Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandono

Numero di risultati: 59 in 2 pagine

  • Pagina 1 di 2

Da Bramante a Canova

251200
Argan, Giulio 1 occorrenze

Come pura pittura, rivendica le stesse legittimità e la stessa positività della scienza o della politica; e non è mai, neppure per un istante, abbandono o evasione sentimentale.

Pagina 394

Della scultura e della pittura in Italia dall'epoca di Canova ai tempi nostri

251496
Poggi, Emilio 1 occorrenze
  • 1865
  • Tipografia toscana
  • Firenze
  • critica d'arte
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. — E se qualcosa è da lamentarsi in alcuno dei primi nominati artisti, si è una certa rilassatezza ed abbandono nel bel modo di fare, mentre avevano date splendide prove nell'età più fresca e nei primordj della nobil carriera.

Pagina 55

La pittura antica e moderna

252729
Farabulini, David 1 occorrenze
  • 1874
  • Tipografia e Libreria di Roma del Cav. Alessandro Befani
  • Roma
  • critica d'arte
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Pagina 50

La pittura moderna in Italia ed in Francia

252760
Villari, Pasquale 1 occorrenze
  • 1869
  • Stabilimento di Gius. Pellas
  • Firenze
  • critica d'arte
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Pagina 8

La storia dell'arte

253094
Pinelli, Antonio 3 occorrenze

La sintetica carrellata sull’illusionismo pittorico dell’arte italiana che stiamo tracciando non può pertanto prescindere da Giotto, che ne incarna in modo esemplare la vigorosa rinascita, dopo secoli di programmatico abbandono da parte dell’arte medievale della rappresentazione di uno spazio illusoriamente tridimensionale.

Pagina 136

Pagina 144

Con Giotto questo progressivo abbandono degli stilemi astratti in favore di un nuovo naturalismo diviene un fatto compiuto: nel suo celebre Crocifisso fiorentino (fig. 65), si può dire che Giotto abbia rappresentato, appeso sulla croce, un uomo in carne ed ossa. La tensione dei muscoli e dei nervi rende evidente il peso di quel corpo senza vita, che grava verso il basso e, per dirla con Dante, «come corpo morto cade».

Pagina 86

Le due vie

255374
Brandi, Cesare 1 occorrenze

Pagina 151

Le tre vie della pittura

255845
Caroli, Flavio 2 occorrenze

Pagina 85

Pagina 97

Leggere un'opera d'arte

256712
Chelli, Maurizio 5 occorrenze
  • 2010
  • Edup I Delfini
  • Roma
  • critica d'arte
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Pagina 143

L’iconografia più diffusa raffigura Giove, in forma di nube, che abbraccia la ninfa, colta in abbandono estatico, come mostra l’opera del Correggio conservata nel Kunsthistorisches Museum di Vienna (figura 90). Figura 90 - CORREGGIO, Giove e Io, 1530 circa, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Pagina 154

L’uomo seduto ad un tavolo ha il busto inclinato e poggia la testa sul braccio destro, il cui gomito punta sul tavolo stesso; la sua è una condizione di abbandono, di malinconia, resa non solo attraverso la posa e l’espressione del volto ma anche dal movimento di blu della pennellata, che evoca come un perdersi nel mare dei ricordi. Sulla stessa linea si sviluppa la ritrattistica degli espressionisti che arrivano anche a deformare violentemente l’immagine per poter meglio esprimere il senso di inquietudine o di sofferenza che animano i loro modelli; Ernst Ludwig Kirchner, ad esempio usa un disegno Figura 115 - ERNST LUDWIG KIRCHNER, Ritratto di Marcella, 1910, Nationalmuseum, Stoccolma. spigoloso, basato sulla linea retta, tendendo a creare un effetto di contrazione delle forme, come possiamo vedere nel Ritratto di Marcella, conservato nel Nationalmuseum di Stoccolma (figura 115). L’immagine è quella di una ragazza dal volto smarrito, caratterizzato dalla enormità degli occhi e della bocca; è nuda e con il corpo è come ripiegata su se stessa, trasmettendoci angoscia e solitudine. Il senso di disagio è come accresciuto dalla mancanza di armonia tra i colori, tanto che i gialli del fondo sembrano balzare in primo piano soffocando il rosa dell’incarnato.

