Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandono

Numero di risultati: 7 in 1 pagine

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Ricordi d'un viaggio in Sicilia

168900
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1908
  • Giannotta
  • Catania
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Le buone maniere

202451
Caterina Pigorini-Beri 4 occorrenze
  • 1908
  • Torino
  • F. Casanova e C.ia, Editori Librai di S. M. il re d'Italia
  • paraletteratura-galateo
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Questi comandamenti hanno una sanzione potente: è quella di doverli osservare, pena di essere lasciati in abbandono dai nostri simili, e di non poter fare nè ricevere nel commercio di essi quel po' di bene concesso ai mortali, che è la socievolezza e la convivenza sopportabile. In virtù del primo comandamento, che è quello di non movere a schifo neppure a parole i delicati amici delle belle maniere, trascureremo di accennare a quegli atti che non sono nominabili, nella fede altresì che la gentilezza del costume moderno abbia reso superfluo una enumerazione particolareggiata di tutte quelle azioni inurbane, le quali appartengono, a così dire, all'archeologia della buona creanza. Non fare adunque atto alcuno che possa in qualche modo turbare la vista e movere schifo o ribrezzo. Non gesticolare troppo vivacemente in casa o fuori, non urtare col gomito, non provocare il riso con atti buffoneschi o villani o disadatti; non sternutire rumorosamente, non andare senza necessità in pubblico colla coriza o intasato o con una ferita sul viso o senza guanti o colle scarpe polverose. Non profumare troppo la persona a rischio di incomodare le persone vicine, che potrebbero per infermità o per sensibilità nervosa soffrirne danno. Avere il colletto (non si parla del collo) e i solini mondi, i capelli ravviati, la persona corretta in ogni sua forma e figura. Non sbadigliare rumorosamente, non addormentarsi al teatro o in conversazione, non dimenarsi sulla sedia, non cambiare troppo sovente il posto, non stare impalati, non far stridere gli stivali nè la sedia, non dondolarsi, non passare davanti al vicino senza necessità e senza chiederne licenza. Non parlare solo, non canticchiare, non strofinare un oggetto aspro sui vetri, non battere il tamburo colle dita, non stringersi le mani per farle scricchiolare, non strofinare i guanti l'uno sull'altro; cosa per alcuni insopportabile. Non parlare all'orecchio, non ridere palesemente di alcuno, non discutere accalorato, non contraddire, non schernire, non mormorare, non giurare nel nome di Dio o de' tuoi morti, o di tuo padre e di tua madre. Non mettere la tua sedia sull'abito della tua vicina, acciò non si strappi; non parlarle sul viso, non biasimare il suo vestito, la sua casa, la roba sua, i suoi amici, i suoi congiunti. Non dir mai la bugia ma non dir sempre la verità: taci un vero disgustoso; non adulare le debolezze altrui, ma non permetterti di biasimarle alla presenza del paziente. Non promettere che quello che puoi mantenere, non dare nè offrire servizi non richiesti, peggio, consigli o esortazioni. Non volere far prevalere la tua opinione ad ogni costo, imponendola, o non lasciando parlare gli altri, o profittando di una posizione vantaggiosa. Nell'uscire cammina composto, senz'agitare le braccia come chi semina, o con passo pesante o in punta di piedi per parere più alto o più grazioso. Cedi il passo a chi sembri da più di te, anche se non conosci la persona; saluta con rispetto, con riserbo, con sollecitudine, secondo la condizione in cui si trova la persona salutata. Non chiamare per nome la persona che saluti, perchè potrebbe voler passare sconosciuta; non unirti ad essa senza invito; se il superiore finge di non vederti e tu non vederlo; se è benevolo e ti chiama, e tu rispondi all'invito; se dopo un istante ti lascia senza dirti altro, e tu non osservare. Il tempo è moneta. Non farlo perdere ad alcuno e non perderlo tu stesso. Non schernire le tradizioni paesane, perchè ebbero la loro ragione di nascere e di crescere, di vivere e di regnare, Non urtare le consuetudini, perchè sono le eredità morali dei popoli. Paese che vai usanza che trovi. - Uniformati al costume dei più e non dir mai male del luogo che sei costretto ad abitare, e tanto più se vi sei andato di tua propria volontà. Non contraddire troppo recisamente, non cercare di rettificare un racconto fatto da altri; non scommettere. Una donna non può nè proporre nè accettare una scommessa se non