza d' indirizzo. Invece, se va male una radiografia, magari dopo la pappa di bario o l' urografia discendente; e poi ne va male una seconda, e tutto il pacchetto di carte; ebbene, allora non finisce così: la grana fa la sua scalata, ingrossando mentre sale, e ti arriva addosso come un' afflizione. Tutte cose che il mio predecessore mi aveva spiegate, col talento didascalico dei tedeschi, per giustificare ai miei occhi il fantastico rituale di pulizia che nel reparto si deve osservare, dal principio alla fine della lavorazione. Non so se ti interessa: ti basti pensare che .... Lo interruppi: le cautele minuziose, le pulizie maniache, le purezze con otto zeri, sono cose che mi fanno soffrire. So bene che in qualche caso si tratta di misure necessarie, ma so pure che, più sovente, la mania prevale sul buon senso, e che accanto a cinque precetti o divieti sensati se ne annidano dieci insensati, inutili, che nessuno osa cancellare solo per pigrizia mentale, per scaramanzia o per morbosa paura di complicazioni: quando addirittura non capita come nel servizio militare, in cui il regolamento serve a contrabbandare una disciplina repressiva. Cerrato mi versò da bere: la sua grossa mano si diresse esitando verso il collo della bottiglia, come se questa stesse starnazzando sul tavolo per sfuggirgli; poi la inclinò verso il mio bicchiere, urtandovi contro più volte. Mi confermò che spesso le cose stavano proprio così: per esempio, alle operaie del reparto di cui mi stava parlando era vietato usare cipria, ma una volta, ad una ragazza era caduto dalla tasca il portacipria, si era aperto cadendo, e ne era volata per aria un bel po' ; la produzione di quel giorno era stata collaudata con rigore particolare, ma andava benissimo. Bene, il divieto della cipria era rimasto. _ ... però un dettaglio bisogna che te lo dica, se no la storia non si capirebbe. C' è la religione del pelo (questa è giustificata, te lo assicuro): il reparto è in leggera sovrapressione, e l' aria che ci si pompa dentro è accuratamente filtrata. Si porta sopra gli abiti una tuta speciale, e una cuffia sopra i capelli: tute e cuffie vanno lavate tutti i giorni, per asportare i peli in formazione o catturati accidentalmente. Scarpe e calze vanno tolte all' ingresso, e sostituite con pantofole antipolvere. Ecco, questo è lo scenario. Devo aggiungere che, da cinque o sei anni, incidenti grossi non ne erano capitati: qualche protesta isolata da qualche ospedale per la sensibilità alterata, ma si trattava quasi sempre di materiale già fuori del limite di scadenza. Le grane, tu lo saprai, non vengono al galoppo, come gli Unni, ma zitte, di soppiatto, come le epidemie. Incominciò con un espresso da un centro diagnostico di Vienna; era in termini molto civili, direi più una segnalazione che una protesta, e allegata c' era una radiografia giustificativa: regolare come grana (scusa il bisticcio: qui volevo dire grana dell' emulsione) e come contrasto, ma cosparsa di macchioline bianche, oblunghe, grosse come fagioli. Si risponde con una lettera compunta, in cui ci si scusa dell' involontario eccetera, ma dopo il primo lanzichenecco morto di peste è meglio non farsi illusioni: la peste è peste, è inutile fare gli struzzi. La settimana dopo c' erano altre due lettere: una veniva da Liegi e accennava a danni da rifondere, l' altra veniva dall' Unione Sovietica, non ricordo più (forse l' ho censurata) la complicata sigla dell' ente commerciale che l' aveva spedita. Quando fu tradotta, a tutti si drizzarono i capelli in testa. Il difetto, naturalmente, era sempre quello, delle macchie a forma di fagiolo, e la lettera era pesantissima: si parlava di tre operazioni che avevano dovuto essere rimandate, di turni persi, di quintali di carta sensibile contestata, di una perizia e di una controversia internazionale presso il Tribunale di non so dove; ci si ingiungeva di