Pagina 182

L’opera suggestiona e seduce per la ricercatezza delle soluzioni cromatiche e riesce a rendere quel senso di dolce abbandono tipico nelle rappresentazioni di donne orientali.

Pagina 209

Come esempio possiamo citare il Nudo rosso, conservato in una collezione privata, una figura femminile sdraiata che esprime un senso di voluttuoso abbandono (figura 146).

Pagina 212

L'arte contemporanea tra mercato e nuovi linguaggi

257074
Vettese, Angela 1 occorrenze

Qualche artista ritiene quindi che l’unico modo per non cadere in tali tranelli sia un abbandono radicale del sistema dell’arte contemporanea.

Pagina 122

L'arte di guardare l'arte

257300
Daverio, Philippe 2 occorrenze

Pagina 39

Pagina 76

L'Europa delle capitali

257428
Argan, Giulio 1 occorrenze

Alla metà del secolo XV Niccolò V si era proposto di sollevare la sede del papato dallo stato di abbandono in cui si trovava: composti gli scismi, riaffermata la priorità storica della Chiesa di Roma, le stesse rovine di Roma antica diventavano testimonianze della vita eroica della Chiesa primitiva. Leon Battista Alberti avrebbe voluto ricostruire la città partendo dal restauro delle costruzioni antiche: molto probabilmente il suo trattato dell’architettura, scritto a Roma alla metà del secolo, è stato pensato come una guida alla ricostruzione “umanistica” di Roma. Nello stesso spirito è concepito il rapporto a Leone X sul restauro dei monumenti antichi, già attribuito a Raffaello e ora, dal Forster, al Bramante. Il problema si ripropone dopo le nuove rovine del sacco di Roma nel 1527 e le nuove vie aperte nella seconda metà del Cinquecento già rompono l’accentramento delle abitazioni intorno alla testata di Ponte Sant'Angelo. La vera e propria riforma urbanistica viene intrapresa negli ultimi anni del secolo XVI da Sisto V che ha come tecnico-progettista Domenico Fontana. Superata la fase più pericolosa, di aperta rivolta, della Riforma, il papa sente che, in un’Europa ormai avviata a diventare un sistema di Stati nazionali, il potere spirituale e super-nazionale della Chiesa esige il sostegno di uno Stato temporale. Di questo Stato, economicamente e militarmente debole, Roma è la capitale: il suo prestigio storico e morale è il fondamento della nuova politica di equilibrio tra gli Stati che la Chiesa adotta per principio. È anche la meta di pellegrinaggi provenienti da tutti i paesi cattolici: e questa centralità ha una funzione politica non meno che religiosa.

Pagina 60

Personaggi e vicende dell'arte moderna

260924
Venturoli, Marcello 13 occorrenze
  • 1965
  • Nistri-Lischi
  • Pisa
  • critica d'arte
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Pagina 11

In questo grado esemplare di abbandono pittorico e, senza dubbio, tra le opere più alte e personali di Vuillard, sono i tre interni con figure, di squisito carattere domestico, figure vestite dall’ambiente, si direbbe, fin nel giro di una maglia, nella picchiettatura di una gonna; madri e nonne, bambini e modelle che il pittore ha preso a pretesto per i suoi inventari pittorici: «La pappa di Annette», «La cucinetta del boulevard Malesherbes» e «Madame Vuillard con la caraffa».

Pagina 115

Pagina 123

Ognun vede come Argan abbia addirittura interpretato il fare di Picasso dalla piattaforma a questo storicamente successiva, dell’action painting, o della «pittura del gesto»; ma è un fatto che le radici di questa pittura — non tanto l’aspetto «irrazionale», quanto la sua capacità di abbandono — siano in embrione nel metodo di Picasso: che è poi, un antimetodo, è il dispregio consumato e sempre rinnovato dei segreti artifici e delle ricette, fin anche dei compiacimenti e delle raffinatezze.