per la forma: una scatola di dolci o un mazzo di fiori. Non entrare in famigliarità cogli sconosciuti, non attaccar discorso in luoghi pubblici, in ferrovia, al teatro se non per uno scambio di urbanità. Non renderti molesto al tuo vicino o al tuo compagno di viaggio con cani o altri animali o con un lavoro rumoroso, specialmente nelle ore notturne. In vagone, i posti più comodi e più ricercati sono gli angoli: qualcuno soffre a mettersi dalla parte della locomotiva. Sarà gentile, per coloro che non soffrono, di offrirlo alle signore. Le signore non entrano che per necessità nei vagoni dove si fuma. Se il posto desiderato è già segnato da un qualsiasi oggetto, una persona educata si guarderà bene dal prenderlo, muovendo il segno. Naturalmente è permesso di dormire in vagone, ma ciò dovrà esser fatto con discrezione e compostamente. Non portare con te nè fiori, nè oggetti incomodi o troppo voluminosi. Colloca il tuo bagaglio al disopra del tuo posto, senza ingombrare il posto del vicino. Non aprire o chiudere il finestrino a capriccio, ma secondo il bisogno e il consenso anche tacito de' tuoi compagni di viaggio. In carrozza il posto d'onore è sempre a destra, e vi si collocano le signore. Se però c'è persona di età o malatticcia, si offre ad essa il posto migliore, badando di non urtare la suscettività specialmente dei vecchi, che in generale non vogliono esser tali. La bicicletta non è troppo indicata per le donne. Essa ha avuto il suo quarto d'ora di sport e ormai è passata alla storia. Però sarà utile di addestrarsi per tutti quei casi in cui può essere utile o forse anche necessario. Se vai in automobile non diventare crudele, come facean nei dorati cocchi le eroine del grande poeta civile, che ritte negli alti cocchi alteramente - A la turba volgare che si prostra non badan punto. L'ebbrezza della corsa non vi tolga la pietà pei passeggeri. Non correre per casa troppo presto al mattino per non svegliare il tuo vicino; non inaffiare i fiori sulla finestra per non bagnare coloro che abitano nel piano sottoposto. Non guardare il tuo orologio se ti pare che i tuoi ospiti facciano tardi; cio è contrario all'ospitalità e dimostra un'impazienza di carattere che raffredda i cuori e i sentimenti benevoli. Non abusare dell'ospitalità che ti è accordata, massime la sera. Ciò potrebbe nuocere alla salute di qualcuno, creare una freddezza e far nascere il desiderio di vederti partire. Se sei un uomo, incontrando una donna per una scala salutala anche senza conoscerla e tirati da un lato del pianerottolo; se sei una donna, ricambia il saluto senza guardare il cortese uomo che ti lascia passare, ma che potrebbe non voler essere conosciuto in quel luogo. Se vai troppo piano, non ingombrare il passo per non impedire ai più solleciti di passare; se hai fretta, non spingere chi è avanti a te e non urtarlo passando. A scuola non sederti davanti al tuo professore o alla tua istitutrice, prima che essi stessi non si siano seduti e te lo abbiano accennato col capo o colla mano: se sei al refettorio alzati all'entrare del direttore e della direttrice o dei superiori, senza indugio. Non dire sì, no, e peggio col cenno del capo, ma sì signore, no signora, veramente mi pare così e così, o piuttosto, mi hanno affermato che le cose dovrebbero essere così e così. Non umiliare i condiscepoli più poveri, non invidiare i maggiori, non essere superbo del tuo ingegno nè umiliato se qualche volta non arrivi subito a comprendere. Se sei convittore o collegiale, o hai mensa comune per qualunque ufficio, non guardare alla porzione del tuo compagno coll'occhio del bue; non mettergli neppure per ischerzo la forchetta nel piatto, non mostrare di accorgerti se mangia male, ma mangia bene tu stesso, e tutti insieme non battete la solfa coi cucchiai, il che produce un rumore assordante e sconveniente. Non presentare un còmpito sgorbiato, un quaderno mantrugiato o spiegazzato, o con macchie d'inchiostro o col puzzo di merenda. Non spedire una lettera macchiata o male scritta o mal chiusa o non intestata convenientemente. Non domandare a alcuno clove egli va. Non dire parole volgari, nè frasi sconvenienti, nè parlare nel tuo dialetto nativo in presenza di chi non l'intende, o in una lingua straniera con chi, anche potendo, non l'ha studiata e si sentirebbe umiliato. Non dire mai: il tale è un ebreo, ma invece: è un israelita. Poichè l'ebreo appartiene ad una sètta, ma l'israelita ad un popolo, che fu per giunta un popolo eletto. Non dir mai ad alcuno: siete pallido, avete cattiva