Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandoniamo

Numero di risultati: 14 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Fisiologia del piacere

170440
Mantegazza, Paolo 2 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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Esso rimane immutato, se noi amiamo conservarlo nello scrigno; ma si trasforma in mille modi, se lo abbandoniamo alla vita burrascosa per la quale è nato, procurandoci in questo modo tulle le varietà di piaceri che si possono avere dal sentimento di proprietà. Esso è una formula materiale che ha in sè incarnati gli elementi dei due verbi prediletti dalla razza umana: l'avere ed il potere; è una cambiale che si paga sempre a vista in ogni tempo e in ogni luogo; è un gioiello che, brillando davanti alla nostra fantasia, suscita in un lampo la torma fremente dei desideri. Il facchino che ha ricevuto una mancia insolita con la mano in tasca fa saltellare la moneta d'argento, che suona più viva e briosa. Egli ascolta e con la fantasia passa in rivista la schiera de' suoi desideri. Il banchiere, che intento negli ultimi giorni dell'anno al bilancio del dare e l'avere, trova di aver guadagnato un milione, non vede nè palpa il denaro, ma si fa innanzi co' suoi desideri, e sogna nuovi piani, agogna nuove conquiste, che gli concedano vittorie più splendide sui campi tenebrosi ed irti di cifre de' suoi rendiconti. I piaceri che ci procurano i metalli nobili foggiati a moneta sono così complessi, che richiederebbero una lunga analisi. Essi comprendono alcune gioie dei sensi nello scintillare dell'oro e dell'argento, negli innocenti giuochi della mano che soppesa o che si sprofonda in un sacco di monete, nel tintinnio soave di una pioggia di scudi che ricadono nello scrigno, o nel frusciare dei biglietti da mille. Altre gioie offre il senso del possesso, e perfino il rigido intelletto si degna sorridere al scintillar dell'oro, e sogna biblioteche magliabechiane, viaggi transatlantici, e simili svaghi senza fine. Pare che l'oro sotto il più piccolo volume, possa presentarci la quintessenza di tutte le gioie, la formula che può riunire in sè tutte le possibili combinazioni dei desideri. L'uomo che possiede un prezioso gioiello non vede che l'oggetto, e non gode che di esso e per esso; mentre il raggio di luce che parte dalle monete, riflesso in noi, si prolunga all'infinito nel mondo esterno, per modo che diventa come uno specchio, nel quale vediamo muoversi tutte le gioie che, ridendo e danzando, ci invitano alla loro festa. Le gioie dell'avere sono di tutte le età, ma brillano della luce più viva quando l'uomo incomincia a discendere nella curva della parabola. Nella giovinezza predomina quasi sempre nel nostro libro mastro il dare sull'avere, mentre nell'età adulta e nella vecchiaia si osserva un rapporto contrario. Negli ultimi tempi della vita, dieci pagine bastano appena a contenere la partita dell'avere, mentre quella del dare si contiene tutta in poche righe, sempre tracciate con caratteri stentati e confusi; finchè poi viene la morte a ristabilire bruscamente l'equilibrio, portando tutte le cifre dell'avere sulla partita del dare. La donna possiede meno dell'uomo, ed il più delle volte non sa coniugare al singolare il verbo avere, il quale per lei si riduce alla prima persona del plurale.

Pagina 137

Allora l'impossibilità di soccorrere il misero che soffre non ci può accusare di egoismo davanti alla nostra coscienza, e senza colpa e senza rimorsi noi ci abbandoniamo ad una gioia che in sè riunisce i piaceri dell'egoismo e della generosità. L'affetto sociale sodisfatto in modo passivo non presenta una fisonomia propria: l'unica forma ben determinata che ci presenta, è la compassione; ma questa, a tutto rigore, è un affetto misto, una vera tendenza a passare dal campo della teoria in quello dell'azione. I piaceri ch'essa ci procura si esprimono sempre coi tratti di un dolore soave, che talvolta si confondono con qualche segno di piacere.