Pagina 151

Henry Moore è un artista in un certo senso non ideologico e non razionale; e se gli inglesi passano per scarsamente emotivi e difficili alla passionalità, lo scultore sembra contraddire questo adagio, perché nella sua arte, prima di tutto, è protagonista un lirico abbandono, che prende d’infilata e raccoglie istanze e culture diverse e le riassume in una difficile, perigliosa unità: tanto che è raro accettare una scultura di Moore come un’opera appartenente a questa o a quella esperienza estetica: cubista, espressionista, surrealista, astratto-figurativa. Ma sempre Moore è abbandonato sub conditione, quasi che i linguaggi dovessero fare i conti con un misterioso spirito di rivalsa: ecco, le matrone del «ritorno all’ordine» intorno agli anni Trentacinque si atteggiano a colline, a rupi cresciute con ciclopica fatica, per virtù della fantasia; e il modulo iniziale, parnassiano, cade come una crisalide, restando della scultura una potenza, che può essere molte cose, ma non parnassiana; le facce a confetto dei gladiatori metafisici e surrealisti si tumefanno, mettono buche di urli, e i loro corpi di geometria respirano in possenti incavi, si coprono di elmi e di scudi, tratti dal più romantico dei musei; i totem di Brancusi, i grandi tarocchi in tutto tondo, di una perfetta partita finita senza vittoria fra natura e ragionamento, si torcono in corpi crocifissi, creando ben altra assemblea di simboli, che quella accarezzata dal grande maestro rumeno: nel rumeno una natura ridotta all’essenziale, sul filo di una lucidità che diventa fantastica meditazione, scultura che cresce un po’ al giorno, negli anni, fino alla sua completa calibratura; nell’inglese la forma definitiva nasce da un terremoto di contrasti, dal placarsi improvviso e ancor vibrante di una serie di echi.

Pagina 174

Mentre le donnine di Manzù fra le due guerre (come ad esempio la Donna che si regge la calza e Susanna, entrambe del 1937) sembra quasi che attendan la cera per essere compiute, come se lo sguardo del plasticatore non fosse sufficientemente tenero e secchezza e languore, gracilità e abbandono si mescolassero in una materia dolcemente panica, i personaggi femminili di Manzù intorno al 1950 acquistano tensione e robustezza. La melodia tenera della cera cede il posto alla sonorità compatta del bronzo, il modellato, senza arrivare a formulazioni arcaiche come nel primo Marino Marini, si semplifica in una sintesi di piani, in un costruttivismo in cui, se l’insegnamento del cubismo è del tutto ignorato, tuttavia questo vi appare per via analogica, quasi che Manzù avesse dato una visione chiaroscurale e classica del cubismo.

Pagina 305

Tutti ritratti in cui i caratteri sono tutt’uno col Urico abbandono di Levi; alcuni — come appunto quello di Saba — dosatissimi nelle due istanze, la impressionista da una parte e la espressionista — o psicologica — dall’altra, istanze entro le quali si è mossa tutta la pittura di Carlo Levi fin quasi dai suoi inizi. Eppure, lasciando a molte di queste opere il magistero dello stile, esse non presentano personaggi con la stessa drammatica urgenza che si riscontra nei quadri della seconda sala. E si spiega perché: il pittore dipingendo i suoi amici ha fatto leva più sulle sue doti di artista, che sulla sua moralità di uomo, ha espresso di più il clima di una intelligente, appassionata amicizia fra lui e gente come lui, che non la solidarietà dello intellettuale verso la gente dell’«altra classe». Direi, se la frase non assumesse un certo sapore, estraneo al mio palato, che Levi abbia dato agli amici la sua più florida e intelligente esperienza di conservatore, mentre ai compagni incontrati in Calabria abbia dato tutto il suo potenziale rivoluzionario; meno florido, senza dubbio, più inquieto e impacciato, ma assai più ricco di risultati.