cera, sembrate un po' indisposto; perchè qualche ipocondriaco potrebbe risentirne danno e qualche altro potrebbe voler nascondere o dissimularsi un male penoso e inutile a sapersi, da chi non può recargli alcun sollievo. Non mostrare troppo zelo per la conversione dei peccatori o per il trionfo d'una causa anche buona, o verso una persona amata o i superiori o nell'adempimento del tuo dovere. Un politico molto spiritoso che potè vincere tutte le difficoltà della vita disse una volta: Quanti uomini si fanno dei nemici per essersi mostrati più realisti del re. Il troppo zelo nuoce! Non cercare la confidenza di alcuno, specie se è infelice e non puoi giovargli: non farti troppo grande coi poveri o coi sollecitatori, perchè potrebbero metterti al repentaglio di dover accordare appoggi e denaro a gente immeritevole, o di dover fartene, rifiutando, dei nemici. Non mostrarti troppo contento della tua sorte specialmente con chi soffre; un proverbio francese dice: bisogna farsi povero conversando coi ladri. Non parlare di te stesso nè in bene nè in male, e non occupare gli altri in alcun modo della tua persona; PIGORINI-BERI C., Le buone maniere. 8 perchè se dici bene hai l'aria di essere vanaglorioso e desti l'invidia oltre il ridicolo; se dici male, trovi tutto il mondo disposto a non contraddirti. Non immischiarti degli affari altrui. Questa non solo è una passione intollerabile in società, ma si va a rischio di avere il male, il malanno e l'uscio addosso. Un proverbio marchigiano dice: Chi s'impaccia delli affari altrui - dei tre malanni gliene toccan dui. Non sceglierti un amico fra i troppo ingenui. È stato detto che un nemico spiritoso è meno da temersi di un amico sciocco. Non riportare discorsi intesi anche passando, specialmente se non son lodativi della persona a cui son diretti. I napoletani dicono: Chi ciarla riporta, schiaffo vuol dare. Se è necessario avvertire un amico del biasimo a lui portato o di porlo in guardia contro un pericolo o contro un altro uomo, fallo cautelatamente, così che non possa diventar rosso in presenza tua, e non ti serbi mal animo di avergli fatto sapere che tu hai sentito a notare alcun suo difetto. Non mettere cattive abitudini nei giorni solenni di strenne, di doni, di lettere, di mancie, se non sei sicuro di poter perseverare; perchè una volta che tu mancassi, la tua dimenticanza sarebbe presa in sinistra parte. I piemontesi dicono: È meglio uccidere un uomo che mettere una cattiva abitudine. Se accetti un invito a pranzo non andare troppo presto, ma neppure troppo.tardi, badando che potresti riuscire prima inopportuno, e dopo molesto, per aver fatto ritardare altrui, come abbiamo ripetutamente detto. Se le persone di servizio del tuo ospite commettono qualche disattenzione non raccoglierla e fingi di non accorgerti o cerca scusarle se hanno mancato. Se tu dovessi trovare qualche cosa nel tuo piatto che non fa parte delle salse, vinci il ribrezzo e cerca nascondere e dissimulare l'accaduto. Se hai invitato, sii cortese; non badare se qualche malavveduto ti rompe un oggetto anche di valore, se il servo ti fa cadere una posata, se ti si macchia il tappeto o la tovaglia. Non sederti troppo vicino o troppo lontano dalla tavola e non spiegare la tua salvietta pel primo e molto meno non stendertela sulle ginocchia come i contadini o sul petto. Non allungare troppo i piedi a rischio di pestare quelli del tuo vicino. Se ti manca un coltello, una posata, del pane, accenna piano al domestico che te lo serva, senza chiamarlo forte come all'albergo. Non mordere nel tuo pane e non tagliarlo col coltello, ma spezzalo a piccoli pezzi quanto basti per portarlo alla tua bocca con due dita. Non soffiare nella tua minestra e non stendere col coltello salse, frotte o burro sul pane; salvo che prendendo il the, il che può essere tollerato. Non tagliare la vivanda che a misura di accostarla alle tue labbra, e ricordati che il pesce non vuol esser tagliato col coltello. Non ripulire la forchetta o il coltello sul pane nè gettarlo poi sotto la tavola; nè gettare le ossa quando le hai spolpate. Bisogna evitare di versare il sale o di notare se siete per caso tredici a tavola, perchè vi potrebbero essere delle persone superstiziose che se ne spaventerebbero. Non parlare colla bocca piena a rischio di farti andare la roba in traverso e di dover schifire o turbare i convitati. Non fare rumore nè colle labbra nè colle mascelle, e sopratutto bada di usare tutta quell'attenzione per cui le tue labbra e i contorni della bocca rimangano