Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandono

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

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Il codice della cortesia italiana

184209
Giuseppe Bortone 3 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
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E quando si è sicuri dei propri sentimenti e dei sentimenti dell'altro, che tenga dietro un sapiente abbandono: sapiente, perchè mi par bello, oltre che suggestivo, che ci sia sempre, nel cuore, un cantuccio recondito in cui l'altro s'industri di veder chiaramente. Imperdonabile leggerezza sarebbe, per i giovani, andare al matrimonio senza che ciascuno avesse, in precedenza, fissato a se stesso un programma di vita coniugale. So bene che il nuovo stato provvederà da sé a consigliare, caso per caso, a suggerire, ad imporre anche; ma è pur bene che una linea generale di condotta ci sia già nei propositi dei coniugi futuri. Punto di partenza, nel programma di vita coniugale, deve essere un grande spirito di tolleranza; senza di questo, non valgono separazioni e divorzi: la catena delle esperienze pietose sarà eterna!

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Ho gia detto che nulla è piú antipatico e piú ridicolo dell'affettazione; dunque, bisogna evitarla nelle lettere, esponendo il nostro pensiero con naturalezza: naturalezza che si potrebbe chiamar « abbandono » nelle lettere familiari e d'amicizia, e « semplicità » nelle altre. La convenienza - dipendendo, piu che da altro, dal buon senso, dal tatto di chi scrive - si acquista con l'esperienza e con l'educazione dello spirito e delle buone maniere. Nelle lettere familiari e d'amicizia, una introduzione semplice e viva e una chiusa buona e affettuosa: tra l'una e l'altra, le notizie e, in genere, quel che abbiamo da dire, non con un ordine stringato, ma tuttavia senza andate e ritorni. È permesso qualche poscritto, che consente di tornare un momento su ciò che s'è detto, o di colmare una lacuna. Le lettere d'affari possono essere svariatissime, dalla commissione alla raccomandazione: requisiti principali, l'ordine, la chiarezza, la brevità: principalissimo, la gentilezza. Alcune lettere di questa categoria richiedono un tatto speciale: quelle, per esempio, con cui si dànno o si chiedono informazioni. In tal caso, bisogna scrivere secondo che la coscienza suggerisce e in termini prudenti, perché la piú piccola parola inconsiderata può pregiudicare moltissimo una persona o una istituzione. Si mettono fra le lettere dette di convenienza quelle che alcune circostanze speciali della vita obbligano a scrivere: lettere di condoglianze, di congratulazioni, di ringraziamento, di scusa. Le prime son le piú difficili. Esse si propongono di consolare. Tutto vi è delicato: la scelta del momento in cui si scrive, le parole che si usano, i sentimenti che si esprimono. E il complesso di questi diversi elementi dipende dalle relazioni fra mittente e destinatario. Se chi scrive è buon amico di colui cui la lettera è diretta, prende parte veramente al suo dolore: in tal caso, il cuore guiderà certamente la penna e farà dire delle cose delicate e consolanti. Se, invece, col destinatario, non si hanno che relazioni di società, gentili senza essere amichevoli, si andrà meno avanti nella intimità del dolore, si limiterà a dare l'assicurazione della propria simpatia. Il difficile, in parecchi casi, è di restare discreto, evitando di cadere nella freddezza, che è quasi un'offesa, come quando si scrive « condoglianze » su una carta da visita, o di profondersi in effusioni inverosimili. Ora, non si cadrà in questa mancanza di gusto se si è mossi da sentimenti, elevati e generosi; se, in una parola, si ha del cuore. Non vi possono esser regole per questa specie di lettere, il cui merito principale consiste nell'adattarsi al carattere delle persone e delle circostanze. Il dolore colpisce cosí diversamente le anime! Alcune quasi vi si adagiano; e, per queste, il miglior modo di condolersi è parlare della perdita patita. Altre, al contrario, mettono come del pudore a chiudere il loro dolore in fondo al cuore, e non amano sentir ricordare da altri l'oggetto amato e perduto: per queste, sarà opportuno scivolare sui ricordi dolorosi e guardarsi dal tentar di consolare un dolore inconsolabile. Insomma, nulla vale, per l'ispirazione, come la sincerità del sentimento. Per conto mio, quando si tratti di condoglianze e di congratulazioni, alla lettera preferisco il telegramma. Le altre lettere di questo gruppo debbono anch'esse, come quelle di condoglianza, essere scritte al momento opportuno; ossia non appena si può, dopo l'avvenimento che è la causa: nascita, matrimonio, onorificenza, favore ricevuto, offesa fatta. E anche qui la disposizione con cui prendiamo la penna è la guida migliore; il buon gusto farà evitare gli eccessi che, in parecchi casi, sono l'indifferenza o la effusione iperbolica. Che diremo, in ultimo, di quel tal generino di lettere qualificate « anonime »? Inviarne per far delazioni, maldicenze, calunnie, o per destare sospetti, è peggio che appiattarsi dietro a un muro per tirare una fucilata al viandante: è l'atto piú malvagio e piú vile, che mette l'autore al bando dell'umanità. Non bastano, poi, il contenuto e la forma: ci sono anche le forme, dalle quali altresí si giudica della buona educazione, della gentilezza, della finezza di modi di chi scrive. Non si partecipano i saluti di altri che ai propri pari e agli amici; eccezionalmente, agli sconosciuti e ai superiori; a questi si possono presentare soltanto i saluti dei genitori o dei parenti. Né s'incarica un superiore di salutare un inferiore; come il superiore eviterà di affidare all'inferiore i suoi saluti per qualcuno. Non sono convenienti i poscritti nelle lettere di riguardo; in nessun genere di lettere, per far proteste d'amicizia o per congratularsi. Se si affidano lettere ad amici perché cortesemente le recapitino ad altri, si consegnano aperte: gli amici si affretteranno a chiuderle. La carta dev'esser semplice, ma non ordinaria: la bianca è la migliore. Non dev'esser profumata. Non si scrive alle persone di riguardo su carta intestata o su cartoncini. La busta deve essere della medesima qualità e del medesimo colore del foglio. Dev'esser buono l'inchiostro: leggibile la calligrafia. Si lascia sempre un centimetro di margine laterale; né si rimandano alla pagina successiva i saluti. Non si cominciano le lettere col pronome Io né con un gerundio. Sono aboliti i qualificativi sperticati: ricordare che l'illustre è molto piú dell'illustrissimo e si può dare soltanto a pochi. Sul rovescio della busta è prudente scrivere il cognome e il recapito del mittente sia per ricordarlo a chi si scrive sia perché si sappia a chi restituire il messaggio nella eventualità che non si trovi il destinatario. Ecco i recapiti, con la forma diretta e indiretta, da usare con le varie categorie di personaggi: Al Sommo Pontefice: Alla Santità di - Santo Padre - Voi, a Voi, di Voi, Santità, Santo Padre. Ai Cardinali: Eminenza reverendissima - Eminenza - Voi, Eminenza - Di Voi, Eminenza. Agli Arcivescovi e Vescovi: Eccellenza - Voi, Eccellenza - A voi, Eccellenza. Non sappiamo se ai membri della Costituente sarà data la vecchia qualifica di Onorevole. L'Eccellenza ai Ministri, ai Prefetti, ecc. non è ormai che un ricordo e, per alcuni, una nostalgia piú o meno pungente. Quanto alla chiusa, secondo i casi: devozione filiale, devotissimo suddito, devoti ossequi, con devozione, devotissimo, ossequi, con devozione affettuosa, con affetto devoto, obbligatissimo, gratissimo, cordialissimi saluti, ecc. Scrivendo, poi, a persone di riguardo e alle signore, i pronomi e i possessivi vanno scritti con la maiuscola: Lei, La, Sua, ecc. Usa scrivere con la maiuscola anche i pronomi indiretti, incastrati in altre parole: scriverLe, salutarLa. In alcun Paesi, le qualifiche dei mariti sogliono prenderle anche le loro signore. In Italia, no. Nell'Italia meridionale - evidente avanzo di spagnolismo - usa dare comunemente il « don » e il « donna ». Se c'è ancora chi prende gusto a darlo o a sentirselo dare - ma nel meridionale - poco male, per quanto anche la legge sia intervenuta a disciplinare quest'uso. Normalmente, il « don » si dà soltanto agli ecclesiastici, anche davanti al cognome, e ad alcuni nobili. La data in cima al foglio, a destra: da Siena, a' 30 di maggio del 1945, il vocativo in mezzo, o al principio del rigo; se seguíto da punto, lettera maiuscola da capo; se da virgola, si prosegue, anche se da capo, con lettera minuscola. Si tenga presente che i numeri romani, hanno già il valore di ordinali; quindi, si scrive 30, ma con cifre arabe; III con numeri romani. In fondo alla lettera, è ridicolo mettere il caro o il carissimo con i « propri » saluti: secondo i casi, aff.to, aff.mo, dev.to, dev.mo: servitore, mai servo, che vuol dire schiavo. Nelle lettere familiari, meglio il possessivo: in quelle di riguardo, meglio a Lei, dev.mo, ecc. In queste, si suol anche ripetere il recapito in fondo al foglio, a sinistra. Non è corretto firmare con le iniziali o con sigle illeggibili. Scrivendo ad amici, basta il nome e l'iniziale puntata del cognome; o questo solamente. Non è corretto inviare lettere non sufficientemente affrancate. Il francobollo si attacca diritto, in cima a destra; il recapito deve avere tutte le indicazioni precise: sul rovescio della busta, il cognome e il recapito di chi spedisce; e questo sempre, facendo poco affidamento sulla memoria o sulla cura di colui a cui si scrive. Quando si desideri una risposta da persone con le quali non si sia in confidenza, unire il francobollo. Mi par quasi superfluo ricordare che non si scrive direttamente alle piú alte Autorità; ma alle persone loro specialmente addette, o agli uffici.

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Pagina 65

Cosima

243798
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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