Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandono

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Angiola Maria

207098
Carcano, Giulio 17 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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E quante volte desiderò di trovarsi a casa sua, al fianco di sua madre, accanto al suo arcolaio; e sentiva un accoramento di vedersi così negletta, e divorava in segreto le lagrime dell'amore e dell' abbandono! Quando rimaneva in casa, in quelle lunghe sere invernali che sembrano eterne a chi, nella solitudine, ha de' dolori a cui meditare; quando altro non le giungeva all' orecchio fuor del lontano mormorare, ch'è l' indizio della vita notturna d' una città, e pensava che nessuno poneva mente allo sfogo del suo dolore; allora, dopo aver tentato inutilmente d' occuparsi in una o in altra cosa, per disviar gli assidui pensieri che aveva in cuore, rimembrava la pace che non doveva trovar mai più, cercava di persuadersi della stoltezza di quell' amore che l'aveva fatta smarrire, e degli anni inutili, desolati, che ormai le restavano a passare. Nelle prove del dolore la sua anima confidente e pura aveva trovato la forza di conoscer In vita e la funesta sua realtà; poichè pare, pur troppo, che la conquista d'una ferma ragione debba valere il prezzo dell' innocenza e del disinganno : così bisogna che l' albero perda i suoi fiori, perché si fecondi il frutto. Maria, la quale non aveva veduto il mondo, non aveva trovato sul suo cammino se non persone amiche e liete di poterla amare, Maria, in quell' ore di solitaria tristezza, divenne una creatura nuova. Allora la vita, che un tempo si dipingeva dinanzi a lei così serena e bella, spogliavasi di tutta la sua magia; anch' essa la timida fanciulla provava in cuore una pena ignota, muta, indistinta, poi la puntura segreta del primo rimorso; anch' essa aveva una parola, un' acerba parola per domandare al Signore con che ragione l' avesse resa infelice! E non le parevano più cosa impossibile la malizia degli uomini e la fortuna de' cattivi; per la prima volta, l'amaro sorriso dell' odio aveva sfiorato la sua bocca; ella pure sentiva dentro di sè una forza intima, potente, la forza di disprezzare chi le aveva fatto del male. In que' momenti angosciosi, si metteva a scrivere al fratello lunghe lettere, nelle quali versava tutta l' amarezza dell' anima e il compianto del suo misero destino: erano fogli sparsi più di lagrime che di parole; era la pietosa 'onfessione d' un cuore che non sa reggere al primo colpo del dolore. E poi lacerava, bruciava ciò che aveva scritto; si sforzava d' essere tranquilla; e raccolti i pensieri, ponevasi a leggere con voce commossa í suo libro di preghiere, Così passarono per lei giorni e settimane di quel tristissimo inverno. Ben vide che sarebbe stato una follia il domandare alle amiche, perchè non la conducessero con loro, dopo ch' ella stessa s' era tante volte mostrata ritrosa d'accompagnarle; nè le fanciulle ebbero più cuore di pregarnela, quando si accòrsero che il padre repuguava all'intima confidenza da loro messa in Maria. La giovinetta, dunque, soffocava il suo affanno, e tremando sempre che una, parola, un gesto, un' occhiata potesse tradire quel segreto, il primo ch' ella avesse avuto, e che avrebbe voluto nascondere anche a sè medesima, cercava d' ingannar chiunque appena le volgesse uno sguardo; cercava di parer lieta, quando il suo cuore non era pieno che d'una sola malinconica idea. Era pur doloroso il veder sempre un mesto pallore sulla sua fronte, e un sorriso di gioia sulle sue labbra Ma, in quel tempo, il segreto turbamento d' altri e più gravi pensieri agitava la mente di Arnoldo. La quiete della meditazione, che fa nascere la necessità di conoscere e di sapere; la libertà dell' anima, che conduce allo studio di quanto v' è di più riposto nelle cose, e ché in mezzo al tumulto degli uomini è così facilmente dimenticato e perduto; la volontà, non più tentata da esterne apparenze e scevra d' ira o di timore, avevano fatto maturo l' intelletto del giovine a uno studio nuovo e più severo della vita. Troppo spesso la sana mente e la fredda ragione sono umiliate da una specie di vago abbattimento, da un amaro disgusto di tutto, perchè possano essere capaci di grandi e virtuose risoluzioni. La coscienza del dovere, senza l' alito segreto dell' affetto, non è virtù; perchè la virtù viva nel cuore, non basta la persuasione indotta dalla chiara evidenza del fatto; è forza che al fatto si trovi una spiegazione, un principio sovrano, il misterioso legame dell' anima con la vita. Arnoldo aveva conosciuto nella nostra città uno di quegli uomini di semplici costumi e d'animo incorrotto, i quali, in mezzo al mondo, seguono con passo sicuro una via negletta e taciturna, la via dell'onesta saggezza. Gli applausi e la gloria non sono per loro, anime grandi e oscure; ma sono per loro la tranquillità dell' uomo modesto e la forza del giusto: vengono sulla terra ignoti, passano dimenticati, e se ne vanno del pari; ma il frutto delle parole e dell'esempio loro sopravvive, nè può andar perduto. Quest' uomo, del quale non dirò il nome, perchè i buoni non cercano quaggiù lode nè invidia, paghi dell'amore de' pochi, nel piccolo cerchio di coloro che si ricordano del bene ricevuto; quest' uomo, colla dolcezza dei consigli e con la forza mite d' un senno angelico e consapevole del cuore umano, indirizzò e sostenne i pensieri di Arnoldo a quel fine a cui l'anima sua da tanto tempo anelava. Egli lo preparava a' gravi studi, lo nutriva di ferventi meditazioni e di calda volontà, ne accendeva il coraggio, e rinfrancava la vigilanza; gli prometteva la vittoria dopo la battaglia, e dopo la fatica il sospirato riposo. Alle severe lezioni di lui Arnoldo consacrava allora la maggior parte del suo tempo; ond' avveniva che si rimanesse, talvolta anche per interi giorni, lontano dalla suo casa e dall' amata giovinetta. E poi, al ritornarvi, quasi sempre lo videro mesto, chiuso ne' suoi pensieri; non parlava, e passava lunghe ore intento a nuove e severe letture, coll' animo combattuto da strane e inquiete fantasie. Nondimeno, con gran cautela, tenne nascosta a tutti la ragione di quelle sue assenze quotidiane, di quell' assidua e muta preoccupazione. Maria sola se n' era accorta, ma taceva; e per il suo cuore era un tormento di più. Pure, in mezzo a quest' ignota cura d' Arnoldo, vi era de' giorni ne' quali l'amore, quasi divenuto in lui una quieta abitudine, si faceva più forte del suo proposito, più grande della sua virtù. Allora egli s'abbandonava a' suoi sogni antichi, a quei fallaci disegni che fa sempre l' incauta giovinezza, persuasa la scusa dell' amore rendere tutto facile e giusto. Allora la leggiadra immagine di Maria non rallegrava più, come prima, tutti i suoi pensieri; il suo cuore era ardente, gravato; cercava spesso di lei; ma poi venutole vicino, sentiva conturbarsi; voleva parlarle, spiegarle l'amor suo, nè sapeva con che parole. E se mai avvenisse che i timidi occhi della fanciulla s'incontrassero per un momento ne' suoi, ella era colta da un terrore nascosto, non mai provato. Una mattina - era in febbraio - le due sorelle e Maria sedevano silenziose presso un tavolino di lavoro, non lontano dalla finestra, dalla quale penetrava una luce fosca attraverso i cristalli, dalla gelata nebbia notturna infiorati coi più bizzarri rabeschi. Arnoldo, appoggiato alla spalla del camino, volgeva distratto le pagine d'un volume che teneva fra mano. Poco di poi, essendo annunziata una mercantessa di mode, le due sorelle uscirono; e Arnoldo rimase solo con la fanciulla. Tacevano entrambi, e Maria non osava levar gli occhi dal lavoro, al quale pareva intenta. Arnoldo aveva posto giù il libro, e la rimirava, tutt'occupato in quella idea d'amore. Alla fine se le avvicinò, e con voce concitata e commossa, « Maria! » le disse « è tanto tempo che devo parlarvi, e voi.... » Maria taceva; ma il suo cuore era tremante, batteva rapido e forte.