estremamente puliti. Non accostare mai il coltello alla bocca e non intingere il pane nelle salse colle dita. Non sbucciare le mele o le pere in spirale ma in quarti e man mano che le mangi, tenendole colle forchettine. Non mangiare troppo in fretta per non affrettare gli altri, nè troppo adagio per non farli attendere. Se hai il singhiozzo allontanati un momento e non tornare se non è passato. Il solo atto di moverti ti darà un'agitazione salutare che forse imporrà il freno a' tuoi nervi. Ripulisci la bocca prima di bere, giacchè non vi ha cosa più ripugnante che vedere un bicchiere coll'orlo ingrassato. Se mangi degli sparagi, della selvaggina, ecc., ti sarà permesso di prenderla colle dita. Chi presiede alla gentilezza, alla grazia, alla sceltezza dei modi in Italia e ne dà quello che si chiamerebbe in musica la intonazione, ha l'abitudine di fare così; e tutt'al più per la selvaggina potrai valerti del lembo della salvietta. Mangiando frutti piccini col nocciolo o uva o ribes, i rifiuti non si rovescieranno sulle mani per porli nel piatto; ma nel piccolo cucchiaio da dessert se c'è; e se non c'è, sul piatto inchinandovi sopra leggermente. Nel bere bisogna fare lentamente; non far rumore colla gola bevendo; e bisogna asciugarsi la bocca dopo che si è bevuto. Per prendere il caffè è di regola lasciarlo freddare sino a che si possa bere senza versarlo nel piattino, perchè non isgoccioli sulla tovaglia, sugli abiti o sul tappeto, dato che si prenda in piedi e mormorando, come dicevano i nostri nonni. Alla padrona di casa è riservato il maggior còmpito in tutto quello che riguarda il buon andamento d'un convito, d'un salotto, d'un ricevimento, sia pure il più cordiale e il più alla buona. La donna ha il dovere di regolare tutto quello che si attiene alla casa, al focolare domestico; l'uomo ne è il doveroso sostenitore, quello che deve fornire i mezzi del benessere; ma la donna deve darne l'intelligenza e il modo di goderne. Infine, diremo anche noi con parole non nostre per avere maggiore autorità: «una donna anche nervosa in casa propria sarà sempre gentile e amabile. «Questa specie di ospitalità, meglio esercitata in Francia che in alcun altro paese, è una delle cose che maggiormente contribuisce alla piacevolezza della società. Non si deve in casa propria nè andare in collera, nè formalizzarsi, nè mostrarsi bisbetici, nè avere sprezzo o durezza: ecco delle massime che sono generalmente osservate dalle persone educate». In tutti questi comandamenti di cui più d'uno può parere una superfluità e una formalità quasi ridicola, si cela una incontestabile saggezza, di cui le persone non superficiali, ma sinceramente amanti della dignità personale non possono nè debbono fare a meno. Essi se non foss'altro aiutano l'uomo a stare costantemente sopra sè medesimo; ciò evita molte cattive conseguenze anche nella parte morale dell'educazione, esercitando le facoltà relative alla prudenza e all'attenzione, e produce l'effetto infalliblle di dare all'uomo delle buone abitudini, che si convertono poi, come abbiamo ripetutamente detto, in suggestioni corrette e virtuose, indispensabili al rispetto di sè medesimo e degli altri.

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La convenzione ha insegnato che come non si esce di casa senza mantello, senza cappello e sconvenientemente vestiti così debbonsi lasciare in casa le intimità, i costumi domestici, le apparenze di abbandono di sè stesso, le quali sono istintivamente considerate mancanza di rispetto ai nostri simili. Entrando in casa altrui non tiene cattedra, non si siede in posto incomodo, non allunga il piede, non lo mette sotto la sedia, non gesticola, non sghignazza, non parla all'orecchio di alcuno, non sfoglia libri ed albums senza esserci invitata, non si guarda attorno. La sua sorpresa se anche piacevole non giunge mai fino all'esclamazione; le sue osservazioni e opinioni non arrivano mai al biasimo, specialmente se si tratta di altra donna, e le sue ammirazioni non sono mai espresse per la bellezza di alcun uomo. Il trovare una persona di diverso sesso troppo brutta o troppo belta è la trasformazione di un impulso o di PIGORINI-BERI C., Le buone maniere. 