Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandono

Numero di risultati: 9 in 1 pagine

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I mariti

223622
Torelli, Achille 3 occorrenze
  • 1926
  • Francesco Giannini e Figli
  • Napoli
  • teatro - commedia
  • UNICT
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Pagina 27

In quel momento di folle abbandono, l'uomo a cui essa dichiarerà con parole così insinuanti il proprio amore pronunzierà con accortezza il dolce nome della figlia di lei, e ciò basterà perchè la rassegnazione ritorni un'altra volta in quel petto turbato; una triste rassegnazione, ma santa, e che le costerà tante lagrime, - che scena bellissima, incominciata a tempo e interrotta, e che lascia nel cuor degli spettatori l'impressione dolorosa e durevole d'un avvenimento reale! II gruppo di Regoli e di Emma non è minore di cotesta figura, ed ha la grazia per di più. Regoli è un avvocato dotto nelle scienze e nella grande scienza del mondo. Veduta l'Emma, indovinatane la bontà dell'animo sotto l'apparente leggerezza, si è proposto di risolvere l'arduo problema di crearsi una moglie, come Pigmalione della favola; e si mette all'opera con una padronanza di mezzi, e con una chiarezza di sistema che lo rendono quasi sicuro dell'esito felice. Emma lo sposa per mera ubbidienza a' propri genitori. L'unione sul primo non fa nascere in essa nessun amore verso di lui. Alcune volte anzi ella crede di provar repugnanza, tal'altre anche odio pel tiranno che ha voluto imporsi alla sua vita, e distruggerle tanti sogni così dolcemente cullati. Ma l'avvocato ha modi e parole che colpiscono quello spirito irrequieto e poco abituato alla riflessione. Sa correggere con dolcezza, sa consigliare con bontà, sa dire certe risposte con autorevole alterezza. Emma n'è sconcertata, n'è vinta suo malgrado, ed è costretta a pensare (cosa insolita per lei e della quale stupisce). Ed ecco che gradatamente succede in essa una trasformazione sublime. La fanciulla diventa donna senza perder nulla della vereconda ingenuità che la rende tanto bella. La sua grazia divien più severa. La sua luce divien più raccolta. La sua parola acquista una gentilezza maggiore perchè più saggia e più amante. Il suo cuore prova palpiti nuovi perchè più intelligenti e più larghi. E tutte coteste novità sono opera del suo Fabio che insuperbisce in segreto. La vita felice di queste due anime innamorate passa velata a' nostri occhi da un'ombra rosea e cortese. Noi saremo iniziati all'ineffabile mistero delle sue dolcezze da una sola scena, l'ultima della commedia, se non la più bella, fra le più belle di certo. Emma ha una lieta novella da comunicare al marito, un segreto che non è più bastante a contenere nel suo piccolo petto di donna, uno di que' segreti che le spose non dicono la prima volta senza sentirsi salire alle guance un verginale rossore! Quali accenti ha trovati il poeta! Che lampi di luce! Che dolcezza d'armonie! E come tutti vorrebbero udire da una propria Emma la parola che quella della commedia mormora peritosa e sorridente all'orecchio del suo Fabio! E come in quell'ultima parola si racchiude la morale di tutto il lavoro: il buon marito fa la buona moglie! Parlando di morale, vogliamo accennar di passaggio quel soave profumo di bontà che esala da tutti gli avvenimenti che hanno luogo nella commedia. L'animo dello spettatore n'è consolato e ricreato, come se una fresca auretta venisse a carezzargli il viso in una serata d'estate. II tema de' Mariti era assai sdrucciolevole. L'autore però vi ha passeggiato sopra con maestria e sicurezza umana. Si direbbe ch'egli non conosca il pericolo e vada avanti con la cieca noncuranza dei fanciulli che atterrisce tanto chi li vede. Infatti, come i fanciulli escono dal pericolo ignorato quasi condotti da una mano invisibile, così egli arriva all'ultima parola della sua commedia sorridente e tranquillo, guidato dalle inconsapevoli ispirazioni dell'anima. In mezzo a tutte quelle donne che soffrono rassegnatamente o che protestano senza ribellarsi contro le colpe de' loro mariti, una sola ne comparisce, e per pochi istanti, che non sia degna della loro compagnia, la signora Amelia Gioiosi. Immaginazione esaltata, organizzazione in cui il senso ha preso il sopravvento sulle convinzioni morali: per diventar ricca si è sposata, giovanissima, ad un vecchio di settanta anni. Noi la incontriamo in casa del Duca quando non ha ancora fatto dir di sè nella cronaca scandalosa. Ma ridotta ben presto donna alla moda, pericolosa pe' suoi discorsi, più pericolosa pei suoi esempi, ella non ha coraggio di risalire quelle scale onorate, non ha la sfrontatezza di presentarsi alle sue antiche compagne, che