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Il dilicato aspetto di Maria, la sua testa vezzosa e coperta d' un bel pannolino bianco orlato d'azzurro che le si allacciava sotto al mento, i capegli scompartiti e lucidi, gli occhi grandi e modesti, quella faccia bella che cominciava a ripigliare il suo tenero incarnato e le piccole mani inquiete sul lavorio, e Io schietto abbandono della persona, tutto aveva in lei tale magia, che per il signor Cipriano, a cui, per le frequenti sorsate del suo pretto vin d' Ossona, luceva un poco la vista e ballava la camera intorno, l'aerea figura della fanciulla era come l'apparizione d'un bellissimo sogno. Onde spesso perdeva il filo de' suoi conti, il dare e l'avere gli andavano insieme sotto gli occhi, scambiava numeri e parole; ogni zero gli pareva quella bella testolina. Così, la sera, mentre il vôtar de' bicchieri gli scaldava le vene e i polsi, la presenza della vezzosa creatura gli metteva in capo le fantasie de' vent' anni; e dimenticava i ca- pegli grigi, il naso bitorzoluto, e il suo piatto viso color di vinacce. E che non avrebb' egli dimenticato, se lasciò fino passar due giorni interi, senz'esigere da Michele il rendiconto dello scudo rimastogli nelle mani per far le spese? Allora, facendosi coraggio, s'alzava, e data una scosserella alle membra ingranchite, accostavasi pian piano, coll'andar del gatto, alla tavola dove sedevano le due giovinette, poco lungi dalla signora Barbara. E appoggiati i gomiti alla spalliera della seggiola di Maria, contorceva il viso con una smorfia, che avrebbe dovuto essere un sorriso; e dondolando la testa or su l'una spalla, or su l'altra domandava: « Cosa fate di bello, Maria? » « Sto ricamando un fazzoletto da collo per la signora Savina. » « Come siete brava! adoperate l' ago, ch' è una delizia vedervi. » « Quanto mi starà bene quel collare, non è egli vero, zio? Voglio metterlo il giorno di Natale: » diceva la Savinetta; intanto non potendo star cheta, andava tagliuzzando con le cesoìne le frange del grosso tappeto che copriva la tavola. « Oh! ti starà bene anche di troppo, per quella maledetta smania di tua madre di spenderti intorno tutto il fatto suo. » « Lasciate pensare a chi tocca, voi! » rispondeva la madre. « Non sapete mai cosa vi diciate. » « Bene, bene, tal sia di voi; ma voi, Maria, che siete così bellina, e sapete far tante care cosette, perchè n' andate sempre con quel povero vestito, nè mai vi ornate di qualche ricamo delle vostre manine?... » E con quel suo strano vezzo dondolava il capo, battendo con le dita il tamburo sull'appoggiatojo della scranna. « Oh! per me non ci penso neppure, io sono povera: » rispondeva Maria con un sospiro, senza levar gli occhi dal trapunto. « Via, via, » ripigliava il vecchio, « non vi crucciate. Siete carina, buonina.... e se non fosse.... Oh sì, adesso siete della famiglia, e vorrei quasi.... capite? Io sono di cuor tenero, mi piace che tutti mi voglian bene.... capite? Però non sono ricco.... è un babbuino chi lo crede; lo devo ben saper io, io che sono capo di casa: una famiglia costa gli occhi del capo, altro che baje!... Ma pure, vada!... per le feste del, Natale, vi voglio regalare sì regalare.... uno scialle rosso, a fiori, magnifico, che ruberà gli occhi! E lo porterete per farmi piacere, non è vero? » « Ah no! signor padrone, non faccia niente, la prego! » Io interrompeva Maria, arrossendo tutta. « Tant' è! l'ho detto, e lo farò. » E levandosi ritto, teneva fissi sopra di lei chi di bragia. « Ecco qui, voi! » gli dava allora sulla voce la sorella. « Che idee vi girano in capo? non avete mai in vita vostra regalato alla mia Savina, ch' è pur l'unica vostra nipote, nemmen la capo cchia d'uno spillo, e vi salta il capriccio di donare uno scialle alla serva?... Cosa credete che costi? non ve la cavate con un pajo di luigi! avete capito?... Eh andate a letto, chè la testa vi gira, e non mettete sossopra le figliuole. Maria è una brava fanciulla, e fa bene a dir di no. Pensateci.... due luigi!... E per una settimana tempestate, s' io spendo mezzo scudo!... Andate, andate in letto, ch' è ora. » Per buona ventura quelle parole, due litigi! eran magiche sul vecchio spilorcio; il quale, pigliato un moccolo, obbediva, brontolando frasi scucite, e incamminavasi verso la sua camera, tentennando la grossa persona su le gambe mal ferme. Ma quand' era sull'uscio, si rivolgeva; e levato il lume alla dirittura de' suoi occhi incerti e accesi, salutava con la palma tesa la fanciulla, dicendo con una vocina stonata: - Buona notte, Marietta! buona notte, stella d'oro! ah! ah! eh! eh!... E, data una giravolta, imboccava nell' uscio, e se n' andava. Fino a quel di, sull' anima candida di Maria non era caduta pur l'ombra d'un pensiero di tema: ella viveva sicura, e senza alcun sospetto che il padrone tenesse gli occhi sopra di lei. Era innocente, nè il suo cuore poteva concepire quanto d'abbietto e d' infame vi fosse nelle scempie e rotte frasi che il vecchio le indirizzava quella sera. Abbandonata nella disgrazia, benchè avesse molto patito, essa ignorava ancora che sciagure più atroci e prove più dolorose sovrastino alla povera innocenza; ignorava che l'uomo par quasi compiacersi di gettar la contaminazione dov' è la miseria, come se questa sia la scusa della colpa. Ma in quella sera, le si svegliò nell' anima un turbamento, un timor muto, del quale non sapeva spiegar la cagione. Quando si ritirò, sentiva un' inquietudine ne' pensieri, un raccapriccio in ogni fibra, come il senso arcano d'una nuova sciagura; tremava di trovarsi tutta sola. Le risonavano tuttora all'orecchio le parole dette dal padrone; ancora vedeva il suo volto, contraffatto dal ghignar di quella sua strana giovialità, i suoi sguardi di fuoco, gli atti schifi, e il maligno saluto. Quelle parole, quell'aspetto le somigliavano un orribile scherno, le mettevano in cuore un gelo, un ribrezzo non provato mai. Volgeva intorno gli occhi sbigottiti, e il viso sparso di freddo sudore; trattenendo il respiro, tendeva l'orecchio al più leggiero strepito che si facesse nell'altre stanze. E, nel terrore dell' abbandono, domandava al cielo d'essere liberata da quell' affanno, che le pareva effetto d' una visione spaventosa. A poco a poco tornata in pace, s'avvicinò al suo letto, e slacciando il fazzoletto che le copriva la testa, si sgruppò la bella treccia bruna, che si diffuse tutta sulle spalle e sul seno.... In quel momento, le percosse l'orecchio d' improvviso un quieto strisciar di pianelle, come il passo d'alcuno che s' accostasse alla porta. Sollevò al cielo il volto supplichevole; e poi, serrando le braccia strettamente al seno, si raccolse tutta in sè stessa, e rimase senza movimento e quasi senza vita. Così una giovinetta indiana, la quale, fuggita dalla sferza del sole, riposavasi all' ombra del fedele sicomoro, si risveglia Con subitano balzo da' suoi sogni dorati, e sta muta, fredda, tremante, sotto la malia degli accesi occhi del serpente, che vede trascinarsi col lubrico ventre su per la zolla di muschio, ov' essa poco dianzi dormiva. Allora, quel cauto stropiccio di passi le parve allontanarsi, di poi cessar del tutto. Palpitava ancora, ma io sgomento che la comprese divenne meno; diede un sospiro, le si allargò il cuore: se non che, quando fece per ispogliarsi il modesto vestito, un segreto istinto di pudore, nascendole nell' animo, quasi il gemito dell' innocenza, la persuase di coricarsi