mandare subito uno Spezialist. In questi casi si cerca almeno di chiudere le stalle dopo che una parte dei buoi sono scappati, ma non sempre ci si riesce. Chiaro che tutta la carta aveva superato bene il collaudo di uscita: si trattava dunque di un difetto che si manifestava in ritardo, durante il magazzinaggio da noi o dal cliente, o durante il trasporto. Il Direttore mi chiamò a rapporto; discusse il caso con me, molto cortesemente, per due ore, ma a me pareva che mi scuoiasse, lentamente, metodicamente, e godendoci. Prendemmo accordi col laboratorio controlli, e ricollaudammo lotto per lotto tutta la carta che era a magazzino. Quella più recente di due mesi era in ordine. Nell' altra, il difetto fu riscontrato, ma non in tutta: i lotti erano centinaia, e circa un sesto presentavano l' inconveniente dei fagioli. Il mio vice, che era un giovane chimico neanche poi tanto sveglio, fece un' osservazione curiosa: i lotti difettosi si susseguivano con una certa regolarità, cinque buoni e uno cattivo. Mi sembrò una traccia, e cercai di andare a fondo: era proprio così, era guasta quasi esclusivamente la carta fabbricata il mercoledì. Certo saprai anche che le grane a ritardo sono di gran lunga le più maligne. Mentre si cercano le cause, bisogna pure continuare a produrre: ma come puoi essere sicuro che la causa (o le cause) non sia tuttora al lavoro, e il materiale che produci foriero di altri guai? Si capisce che puoi tenerlo in quarantena due mesi e poi ricollaudarlo: ma che cosa dirai ai depositi in tutto il mondo, che non vedono arrivare roba? E gli interessi passivi? E il nome, il Buon Nome, l' Unbestrittener Ruf? Poi c' è quell' altra complicazione: ogni variazione che tu faccia nella composizione o nella tecnologia, deve aspettare due mesi prima che tu sappia se serve o non serve, se annulla il difetto o lo accentua. Io mi sentivo innocente, naturalmente: avevo rispettato tutte le regole, non mi ero permessa nessuna indulgenza. A monte e a valle di me, tutti gli altri si sentivano altrettanto innocenti: quelli che avevano date per buone le materie prime, che avevano preparato e collaudato l' emulsione di bromuro d' argento, quelli che avevano confezionato, imballato e immagazzinato i pacchi della carta. Mi sentivo innocente, ma non ero: ero colpevole per definizione, perché un caporeparto risponde del suo reparto, e perché se c' è danno c' è peccato e se c' è peccato c' è un peccatore. È una faccenda, appunto, come il peccato originale: non hai fatto niente, ma sei colpevole e devi pagare. Non con denaro, ma peggio: perdi il sonno, perdi l' appetito, ti viene l' ulcera o l' eczema, e fai un grande passo verso la nevrosi aziendale definitiva. Mentre continuavano ad arrivare lettere e telefonate di protesta, io mi accanivo ad almanaccare sul fatto del mercoledì: un significato lo doveva pure avere. Il martedì notte era di turno un guardiano che non mi piaceva, aveva una cicatrice sul mento e la faccia da nazi. Non sapevo se parlarne o no col Direttore: cercare di scaricare la colpa sugli altri è sempre cattiva politica. Poi mi feci portare i libri paga, e vidi che il nazi era da noi solo da tre mesi, mentre il guaio dei fagioli incominciava a manifestarsi sulla carta fabbricata dieci mesi prima. Cosa era successo di nuovo dieci mesi prima? Circa dieci mesi prima era stato accettato, dopo rigorosi controlli, un nuovo fornitore della carta nera che si usa per proteggere dalla luce le carte sensibili: ma il materiale difettoso risultò imballato promiscuamente in carta nera proveniente da entrambi i fornitori. Anche dieci mesi prima (nove, per l' esattezza) era stato assunto un gruppo di operaie turche; le intervistai una per una, con loro grande stupore: volevo stabilire se il mercoledì, o il martedì sera, facevano qualcosa di diverso dal solito. Si lavavano? o non si lavavano? Usavano qualche cosmetico