arrossirebbero di vergogna, più per lei che per loro stesse, nel vedersela al cospetto. Una o due frasi del poeta bastano però per farti supporre tutto il fervido lavorìo di quell'anima decaduta. Amelia prende ad un'abominevole rete i mariti delle sue amiche: e tu la vedi ridere lontana, nell'ombra, mentre la povera Sofia piange e si desola delle iniquità del Duchino Alfredo; e tu senti i suoi schernevoli scrosci di risa, mentre la nobile anima della baronessa d'Isola si dibatte tra le aspirazioni del suo cuore e la voce dura, inesorabile del proprio dovere!.. Come qui più si accrescono le lagrime e la disperazione, lì, presso di lei, s'imbalzandisce di più lo sfacciato orgoglio del male. Un giorno essa ha la forza d'indurre il duchino a darle una cena, insieme alle sue amiche ed a' suoi amici, nell'amena villa di Castelletto, ricca proprietà della famiglia di lui: ha la forza d'imporre a quel vilissimo marito la condizione brutale di recar fra quell'orgia l'ignara Sofia! Ma la duchessa avvisata a tempo dell'infamia del figlio, giunge a Castelletto prima assai degl'invitati. Allorchè la sozza brigata, presentandosi all'uscio di sala, vorrebbe far a meno dell'annunzio del servo, dite che la duchessa De Herrera non riceve nessuno, risponde con fierezza la gentildonna; ed Amelia con tutti gli altri vien messa alla porta! - Così ha fatto il poeta: l'ha posta anch'egli alla porta. Così dovrebbe agire la commedia con tutte coteste creature depravate ogni volta che osassero presentarsele innanzi; e non curarsi de' loro merletti, delle loro vesti a strascico, delle loro maniere colte e gentili, e delle studiate loro apparenze di virtù! Alla porta! Alla porta! In onta allo splendore de' loro appartamenti, e alla frequenza delle loro conversazioni, ove si fondono i patrimoni di cento famiglie e i buoni sentimenti di migliaia di cuori. Alla porta! Alla porta! Mille altre consimili finezze, mille altre, oseremmo dire, verecondie dell'arte sono sparse qua e là nella presente commedia con accorta profusione; non tenteremo d'accennarle nemmeno: sarebbe opera troppo lunga. Ci affretteremo piuttosto a rispondere alla dimanda che ci sembra di veder pronta ad uscire dal labbro de' lettori, una dimanda senza dubbio ragionevole ed onesta: il lavoro del Torelli non ha dunque ombra di difetti? Sì, ne ha; ma però tali che non offuscano in nulla i grandissimi pregi, e che possono in parte venir tolti senza stento veruno. Già, dopo la prima sera, lo stesso autore avvertito dall'effetto della rappresentazione ha levato alcune macchioline, scancellando qualche frase, raccorciando qualche scena. A mente fredda altre frasi, altri vocaboli muterà che non sono parsi belli al delicato orecchio fiorentino; farà nuovi tagli, specialmente alla scena dell'atto quinto tra il duca ed Enrico di Riverbella che guadagnerà moltissimo dall'esser breve; e s'ingegnerà di rammorbidire le stonature prodotte dal carattere del Marchese Teodoro di Riva col resto così armonico degli altri personaggi. Ma, secondo noi, tutte le mende hanno termine lì. Giacchè ci sembra ridicolo mettere fuori la quistione dell'unità d'azione, de' caratteri dominanti, e di non sappiamo che altri principii d'arte invocate da alcuni contro la tessitura di questa commedia. Parliamo di tutte coteste belle cose allorchè vedremo un lavoro ingarbugliato, freddo e senza interesse, che volendo annodare avvenimenti troppo disparati, e dipingere gran quantità di caratteri diversi non avrà saputo trovare il mezzo di ben legare insieme gli uni, e di dar nettezza di contorni e spazio dove poter respirare e potersi muovere agli altri. Ma non ci venga mai in mente di farne motto a proposito d'una commedia dove tutti i fatti si annodano con una semplicità e nel tempo stesso con un artifizio maggiore d'ogni elogio; dove tutti i caratteri hanno un risalto stupendo senza offendere menomamente le leggi di prospettiva; dove l'interesse (non quello di certo melodrammatico e furioso) è prodotto dallo svolgimento psicologico del soggetto con la serenità propria dell'arte vera, dell'arte de' grandi maestri, dell'arte immortale. Certamente la forma de' Mariti poco rassomiglia alla forma ordinaria delle altre commedie. Ma se l'arte non avesse che una forma, rigida, invariabile, in che modo potrebbe adattarsi allo svolgimento dei più disparati soggetti? Invece dunque di far colpa al Torelli d'averla felicemente indotta alle diverse esigenze del suo concetto, teniamogli conto della audacia con cui ha voluto crearsi difficoltà, se non nuove, pericolose; rallegriamoci della completa vittoria che ha ottenuto su d'esse, e benediciamo l'inatteso splendore venuto a diffondersi coi Mariti sulla scena italiana!

