Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbarbicandosi

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PROFUMO

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Capuana, Luigi 1 occorrenze

Dentro il suo cuore, in quella notte piena di sogni stravaganti e paurosi, era spuntato qualcosa, simile a una fioritura di erbe maligne, che cresceva e si espandeva, abbarbicandosi forte, invadendo ogni spazio, coprendo tutto con la sua ombra cupa, dandole tristezza ineffa- bile; qualcosa, di cui fino a un giorno addietro non aveva alcun sospetto, di cui non aveva pensato a guardarsi, e che di sorpresa l'aveva assalita e vinta ... Oh! ... Vinta no! Si era dibattuta tutta la giornata, non ostante le occupazioni e la compagnia; si dibatteva ancora per isfuggire alla violenza di quella forza, che cercava di assoggettarla; maravigliata che potesse esserle germogliato nel petto un senti- mento che offendeva tutto in lei, pudore, fede, ragione; e più maravigliata che la sua ragione, la sua fede, il suo pudore, la sua alterezza di donna onesta non lo avessero già annientato in un baleno, appena avutane coscienza. Perciò si indignava contro se stessa in quel momento, e serrava i denti per non lasciarsi scappar di bocca le parole che le fremevano su la punta della lingua; e con l'indice scrostava, scrostava l'intonaco del muro, quasi a sfogo, non po- tendo far male, per vendetta, a se stessa, nè ad altri. "Ha dato un gran dispiacere a suo padre" ella disse lentamente. Ruggero tornò ad appoggiarsi sul parapetto, accostandosi un po' più, tanto da toccarle il gomito col gomito. "Ho diciotto anni, ma sono già un uomo" rispose. "Se prometto, mantengo. Do la mia parola d'onore ... a lei. Assicuri a mio padre che non avrà più nessun motivo ..." Sentendolo parlare con voce sommessa e turbata, quasi le mormorasse qualche grave confidenza all'orecchio, Euge- nia s'era subito pentita d'aver provocato quella risposta; e staccando nervosamente col dito un ultimo pezzetto d'intona- co, lo interruppe: "Gliel'assicuri lei, sarà meglio. Sarà meglio" ripetè con accento più calmo, per dare alle sue parole il significato di un amichevole consiglio e nient'altro.