Pagina 154

Sull'Oceano

171172
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
  • UNICT
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E ci abbandoniamo al mare sopra una nave immaginaria che vada e vada senza posa, di là dalle ultime terre, per quell'immenso oceano australe, da cui tutti i continenti apparirebbero a un Micromega come raggruppati, rattratti nell'altro emisfero per la paura della sua solitudine. Ma in quella solitudine si perde e si sgomenta la fantasia, e rivola con desiderio impetuoso fra la razza umana, in mezzo alle creature più amate, in quella stanza, dove sono raccolti quei visi, al chiarore d'un lume, che brilla ora alla nostra mente come un sole. Ma quei visi non sorridono, e su tutti è dipinta un'inquietudine pensierosa, e l'idea che ogni giro dell'elice accresce Ia distanza enorme che ci separa da loro, ci rattrista. Distanza enorme? Per scemarla nel nostro concetto, ci proviamo a rimpicciolire il pianeta col paragone dell'universo: una goccia d'acqua sopra una molecola di mota: quale distanza possono interporre gl'infusori fra loro? Ma il pensiero è forzatamente ricondotto alla comparazione del mondo con noi medesimi, e il sentimento consueto della maraviglia rinasce. Sì, un'enorme distanza ci divide. Scacciamo dunque l'immagine di quei visi. Ripensiamo al mare, addormentiamo la mente sopra queste acque infinite. Che bel mare! E che pace! Eppure anche questa solitudine solenne quanti orrori ha veduti! Ha veduto passare gli avventurieri ingordi d'oro, che affilavano le armi per i macelli infami del nuovo mondo, rivolte di schiavi schiacciate nel sangue dentro alle stive dei negrieri, lunghi martirii di equipaggi famelici, naufragi orrendi nelle tenebre, agonie forsennate di famiglie avviticchiate alle sommità degli alberi, e urlanti col viso al cielo il nome di Dio, soffocato dall'onda. E questo potrebbe seguire a noi, per lo scoppio d'una caldaia, questa notte, fra un'ora, fra un minuto. Rabbrividendo, ci raffiguriamo allora la discesa lenta del nostro cadavere, giù di zona in zona, a traverso ad altrettanti mondi diversi di piante, di pesci, di crostacei, di molluschi, lungo una verticale di otto mila metri, fino all'oscurità fredda di quella distesa sterminata di fango vivente e di scheletri microscopici che forma il fondo del mare....

Pagina 112

Il successo nella vita. Galateo moderno.