vestita com' era, senza che pure osasse domandarne a sè medesima il perchè. Si gettò dunque sul letto, ma per tutta la lunga notte non potè chiuder gli occhi al sonno, nè trovar un istante di quiete. A ogni poco, il più lontano suono la riscoteva. E balzando a sedere sulla coltre, ascoltava, tremava. E quei risalti, quelle paure erano per nulla: una volta era lo stillare d'alcuni ghiacciajuoli che staccatisi dalla grondaja battevano su la balconata; poi, un gatto che, saltando dall'abbaìno, attraversava il lungo ballatojo della casa; poi, qualche povero diavolo, di que' che non han luogo nè fuoco; il quale, cacciato dalla porta del vicino tavernajo, n'andava in ronda gagnolando qualche rozza canzone, e faceva scricchiolare sotto i passi la neve gelata, camminando a sghembo, come si dipinge la saetta. Oh come la fanciulla benedisse il ritorno della mattina! Ma gli ultimi giorni del dicembre, sotto l' umida coperta delle nebbie, nascono così tardi su le tetre vie della città, e stillano i brividi della tristezza nel cuore. Pure, essa spalancò il balcone, e tutta consolata bevendo quell'aria cruda ma aperta, credette di tornare alla vita. Quando fece per uscire della sua camera, un dubbio inquieto le arrestò ancora il passo; perchè, più che altro, temeva d' incontrarsi sola col vecchio padrone. In casa nessuno erasi levato, fuori di quel poveraccio del Michele: e Maria lo pregò con tanto buon modo le desse una mano a rassettar le camere, che quel dabbene non sel fece dire due volte; e in manco di mezz'ora rimuginò, ripose tutte le masserizie, che si sarebbe potuto specchiarvisi. Poi, per tutto il dì, Maria non si tolse mai dal fianco della padrona, schivando sempre, con uno o con altro pretesto,

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Tornato alla villa dopo il colloquio avuto con Maria, vi aveva trovato alcune lettere d' Inghilterra, fra le quali una di Elisa sua sorella, che dipingendogli il misero stato di salute del padre, il terrore o l' abbandono in cui essa e Vittorina vivevano, lo scongiurava a non perder nemmeno un' ora, a ritornar subito, a ricordarsi del nome che portava, e del dovere di figlio e d' Inglese, che lo richiamavano in patria. Questa lettera finì di persuadere Arnoldo. Bisognava dunque partire, senza rivedere Maria; tutto glielo comandava: e chi sa anche se avrebbe potuto ancora arrivare a tempo per ricevere la benedizione del padre suo? Egli dunque partì. Maria, che in tutta quella notte non aveva mai potuto chiuder occhio, s' era levata col sole, e se ne stava appoggiata al davanzale dell'aperta sua finestra, contemplar di lontano la villa *** dov' egli abitava. I balconi del terrazzo erano spalancati; quella parte della casa aveva l'aspetto d'un luogo abbandonato di recente. Quel pianerottolo deserto, quell'alto terrazzo, quelle vate finestre, le mettevano nell'anima un' involontaria tristezza. I suoi sguardi calarono lenti e distratti allungo della riva.... Nello stesso momento vide una barchetta staccarsi dal piccolo porto che si apriva al piede della villa. Un uomo, avvolto nel suo mantello, era nella barca, la quale ben presto pigliò il largo; il barcajuolo faceva forza di remi contro il vento che increspava tutta la superficie del lago. Un grido doloroso, invano trattenuto, le scoppiò dal più profondo del cuore.... Allora, quasi fosse stato scosso da quel grido, Arnoldo levò il capo, e di lontano la riconobbe. Si alzò, stese la mano verso di lei in atto d'un ultimo saluto; poi, quasi oppresso da forza prepotente, s'abbandonò di nuovo su la prora della barca: la quale fuggendo via via si dilungò rapidamente, finché non apparve più che come un punto nero, nell' iride dell' acque che riflettevano il sole nascente. Ma quand' ebbe perduta di vista quella barchetta, la povera Maria sentì mancarsi il cuore: uno schianto improvviso la soffocò; proruppe in lagrime d'amarissimo cordoglio, in quel piangere caldo e dirotto di chi non ha più speranza. Ella pensava che tutto era finito, che non l'avrebbe riveduto mai più. Angiola Maria visse ancora un anno, nella solitaria casetta, in compagnia della sua vecchia amica, che le era prodiga delle cure le più amorevoli, e che si ricordava così spesso di lui. Aveva raccolte sei o sette povere fanciulle del contado, tutte da quattro a cinque anni, belle creaturine dai capegli d'oro e dai visetti color di rosa, innocenti anime che l'amavano come madre. Insegnava loro a leggere, a dire quelle prime orazioni del fanciullo, che sono il più soave profumo che si innalzi ne' cieli; si deliziava di vederle folleggiare, quelle piccine, per le ajuole del suo cortile; e tutte le metteva a parte di quel poco ben di Dio che a lei era avanzato. Cosi si sentiva abbastanza felice, perchè persuasa e contenta d'aver compito il suo dovere. Innocente e sublime creatura! Essa aveva compito il suo sacrifizio. Al cominciar dell'altro inverno, que' fatali indizii d'una lenta consunzione, sopita per poco tempo ma non vinta, tornarono a spiegarsi; e il dottore, che di quando in quando capitava a visitarla, s' era subito accorto della funesta verità. Pure Maria trascinò i suoi giorni per tutta l' invernata. A poco a poco, ella si consumava, finiva, senza temere di nulla, senza patire. Dio è sempre pietoso, e volle risparmiarle l'ultima angoscia. Le fanciullette sue amiche venivano ancora quasi ogni dì a tenerle compagnia; qualche tolta, alcuna d'esse, la più grandicella, le domandava perchè fosse cosi pallida e dimagrita, e nel domandare pian- geva.... Ma ell'era rassegnata; nè fu udita mai pronunziare un solo lamento; chè anzi, assorta talora in dolce meditazione, le sue labbra s' aprivano a un tranquillo e celeste sorriso. Tornò la primavera, tornò il bel sole, tornarono i fiori; ma il cielo non fu più sereno, nè l'aria ebbe più balsamo per lei. Oramai, ella non sorgeva più dal suo letticciuolo. Al principio dell' aprile, in quel giorno stesso che, un anno prima, aveva veduto partire Arnoldo, ella restituì l'anima pura al Creatore. E le fanciulle da lei tanto accarezzate, e la Marta, alla quale lasciò la sua casetta, e quel buon galantuomo del signor Gaspero, che sempre le aveva voluto bene, furono i soli che l'accompagnarono l'ultima volta fin al luogo del suo riposo. Ella è sepolta presso a suo padre; e quelle due zolle sono protette da un' unica croce. Alcune settimane dopo la morte di Maria, il signor Gaspero stava leggendo agli amici le novità della gazzetta: sedevano a circolo su l' entrata della bottega di Samuele; poichè, al venir della state, l'aristocrazia del paese, come i capi delle tribù indiane, soleva tener consiglio a cielo sereno. Dunque, fra le altre novelle, sotto la data di Londra, egli lesse questa: « - Sir Arnoldo, figlio di lord Leslie, quello stesso la cui conversione alla religione cattolica menò gran rumore l'anno passato nel bel mondo, fu eletto membro del parlamento pel borgo di ***. Si pretende che l'onorevole baronetto deva condurre in isposa una sua cugina, la bella e ricca erede di lord S.... miss Elena Davison. » Il buon vecchiotto continuò a leggere; nè a lui, nè al dottore (il quale però conservava ancora, come reliquie, certe tre quadruple di Spagna lasciategli in dono dal giovine inglese), nè al curato, nè allo speziale, cadde in pensiero che quell'onorevole baronetto fosse appunto il bel forestiero da tutti loro già conosciuto. Non vi fu che il deputato politico, il signor Mauro, se pur vi ricordate