Pagina 316

Quanto a Mafai, festeggiato e atteso in tutte le mostre dei tonalisti, continuava da solitario dopo la morte di Scipione e lo strano abbandono della pittura per la scultura da parte di Raphael sua moglie una pittura che era «tonale» — dicevano i tonalisti — ma che poco o nulla aveva a che fare cogli errori dei tonalisti.

Pagina 343

Si giri intorno alla «danzatrice», e si troverà in questa ninfa dall’occhio semichiuso un personaggio fazziniano inconfondibile, tutto preso dal parossismo di un movimento, che è insieme ribellione e abbandono. Il disegno di un viso semicancellato dai capelli, reso indistinto dal turbine, assume la solidità di una plastica rigorosa, esce dalle secche letterarie e simbolistiche, anche in virtù di quel felice appuntirsi delle chiome in una sorta di elmo fogliuto, che è il vertice della scultura.

Pagina 367

Ma, ovviamente, la natura dell’artista di Graniti è assai diversa: le sue donne così rurali e grevi fin nelle arcaiche fattezze qualche anno fa, si sono nobilitate, si potrebbe dire che siano andate a scuola di grazia e di armonia; tanto che la situazione di passività dolorosa e populistica in cui versavano le sue contadine di ieri, oggi si riscatta in un sentimento più dominato, in un abbandono che non è di questa o quella categoria determinata, ma assume valore di simbolo; le due figure accovacciate sprigionano oggi una maggiore sensualità, mentre la sentimentalità un po’ esteriore e recitata del periodo neo-realista passa in secondo piano, se non addirittura scompare.

Pagina 369

Si è fatto da più parti a proposito di Perez il nome dello scultore marchigiano Alfio Castelli: per un incontro, non per una sudditanza di Perez con certe peculiarità della scultura di Castelli, la «consunzione» dei personaggi, solitari, all’in piedi, il lirico e desolato abbandono, la proporzione o sproporzione consapevole tra toraci, quadrati e tumefatti, e gambe filiformi, fra tronchi e teste rimpicciolite; ma, a parte la diversa natura dei due, l’uno drammatico e avventurosamente inventivo, l’altro elegiaco e di difficile spostamento nelle tematiche (tanto da sembrare talvolta un evocatore morandiano di personaggi) i due non hanno fondamentali somiglianze neppure quando la loro arte presenta parecchi punti in comune: perché i due artisti ereditano entrambi suggerimenti da Armitage: ma mentre in Perez questo suo espressionismo nero rappresenta un momento di crisi, in Castelli è la proiezione (ormai cristallizzata e accarezzata, di una dolce morbosità) delle deformazioni drammatiche dell’inglese: questi sassi umani che germinano in braccia e gambe come tralci, queste teste cieche, avvolte, si direbbe, in veli di memoria, questi incontri di torsi con torsi, che si prolungano e raddoppiano, questa materia fluida e scabra, informe eppure sottile nella sua conduzione plastica, patinata con nerofumi e cere, tanto da far del bronzo una materia a sé, avvilita ma preziosa come un legno raro, sono attribuibili soltanto a Castelli e alla sua particolare situazione.