speciale? andavano a ballare e sudavano più del solito? Non osai chiedergli se il martedì sera facevano all' amore: comunque, né direttamente né attraverso l' interprete, non riuscii a cavarne nulla. Capirai che frattanto la faccenda si era risaputa in tutta la fabbrica, e mi guardavano con un' aria strana: anche perché ero il solo caporeparto italiano, e mi immaginavo benissimo i commenti che si dovevano scambiare dietro le mie spalle. L' aiuto decisivo mi venne da uno degli uscieri, che parlava un po' italiano perché era stato a combattere in Italia: anzi, era stato fatto prigioniero dai partigiani dalle parti di Biella, e poi scambiato con qualcuno. Non aveva rancore, era loquace, e parlava a vanvera di un po' di tutto senza mai concludere: ebbene, è stata proprio questa sua chiacchiera insulsa a fare da filo d' Arianna. Un giorno mi disse che lui era pescatore, ma che da quasi un anno, nel fiumicello lì accanto, non si pescava più un pesce: da quando, cinque o sei chilometri più a monte, avevano messo una conceria. Mi disse poi che addirittura l' acqua, in certi giorni, diventava bruna. Lì per lì non feci caso a queste sue osservazioni, ma ci ripensai pochi giorni dopo, quando dalla finestra della mia camera, nella foresteria, vidi ritornare il camioncino che riportava le tute dalla lavanderia. Mi informai: la conceria aveva cominciato a lavorare dieci mesi prima, e la lavanderia lavava le tute proprio nell' acqua del fiume dove il pescatore non riusciva più a pescare: però la filtravano e la facevano passare per un depuratore a scambio ionico. Le tute le lavavano durante il giorno, le asciugavano di notte in un essiccatoio, e le riconsegnavano al mattino presto, prima della sirena. Andai alla conceria: volevo sapere quando, dove, con quale ritmo, in quali giorni svuotavano i tini. Mi mandarono via malamente, ma io ci ritornai due giorni dopo col medico dell' Ufficio d' Igiene; bene, il più grande dei tini di concia lo vuotavano ogni settimana, la notte fra il lunedì e il martedì! Non mi vollero dire che cosa conteneva, ma sai bene, i conciati organici sono dei polifenoli, non c' è resina scambio-ionica che li trattenga, e che cosa possa fare un polifenolo sul bromuro d' argento lo immagini anche tu che non sei della partita. Ottenni un campione del bagno di concia, andai al laboratorio sperimentale, e provai ad atomizzare una soluzione 1:10000 nella camera oscura in cui stava esposto un campione di carta per radiografie. L' effetto si vide pochi giorni dopo: la sensibilità della carta era sparita, letteralmente. Il capo del laboratorio non credeva ai suoi occhi: mi disse che non aveva mai visto un inibitore così potente. Abbiamo provato con soluzioni via via più diluite, come fanno gli omeopatici: con soluzioni intorno alla parte per milione si ottenevano le macchie a forma di fagiolo, che venivano fuori però solo dopo due mesi di riposo. L' effetto-fagiolo, il Bohneffekt, era stato riprodotto in pieno: a conti fatti, si è visto che bastava qualche migliaio di molecole di polifenolo, assorbito dalle fibre della tuta durante il lavaggio, e portato in volo dalla tuta alla carta da un pelino invisibile, per provocare una macchia. Gli altri commensali intorno a noi conversavano rumorosamente di figli, di ferie e di stipendi; noi finimmo con l' appartarci al bar, dove a poco a poco diventammo sentimentali, e ci promettemmo a vicenda di rinnovare un' amicizia che in effetti fra noi non era mai esistita. Ci saremmo tenuti a contatto, e ognuno di noi avrebbe raccolto per l' altro altre storie come questa, in cui la materia stolida manifesta un' astuzia tesa al male, all' ostruzione, come se si ribellasse all' ordine caro all' uomo: come i fuoricasta temerari, assetati più della rovina altrui che del trionfo proprio, che nei romanzi arrivano dai confini della terra per stroncare l' avventura degli eroi positivi.