di lui, il quale susurrò a mezza voce: « Quel nome non m' è nuovo.... Ma via, a noi cos' importa?... » Bisogna dire, peraltro, che di Maria non si dimenticarono. Il signor Gaspero raccontò più d'una volta la storia della povera fanciulla; e n' era sempre commosso, e conchiudeva seriamente: « Il mondo è una scala, e ciascuno deve starsene al suo scalino. La Provvidenza non ha creato per niente i signori e i poveri diavoli. Dunque rimani contento nella condizione in che essa t' ha collocato, nè voler sollevarti da quella per non perdere pace, libertà e salute.... » Ma, dopo un momento, scrollava il capo, e con un sogghigno di compiacenza, soggiungeva: « Questo è vero! Eppure io sono la prova del contrario. Se fossi sempre stato quel baggeo ch'io m' era da fanciullo, la mia fortuna a quest'ora sarebbe di menar la barca fino a Domaso e di pescare agoni laggiù sotto la riva; ma perchè, in que' bei tempi, non me ne stetti con le mani nel giubbone, da povero merciajuolo son diventato quello che sono, ho veduto quel che so io; almeno ho casa e tetto, e posso fare e disfare anch'io la mia parte; nè mi manca nulla, fuorchè la consolazione d' un' anima bella, come fu Angiola Maria. Ma! un' altra come lei non la troverò più, campassi anche gli anni di Noè. »

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E invece, poche parole di malinconici ricordi, poche lagrime versate in un momento d' abbandono e di fralezza, mi rapirono il frutto di tanto volere e di tanti sacrifizi. Che avrà detto, o pensato di me l'amico mio?... EgIi forse mi trovò ben mutato da quel che fui; o forse più non mi stima se non come un cuor debole, inetto alle grandi prove dell'esistenza, un povero illuso, un fanciullo! Ma se, all'opposto, fosse tutto amor proprio, fosse superbia che m'accieca, codesta brama di comparire agli occhi dell'amico altro da quel che sono? Non fu egli che m'aperse il cuor suo e la sua casa, che mi prodigò tutto quanto la santa amicizia può dare, che mi restituì il coraggio di vivere, e mi strappò alle braccia di morte che mi voleva far suo?... Egli sedè le intere notti al mio capezzale, quand' io lottando col male e venuto quasi all'agonia delirava e diceva parole di furore e di pianto alle mie fatali speranze, alla tradita giovinezza, alle mille ombre che giorno e notte m'assediavano. Egli stesso, con occhio sapiente, studiava intanto il lampo del mio sguardo e il pallor del mio viso; con la mano pietosa premeva la mia, contava i battiti delle mie arterie e i pochi minuti di posa che la febbre e il dolore concedevano allo strazio de' nervi e allo spavento dell'anima. - Io era solo, povero, lontano da' miei, calpestato da' potenti, umiliato dagli amici, languente in un letto non mio, sospiravo di finire una volta: ed egli fratello, amico, medico, benefattore, mi fece dono della vita perchè tornassi non indegnamente a respirare fra gli umani; egli rimise in pace l'animo mio, e mi rese quasi altero delle sofferte nemiche fortune. Su quel desco, ove con esempio raro di vera grandezza quell'uomo saggio e buono aveva con me spartito il suo pane e profferta la metà della sua tazza, io scrissi le pagine consacrate alla gloria d'un Grande che non è più; e a quelle pagine io poneva in fronte il nome dell' amico venerato e caro. Nulla di più m'era concesso. Ma questo nome che i piccoli e i buoni conoscono, questo nome che l'orfano e la povera femminetta impararono da tanto tempo a benedire, era per me il solo degno d'unirsi a quello del sommo genio italiano, per il quale fu rinnovata l'arcana scienza della natura e il nome della mia città non morrà mai. (*) Così, non vendei Ia memoria intemerata della sapienza all' oscuro dovizioso o all' indegno possente; non infransi l'aureo simulacro della gloria, per fondere la corona all'infamia: ma di quel nome altissimo feci l'umile ghirlanda della gratitudine al beneficio. (*) Pare che qui intendesse di parlare d'Alessandro Volta, del quale avea scritto a quel tempo. Qui il manoscritto presentava una lacuna, e pareva che fosse stato per parecchi mesi interrotto. A quel tempo, forse, si riportano i pochi brani delle lettere che trovai fra que' fogli, scritte con mano quasi illeggibile, spiegazzate e lacere, siccicè vedevasi che prima di finirle il vicecurato s' era pentito e le aveva gittate a parte. Amico mio. - M' è di grande consolazione il poter tornare a te in questi giorni d'amarezza e di prova, ne' quali anch'io, come Colui che portò tutti i nostri dolori, posso quasi dire: L'anima mia é trista fino alla morte.... Io viveva qui dimenticato, e non potei dimenticare. Le passioni degli uomini tornarono a visitarmi nella solitudine, e ascoltai quelle voci che altre volte avevano conturbata la mia giovinezza: un affetto ch' emunge le forze dello spirito e rimpicciolisce le idee dell' umanità e dell'infinito si risvegliò nel mio cuore, dove, non ancora spento del tutto, consumava non veduto le più pure sorgenti della vita, come fuoco che vive addormentato sotto la cenere. A tanto mio dolore s'aggiunge una piaga novella, il rimorso: poiché io sono ancora talvolta il trastullo d'una fuggitiva larva di bellezza, e mi trovo così debole e vile in faccia di me stesso, che parmi nessun sacrificio esser poco per ricompormi quest' avvenire che pur non voglio e non so disprezzare, che fugge sempre più da me lontano, con sè portando a brano a brano la mia vita. Tu sai la compassionevole vicenda che mi persuase di rinunziare alle facili glorie concesse dal mondo a chi appena sappia lusingar le inezie del proprio tempo, e farsi campione del vizio imbellettato di virtù.... Io volli sposare la parte di coloro che patiscono; e nato povero e nudo, morrò vero e nudo. Poiché, non per nulla, avrò detto addio alle splendide fantasie dell' arte, alle severe meditazioni della scienza, a' giorni tempestosi e ardenti della gioventù, alle grandi speranze dell'uom pellegrino in cerca della verità, a tutto quello che formò la poetica visione de' miei vent' anni . . Amore, amicizia, patria, sapienza, gloria, non bastano per legarmi a questa vita; più non sono per me altro che il primo batter dell'ale che fa l'anima nostra verso l'infinito, il simbolo della virtù eterna, di quel bene che non alligna in terra, perché la terra ritornerà nel suo nulla, e il bene è immortale. Amico! - V' ha qualche istante nel quale credo che Dio non abbia accolto il suo servo: e parmi ch' Egli maledica come opera di superbia, ovvero di disperazione, questo sacro e terribil dovere ch' io m' assunsi - io così pieno ancora di ribelle volontà, di mortali odii, d'inutili speranze - d'annunziare agli uomini la sua verità, il giorno del suo regno. Allora lo spavento e l' angoscia incurvano la mia fronte; vo cercando i luoghi più solinghi e dirupati di quest' alpi selvagge; piango, senza trovar sollievo dal piangere, e dico in mio cuore: O Signore! come potrò recar la tua pace agli uomini, io che non ebbi mai pace per me!... In codesti giorni d' abbandono e di miseria morale, mi sforzo di temperar l'interno patimento colle dolci distrazioni della lettura e dello studio, tornando ad evocar le belle imagini della poesia, le grandi ombre di coloro i quali parlarono il vero e furono infelici, e infelici ben più ch' io non sia! Ma anche la poesia è morta nel mio cuore! - Io aveva fermo nell' animo di non tornar mai più agli antichi prediletti studii poetici: voleva darmi tutto alle austere contemplazioni della sacra