174419
Brelich dall'Asta, Mario 1 occorrenze
  • 1931
  • Palladis
  • Milano
  • Paraletteratura - Galatei
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Svegliandosi alla mattina, abbandoniamo tosto il letto per approfittare delle preziose ore mattutine. Naturalmente per persone nervose non ha valore il proverbio dell' « aurora che porta l'oro in bocca », perchè esse sono il più delle volte incapaci di lavorare di buon mattino; per tali persone sono piuttosto le ore della sera e della notte quelle che « portano l'oro in bocca » In ogni caso il continuato lavoro di notte, l'andare a letto tardi e il dormire sino a tarda mattina sono un attentato contro la salute e la bellezza, che fa invecchiare presto le persone nervose. Onde il sonno sia veramente ristoratore e rinfrescante, bisogna dedicare qualche cura anche alla camera da letto. Anzitutto è necessaria l'aria fresca e pura. Se tutte le finestre sono chiuse, entro lo spazio di un'ora l'aria buona è consumata e conseguentemente si giace per sette ore in un'atmosfera satura di acido carbonico, nella quale poi ci si sveglia con la testa stordita e poco ristorati. Perciò si dorma sempre, anche d'inverno se anche non con le finestre aperte, almeno con la possibilità di un costante cambiamento d'aria nella stanza. La camera da letto non sia riscaldata, soltanto in caso d'un freddo eccezionale è lecito di mitigare alquanto la rigidità della temperatura. Anche durante il giorno le finestre siano aperte per più ore. Chi ha occasione di dormire all' aperto, non si privi di questo godimento del corpo e dell'anima. Naturalmente anche la biancheria da letto esige una pulizia accurata ed un buon arieggiamento. Il letto non sia troppo caldo, perchè il sudare di notte è malsano. Materassi di piume sono assolutamente riprovevoli, e chi può far a meno anche dei guanciali di piume, gioverà con ciò al suo corpo. I materassi lascino passare l'aria e non aderiscano troppo al corpo. Lo stesso vale anche per le coperte. Le migliori sono le coperte leggere di pura lana. D'inverno si può adoperare per i piedi anche un piumino. Il pigiama si adoperi soltanto in viaggio, mentre a casa meglio è dormire del tutto senza vesti. In nessun caso però ci si corichi con la biancheria che si è portata durante il giorno. Se dormendo si sta coricati sulla schiena, non si adoperino guanciali troppo alti, perchè ciò favorisce la formazione del cosidetto « doppio mento ». La testa non dovrebbe mai poggiare del tutto lateralmente sul guanciale, o almeno in questo caso si dovrebbe badare che la faccia non poggi su pieghe e che i lineamenti del viso non vengano premuti in giù. Se ciò avvenisse abitualmente, darebbe al viso una espressione stanca e floscia. Chi non può addormentarsi la sera, faccia il suo ultimo pasto il più tardi tre ore prima di coricarsi, e prenda cibi facilmente digeribili: niente carne, niente uova, niente cibi fatti con farina. Caffè e thé scacciano il sonno. La birra è un mezzo narcotico molto efficace, ma dannoso. Una passeggiata di mezz'ora o d'un'ora è il mezzo più sano per vincere l'insonnia. Del resto molto aiuta l'autosuggestione; anche il respirare profondamente ed il contare meccanicamente fanno addormentare. Uno speciale mezzo di cura della bellezza è il cosidetto «sonnellino della bellezza » (beauty-sleep degli inglesi), che consiste in una breve dormitina dopo la seconda colazione, e che è piuttosto un sonnecchiamento ristoratore, che non un sonno profondo. Questo sonnellino pomeridiano non deve essere considerato, specialmente da signore, come un atto di pigrizia, poichè esso significa piuttosto un riposo necessario per la cura della bellezza, riposo che la padrona di casa si può concedere dopo il faticoso lavoro della mattina. Specialmente le signore magre dovrebbero farsi una regola di questo « sonnellino della bellezza » In generale dopo i pasti sta bene riposare, e soltanto chi tende alla pinguedine non ha da seguire questa regola.

Pagina 221

Si fa non si fa. Le regole del galateo 2.0

180411
Barbara Ronchi della Rocca 1 occorrenze
  • 2013
  • Vallardi
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
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Rispettiamo i loro spazi (a partire dal pianerottolo: non «abbelliamolo» con piante e decorazioni vistose senza concordarlo in anticipo, non parcheggiamoci per ore il sacchetto dell'immondizia, con la scusa «Così non me lo dimentico»), balcone compreso: quindi abbandoniamo la brutta abitudine di scuotere la tovaglia per farne cadere le briciole, o peggio di fumare sul terrazzo e poi gettare nel vuoto i mozziconi. Pensiamo al bucato steso al piano di sotto anche quando mettiamo sul davanzale della finestra il cibo per i colombi, assai prodighi di «ricordini». L'amore per gli animali non giustifica neppure chi appende fuori della finestra la gabbia degli uccellini canori: basta pochissimo vento perché sabbia, piume ed escrementi cadano sul balcone di sotto, e magari sul bucato steso... Statisticamente, la causa più comune dei «dissapori da pianerottolo» sono i rumori molesti: bambini che vociano per le scale, amanti del fai da te che usano trapano e martello a tutte le ore, discussioni ad alta voce fino a notte fonda, stereo e tv a tutto volume, cani che abbaiano, salutisti che usano zoccoli ortopedici al posto delle più silenziose pantofole... Far funzionare lavatrice e lavastoviglie nelle ore notturne per usufruire di una fascia» di prezzo più conveniente è un nostro diritto, ma solo a patto che possediamo elettrodomestici silenziosissimi. D'estate controlliamo bene dove va a finire il fumo del nostro barbecue. È lecito chiedere in prestito un ingrediente di cucina ai vicini solo se è davvero indispensabile e se i negozi sono chiusi, e a patto di restituirlo il giorno dopo. Se diamo una festa, scusiamoci in anticipo per il disturbo (ma chiediamo con fermezza ai nostri ospiti di astenersi da rumorosi convenevoli sul pianerottolo a tarda notte). Non siamo affatto tenuti a invitare i vicini, se non vogliamo dare inizio a una frequentazione più stretta. Certo che, se chiediamo il loro aiuto o contributo per la buona riuscita della serata - uno spazio nel frigo per i nostri cibi pronti, o delle sedie in prestito, o l'uso del forno... - non possiamo esimerci dal farlo. In caso di nascita, matrimonio o lutto, è d'obbligo scrivere un biglietto. Se i rapporti sono più stretti, ci recheremo in visita.