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Venne arrostito affinché si separasse dal calcio, il quale rimase per così dire coi piedi in terra e andò incontro ad un destino meno brillante che non narreremo; lui, tuttora fermamente abbarbicato a due dei tre suoi compagni ossigeni di prima, uscì per il camino e prese la via dell' aria. La sua storia, da immobile, si fece tumultuosa. Fu colto dal vento, abbattuto al suolo, sollevato a dieci chilometri. Fu respirato da un falco, discese nei suoi polmoni precipitosi, ma non penetrò nel suo sangue ricco, e fu espulso. Si sciolse per tre volte nell' acqua del mare, una volta nell' acqua di un torrente in cascata, e ancora fu espulso. Viaggiò col vento per otto anni: ora alto, ora basso, sul mare e fra le nubi, sopra foreste, deserti e smisurate distese di ghiaccio; poi incappò nella cattura e nell' avventura organica. Il carbonio, infatti, è un elemento singolare: è il solo che sappia legarsi con se stesso in lunghe catene stabili senza grande spesa di energia, ed alla vita sulla terra (la sola che finora conosciamo) occorrono appunto lunghe catene. Perciò il carbonio è l' elemento chiave della sostanza vivente: ma la sua promozione, il suo ingresso nel mondo vivo, non è agevole, e deve seguire un cammino obbligato, intricato, chiarito (e non ancora definitivamente) solo in questi ultimi anni. Se l' organicazione del carbonio non si svolgesse quotidianamente intorno a noi, sulla scala dei miliardi di tonnellate alla settimana, dovunque affiori il verde di una foglia, le spetterebbe di pieno diritto il nome di miracolo. L' atomo di cui parliamo, accompagnato dai suoi due satelliti che lo mantenevano allo stato di gas, fu dunque condotto dal vento, nell' anno 1.4., lungo un filare di viti. Ebbe la fortuna di rasentare una foglia, di penetrarvi, e di esservi inchiodato da un raggio di sole. Se qui il mio linguaggio si fa impreciso ed allusivo, non è solo per mia ignoranza: questo avvenimento decisivo, questo fulmineo lavoro a tre, dell' anidride carbonica, della luce e del verde vegetale, non è stato finora descritto in termini definitivi, e forse non lo sarà per molto tempo ancora, tanto esso è diverso da quell' altra chimica "organica" che è opera ingombrante, lenta e ponderosa dell' uomo: eppure questa chimica fine e svelta è stata "inventata" due o tre miliardi d' anni addietro dalle nostre sorelle silenziose, le piante, che non sperimentano e non discutono, e la cui temperatura è identica a quella dell' ambiente in cui vivono. Se comprendere vale farsi un' immagine, non ci faremo mai un' immagine di uno happening la cui scala è il milionesimo di millimetro, il cui ritmo è il milionesimo di secondo, ed i cui attori sono per loro essenza invisibili. Ogni descrizione verbale sarà mancante, ed una varrà l' altra: valga quindi la seguente. Entra nella foglia, collidendo con altre innumerevoli (ma qui inutili) molecole di azoto ed ossigeno. Aderisce ad una grossa e complicata molecola che lo attiva, e simultaneamente riceve il decisivo messaggio dal cielo, sotto la forma folgorante di un pacchetto di luce solare: in un istante, come un insetto preda del ragno, viene separato dal suo ossigeno, combinato con idrogeno e (si crede) fosforo, ed infine inserito in una catena, lunga o breve non importa, ma è la catena della vita. Tutto questo avviene rapidamente, in silenzio, alla temperatura e pressione dell' atmosfera, e gratis: cari colleghi, quando impareremo a fare altrettanto saremo "sicut Deus", ed avremo anche risolto il problema della fame nel mondo. Ma c' è di più e di peggio, a scorno nostro e della nostra arte. L' anidride carbonica, e cioè la forma aerea del carbonio di cui abbiamo finora parlato: questo gas che costituisce la materia prima della vita, la scorta permanente a cui tutto ciò che cresce attinge, e il destino ultimo di ogni carne, non è uno dei componenti principali dell' aria, bensì un rimasuglio ridicolo, un' "impurezza", trenta volte meno abbondante dell' argon di cui nessuno si accorge. L' aria ne contiene il 0,03 per cento: se l' Italia fosse l' aria, i soli italiani abilitati ad edificare la vita sarebbero ad esempio i 15000 abitanti di Milazzo, in provincia di Messina. Questo, in