scienza, che sola oramai può consolarmi de' tanti disinganni provati, delle stolte speranze umane, delle menzognere imagini suscitate dall' inquieta fantasia che vuol levarsi nella regione dell' impossibile.... Eppure, in questi giorni, tornai alla poesia, al culto di quell' arte che mi rende ancora così belli gli anni giovenili. Rovistando fra vecchie carte, rinvenni abbozzi di novelle poetiche, di poemetti, di canzoni, di tragedie; sorrisi di me stesso e de' sogni miei, rileggendo que' miseri brani. Mi sembravano come le macerie d'un edifizio caduto in rovina prima che di poche braccia sorgesse dal terreno. Mi provai a scrivere; ma sarà in vano. La letteratura del nostro tempo, se ne togli pochi, i quali temono di mostrarsi fra gli altri per la coscienza di una virtù intemerata, ma pur tremante e sdegnosa, è fatta per tutt'altro che per educare il cuore e innalzar la mente a vera grandezza. È una letteratura smascolinata, come quell' arcigno del Baretti direbbe, una letteratura da canapè, buona tutt' al più per i gabinetti delle damine svenevoli e profumate. Nondimeno scrissi anch' io: ho gittato giù l' abbozzo di due tragedie. Nell'una, il Buondelmonte, vorrei dipingere, a diversità degli altri che tentarono lo stesso tema, l'origine della fiorentina Repubblica, e il fiero carattere del Mosca, Che disse, lasso! capo ha cosa fatta. " Nell' altra, il Procida, vorrei mostrare quanto possa amor di patria in lotta coll' amicizia e coll' amor paterno. Ma le mie forze non basteranno, io temo, all' altezza del concetto. Quando nè lo studio nè la contemplazione della natura valgono a levarmi dal cuore il peso che lo preme da tanto tempo, allora prendo la penna per scrivere a te, amico mio, a te che sai la storia di mia vita, e solo fra tutti puoi compatire il solitario prete, l' uomo che nulla più domanda su questa terra, tranne di vivere nella memoria onesta de' pochi montanari, i quali fanno la sua famiglia. Quando seppi rinunziare alle illusioni della mente, superba d' aver vestita di novelle forme la vecchia filosofia del dubbio quando parlai agli uomini d' una religione di fratellanza e d'amore che sola può apparecchiar l'avvenire, coloro che stavano in alto gittarono vergogna e disprezzo sopra di me. Avrebbero voluto che la mia fede si facesse serva delle imposture mondane, delle rugginose pretensioni della forza: io cercava invece d'abbracciare il povero e l'oppresso, che al par di me pativano e pregavano; e coloro mi rinfacciarono la ferrea legge del fatto, mi presentarono agli occhi de' miei fratelli come sognatore irrequieto, come uomo perduto dietro i delirii del pensiero umano, dietro le novità della filosofia e della religione. E i miei fratelli risero di me. Allora io non poteva più ritornar fanciullo, raccogliermi nell' innocenza della vita e della speranza; e sapendo già, per averne fatto duro saggio, quello che fosse il mondo, sentii tutta l' amarezza d'una vita inutile e tormentosa. Ma al tempo stesso una grande e nuova luce d' amore s' era fatta dentro di me, nel profondo: in questa luce si rinnovò la mia fede a poco a poco; e, divenuta matura, la ragione unì i pochi e deboli suoi sforzi a quelli de' tanti e tanti che combattono quaggiù per la causa della libertà nella giustizia. I miei mali cominciarono a parermi ben piccola cosa al paragone de' molti e grandissimi che aggravano l'umanità; e fui persuaso, da quel momento, che ognuno il quale cammini con semplicità per la via su cui la Provvidenza lo mise, nè mai rinneghi sè medesimo, nè venga a patto con la propria coscienza, potrà dire un giorno: O Signore, anch'io feci la mia parte di bene, e vissi sempre nella fede, nella speranza, e nell' amore! - Perdonai da quel punto all'uomo, che, col suo tradimento, m' aveva ferito nella più viva parte del cuore: e mi gittai nelle tue braccia, t' apersi tutti i miei segreti; e tu, mio amico e fratello, mi donasti il coraggio di vivere e d'operare. Gli uomini mi calunniavano, e io li amai; mi respinsero, e chinai la testa; poi venni a nascondere in questa povera valle il mio oscuro ma innocente apostolato. E oggi, anch' io ripeto a te le dolorose parole che un moribondo amico manda a me lontano: Fra me e te esiste un legame che la morte non rompe! Mio buon padre. Nel mio romitaggio, sento il bisogno di tornare a voi, di venir col pensiero all'umile casa ove nacqui, a quel paradiso de' miei anni infantili che si specchia nell' acque purissime del lago. Vedo, padre mio, il vostro incredulo sogghigno a queste poetiche ricordanze; ma se vi dirò che la nostra casetta, dove abita mia madre, dove, nascosta ome rosa silvestre, si fa bella e grande la buona Angioletta, è il più sacro, il più desiderato angolo della terra per me, che pur vidi molto e molto conobbi, forse non sorriderete più così, e darete un pensiero anche voi, un pensiero di compassione alla tristezza che bene spesso viene a tenermi compagnia. Non è già che mi lagni della condizione mia, e del trovarmi qui solo, in povera e lontana contrada, dopo che i primi augurii della vita m' avevano promesso un diverso avvenire. Sulla via che tentai d' aprirmi, ardente com' ero di volontà e di fiducia, ma scarso pur troppo di virtù, non trovai che spine; e m' avvidi come, nell' ampio teatro del mondo, il poco ch' io potessi fare m' avrebbe alla fine guadagnato le ire e le maligne persecuzioni di chi s' adombra d'ogni franca e generosa parola, di chi suol chiamar delitto il coraggio d' alzar la testa contro le prepotenze umane e quelle della fortuna. Per questo, benedissi come venuta dal cielo l' inspirazione che mi condusse qui, fra i poveri e i semplici, qui dove si soffre e si aspetta, dove passano smarrite o ignare tante creature per le quali morì crocifisso Colui che aveva pur detto a tutti: Io sono la via, la verità, e la vita!... Vi ricordate? La prima volta ch' io ho voluto parlar da un pulpito, con nuovo ardimento, di certe grandi verità delle quali non sarà mai strappata la radice dalla terra, delle mie parole si prevalse il fanatismo; le condannò il nuovo fariseo, ne fu scandolezzata la debole virtù. Così sempre avviene; ed io non ho voluto chiamar sulla casa di mio padre, sui vostri bianchi capegli, il turbine che di subito sorse a minacciarmi: pensai a mia madre, a mia sorella, e obbediente a chi mi percoteva, rinunziai ad ogni gloria e mi tenni abbastanza felice di questa parte che Dio m' aveva ancora serbata. Qui, i buoni alpigiani mi conoscono e mi riveriscono come padre, m' ascoltano e mi amano come fratello; qui m' è consolazione il pensiero di quel filosofo: Se utile non è quello che facciamo, stolta è la gloria. Ma non più di questo Ringrazierete per me l'Angioletta di quella cassettina contenente poche cipolle de' panporcini de' nostri monti, ch' essa mi mandò per il Bernardo, l'ultima volta che capitò al paese. Direte a lei e alla mamma che si ricordino di me nelle loro orazioni care al Signore; io non n'ebbi mai tanto bisogno come in questo momento. Se mai tornasse a vedervi l' amico mio p***, e vi domandasse di me, ditegli che i miei poveri nervi risentono ancora a quando a quando le fiere commozioni patite, e che la mia testa qualche volta non è a segno del tutto; ch' egli stesso mi scriva se le lunghe peregrinazioni, che vo facendo ogni giorno per questi monti, possano o no di soverchio abbattere le mie forze e fare in me effetto contrario a quello ch' io m' era promesso. Un' altra cosa vi commetto per la mia cara