Pagina 374

Tra gli scultori astrattisti di qualità che espongono all’VIII Quadriennale, il più originale, anche se non il più ricco di esperienze di stile, è Francesco Somaini da Lomazzo, la cui «Verticale N. 3», insieme con «Ferito II» ed altri «pezzi», rappresentano, come in una pagina di antologia, il drammatico incontro dei modi espressionisti e luministici di un Medardo Rosso, con quelli plastici ed astratti di un Brancusi o di un Arp: ma, anziché rimanere in soggezione di queste forme, lo scultore di Lomazzo sembra le adoperi con la più felice consapevolezza, per esprimere un contenuto preciso, oseremmo dire sentimenti che oscillano fra l’estremo abbandono di ogni proposito di riscatto, in un «pianto» tenero e desolato, e un’opposta, imperiosa, esplosione di energia come una lama o un pugno che penetrino e colpiscano lo stato quo ante. Una materia che cola e si sfalda, sul punto di uscire dal mondo della plastica per entrare in quello della pittura, sembra raggiunta e dominata da tagli, scavi, compressioni, schiacciamenti, come un antro cui pervenga all’improvviso una serie di voci, che venga frugato da fasci luminosi; ed ecco allora la vecchiezza e la fragilità di quelle forme slombate assumere una vitalità impreveduta, per quelle campiture di seguito e dentro le superfici grame e sfatte, per quella fusione tra cieca e abbagliante della cera con l’acciaio, per quell’attitudine misteriosa e quasi panica, di riflettere come in uno specchio la immagine plastica di un sentimento. Lo scultore non è nato adulto, ovviamente; già nella sua recente mostra personale alla Galleria «Odyssia» (dove alcuni «martiri» alludevano a una sorta di forma crocifissa, solidificazioni palpitanti di un dolore non elegiaco e non recitato) Somaini metteva in luce la sua partenza plastica e «purista», la sua carriera di scultore.

Pagina 376

Pagina 66

Pop art

261488
Boatto, Alberto 2 occorrenze

Pagina 105

Seppure le gambe posano sul pavimento con abbandono, il resto del corpo appare rigido e il braccio ripiegato, più che di scompostezza, è indizio di tensione. La giustezza di questo atteggiamento di un anonimo cittadino nello spazio sempre frequentato e sempre sconosciuto della città ci riporta, piuttosto che ad estranee, ad esperienze del tutto mediocri e familiari. Del resto nella scena non mancano numerosi altri ingredienti appartenenti a questo genere frusto: il sedile con la spalliera scomoda e l’imbottitura di finta pelle, il tavolino in fórmica assolutamente autentico, la vera tazza che la donna stringe fra le dita, ed infine il modellato con cui è costruita la figura, che ricalca diligentemente le forme e gli atteggiamenti di una persona viva, rispettandone perfino le esatte dimensioni. Tutti questi elementi ci spingono dunque a dubitare dell’impressione prima e fortissima di estraneità e ad indicare, invece, in Segal il proposito opposto di mettere lo spettatore a suo agio, di muoversi in una cerchia domestica di cose già troppo viste e conosciute. Si potrebbe pensare ad uno scrupolo di ordine realistico, ad una puntuale tranche de vie con la somma di personaggio e di ambiente, di gesto e di utensile, ritagliata e ripresentata testualmente. Conciliare ora queste opposte impressioni richiede l’intervento critico, impegnato a ripercorrere l’operazione di Segal in tutte le sue differenti fasi.

Pagina 109

Saggi di critica d'arte

261906
Cantalamessa, Giulio 2 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
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Pagina 140

Pagina 64

Scritti giovanili 1912-1922

262658
Longhi, Roberto 7 occorrenze

Venturi - suona con melozzesco abbandono.

Pagina 100

Pagina 109

Pagina 202

Pagina 266

Le sue sete gialle, le sue paste auree e fuse, le sue sete blù che sarebbero quasi di cinquecento veneziano se non sentissimo che su vi opera novellamente la luce, tutta insomma la sua concezione cromatica, e di valore, sono resultato delle ricerche della Gentilesca che dipingeva da grande e con abbandono, almeno un brano, un lembo, una falda d'ogni suo dipinto.

Pagina 269

Pagina 316

Cerchio è staticità abbandono riposo. Ellisse è cerchio compresso, energia all'opera, movimento. Così la materia costruttiva circolare della pianta centrale si fascia, a distanze ideali metriche, di pressioni solide di pilastri, e tra quelle ridonda. La cupola non è più la gelida e sennata calotta, coperchiata sulla chiesa après coup, ma si esprime e s'inarca fuori dei fianchi pressi, come dalle labbra strizzate di una ferita larga e profonda esce un fiotto di sangue velare e cupolato. I volumi già commessi si scommettono e agiscono col respiro della loro vacuità angolare.