scala umana, è un' acrobazia ironica, uno scherzo da giocoliere, una incomprensibile ostentazione di onnipotenza-prepotenza, poiché da questa sempre rinnovata impurezza dell' aria veniamo noi: noi animali e noi piante, e noi specie umana, coi nostri quattro miliardi di opinioni discordi, i nostri millenni di storia, le nostre guerre e vergogne e nobiltà e orgoglio. Del resto, la nostra stessa presenza sul pianeta diventa risibile in termini geometrici: se l' intera umanità, circa 250 milioni di tonnellate, venisse ripartita come un rivestimento di spessore omogeneo su tutte le terre emerse, la "statura dell' uomo" non sarebbe visibile ad occhio nudo; lo spessore che si otterrebbe sarebbe di circa sedici millesimi di millimetro. Ora il nostro atomo è inserito: fa parte di una struttura, nel senso degli architetti; si è imparentato e legato con cinque compagni, talmente identici a lui che solo la finzione del racconto mi permette di distinguerli. È una bella struttura ad anello, un esagono quasi regolare, che però va soggetto a complicati scambi ed equilibri con l' acqua in cui sta sciolto; perché ormai sta sciolto in acqua, anzi, nella linfa della vite, e questo, di stare sciolti, è obbligo e privilegio di tutte le sostanze che sono destinate a (stavo per dire "desiderano") trasformarsi. Se poi qualcuno volesse proprio sapere perché un anello, e perché esagonale, e perché solubile in acqua, ebbene, si dia pace: queste sono fra le non molte domande a cui la nostra dottrina sa rispondere con un discorso persuasivo, accessibile a tutti, ma fuori luogo qui. È entrato a far parte di una molecola di glucosio, tanto per dirla chiara: un destino né carne né pesce, mediano, che lo prepara ad un primo contatto col mondo animale, ma non lo autorizza alla responsabilità più alta, che è quella di far parte di un edificio proteico. Viaggiò dunque, col lento passo dei succhi vegetali, dalla foglia per il picciolo e per il tralcio fino al tronco, e di qui discese fino a un grappolo quasi maturo. Quello che seguì è di pertinenza dei vinai: a noi interessa solo precisare che sfuggì (con nostro vantaggio, perché non la sapremmo ridurre in parole) alla fermentazione alcoolica, e giunse al vino senza mutare natura. È destino del vino essere bevuto, ed è destino del glucosio essere ossidato. Ma non fu ossidato subito: il suo bevitore se lo tenne nel fegato per più d' una settimana, bene aggomitolato e tranquillo, come alimento di riserva per uno sforzo improvviso; sforzo che fu costretto a fare la domenica seguente, inseguendo un cavallo che si era adombrato. Addio alla struttura esagonale: nel giro di pochi istanti il gomitolo fu dipanato e ridivenne glucosio, questo venne trascinato dalla corrente del sangue fino ad una fibrilla muscolare di una coscia, e qui brutalmente spaccato in due molecole d' acido lattico, il tristo araldo della fatica: solo più tardi, qualche minuto dopo, l' ansito dei polmoni poté procurare l' ossigeno necessario ad ossidare con calma quest' ultimo. Così una nuova molecola d' anidride carbonica ritornò all' atmosfera, ed una parcella dell' energia che il sole aveva ceduta al tralcio passò dallo stato di energia chimica a quello di energia meccanica e quindi si adagiò nella ignava condizione di calore, riscaldando impercettibilmente l' aria smossa dalla corsa ed il sangue del corridore. "Così è la vita", benché raramente essa venga così descritta: un inserirsi, un derivare a suo vantaggio, un parassitare il cammino in giù dell' energia, dalla sua nobile forma solare a quella degradata di calore a bassa temperatura. Su questo cammino all' ingiù, che conduce all' equilibrio e cioè alla morte, la vita disegna un' ansa e ci si annida. Siamo di nuovo anidride carbonica, del che ci scusiamo: è un passaggio obbligato, anche questo; se ne possono immaginare o inventare altri, ma sulla terra è così. Di nuovo vento, che questa volta porta lontano: supera gli Appennini e l' Adriatico, la Grecia l' Egeo e Cipro: siamo sul Libano e la danza si ripete. L' atomo di cui ci occupiamo è ora intrappolato in una struttura che promette di durare a lungo: è il tronco venerabile di un cedro, uno degli ultimi; è ripassato per gli stadi che abbiamo già