sorella. Ella sa dove stanno i pochi libri che innanzi partire lasciai, fra l' altre cose mie, in quella che fu la mia povera e beata cella. Nello scaffaletto a manca dello scrittoio, vicino alla finestra, troverà alcuni vecchi volumi giallognoli, mezzo rosi dal tarlo: sono i cari e preziosi amici di mia passata gioventù. »Fra essi vi son due libri rilegati in carta pecora, e intitolati l'uno: I Soliloquii di sant'Agostino, e l'altro La Città di Dio. Nell'armadio situato nell' angolo dov'era il mio letto, ne troverà pure alcuni altri più vecchi ancora, fra cui un volume delle Opere di san Tomaso, e uno di quelle di Sant' Ambrogio; e un altro più piccolo, al quale manca il frontispizio, è il Trionfo della Croce di Fra Girolamo Savonarola: quest' ultimo lo conoscerà dal mio nome scritto sull'ultima pagina di mia mano, sotto ad un braccio che tiene impugnata una spada e che vi disegnai quand'ero chierico ancora. Se l'Angiola riesce a raccozzare quel piccol mucchio di libri, ne' quali pongo tutta la mia speranza per quest' inverno, voi, mio buon padre, fate di trovar modo a spedirmeli al più presto, per la via più sicura; ne pagherò la spesa all'uomo che me li porterà. Mio padre. Vi raccomando quello che già vi scrissi nell' altra, di tener sempre presso di voi le lettere che per me venissero alla posta di Como, e di non darle in mano di nessuno, fuorchè del Bernardo, che verrà a pigliarle alla fin del mese, a mio nome. Se ve ne fosse alcuna pressante, queila potreste consegnarla all'amico mio p***, che sa come mandarla a questo mio nido di montagna. Dite a mia madre che, al tornare della primavera, ho speranza di venire a casa per qualche giorno: che non veggo il momento di sedermi ancora, come quand'ero fanciullo, vicino a lei sugli scalini della nostra porta: e che le farò raccontare un'altra volta la storia de' poveri morti di Torno. Oh! quante memorie leggiere, fuggitive, tessute, come tutte le cose della nostra vita, di piccole gioie e di grandi dolori, mi rifanno dinanzi al pensiero tutta l'età passata, e mi sforzano a piangere un'altra volta Perchè non sono io nato che per invocar la benedizione del Signore sopra coloro i quali devono trovare ogni lor bene nel patimento mitigato dalla speranza?... Io la sentiva pure nel mio cuore una fiamma più ardente, l' alito della fede, il coraggio di morire per i miei fratelli.... 2 di maggio 18.... (*) « Niuna cosa violenta puo essere perpetua. » E fino a quando vedrò sulla terra il trionfo del male? O Signore, tu rovesci i potenti dal seggio, ed esalti gli umili; ma tu dicesti ancora: Il regno mio non è di questo mondo. Noi dovremo dunque piegar sempre la fronte, come in atto di vile osservanza, in faccia alla malizia che si veste di pompose apparenze, che vince la semplice onestà colle sue compre lusinghe, o colla ipocrisia, la peggiore delle tirannidi?... Combattere la forza brutale, che non concede alla stanca umanità di sollevare il capo da quella nebbia d' ignoranza in cui da secoli le misere generazioni son costrette a vivere, o piuttosto a morire; parlare in nome di Quello che dal Calvario annunziò agli uomini che sono tutti figliuoli dello stesso Padre che ama e perdona, è una grande e dolorosa parte, la quale a pochi fu dato di compire sulla terra! Il tempo, come spaventoso torrente, trascina via con sè uomini e idee: pochi nomi benedetti, poche sante e divine parole rimangono appena a far testimonianza del passato, a fermar la promessa del futuro. Avventurato chi visse nell'aspettazione de' tempi migliori, procacciando intanto e operando il bene, come se dovesse da un dì all'altro fruttare! Dio ha veduto il cuor suo, Dio raccolse le sue lagrime; e quando seduto in disparte, come Geremia, stette solitario e tacque, Dio gli perdonò il silenzio, e la luce del cielo venne sopra di lui. (*) Forse il manoscritto fu ripigliato all'entrar della seguente primavera; se pur non erano mancati alcuni foglietti. E il suo cuore sollevò un' altra volta quel profetico lamento: - « La parte mia è il Signore; e per questo io l' aspetterò. » Buono è il Signore all' anima che in lui pone speranza e lo cerca. » Buona cosa è procacciar nel silenzio la salute del Signore. » Buona cosa è all' uomo portare il giogo nella sua giovinezza. » Siederà solitario e tacerà; poiché Dio gl' impose il suo carico. » Metterà la sua bocca nella polve, cercando se vi sia speranza. » Porgerà la guancia a chi lo percote; sarà pasciuto d'obbrobrio; » Perocchè il Signore non lo respingerà da sé in sempiterno; » E s' egli affligge, ha pur compassione, secondo la moltitudine delle sue misericordie. » 12 di maggio. Qualche nuova e più grave sciagura sovrasta a me o ad alcuno de' miei cari. Io ne ho da parecchi giorni il doloroso presentimento; poichè alla pace gustata per alcun tempo, alle forti contemplazioni della scienza, infiammatrice dell' intelletto, alla soave poesia della natura, è succeduta nell'animo mio l'amarezza delle cose, la codardia del dubbio, e quasi una paura di me stesso. Questo fu sempre per me il presagio di un tristo giorno della vita. I miei vecchi volumi non mi racconsolano più; non mi sembrano più che vani, indicifrabili enigmi, i quali altra cosa non mi fanno certa, se non che quaggiù nulla è certo. Non posso scrivere, non posso nè manco pensare.... 19 d' agosto. Io mi reputava cosi forte, così provato nella vita, e padrone di me medesimo, da sostener con fronte serena e animo tranquillo ogni e qualunque nuova e più dura esperienza. Dopo essermi seduto tante volte al capezzale della morte, dopo aver veduto spirar nel bacio di Dio tante infelici e candide creature, e aver accompagnato sulla tremenda soglia dell'eternità tanti uomini ciechi del bene, travagliati dal patimento, consunti dalla disperazione o dal rimorso, io credeva che più nulla d'umano potesse conturbare ancora i miei pensieri - Deh! che cosa è mai l'uomo, se tu nol visiti colla tua forza, o Signore? Oggi, dopo molti anni, il caso, o piuttosto il volere di Chi tutto dispone per il bene, mi ricondusse dinanzi un uomo che forse fu la prima cagione di tutte le mie disgrazie. Io gli aveva dato, nella generosa effusione del mio cuore giovine ancora, il santo nome d'amico.... Ed egli lo rinnegò questo nome così bello! mi rapì la prima, la più poetica lusinga della vita, l'amore; mi derise con una crudele indifferenza nelle innocenti mie illusioni; e ligio a coloro che poco m' amavano, se pur non m' odiavano già per la mia naturale e avventata libertà del pensiero, per quello ardimento che di rado è scompagnato da un cuore acceso del desiderio d'operar qualche cosa a pro d'altrui, egli pose in mano de' potenti il segreto che doveva partorirmi l' infamia, farmi morire!... Ma, come Dio anche quaggiù non consente sempre la vittoria ai cattivi, io, povero, oscuro e calpestato verme, fui più forte di coloro che si levarono, come stormo nemico, contro di me. Vinsi l' impostura e l' aperta menzogna ; poi mi ritrassi a piangere il mio passato nel silenzio della casa nel Signore, e perdonai. Perdonai, sperando che Dio a me pure perdonasse. Ed Egli m'avea dato codesta pace: fatto puro il mio cuore del lievito dell' ira, parevami d'avere in me spogliato per sempre il vecchio Adamo. La mattina era bella. - Per sollevare i pensieri dal peso delle angosce che ne' passati dì m' avevano grandemente prostrato, m'incamminavo verso il sentiero della selva, dalla parte ove sorgono tappezzate di lambrusca e di