Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbarbicarsi

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

La chiave a stella 1978

679729
Levi, Primo 1 occorrenze

Doveva poi avere molti gancetti robusti per infeltrirsi con se stesso e per abbarbicarsi alla lamiera durante la cottura, ma perderli dopo la cottura stessa, perché se no avrebbero potuto trattenere colori, odori o sapori. Va da sé che non avrebbe dovuto contenere componenti tossici. Vede, è così che noi chimici ragioniamo: cerchiamo di farvi il verso, come quel suo aiutante scimmiotto. Ci costruiamo in mente un modellino meccanico, pur sapendo che è grossolano e puerile, e lo seguiamo fin che si può, ma sempre con una vecchia invidia per voialtri uomini dei cinque sensi, che combattete fra cielo e terra contro vecchi nemici, e lavorate sui centimetri e sui metri invece che sulle nostre salsiccette e reticelle invisibili. La nostra stanchezza è diversa dalla vostra. Non sta nel filo della schiena, ma più in su; non viene dopo una giornata faticosa, ma quando uno ha cercato di capire e non è riuscito. Di solito non guarisce col sonno. Sì, ce l' ho addosso stasera; per questo gliene parlo. Dunque, tutto andava bene; abbiamo mandato il campione all' Ente Statale, abbiamo aspettato sette mesi e la risposta è stata positiva. Abbiamo mandato un fusto di prova qui allo stabilimento, abbiamo aspettato altri nove mesi, ed è arrivata la lettera di accettazione, l' omologazione e un ordine di trecento tonnellate; subito dopo, chissà perché, un altro ordine, con una firma diversa, per altre trecento, quest' ultimo urgentissimo. Probabilmente non era che un duplicato del primo, nato da qualche pasticcio burocratico; ad ogni modo era regolare, ed era proprio quello che ci voleva per tirare su il fatturato dell' anno. Eravamo tutti diventati molto gentili, e per i corridoi e i capannoni della fabbrica non si vedeva altro che dei gran sorrisi: seicento tonnellate di una vernice non difficile da produrre, tutta della stessa qualità, e con un prezzo niente male. Noi siamo gente coscienziosa: di ogni lotto prelevavamo religiosamente un campione e lo collaudavamo in laboratorio, per essere sicuri che i provini resistessero a tutti gli articoli che le ho detto. Il nostro laboratorio si era riempito di odori nuovi e gradevoli, e il bancone dei collaudi sembrava la bottega di un droghiere. Tutto andava bene, noi ci sentivamo in una botte di ferro, e ogni venerdì, quando partiva la flotta dei camion che portava i fusti a Genova per l' imbarco, facevamo una piccola festa, utilizzando anche i viveri destinati al collaudo "perché non andassero a male". Poi c' è stato il primo allarme: un telex cortese, in cui ci invitavano a ripetere la prova della resistenza alle acciughe su un certo lotto già imbarcato. La ragazza dei collaudi ha fatto una risatina e mi ha detto che avrebbe ripetuto la prova immediatamente, ma che era sicurissima dei suoi risultati, quella vernice avrebbe resistito anche ai pescicani; io però sapevo come vanno queste cose, e ho cominciato a sentire dei crampi allo stomaco". La faccia di Faussone si è increspata in un inaspettato sorriso triste: "Eh già: a me invece viene male qui a destra, credo che sia il fegato. Ma per me un uomo che non abbia mai avuto un collaudo negativo non è un uomo, è come se fosse rimasto alla prima comunione. Poco da dire, sono degli affari che io li conosco bene; lì sul momento fanno star male, ma se uno non li prova non matura. È un po' come i quattro presi a scuola". "Io lo sapevo, come vanno queste cose. Due giorni, poi è arrivato un altro telex, e questo non era gentile per niente. Quel lotto non resisteva alle acciughe, e neppure quelli successivi che erano arrivati nel