7 una repulsione che, per quanto naturali e non colpevoli, rientrano nella natura istintiva dell'uomo, e che appunto l'educazione moderna e la sensibilità ereditaria hanno il còmpito di modificare e di ingentilire. L'abbigliamento d'una giovinetta per bene è esente da ogni esagerazione di ornamenti vistosi: la semplicità sciolta de' suoi modi deve leggersi in tutto quello che, nel renderla elegante, le toglie il ridicolo di una preoccupazione visibile per l'abito che indossa. Essa non avrà stravaganti cappellini e mantelli, non ventagli smisurati, nè ombrellini straordinarii; l'eleganza non può essere costituita che dalla semplicità. Anche perciò, dacchè è impossibile sottrarci alle tirannie della moda, e la moda è il massimo perchè delle industrie, dei commerci, delle relazioni internazionali e di molte parti dell'etica e dell'economia pubblica, più che non sembri, sarà utile educare nelle giovinette il sentimento dell' eleganza; il quale può fino ad un certo segno partecipare dell'artistico, e perchè 'occhio vuole la sua parte, come dice un vecchio proverbio. Perfino il Rousseau diceva che non è preferibile la donna più bella ma la più ben vestita; e Parigi non è così ricca, non è così affascinante, non è così desiderabile, se non in quanto le sue donne sanno essere sì eleganti nelle movenze, sì scelte nelle maniere, sì ritenute nella parola, sì artistiche nel taglio dell'abito, nella disinvoltura d'un cappellino grazioso, e nell'assoluta padronanza del proprio abbigliamento. Le nostre antiche gentildonne italiane fondevano l'arte col vestito, coll'ornamento e coi gioielli. Isabella Gonzaga e Vittoria Colonna, eccelse donne, Alessandra Mazzinghi degli Strozzi e Isabella Guicciardini non sprezzavano gli abbigliamenti, benchè non ne facessero oggetto di troppo grandi cure. È noto che Isabella Gonzaga mandava ambasciatori per avere ragguagli sul corredo di Lucrezia Borgia, e che la dogaressa veneziana rendeva famosi nel mondo i merletti di Burano. Il corredo d'una gentildonna italiana, che portava i velluti e i broccati veneziani, le stoffe orientali, gli Agnus Dei miniati da frate Angelico, le perle dei mari lontani, i coralli delle nostre pesche tirrene, le filigrane genovesi, i ricami dei monasteri nei fazzoletti di una battista che si chiamava pelle d'ovo, e le oreficerie di Benvenuto o di Ascanio, rendevano testimonianza della ricchezza dei nostri commerci e del predominio delle arti belle che resero così splendido il rinascimento. E le industria fiorentine coll'arte della seta e della lana, le veneziane coi broccati e broccatelli, quelle di Camerino coi taffetani e i veli più belli del mondo, quelle di Milano colle stoffe meravigliose; e i profumi dell'estrema Calabria, bergamotto, fior d'arancio e rosmarino, facevano delle nostre gentildonne un modello di perfezione gentile, che passando nell'uomo lo ornavano pei torneamenti, in cui si addestravano nelle armi Fieramosca e Marco Visconti, Ottorino, Castruccio Castracani e Niccolò Piccinino, Lorenzo il Magnifico e Prospero Colonna, Giulio Cesare Varano ed Emanuel Filiberto. Le donne più famose da Vittoria Colonna a Costanza Varano, da Caterina Cibo a Margherita de' Medici, furono altresì le più eleganti. L'abbassarsi dell'istinto dell'eleganza innata nelle donne fu altresì la rivelazione del decadimento del pensiero umano, e della brutalità de' costumi. Il vestire alla guillottina fu l'ultimo eccesso della decadenza rivoluzionaria e suscitò, nel più grande poeta civile del secolo, l'ode a Silvia, grande ammaestramento di civiltà. Ma questa orgia sfrenata di sangue, questa rivolta all'eleganza e alla gentilezza della forma esteriore, fu come la rispondenza dell'altro eccesso in cui ancora il poeta del Giorno colpiva l'esagerazione del lusso e della mollezza, solennemente sferzando la falsa eleganza, i nèi, il belletto di un'epoca di decadimento e di vergogne. E questa lenta trasformazione dell'eleganza in lusso sfrenato e insultante, che ebbe un primo famoso documento in Lucrezia Borgia e un'ultima tragedia in Maria Antonietta, due donne così diversamente famose e terribili e degne di pietà, rivela l'abuso di una facoltà che ha cessato di essere un accessorio indispensabile per diventare uno scopo diretto e positivo. Questo piccolo volo a traverso la storia dell'eleganza nel vestire e nell'adornarsi, non è che un documento umano per preservare dalle vanità le persone di buon senso, e per non far loro tenere in dispregio quelle forme di squisitezza che rendono le donne amabili e utili nel vivere quotidiano. Anche in questo ci vuole quella misura per cui non si esca dalla sapiente e indispensabile teoria dei limiti, che Gino Capponi accenna ne' suoi Pensieri sull'educazione e che gli fece mettere a capo dell'educandato della Santissima Annunziata un'amabile donna straniera, la quale scriveva come madama di