parietaria le rovine dell' antica torre lombarda: è là dov' io passo, in faccia alle maestose, lontane ghiacciaie dell' alpi e all' interminato azzurro del cielo, le più solitarie e beate ore del viver mio. Appena fuor della porta, un uomo incappucciato in un gabbano da montanaro mi s'affaccia d' improvviso. Lo guardai; teneva china a terra la fronte, voleva come parlare; e pareva tremasse. « Chi siete? » domandai. « Uno che.... vi conosce; » rispose, o piuttosto balbettò, senza levar gli occhi. Quella voce non mi parve al tutto ignota; ma Io strano vestire, la sua dubitazione, lo sgomento con che andava guardandosi intorno, turbarono un poco me pure; e persuaso che foss'egli ben altro da quello che i suoi meschini panni mostravano, me gli feci più accosto e di nuovo il richiesi: « Che volete da me? » « Sono un povero fuggitivo; venni a chiedervi asilo. » « Ma, signore! » ripigliai; « nè vi conosco, nè so.... » « Sì, mi conoscete; è in nome dell'amicizia ch'io vengo a voi. » E dicendo così, tolse giù il vecchio cappellaccio che gli copriva mezzo il volto, e mi guardò con aria supplichevole, malcerta. Ancora noi ravvisai. « Per carità, apritemi la porta di casa vostra! voi, ministro del Signore, abbiate compassione del fuggiasco perseguitato.... » E qui abbassò la voce, e fatto un passo verso di me, dopo essersi di nuovo guardato dietro le spalle: « Io sono Alberto ***: fui vostro amico! » Era colui che m'avea tradito. Quello che passasse in quel momento nel mio cuore, non voglio nè potrei scriverlo. Egli dimorò sotto al mio tetto due dì e due notti, nè io gli domandai se fosse innocente, o perchè avesse scelto ricovero nella casa d'un uomo a cui egli aveva fatto tanto male, e che fors' anche avrebbe potuto restituirgli il suo tradimento. Ah no! mai, mai! Colui che uccide è più misero di chi rimane ucciso: egli mi credè generoso e incapace del delitto di che spensieratamente, e per leggiere cause, non dubitò farsi reo contro di me. Io non so le conseguenze, le quali per la mia pietà potrei incontrare; ma non le temo. Nè fu pietà la mia, fu giustizia. A lui diedi tutto quel poco denaro che avevo, pregai per esso il Signore, e in quel momento dimenticai tutto il passato. Egli era più che amico mio, era fratello; Dio solo, Dio che mi lesse nel fondo dell'anima, mi giudicherà! Quando volle partire, io gli aveva stesa la mano e lo contemplava fissamente senza far motto. Mi parve commosso, soggiogato dalla memoria di quello che fu tra me e lui: mi guardò egli pure , poi mi si gittò al collo, e pianse. 3 di maggio. . . . Nessuna novella del fuggitivo. Che il cielo l' accompagni! Il mio cuore s' è allargato nella pace di prima sono rassegnato e tranquillo nella mia coscienza. Non so spiegarmi come non ricevessi ancora riscontro alcuno da ***, e da *** alle ultime mie lettere.... Queste note e questi pensieri trovai qua e la sparsi sopra alcuni brani di carta frapposti alle pagine del manoscritto erano per avventura frammenti o postille di guaiate libricciuolo messo in luce, senza nome, in altro tempo. Ne tenni conto, perchè panni che rivelino meglio quali fossero la mente e il cuore del vicecurato. « Molti presuntuosi reputano impossibile tutto ciò che per loro o non si sa o non si fa; moltissimi considerano le grandi cose che non intendono, o che non sono capaci di operare, come inutile fatica d' un esaltato fanatismo; e stanchi prima d' intraprendere, si addormono sui morbidi ma dannosi letti dell' ozio. Tanto è superbo l' amore di noi stessi per non confessare la propria ignoranza e la propria debolezza; tanto è artificioso per giustificarla; tanto è ingiusto per assolverla! Frattanto l' infingardaggine si scusa colla pretesa impossibilità alle grandi cose, per non confessare il timore dell' utile fatica; e il vizio colla pretesa loro inutilità, per non denunciarsi da sè medesimo vile e iniquo; l' infingardaggine e il vizio diventano costume e perchè ciò che non è il costume dei più, sia tristo, sia buono, si chiama fanatismo e pazzia, ogni bello e generoso ardire vien collocato indegnamente in quest' ultima classe. .... « L'uomo contempla, rappresentata ne' grandi genii, in una pompa la più solenne e nella sua più illustre magnificenza, la propria natura: una sublime compiacenza lo fa inorgoglire delle proprie forze; l' animo s' eleva ai più ardui concepimenti; il cuore s' infiamma ai plà scabrosi sperimenti; nulla più si tollera di mediocre, senza una nausea mortale e un magnanimo disprezzo. » .... « Nella rivoluzione de' tempi occorrono età cosi sciagurate per corruttela di costume, e cosi impudenti per abitudine di vizio, che portano in trionfo la colpa, infamemente la collocano sugli altari della virtù, e, per averle cangiato nome, reputano di purgarsi da sacrilega idolatria. Allora, gentilezza di modi le mollezze, gloria l' oro, mo- destia destia la viltà, prudenza il timore, umiltà la codardia, obbedienza la venalità, senno il raggiro, economia l' usura, avvedutezza la frode, laude l'adulazione, belle arti la lussuria; in una parola, la colpa virtù. Tale è il rovescio miserando e scandaloso che si fa d' ogni buono in cattivo, quasichè, per mutar di vocabolo, mutino le cose: ma dando così chiaro a vedere che ogni uomo sente che non è stromento di scelleratezza, e che tale è necessità per esso la virtù, che il delitto non abbraccia se non colorato dalle tinte di quella. Anche scellerato, ama d' ingannarsi che non è; epperò, perdendo la virtù, ne conserva la divisa, onde molta è la ciurma degl' ipocriti: e così, se dappertutto ove sono uomini il delitto ha schiavi, in nessun luogo regna a fronte scoperta. Quindi accade che, se in così fatti tempi sorge un magnanimo amico della virtù e del vero, tutti se gli fanno intorno co' sassi; ed è ben conseguente, perocchè se giunga face là ove tutti hanno bisogno di tenebre per ascondere la colpa, tutti si sforzano di spegnerla subitamente. Delitto dell'amore di noi medesimi, che giustificando i propri errori è pur d'uopo che le virtù contrarie condanni per evitar contraddizione: sicchè in cuore invidia l'altrui virtù, e col labbro la lacera e la condanna. Del resto, la verace virtù che passeggia nel mezzo alla finta, tacitamente denunzia la colpa nascosa sotto le sue larve, e coll' opera del paragone squarcia la veste dell' impostura la più veneranda e la più astuta. Allora si distingue la virtù dall'ipocrisia che fa studio d'imitarla, coll' eguale facilità che da un re di scena un re da trono: ed è per questo che in tale condizione di tempi la virtù e la sapienza sono guardate come due possenti nemiche; è per questo che solo compaiono attraverso lo squarciato manto d'un' illustre povertà, e che sempre le ritrovi fuggiasche sulle spinose vie della persecuzione, e spesso ancora fra le catene, e dentro la carcere dell'omicida e del ladro. » .... « Le grandi speranze e i grandi sforzi sono dei generosi; le forti presunzioni e i deboli attentati, de' superbi.... Io tutto spero, tutto tento, nulla presumo! » .... « Se è vero che dal conoscere scende ogni volere, e dal volere ogni .operazione umana, con cui si satisfà all'inesorabile bisogno, si accontenta il desio insaziabile, e si avverano le indelebili speranze, nella cui somma soltanto può essere riposta quella felicità ch' è data ai mortali; se è vero, io dico, tutto questo, deve scusarsi la nostra curiosità che tutto ad un solo sguardo vorrebbe possedere lo scibile umano. Anzi questa curiosità io la