Pagina 68

Galateo per tutte le occasioni

187687
Sabrina Carollo 1 occorrenze
  • 2012
  • Giunti Editore
  • Firenze-Milano
  • paraletteratura-galateo
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Il nostro guscio è protetto e custodito con devozione, mentre appena usciti ci abbandoniamo all'incuria. Un po' come capita a certi stranieri in vacanza. Bene, se ci urta la mancanza di rispetto degli altri per ciò che è nostro, dovremmo cercare per primi di tenere presente cosa può infastidire il prossimo. Inoltre esistono dei codici di intesa che vanno rispettati negli ambiti di convivenza comune. In spiaggia Tipico esempio è la spiaggia. Se siete fortunati o potete garantirvi una splendida solitudine, meglio per voi: l'unica cosa da rispettare è l'ambiente che vi circonda - vedi alla voce Ecologia. Ma se, come accade nella maggior parte dei casi, dovete condividere il vostro piccolo paradiso marino con altre persone, per quanto spazio possa esserci tra voi e la stuoia più vicina esistono alcune piccole norme da rispettare. Non si grida. Tanto più se ci si trova in una piccola cala solitaria dove una volta tanto si può ascoltare il rumore del vento e della risacca. Senza auspicare un silenzio da certosini, è comunque sperabile una allegra discrezione. Se gli schiamazzi dei bambini che giocano con le onde mettono gioia, le urla forsennate della mamma che li richiama a riva sono stonate. Anche nel caso in cui sia una virtuosa del belcanto. I racchettoni, i palloni, i pallini e le partitine devono svolgersi il più lontano possibile dagli altri. Se non è disponibile nessun lontano, si evita. Niente di più odioso di ritrovarsi sulla schiena appena unta di crema solare la sabbia di quelli che ti saltellano attorno, o peggio di starsene rincantucciati in attesa della pallonata fatale. Niente banchetti all'unto di mare, con odori raccapriccianti che si spandono per il bagnasciuga nauseando i presenti. O vi dirigete al ristorante tipico nella capanna in riva al mare, o vi portate toast e frutta. Che è anche più salutare. Discrezione sul nudo. Se ci sono famiglie con bambini, o anche persone normali e qualunque, potrebbero non gradire. Trovatevi uno scafo o un'isoletta privata. La musica si ascolta in cuffia. Unica eccezione, una chitarra tra amici. La sabbia non si condisce con i nostri rifiuti. Nemmeno quelli biodegradabili. Non è piacevole vedere una spiaggia disseminata di bucce di frutta, torsoli o tovaglioli di carta, anche se tra qualche tempo spariranno. Una piccola nota sull'abbigliamento cafone da spiaggia Niente gioielli; niente trucco; niente calzini; niente sfilate.