MEMORIE DEL PRESBITERIO SCENE DI PROVINCIA

679333
Praga, Emilio 1 occorrenze
  • 1881
  • F. CASANOVA. LIBRAIO - EDITORE
  • prosa letteraria
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Le viti sorrette da lunghi pali, erravano in tutte le direzioni, qui formando delle vie coperte sotto cui intravedevo panche e tavole di pietra scura, là abbarbicandosi ai muri che da due lati facevano ala al giardino. La vegetazione era splendida: maggio aveva fatto il suo dovere. Le macchie dei fiori, gialli, rossi, turchini, bianchi, viola, amaranto, si mescevano in pazza allegria colle infinite gradazioni del verde dei legumi; peri e pruni contorcevano i loro tronchi nodosi, avvolti completamente, come da un abito di festa, nei fiorellini color rosa e color pavonazzo del rhododendron e della glicina. Non saprei se fossero cresciuti per colmar panieri o per comporre ghirlande. Ma quel che dava l'intonazione a quel quadro di tutte le tinte eran le rose. Avresti detto che quella notte ne fosse venuta una nevicata: ce n'erano dappertutto, in alto, in basso, sulle pareti, in mezzo alle viti, sui tetti, per terra. Il dolce fiore di Venere non crebbe mai con tanta dovizia intorno ai templi di Lesbo. L'emblema della virginità, le rose bianche, nascondevano intieramente il fianco del presbiterio, non lasciando scoperto che quel tanto che era necessario per dar spazio alle imposte delle finestre: la mia ne era tutta incorniciata. La rosa delle quattro stagioni dominava dispoticamente, nelle siepi, la turba passeggiera dei tulipani, dei garofani e delle anemomi; le rosette dalle cento foglie, simbolo delle grazie, gremivano il chiosco posto a capo del viale più grande, e si cacciavano a destra e a sinistra sul muricciuolo di cinta, occhieggiando. Era evidente che il curato amava i suoi fiori platonicamente; tranne forse per le funzioni solenni della chiesa, li lasciava crescere e morire sullo stelo. Infatti un tappeto di foglie tremolanti copriva i viali: tutti quei fiori pagavano il tributo della umana fragilità non all'uomo, ma alla natura e le loro salme, scomposte e sparpagliate dall'aria, volavano intorno in vortici odorosi, a somiglianza di farfalle: non avevo quasi aperta la finestra, che il pavimento della camera ed il letto ne erano coperti. Di là dal muro di cinta si protendeva la campagna, in pendio; pochi metri coltivati a frumento, esile e sparuto come un povero esiliato dal suo clima; e, interotte qua e là dalle macchie dei castagni e degli onici, praterie piene di sentieruoli. Più in su, la montagna da cui io era sceso il dì innanzi, arida e brillante delle sue frane silicee. Alla mia destra sporgeva, oltre il fianco della casa parocchiale, a poca distanza, un edificio rustico, di proporzioni, per quanto modeste, pure assai più grandiose di tutte quelle intravedute attraversando il villaggio. Certo doveva essere l'abitazione di Baccio. Due fanciulli vi stavano giocando sul balcone di legno, e una donna, col capo circondato alla moda montanina di un fazzoletto rosso, distendeva tutto all'ingiro i pannolini del bucato. Fui interrotto nelle mie rapide osservazioni dalla buona Mansueta che, viste schiuse le imposte, si era affrettata a prepararmi il caffè e me lo porgeva, fumante e profumato, chiedendomi come avessi passata la notte. Chiesi subito del curato: stava cantando messa. Quel cantando mi fe' rissovvenire che eravamo in domenica; epperò mi credetti in dovere di affrettare la mia modesta toeletta per dar saggio del mio rispetto ai doveri dell'ospitalità, col far parte dei fedeli raccolti in quel momento intorno a Don Luigi. Discesi e, poichè la vecchia mi aveva preceduto di qualche tempo, giunto in faccia alla scaletta, mi trovai imbarazzato davanti a due porte, non ricordandomi quale di esse mettesse al gabinetto da cui ero uscito la sera. Ne apersi una a caso e mi accorsi di aver sbagliato; pure andai avanti. Ne valeva la pena. Era il deposito delle suppellettili più importanti e degli arredi sacri di maggior valore, il capharnaum della chiesa. Il baldacchino rosso a ricami e frangie d'oro, sorretto dalle sue quattro aste collocate in altrettanti vasi di pietra, occupava, con una posa obliqua che rammentava un ubriaco, il mezzo dello stanzone. Intorno, candelabri di metallo pulito, lanterne da processione infisse sopra bastoni di color rosso già sbiadito verso le estremità dal sudore delle mani dei confratelli; crocifissi pure di metallo - allampanati, portanti al congiungimento delle due aste una specie di rosa fatta di raggi in ottone invece del Cristo. Tuttociò, disposto in ordine di battaglia sul pavimento, pareva allacciato, come da serpi di argento, dalle catenelle sottili dei turiboli. Un armadio gigantesco sorgeva contro il muro: le imposte ne erano spalancate. Vi pendeva tutta una famiglia di abiti sacerdotali, camicie, cotte, stole: guardando da lontano somigliavano una fila di preti appiccati. Un grosso messale antico mi tentò; l'apersi, e lessi in lettere rosse intercalate a lettere nere: Breviarium Romanum ex decreto Sacrosanti Concilii Tridentini restitutum, S. PII V. Pontificis Maximi jussu Editum, Clementis VIII et Urbani VIII. Auctoritate recognitum in quo Officia novissima sanatorum accurate sunt disposita. Venetiis, MDCCXXVII. Apud Nicolaum Pezzana Una di quelle vecchie edizioni logore e belle che fanno pensare. Quasi a ogni pagina erano mazzetti di rose disseccate che avevano colorato leggermente all'ingiro i caratteri, e mescolato il loro profumo di un giorno a quello eterno del libro. Dietro una stia piena di galline chioccianti e su cui stavano sparpagliati una infinità di sacchetti e di cartocci di semi, portanti il nome della specie scritto su cartoline appese al collo, a mo' di decorazioni, s'innalzava appoggiata al muro una immensa tela oblunga; - ai suoi lati drappeggiavano quattro bandiere tricolori circondanti colle loro pieghe le lettere cubitali, di color giallo, imitante l'oro, che dicevano: Viva lo Statuto Quel viva però pareva fosse stato esposto alla pioggia tutto solo, tanto era sbiadito in confronto del resto del dipinto; come se il curato a imitazione degli auguri romani, lo avesse qualche volta esposto sulla porta della chiesa, senza altre parole al suo seguito, per celebrare la festa del Dio ignoto. Mi avvicinai, e scorsi sul secondo v le impronte evidenti di una raschiatura; per poco che un'unghia fosse passata di nuovo lassù, si sarebbe letto un via invece di leggere un viva. Ciò mi fece pensare alla parete d'un seminario, su quelle stesse montagne, dove avevo ammirato quest'altra iscrizione epigramma balordo di sanfedisti: Stat ut 0 sta come zero). I lettori vedranno in seguito come io fossi in errore, cedendo in quel momento, davanti a quel v nebuloso, a un dubbio poco lusinghiero verso il vecchio curato, e più ancora verso il giovanile entusiasmo che mi aveva così repentinamente animato verso di lui. Però l'ingiusto pensiero non durò che un minuto. Riapersi il Breviario; mi parve di vedervi specchiato il bel viso dell'uomo che vi leggeva il paradiso attraverso le rose, e giurai a me stesso che era impossibile ch'egli fosse un nemico della patria.

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