reputo come il possente motivo onde la natura invita l' uomo a ricercarla nel sacrario della scienza: come col desio della felicità lo spinse alle perenni agitazioni delle sorti mortali. Quindi è che, una volta messa sulle vie delle indagini per un sì grande impulso, non già s'avanza gradatamente e con tarda saggezza, contenta ad un vero discreto; ma impaziente delle sagge dimore della riflessione, si avanza baldanzosa, prima fidata al solo probabile, poi al verisimile, ed in ultimo anche al falso in colore di vero; e così, per volere acquistare la vetta per la più spedita via, corre la più lubrica; e correndo questa, bene spesso precipita al basso. A spogliar la cosa di veste metaforica, fatto è che quando cessa il vero, ce lo fabbrichiamo coll' ipotesi del nostro cervello; e vien poi una demenza filosofica, che delira argomenti in suo soccorso; i quali, accreditati dall' umano orgoglio e dall'umana ignoranza, gli ottengono la cittadinanza del vero; e così, come dicevano i Greci, si abbraccia la nube per la diva. - Non già ch' io abborra dall' uso giudizioso dell'ipotesi: so benissimo ch' essa sola batte alle porte della verità; anzi m' aggrada quella sua audacia con che la sollecita a parlare e le squarcia il velo più misterioso. Mi rammento di Newton, che con essa s' innalzò in mezzo de' cieli e che da essa imparò come due mirabili forze equilibrino i firmamenti. Io abborro che lo stromento diventi la cosa, che la via si reputi la meta, e voglio che l' ipotesi non si usurpi nome di realtà, ma che con felice metamorfosi si cangi in essa. Ma pur troppo più persuadono i nomi che le cose: onde il fatto inesorabile bene spesso appalesa le gradite menzogne di noi stessi: decipimur specie recti. » .... « La feconda meditazione de' grandi, tacita e nascosa ne' suoi preziosi ritiri, non ha nemmeno l' applauso che il saltimbanco ottiene sul trivio; anzi spesso dal volgo le sue sapienti lentezze e le sue cautele da precipitato giudizio s' imputano a colpa, e si accusano d' ozio e di pi- grizia. Ma i grandi, sdegnosi di piatire con una plebe che ha bisogno d'assiduo cicaleccio, per non morir d' inedia sulla vie e ne' fori, ne confondono le menzogne, recando in pubblica luce il frutto delle loro nascoste fatiche. » « Le più sublimi speranze non bisogna misurar col solo calcolo del corto soffio dell' umana vita. Non bisogna solo calcolare quanto possa l'individuo; ma quanto può la specie, la cui vita è lunga come la sua perfettibilità. L'orgoglio umano è una menzogna quasi sempre nell'individuo; ma spesso nella specie è una verità; è uno sprone a quanto ella di fatto può. Questo esiste in ogni individuo; e ognuno, al divisamento, è pari all' idea che lo move; ma, all' opera, non potendo quanto la specie, ciò che non sa non fa, lo reputa per un cotale astuto giro dell' amor di sè stesso, o inutile o impossibile. - Ma la specie, all'opposto, può di più che non sappia: ognuno porti quel masso che reggono le sue spalle, e l'edificio s' innalzerà verso il cielo saldo e sublime. Io l'ho detto: Umana perfezione? un sogno: - Umana perfettibilità? una via di cui non conosco la meta, ma sulla quale io pure cammino.

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Feci le viste di non accorgermi del terrore che, senza volerlo, gli avevo cacciato in corpo, nè di quell' impaccio con cui egli andavasi raccostando alla meglio lo sbottonato panciotto e la lunga sottana d'equivoco negro colore, che nell' abbandono del suo sonnecchiar vespertino aveva indietro arrovesciata, non senza mettere un poco in compromesso la sua gravità di prima. Lo ringraziai meglio che seppi della bontà colla quale m'avea lasciato frugare nel suo studio, e poi, per un certo prurito della coscienza, trassi di tasca il rotolo delle carte delle quali m' era fatto padrone, e gli chiesi il permesso di portarle meco per alcuni dì, affine di trarne le note che m' occorrevano. Egli allora, per darsi un cotale sussiego d' inquisitoria importanza, pigliò lo scartafaccio, senza badare che lo pigliava alla rovescia, e dato che v'ebbe un' occhiata me lo rese soggiungendo: « So cos' è, so cos' è.... Poh! tenetelo, tenetelo pur fin che v' aggrada, ch' io per me di coceste malinconie non ho mai voluto l' impaccio , e tanto meno adesso. E così, a dirla fra noi due, non mi fossi tirato addosso, per que' brutti anni, il fastidio di colui che le ha scarabocchiate tutte quelle pagine; non l'avrei pagata con perderci l'appetito per più d'un mese. Basta! ebbi il mio santo anch' io, e per buona sorte la è passata la trista burrasca. Ma v' accerto che, sebbene colui fosse una cima d'uomo, come dicono, per me fu il primo e l'ultimo prete che mi tenni vicino. Mi riuscì di accomodarla con monsignore; e d'allora in poi, io solo, povero vecchio qual mi vedete, ho tirata la barca della parrocchia, e spero continuare per un bel pezzo ancora.... » Essendo fatta l'ora tarda, mi congedai dal pievano, pensando fra me di mandargli, in segno d'animo grato per il donatomi manoscritto, un bel breviario nuovo che gli servisse in vece di quello tutto squadernato e bisunto da me veduto sul suo tavolo. E così poi feci, appena giunto a Milano. Tornai alla casuccia del mio buon alpigiano. E con lui, il seguente mattino, volli visitare quella ch' era stata la dimora dell' infelice don Carlo. Erano poche camerette, anguste, nude, disabitate, cadenti: e come appartenevano alla prebenda, nessuno le aveva più occupate dal giorno che il vicecurato s' era di là partito, per non tornarvi più. Mi si serrò d'angoscia il cuore. veggendo che servivano di ripostiglio alle vecchie e rotte suppellettili della chiesa, e che in fondo della stanza terrena eran riposti il cataletto dei poveri della parrocchia, alcuni rugginosi candelabri di ferro usati ne' funerali, due panche sgangherate, una barella; e nel canto, la zappa e la vanga del becchino. Nulla più v' era che serbasse ancora in quel cadente tugurio la più piccola traccia della memoria di un giusto. In sul meriggio, salutai la povera famiglia di Bernardo quelle buone e sincere creature ch' io aveva già preso ad amare, e che nella fede de' loro cuori benedicevano tuttora al nome del vicecurato. Allorchè m' arrestai un poco sul breve altipiano, donde si vedevano in gruppo le prime case di quell' ignota terricciuola, mi venne all'orecchio la limpida voce argentina della figlia del montanaro, che cantava così:

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Sempronio e Sempronella

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Ambrosini, Luigi 1 occorrenze
  • 1922
  • G. B. Paravia e C.
  • Torino - Milano - Padova - Firenze - Roma - Napoli - Palermo
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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Senza avere ancora messo piede in una grande città, i due fanciulli non sono più nè ignoranti nè selvatici come erano un giorno, quando ancora non s'erano tolti alla vita di abbandono e di solitudine, nella quale la miseria della famiglia, la nessuna istruzione dei genitori e le cure e le fatiche dei campi li avevano fino allora allevati. Maestro Saverio è stato per essi meglio di un babbo. L'amore che i due scolaretti gli portano, è un amor di figliuoli devoti. E benché essi non abbiano dimenticato nè il babbo nè la mamma, pure sentono per maestro Saverio una riconoscenza che, quasi quasi, nel cuor loro non ha l'eguale.

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