Pagina 59

Signorilità

197928
Contessa Elena Morozzo Della Rocca nata Muzzati 1 occorrenze
  • 1933
  • Lanciano
  • Giuseppe Carabba Editore
  • paraletteratura-galateo
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Dal nostro risveglio al nostro riposo, è un susseguirsi di occupazioni urgenti e, tutte, temporali; per queste e con mille pretesti, abbandoniamo ogni giorno più la preghiera, i Sacramenti, le buone letture, i doveri indispensabili della religione cattolica, in cui siamo nate e che diciamo di professare... Oppure diamo a Dio un affrettato tributo di distratte preghiere, di distrattissima Messa; viviamo senza ledere troppo la legge di Dio, ma con cento restrizioni e compromessi... No; Dio non visiterà mai le anime femminili in cui troverebbe una mescolanza, un disordine farraginoso, dove Egli dovrebbe trovarsi non tra le doverose occupazioni domestiche e famigliari, ma tra il conto non pagato della sarta, l'astuzia per attirare un pretendente alle figliole, tra frivolezze infinite, e tra (sono parole di Mussolini, in un suo meraviglioso discorso) «l'infinita vigliaccheria morale delle classi cosidette superiori della società». .. E, intanto, la vita sfugge dalle dita avide, e noi dimentichiamo l'unica cosa veramente necessaria: la salvezza dell'anima nostra, mediante una vita onesta e cristiana... Eppure sappiamo di dover morire, eppure sappiamo che, nell'ultima nostra ora, tutta la nostra vita ci passerà davanti; e che vedremo trenta, quaranta, cinquant'anni passati occupandoci esclusivamente di ciò che perisce, senza un pensiero di ciò che è eterno... Pensiamoci tutti in tempo: «camminiamo finchè abbiamo la luce, affinchè le tenebre non ci sorprendano: crediamo nella luce e siamo figli della luce». Ogni giorno l'esistenza di ognuno si avvicina alla fine - e la fine sarà dolce soltanto se la vita sarà stata buona. -

Pagina 4

Eva Regina

203119
Jolanda (Marchesa Plattis Maiocchi) 2 occorrenze
  • 1912
  • Milano
  • Luigi Perrella
  • paraletteratura-galateo
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Ma ha una buona posizione sociale, un aspetto simpatico, ottime qualità morali; abbiamo grande stima di lui, gli abbandoniamo volontieri il nostro destino. Se non sarà l' amore ardente, sarà l' affezione sicura e dolce, che molte volte val più dell'amore. La consuetudine di vedersi, la conoscenza più intima creano poi dei vincoli, spesso danno delle rivelazioni che svegliano in fondo all' anima il divino fanciullo dormente : l' amore. Ed allora è per tutta la vita: non si temono più inganni, nè sorprese, nè delusioni. Spesse volte queste rivelazioni sono il premio di una obbedienza, di un segreto olocausto, di una determinazione coraggiosa o solamente della pietà. Conviene essere sincere però, come sempre. Con un uomo che si sposa per convenienza non si dovrà fare nè prima nè poi la commedia dell'amore. S'egli si accorgesse della finzione ne soffrirebbe più che vedendo il nostro tepido ma sincero affetto. In un matrimonio combinato, deve dominare la serietà, la semplicità : gli sposi devono sentirsi sopratutto amici. Solamente così potranno avere anch'essi ore d'una felicità serena e fondare il loro avvenire su basi incrollabili.

Pagina 46

Per quanto vano, per quanto assurdo un sogno possa essere, viene un momento nel quale ci abbandoniamo a lui quasi come ad una speranza. E i raggi d' una nuova aurora pare spuntino su dal cuore che lo accolse. Le esiliate dall'amore, dalla felicità, le fuorviate dalle loro naturali tendenze, si rifugiano tutte in questa plaga sovrumana dove possono vivere secondo le loro aspirazioni e illudersi per qualche attimo almeno che il sogno sia vita e la vita sia sogno. Ora è la culla bianca con entro un angioletto dalle guancie rosee e dai capelli d'oro, che la sposa sterile vede accanto al suo letto : è il cerchiellino della fede nuziale che la fanciulla senza amore, la fidanzata tradita, arresta come il primo anello di una soave catena all' anulare della sua mano. È una quiete riposata, favorevole allo studio, all'opera intellettuale, che la giovine costretta contro la sua volontà a qualche còmpito materiale mentre le ferve nel cervello un tumulto d'ispirazioni impazienti di prendere forma d'arte, intravede nei tormenti del vano desiderare : è un salottino elegante proprio, arredato di oggetti personali e cari che qualche triste pellegrina errante della vita vagheggia nell'irreale. E per qualche altra può essere la giovinezza perduta irrimediabilmente e non apprezzata abbastanza, o un amor vero sempre sognato, non posseduto mai. Vi è una malinconica ma giusta filosofia che vuol dimostrare come solo nel sogno, cioè in quello che non si ha e non si può ottenere, risieda la vera bellezza, la felicità perfetta. Infatti molte cose vedute di lontano sembrano senza difetti, datrici della massima gioia, mentre se potessimo possederle e conoscerle da vicino, vedremmo che anch'esse sono soggette, come tutto al mondo, a qualche macchia, a qualche deficienza. Meglio dunque sognare ciò che ci piace piuttosto che vedere il nostro idolo infrangersi al primo tocco della mano. Sentite quello che scrisse un poeta a proposito del sogno e dell'amore :