Sévigné, vestiva come Madama di Grignan, conversava come Madama di Genlis e sapeva presentarsi come Madama Recamier. Il modo di contenersi in società d'una giovinetta non sarà petulante nè, per servirmi d'una parola messa in voga dagl'Inglesi, scontroso, o d'una taciturnità che rasenti la zotichezza. Per la fusione delle classi, per la facilità di trovarsi al contatto di ogni ordine delle sue coetanee, la giovinetta non mostrerà a quelle di condizione meno elevata della sua quello sprezzo superbo, che fa giungere le lagrime agli occhi dei timidi e degl'impressionabili: non si abbandonerà a troppo grande confidenza colle uguali, non sarà ardita colle maggiori per posizione o per ricchezze, nè adulatrice o lusinghiera. Non farà esclamazioni esagerate, non parlerà in prima persona - casa mia, i miei cavalli, la mia cameriera - e simili; non si crederà autorizzata a prometter nulla, non farà doni e non ne riceverà se non col permesso dei superiori, molto più se il donatore è di sesso diverso e non ha un'età che giustifica il dono, il quale non può essere che un libro, dei fiori o dei dolci. Un dono di valore non è permesso che al padrino, od un parente, ad un vecchio amico della famiglia. Il giudizio sugli uomini e sulle cose deve essere subordinato a molte riflessioni rispettose e remissive, che rivelano quel che si chiama il tatto, il quale non è che la principale espressione del carattere. La giovinetta non dà ad alcun uomo il suo ritratto, non lo incornicia nel salotto, non lo mostra a chi potrebbe avere la mancanza di tatto di chiederglielo, non lo profonde neppure fra le amiche. Il concedere il proprio ritratto a molti può dimostrare due cose: o la vanità di credersi bella, o il trattare troppe persone con intimità, il che distrugge il valore di una amicizia troppo facilmente accordata a molti. Anche colle sue amiche più care non esagera l'espressione del suo affetto, non le bacia e abbraccia troppo spesso, specialmente in società, dove ciò sveglia una idea di sdolcinatura poco conveniente e di attestati iperbolici d'un affetto, che è tanto più sicuro e fedele quanto è meno rumoroso e esteriore: invece la sua amicizia non prodigata alla prima venuta e colla dignità d'un carattere che lampeggia nella prima gioventù per illuminare nell'età matura l'intelletto e il cuore, sarà costante, ferma, serena: essa apporta, come si esprime felicemente la Baronessa di Staaffe, nel commercio della vita usuale colle sue amiche un capitale di onestà sincera e franca, che nell'impedirle l'adulazione le darà modo di non scorgere neppure i difetti e qualche volta gli errori delle altre, senza gelosia per loro meriti, per la loro bellezza e per la loro ricchezza, compiacendosi anzi di poterli far ammirare insieme con lei dagli altri. In una conversazione se le tocca per vicino un interlocutore un po' noioso non sbadiglia, cosa che si può sempre evitare pur di comprimere il primo impulso; è caso qui, come in tutte le cose della vita, di un buon principiis obsta, come diceva il Conte Zio al Padre Provinciale nell'affare del Padre Cristoforo. Sentendosi a ripetere, da un vecchio specialmente, un aneddoto, un fatterello, una spiritosità, un racconto, avrà la pazienza di ascoltarlo colla stessa serietà e la stessa attenzione come se non lo avesse mai sentito dire. Evita con ogni studio di raccontare fatti e di accennare ad avvenimenti che potrebbero offendere o affliggere inavvertentemente le persone intervenute, e non perde mai la buona occasione di tacere, come dice una dama amabile; cosa di cui nessuno ebbe mai a pentirsi. Se sa sonare o cantare non si fa soverchiamente pregare prima di corrispondere all'invito, e sopratutto non mostra di essersi preparata all'invito stesso, cavando fuori il quaderno della musica, il che è ridicolo. Se ognuno fa l'esame di coscienza trova in sè di aver riso di siffatte evidenti vanità. Se uno non è sicuro di sè stesso e di quello che sa, può sempre evitare una inutile agitazione, non esponendosi volontariamente ad un cimento che può produrre una freddezza invincibile nell'ambiente. Il ridicolo doloroso che copre un oratore, un artista, un dilettante ad un insuccesso, dovrebbe allontanare ogni persona ragionevole dal presentarsi in pubblico: una giovinetta specialmente potrebbe danneggiare per sempre la sua riputazione, benchè sia una mancanza tutta convenzionale e non di sostanza. Bisogna ricordarsi che come i senatori considerati isolatamente erano, secondo il motto latino, buonissimi uomini ma il Senato tutto insieme mala bestia (Senatores boni viri Senatus mala bestia), così ciascuno da sè e in sè è disposto all'indulgenza, messi tutti insieme sono giudici crudeli e qualche volta inesorabili. Nessuna belva è più fiera d'una folla anche riunita a scopo di beneficenza o di pietà. L'anima collettiva non è più semplice nè libera, e diventa severa, dispotica, egoistica; e perchè è una belva a molte teste, e il collettivismo non è che una folla limitata ed è necessariamente, pel suo stesso carattere, contraria alle belle maniere e alla delicatezza dei sentimenti, la giovinetta non perderà neppure questa bella occasione di starsene in disparte, pensando a quel motto profondo di una signora di grande esperienza e valore e che dominò un uomo potente e famoso: - La donna che fa parlare di sè è perduta - L'uomo che non fa parlare di se è perduto. Naturalmente questo motto profondo deve essere interpretato con misura e con riserva: ogni cosa sotto il sole ha il suo tempo. E il tempo nostro è molto diverso nei costumi di quello che era nel secolo XVIII, come ognuno sa. È certo che le fanciulle debbono nelle conversazioni numerose avere un riserbo accurato, specialmente con persone appartenenti all'altro sesso. Non è interdetto ad esse di cercare di piacere a coloro che le circondano: anzi è soltanto per questo che l'educatore cerca di ornarne il carattere di quelle qualità esteriori, le quali sono la moneta spicciola di quel gran tesoro nascosto che è la virtù sincera, forte e operosa: a questo esse riusciranno con tanta maggiore facilità quanto più cercheranno di rendersi amabili mostrando di apprezzare il valore altrui, di non insuperbirsi del proprio, di esser grate a coloro che si adoprano al loro vantaggio e sapranno fare qualche sagrifizio personale con buona grazia, come se per esse fosse un piacere non un disagio, e rispettare le opinioni, i pareri, i giudizii e sia pure, i pregiudizii degli altri. Evitando le arie languenti e le pose dette romantiche, silenziosa di un silenzio comunicativo e intelligente, non distratto e isolatore, una fanciulla bene educata sfuggirà ugualmente le mosse vivaci e virili che sono stonature nelle armonie sociali, e ornando la sua mente di geniali studi senza ostentazione di dottrina o di emancipazione grottesca e antisociale, uniformerà la sua condotta a quella della moglie d'un illustre inglese, che fu tanto fortunato da poterne scrivere così: «È avvenente; ma di una bellezza che non risulta nè dai lineamenti nè dalla carnagione nè dalle forme; sono ben altre le qualità con cui incatena gli animi e li volge a suo favore: la dolcissima sua indole, la benignità, l'innocenza, la sensibilità che trasparisce dalla sua fisionomia sono i pregi che ne compongono la bellezza. Il suo volto non ferma punto l'attenzione al primo istante, ma in ultimo uno rimane sorpreso di essersi accorto così tardi che è bella. «I suoi occhi sono dolcissimi: però sanno anche imporre riverenza quando vogliono: essa si fa obbedire come un uomo buono fuori del suo ufficio, non per l'autorità ma per la virtù. «Questa donna non è fatta per essere oggetto di ammirazione a tutti, ma per formare la felicità di uno solo. «Essa ha tutta la fermezza che può accordarsi colla delicatezza, e quanta soavità si può avere senza che ecceda in debolezza. «La sua voce è una dolce musica sommessa, non fatta per dominare nelle pubbliche assemblee, ma per deliziare coloro che sanno distinguere una società da una folla: ed ha un bel vantaggio, che bisogna esserle vicini per udirla. «Descrivendo il suo fisico se ne descrive anche il morale: uno è la copia dell'altro; la sua intelligenza non si rivela in una copiosa varietà di oggetti, ma nella buona scelta che essa sa farne. E non ne dà saggio col dire o fare cose singolari, ma piuttosto coll'evitare cio che non deve nè fare, nè dire. «Nessuno alla sua giovane età può conoscere il mondo meglio di lei, e nessuno mai fu meno corrotto da questa conoscenza. «La sua urbanità deriva piuttosto da naturale disposizione di rendersi accetta, che da alcuna regola, e perciò tanto piace a coloro che sanno apprezzare le belle maniere, come a quelli che non sanno. «Ha mente solida e ferma che non parrebbe derivare dalla sensibilità del carattere femminile, come la compattezza del marmo non deriva dalla pulitura e dal lustro che gli è dato. «Ha quei pregi che si richiedono a farci stimare le virtù veramente cospicue del suo sesso; e tutte le seducenti grazie che ci fanno amare finanche i difetti che scopriamo negli esseri deboli e leggiadri come lei».