descritti, ed il glucosio di cui fa parte appartiene, come il grano di un rosario, ad una lunga catena di cellulosa. Non è più la fissità allucinante e geologica della roccia, non sono più i milioni di anni, ma possiamo bene parlare di secoli, perché il cedro è un albero longevo. È in nostro arbitrio abbandonarvelo per un anno o per cinquecento: diremo che dopo vent' anni (siamo nel 1.6.) se ne occupa un tarlo. Ha scavato la sua galleria fra il tronco e la corteccia, con la voracità ostinata e cieca della sua razza; trapanando è cresciuto, il suo cunicolo è andato ingrossando. Ecco, ha ingoiato ed incastonato in se stesso il soggetto di questa storia; poi si è impupato, ed è uscito in primavera sotto forma di una brutta farfalla grigia che ora si sta asciugando al sole, frastornata ed abbagliata dallo splendore del giorno: lui è là, in uno dei mille occhi dell' insetto, e contribuisce alla visione sommaria e rozza con cui esso si orienta nello spazio. L' insetto viene fecondato, depone le uova e muore: il piccolo cadavere giace nel sottobosco, si svuota dei suoi umori, ma la corazza di chitina resiste a lungo, quasi indistruttibile. La neve e il sole ritornano sopra di lei senza intaccarla: è sepolta dalle foglie morte e dal terriccio, è diventata una spoglia, una "cosa", ma la morte degli atomi, a differenza dalla nostra, non è mai irrevocabile. Ecco al lavoro gli onnipresenti, gli instancabili ed invisibili becchini del sottobosco, i microrganismi dell' humus. La corazza, coi suoi occhi ormai ciechi, è lentamente disintegrata, e l' ex bevitore, ex cedro, ex tarlo ha nuovamente preso il volo. Lo lasceremo volare per tre volte intorno al mondo, fino al 1960, ed a giustificazione di questo intervallo così lungo rispetto alla misura umana faremo notare che esso è invece assai più breve della media: questa, ci si assicura, è di duecento anni. Ogni duecento anni, ogni atomo di carbonio che non sia congelato in materiali ormai stabili (come appunto il calcare, o il carbon fossile, o il diamante, o certe materie plastiche) entra e rientra nel ciclo della vita, attraverso la porta stretta della fotosintesi. Esistono altre porte? Sì, alcune sintesi create dall' uomo; sono un titolo di nobiltà per l' uomo-fabbro, ma finora la loro importanza quantitativa è trascurabile. Sono porte ancora molto più strette di quella del verde vegetale: consapevolmente o no, l' uomo non ha cercato finora di competere con la natura su questo terreno, e cioè non si è sforzato di attingere dall' anidride carbonica dell' aria il carbonio che gli è necessario per nutrirsi, per vestirsi, per riscaldarsi, e per i cento altri bisogni più sofisticati della vita moderna. Non lo ha fatto perché non ne ha avuto bisogno: ha trovato, e tuttora trova (ma per quanti decenni ancora?), gigantesche riserve di carbonio già organicato, o almeno ridotto. Oltre al mondo vegetale ed animale, queste riserve sono costituite dai giacimenti di carbon fossile e di petrolio: ma anche questi sono eredità di attività fotosintetiche compiute in epoche lontane, per cui si può bene affermare che la fotosintesi non è solo l' unica via per cui il carbonio si fa vivente, ma anche la sola per cui l' energia del sole si fa utilizzabile chimicamente. Si può dimostrare che questa storia, del tutto arbitraria, è tuttavia vera. Potrei raccontare innumerevoli storie diverse, e sarebbero tutte vere: tutte letteralmente vere, nella natura dei trapassi, nel loro ordine e nella loro data. Il numero degli atomi è tanto grande che se ne troverebbe sempre uno la cui storia coincida con una qualsiasi storia inventata a capriccio. Potrei raccontare storie a non finire, di atomi di carbonio che si fanno colore o profumo nei fiori; di altri che, da alghe minute a piccoli crostacei, a pesci via via più grossi, ritornano anidride carbonica nelle acque del mare, in un perpetuo spaventoso girotondo di vita e di morte, in cui ogni divoratore è immediatamente divorato; di altri che raggiungono invece una decorosa semi-eternità nelle pagine ingiallite di qualche documento d' archivio, o nella tela di un pittore famoso; di quelli a cui toccò il privilegio di fare parte di un granello di polline, e lasciarono la loro impronta fossile nelle