frattempo; dovevamo mandare subito, per via aerea, mille chili di vernice sicura, se no, blocco dei pagamenti e citazione per danni. Qui la febbre ha cominciato a salire, e il laboratorio a riempirsi di acciughe: italiane, grosse e piccole, spagnole, portoghesi, norvegesi; e due etti li abbiamo lasciati andare a male apposta, per vedere che effetto facevano sulla lamiera verniciata. Lei capisce che eravamo tutti abbastanza bravi in fatto di vernici, ma nessuno di noi era uno specialista in acciughe. Preparavamo provini su provini, come dei matti, centinaia di provini al giorno, li mettevamo a contatto con acciughe di tutti i mari, ma non capitava niente, da noi tutto andava bene. Poi ci è venuto in mente che forse le acciughe sovietiche erano più aggressive di quelle nostrane. Abbiamo subito fatto un telex, e dopo sette giorni il campione era sul banco: avevano fatto le cose in grande, era una latta di trenta chili mentre invece trenta grammi sarebbero bastati, forse era una confezione per i collegi o per le forze armate. E devo dire che erano ottime, perché le abbiamo anche assaggiate: ma niente, neanche loro, nessun effetto su nessuno dei provini, neppure su quelli preparati nei modi più maligni in modo da riprodurre le condizioni più sfavorevoli, poco cotti, a spessore scarso, piegati prima del collaudo. Intanto era arrivata la perizia di Sverdlovsk, quella che le dicevo prima. Ce l' ho di sopra, in camera mia, nel cassetto del tavolino, e parola mia mi sembra che puzzi. No, non di acciughe: che puzzi fuori dal cassetto, che ammorbi l' aria, specie di notte, perché di notte faccio dei sogni strani. Forse è colpa mia, che me la prendo troppo ..." Faussone si è mostrato comprensivo. Mi ha interrotto per ordinare due vodche alla ragazza che sonnecchiava dietro il bancone: mi ha spiegato che era vodca speciale, distillata di contrabbando, e infatti aveva un aroma insolito, non sgradevole, su cui ho preferito non indagare. "Beva, che le fa bene. Si capisce che lei se la prende: è naturale. Quando uno mette la sua firma su qualche cosa, non importa se è una cambiale o una gru o un' acciuga ... mi scusi, volevo dire una vernice, bisogna bene che ne risponda. Beva, che così dorme bene stanotte, non sogna i provini, e domani vedrà che si sveglia senza il mal di testa: questa è roba di borsa nera, però è genuina. Intanto mi racconti come è finita". "Non è finita, e neanche io me la sento di dire come finisce e quando finisce. Sono qui da dodici giorni, e non so quanto ci resterò; tutte le mattine mi mandano a prendere, delle volte con una macchina di rappresentanza, delle volte con una Pobieda; mi portano nel laboratorio e poi non capita niente. Viene l' interprete e si scusa, o manca il tecnologo, o manca la corrente, o tutto il personale è convocato per una riunione. Non che siano sgarbati con me, ma sembra che si dimentichino che io ci sono. Col tecnologo fino adesso non ho parlato per più di mezz' ora: mi ha fatto vedere i loro provini, e mi ci sto rompendo la testa, perché non hanno niente a che fare con i nostri; i nostri sono lisci e puliti, questi invece hanno tanti piccoli grumi. È chiaro che è successo qualche cosa durante il viaggio, ma non riesco a immaginare che cosa; oppure c' è qualche cosa che non va nei loro collaudi, ma sa bene che dare la colpa agli altri, e specialmente ai clienti, è cattiva politica. Ho detto al tecnologo che vorrei assistere al ciclo completo, alla preparazione dei provini, dal principio alla fine; mi è sembrato contrariato, mi ha detto che andava bene, però poi non si è fatto più vedere. Invece del tecnologo, mi tocca parlare con una donna terribile. La signora Kondratova è piccola, grassa, anziana, con una faccia distrutta, e non c' è verso di tenerla