Pagina 88

Pagina 93

Parassiti. Commedia in tre atti

231997
Antona-Traversi, Camillo 1 occorrenze
  • 1900
  • Remo Sandron editore
  • Milano, Napoli, Palermo
  • teatro - commedia
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Pagina 299

Manon

234592
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1922
  • Edizioni Alpes
  • Milano
  • teatro - commedia
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E quel vostro abbandono era sincero!...

Pagina 170

Casa di bambola

236653
Ibsen, Eric 1 occorrenze
  • 1894
  • Maz Kantorowicz
  • Milano
  • teatro - commedia
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Provo un gran senso di abbandono e di vuoto. Dover pensare soltanto a sè, toglie ogni incanto al lavoro. Su Krogstad, mi trovi per chi e perchè lavorare.

Pagina 89

Un letto di rose

237365
Adami, Giuseppe 1 occorrenze
  • 1924
  • Arnoldo Mondadori editore
  • Milano
  • teatro - commedia
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Ma dopo questo breve momento di abbandono - diremo così - musicale, è mio dovere riprendermi e ritornare cameriere.

Pagina 36

Come le foglie

240748
Giacosa, Giuseppe 2 occorrenze
  • 1921
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • teatro - commedia
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Mi abbandono alla corrente.

Pagina 193

Io abbandono questa casa che ha già un'offerta di trecento settanta mila lire. La scuderia, la rimessa, il mobilio, compresi gli arazzi e la biblioteca, furono calcolati ottanta mila, e cento mila la villa di Brianza che mi era costata oltre il mezzo milione. I creditori prenderanno il settanta per cento. A me non resta nulla. So che il Lauri, che era il mio principale creditore, fu così meravigliato della mia dabbenaggine, che mi diede del cretino, testuale, in piena borsa; ed un altro, amico mio anch'esso, e creditore soddisfatto anche lui, un elegantone, parlando del lavoro ostinato di tutta la mia vita e della mia probità altrettanto ostinata, ebbe a dire che sono un mulo corto - testuale anche questo.

Pagina 60

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