rocce per la nostra curiosità; di altri ancora che discesero a far parte dei misteriosi messaggeri di forma del seme umano, e parteciparono al sottile processo di scissione duplicazione e fusione da cui ognuno di noi è nato. Ne racconterò invece soltanto ancora una, la più segreta, e la racconterò con l' umiltà e il ritegno di chi sa fin dall' inizio che il suo tema è disperato, i mezzi fievoli, e il mestiere di rivestire i fatti con parole fallimentare per sua profonda essenza. È di nuovo fra noi, in un bicchiere di latte. È inserito in una lunga catena, molto complessa, tuttavia tale che quasi tutti i suoi anelli sono accetti dal corpo umano. Viene ingoiato: e poiché ogni struttura vivente alberga una selvaggia diffidenza verso ogni apporto di altro materiale di origine vivente, la catena viene meticolosamente frantumata, ed i frantumi, uno per uno, accettati o respinti. Uno, quello che ci sta a cuore, varca la soglia intestinale ed entra nel torrente sanguigno: migra, bussa alla porta di una cellula nervosa, entra e soppianta un altro carbonio che ne faceva parte. Questa cellula appartiene ad un cervello, e questo è il mio cervello, di me che scrivo, e la cellula in questione, ed in essa l' atomo in questione, è addetta al mio scrivere, in un gigantesco minuscolo gioco che nessuno ha ancora descritto. È quella che in questo istante, fuori da un labirintico intreccio di sì e di no, fa sì che la mia mano corra in un certo cammino sulla carta, la segni di queste volute che sono segni; un doppio scatto, in su ed in giù, fra due livelli d' energia guida questa mia mano ad imprimere sulla carta questo punto: questo.

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Levi, Primo 1 occorrenze

Alcuni cercarono di interporsi, ma Elias era forte, e stava abbarbicato all' altro con braccia e gambe, come un polipo. Wolf si difendeva sempre più debolmente, tentando di colpire Elias con calci e ginocchiate sferrati alla cieca. Per fortuna di Wolf, arrivò il Kapo, somministrò salomonicamente pedate e pugni ai due aggrovigliati al suolo, li separò e mise tutti in fila: era l' ora di partire in marcia per il lavoro. L' incidente non era di quelli memorabili, ed infatti fu presto dimenticato, ma il nomignolo Rognawolf ("Krätzewolf") aderì tenacemente al personaggio, incrinandone la rispettabilità, ancora molti mesi dopo che della scabbia era guarito, ed esonerato dalla carica di ungitore. Lui lo portava male, soffrendone visibilmente, e contribuendo così a non lasciarlo svanire. Venne infine una timida primavera, ed in uno dei primi periodi di sole ci fu un pomeriggio di domenica senza lavoro, fragile e prezioso come un fiore di pesco. Tutti lo passarono dormendo, i più vitali scambiandosi visite da baracca a baracca, o studiandosi di rammendarsi gli stracci e di attaccarsi i bottoni con filo di ferro, o limandosi le unghie contro un ciottolo. Ma da lontano, coi capricci del vento tiepido e odoroso di terra umida, si sentiva venire un suono nuovo, un suono così improbabile, così inatteso, che tutti levarono il capo per ascoltare. Era un suono esile come quel cielo e quel sole, e veniva di lontano sì, ma dall' interno del recinto del campo. Alcuni vinsero la loro inerzia, si misero in caccia come segugi, incrociando con passo impedito e con le orecchie tese: e trovarono Rognawolf, seduto su una pila di tavole, estatico, che suonava il violino. Il "suo sigillo" vibrava teso al sole, i suoi occhi miopi erano perduti al di là del filo spinato, al di là del pallido cielo polacco. Dove avesse trovato un violino era un mistero, ma i veterani sapevano che in un Lager può capitare tutto: forse l' aveva rubato, forse noleggiato per pane. Wolf suonava per sé, ma tutti quelli che passavano si fermavano ad ascoltare con un' espressione golosa, come di orsi che fiutino il miele, avidi timidi e perplessi. A pochi passi da Wolf stava Elias, sdraiato con la pancia al suolo, e lo fissava quasi incantato. Sul suo volto da gladiatore ristagnava quel velo di stupore contento che si nota qualche volta sul viso dei morti, e fa pensare che veramente abbiano avuto, per un istante, sulla soglia, la visione di un mondo migliore.

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