Pagina 48

L'arte è contemporanea. Ovvero l'arte di vedere l'arte

266876
Sgarbi, Vittorio 1 occorrenze
  • 2012
  • Grandi Passaggi Bompiani
  • Milano
  • critica d'arte
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Negli anni Novanta Alberta Ferretti aveva comprato quest’area in abbandono per farla diventare uno spazio teatrale. E proprio il principio estetico di impedire che un luogo muoia ha a che fare con l’articolazione del Padiglione Italia.

Pagina 104

Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale

267803
Dorfles, Gillo 6 occorrenze
  • 1999
  • Feltrinelli
  • Milano
  • critica d'arte
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Pagina 165

Naturalmente per molti di loro esiste anche un frequente abbandono della pittura vera e propria e l’adozione di immagini luminose (tubi di neon, materie plastiche), come nel caso di Marco Lodola o di mescolanze pittorico-plastiche (in Ceccobelli e in Luigi Ontani) e in quello degli spagnoli Miquel Barceló (Mallorca 1957), Dolores Picazo (1962), Imma Verlac (Girona 1964).

Pagina 186

Pagina 19

Cubismo, futurismo, pittura metafisica, avevano significato una resa più o meno modificata della realtà del mondo esterno, e un progressivo abbandono di canoni naturalistici, ma alla base dell’opera d’arte c’era pur sempre la presenza o la suggestione d’un’immagine, d’un nucleo immaginifico sia esplicito che implicito, e a questo nucleo rimaneva ancorata la composizione stessa. Non' solo, ma l’uso che i pittori facevano di tele e colori, l’uso della pennellata, della "bella materia," non si differenziavano che scarsamente da quelli dei tempi precedenti. Le stesse sculture "a tutto tondo” d’un Boccioni, d’un Archipenko, d’un Laurens, d’un Brancusi, erano, si, assai differenti dalle Lede-coi-Cigni o dalle Madonne-coi-Bambini, ma tutto sommato costituivano sempre una fisicità conchiusa e bilanciata, che traeva vanto dal materiale impiegato, dalla sua levigatezza e lucentezza. Certo, la "prospettiva storica" aiuta a vedere più chiaramente le cose: è possibile che all’uomo del 3000, la nostra arte attuale sembri ancor molto più prossima a quella rinascimentale che non a quella della sua epoca. Ci avvieremmo dunque, già oggi verso una “fine dell’arte’’? La nostra epoca non segnerebbe che. l’inizio d’una sua scomparsa? Non sono affatto disposto a crederlo. Anzi, proprio l’insperato successo commerciale che l’arte "pura," l’arte per le élite, sta avendo, da qualche tempo a questa parte, mi fa pensare che si sia lungi da una sua fine. Molto spesso delle verità "economiche” celano anche delle verità estetiche; il fatto che delle opere di arte modernissima siano disputate a suon di milioni — come non avveniva ancora alcuni decenni or sono — dovrebbe darci da riflettere in senso positivo; dovrebbe farci considerare che il fenomeno non sia soltanto abile montatura di astutissimi mercanti ma una possibile ed augurabile realtà estetica.

Pagina 20

La rapidità significa dunque abbandono definitivo dei metodi artigianali della pittura in favore di metodi di creazione pura. Non è forse la sola missione dell’artista quella di creare e non di copiare? [Da Georges Mathieu, D'Aristote à l’abstraction lyrique, “L'Oeil," n. 52, aprile 1959, p. 32.]

Pagina 201

Pasmore, della generazione immediatamente successiva a quella di Ben Nicholson, ha preso parecchi elementi stilistici dal più anziano suo conterraneo, ma se ne è differenziato tosto per un abbandono netto dell'elemento paesaggistico e in genere figurativo, e per uno sconfinamento, spesso totale, nell’area tersa e distillata del costruttivismo geometrico (che egli ha praticato facendo ricorso a composizioni in materiali plastici), contrastante, in parte, con la sua natura essenzialmente lirica e romantica.

Pagina 83