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Passa l'amore. Novelle

241652
Luigi Capuana 2 occorrenze
  • 1908
  • Fratelli Treves editori
  • Milano
  • verismo
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Intanto vi abbandono tutti alla maledizione di Dio!.... Giacchè io credo in Dio più di voi, signora baronessa che vi confessate due volte al mese e date questo bell'esempio ai figli vostri! Figli?... Figlie?... Io non ho più nessuno!... Nè moglie!... Nessuno!... Esco di qui coi soli vestiti che ho indosso.... Non voglio altro!... E il giorno che mi porteranno la notizia: - Il vostro palazzo è crollato; Dio Io ha scosso dalle fondamenta e vi ha seppellito tutti - quel giorno farò cantare un Te Deum!... Non metterò il lutto!... - Barone, per carità! - tornò a supplicare la baronessa. - Voscenza scusi; non si ragiona in tal modo!... Feliciano aveva pronunciato queste parole con tono dimesso ma così ironico, che il barone fece atto di slanciarglisi contro per schiaffeggiarlo come un ragazzo. Mariangela dètte uno strillo, la baronessa si mise a gridare, quasi la minacciata fosse lei; Rosaria si piantò davanti al fratello per fargli scudo col corpo, alzando la bruna testa dai lineamenti duri, aggrottando le sopracciglia, stringendo le labbra carnose. E fu il segnale della gran rivolta! Parlavano, strillavano, urlavano assieme, aggirandosi per la stanza, senza sapere quel che volessero, nè quel che facessero, mentre il barone in mezzo a loro continuava a ripetere frasi scomposte, con le braccia in alto, sventolando il foglio della citazione come segnale di minaccia e di gastigo; e la baronessa in piedi su la predella del seggiolone di noce, piangente, sperduta, urlava: - Barone! Figli miei!... Figli miei! Tutta la pazzia dei Zingàli parve si fosse scatenata improvvisamente, rompendo la lunga compressione, sconvolgendo quei cervelli squarciando quelle gole con orride grida, agitando quei corpi in una terribile convulsione di atteggiamenti, di mosse, di gesti furibondi, che avrebbero fatto scappare le persone fermatesi nella via ad ascoltare maravigliate, se fossero salite su, spinte dalla curiosità o dal desiderio di dar soccorso, giacchè si capiva che lassù accadeva qualcosa d'insolito e di triste. Poco dopo, le grida cessarono, la gente si disperse; e gli scarsi rimasti videro uscire il barone don Pietro-Paolo, vestito di nero, con l'abito abbottonato e un gran mazzo di carte sotto braccio. Nessuno osò domandargli che cosa era stato. Si scoprirono rispettosamente, e il barone rispose al saluto con la consueta sua affabilità.

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Ma, appena varcato il portone, la scala mal tenuta cominciava a dare un'idea dello stato di abbandono dell'edifizio caduto in mano di parecchi creditori del duca. Non avendo potuto mettersi d'accordo per spartirselo, essi vi tenevano un amministratore unicamente per esigere i fitti dei piani, senza mai farvi le più necessarie riparazioni. A una parete esterna del bugigattolo del portone stava affissato, da anni, il cartello con la scritta: Da vendere, in grosse lettere perchè desse nell'occhio anche dei passanti. Il portiere però, che sonnecchiava colà tutta la giornata, aggobbito sur una seggiolaccia, non aveva mai visto entrare qualcuno che mostrasse curiosità di visitare il palazzo con l'intenzione di comprarlo. E così esso prendeva sempre più l'aspetto di un edificio pieno di malinconia, dove potevano rifugiarsi soltanto persone disgraziate che volevano nascondere in quegli stanzoni, sformati da tramezzi e da accoltellati, la loro modesta esistenza. Il primo piano, diviso in tre appartamenti, era occupato da un sarto scarso di clienti, e dalle famiglie di un barbiere e di un cappellaio che avevano le botteghe ai due lati del portone. Il Salone egiziano dell'uno non giustificava affatto il pomposo titolo della tabella e la dozzina di cappelli a cencio, lavati, smacchiati e messi ad asciugare al sole nelle forme, indicava a che cosa si riduceva il mestiere dell'altro. Al piano nobile, la pensione Garacci, senza tabella, senza nessun altro segno che la indicasse, teneva spalancata notte e giorno la porta dell'anticamera, per comodo dei pensionati, la maggior parte impiegati, professori, pretori, giudici di tribunale e anche Commessi viaggiatori. I tre usci, uno di faccia e due ai lati, avrebbero dovuto restare sempre chiusi in ossequio della scritta incollata accanto al cordoncino del campanello e che raccomandava quella precauzione ai pensionanti sbadati. Dovevano essercene parecchi di questi sbadati, perchè ogni volta che io andavo a trovare il mio vecchio professore di filosofia teoretica nel buco, com'egli filosoficamente lo chiamava, dove la signora Garacci lo aveva relegato, in fondo a un corridoio buio, stretto ingombro di bauli e di arnesi smessi, trovavo l'uscio socchiuso, e spesso potevo inoltrarmi fino in fondo senza incontrare la sudicia donna di servizio che avrebbe dovuto fare la pulizia della camera.

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