sull' argomento. Invece che di vernici, mi ha parlato tutto il tempo della sua storia, è una storia tremenda, era a Leningrado durante l' assedio, le sono morti al fronte il marito e due figli, e lei lavorava in fabbrica a tornire proiettili, con dieci gradi sotto zero. Mi fa molta pena, ma anche rabbia, perché fra quattro giorni mi scade il visto, e come faccio a tornare in Italia senza aver concluso niente, e soprattutto senza aver capito niente?" "Lei glielo ha detto, a quella donna, che le scade il visto?" mi ha chiesto Faussone. "No, non credo che lei abbia niente a che fare, col mio visto". "Mi dia da mente, glielo dica. Da come lei me lo racconta, deve essere una abbastanza importante, e quando scade un visto, questi qui si dànno subito da fare, perché se no sono loro che restano nelle curve. Provi: provare non fa peccato, e lei non rischia niente". Aveva ragione. Al solo annuncio della prossima scadenza del mio visto di soggiorno, è avvenuto intorno a me un mutamento sorprendente, come nel finale delle comiche di un tempo. Tutti, e la Kondratova per prima, hanno bruscamente accelerato le loro mosse e le loro parole, si sono fatti comprensivi e collaborativi, il laboratorio mi ha aperto le porte, ed il preparatore dei provini si è messo a mia piena disposizione. Il tempo che mi rimaneva non era molto, ed ho chiesto prima di tutto di esaminare il contenuto degli ultimi fusti arrivati. Non è stato facile identificarli, ma in mezza giornata ci sono riuscito; abbiamo preparato i provini con tutte le cure del caso, sono risultati lisci e lucenti, e dopo la notte passata in connubio con le acciughe il loro aspetto non era cambiato. Si poteva concludere che: o la vernice si alterava nelle condizioni locali di magazzinaggio, oppure che capitava qualcosa nel corso del prelievo fatto dai russi. Il mattino della partenza ho ancora fatto in tempo ad esaminare uno dei fusti più anziani: venivano fuori dei provini sospetti, striati e granulosi, ma ormai mancava il tempo di approfondire. La mia richiesta di proroga era stata respinta: Faussone è venuto a salutarmi alla stazione, e ci siamo lasciati con la promessa reciproca di ritrovarci, sul posto o a Torino; ma più probabilmente sul posto. Infatti, lui ne aveva ancora per diversi mesi: insieme con un gruppo di montatori russi, stava mettendo a punto uno di quei loro escavatori colossali, alti come una casa di tre piani, che si spostano su qualunque terreno camminando su quattro enormi zampe come sauri preistorici; e io dovevo sistemare due o tre faccende in fabbrica, ma senza dubbio sarei ritornato entro un mese al massimo. La Kondratova mi aveva detto che per un mese, bene o male, sarebbero andati avanti lo stesso: proprio quel giorno aveva avuto comunicazione che, in un' altra fabbrica di scatolame, si stava usando una vernice tedesca, che a quanto pare non dava inconvenienti; mentre si cercava di chiarire l' incidente, ne avrebbero fatto arrivare urgentemente un quantitativo. Tuttavia con una inconseguenza che mi ha sorpreso, ha insistito perché io tornassi al più presto possibile: "tutto compreso", la nostra vernice era preferibile. Da parte sua, avrebbe fatto tutto quanto poteva per farmi avere un nuovo visto prorogabile a piacere. Faussone mi ha pregato, già che andavo a Torino, di consegnare alle sue zie un pacco e una lettera, facendogli le sue scuse: lui avrebbe passato i Santi sul posto. Il pacco era leggero ma voluminoso, la lettera non era che un biglietto, e portava segnato l' indirizzo nella grafia chiara, meticolosa e leggermente sofisticata di chi ha studiato il disegno. Mi ha raccomandato di non perdere il documento valutario relativo al contenuto del pacco, e ci siamo lasciati.

Pagina 0149

Cerca

Modifica ricerca