Pagina 657

Angiola Maria

207368
Carcano, Giulio 3 occorrenze
  • 1874
  • Paolo Carrara
  • Milano
  • Paraletteratura - Ragazzi
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Noi lasciamo le tue ore tranquille, l' innocente allegria de' suoi passatempi, l'aria tua sincera e salubre, i lieti diporti su l'acque, i sentieri serpeggianti su per la montagna; noi abbandoniamo la casipola che un' annosa vite, ombreggia, la remota dàrsena con le sue barche peschereccie, la scoscesa costiera del lido, la chiesa antica, modesta, e la cappelletta al crocicchio del bosco.... Addio! Ma la memoria de' luoghi, che un tempo avemmo cari, dove passammo gli anni giovanili in libertà e in pace, questa memoria che si nasconde nel cuore, ma non si cancella mai, verrà con noi, cara e segreta compagnia. E quando sorgeranno nel mezzo della vita i giorni delle lunghe prove e della tradita fatica, quando, fra il rumore del mondo e l'angustia del futuro, volgeremo indietro uno sguardo al tempo che prometteva felicità, allora ci sarà dolce il tornare, almeno col cuore, a riposarci in que' luoghi, dove la solitudine è piena de' nostri primi amori e di tante piccole storie da fanciulli; dove conosciamo ogni palmo di terra, ogni albero, ogni cespuglio; dove ne pare meno amaro il ricordarsi del dolore sofferto. L' oscura sorte d'Angiola Maria sta per mutarsi: un giorno, una parola, cambiano tante cose quaggiù; bastò un giorno per sedurre i pensieri della giovinetta con le lusinghe d' una vita più bella, d' una vita che fino a quel tempo le era stata un sogno fuggitivo, dal quale senza rammarico si risvegliava. La dimestichezza nata fra lei e le due damigelle, il rivedersi tutt'i giorni, la concordia de' pensieri e de' cuori, la necessità di cercarsi, di volersi bene, quella fiducia della giovinezza così schietta nell'anime buone, tutto si combinò per condurre Maria a lasciarsi vincere dalla preghiera d' Elisa e di Vittorina d'accompagnarle quell' inverno a Milano. Esse speravano, in segreto, di persuaderla poi a venir con loro in Inghilterra. Avrei dovuto dirvi prima, che il vecchio lord, al cader dell' autunno, stanco della lunga solitudine, e ristorato alquanto in salute, aveva, con gran rammarico delle due fanciulle e d'Arnoldo, risoluto di passar l'inverno nella città. Però, quando bisugnò partire, fu Vittorina che trovò lo spediente d'acconciarla bene per tutti.Un bel dì, fece a suo padre molte carezze e una preghiera; e il lord, colto in buon momento, acconsentì. Non occorre dirlo, la mamma Caterina non si lasciò neppur essa lungamente pregare; che anzi non capiva in sè atti piacere, mentre Elisa l'assicurava che si sarebbero tenuta la sua cara Maria, come una compagna, un' amica, e al primo giorno della primavera gliel'avrebbero restituita, e tant'altre promesse. E poi, la buona vecchia voleva troppo bene alla figliuola; appena questa parlava, ella non sapeva trovar più ragione in contrario. - Oh l' amar molto è la gioia e il martirio delle povere madri! Il più serio fu, quando bisognò scriverne al vicecurato. Maria sapeva i pensieri, sapeva il cuore di suo fratello; dubitava che quella, partenza così nuova, quel lasciar sola la madre per tutto l' inverno, non dovesse a lui parer bene. Tremava la povera fanciulla nello scrivere e suggellar quella lettera, tremava, nè sapeva il perchè. Ma bisognò farlo; sua madre non aveva posta altra condizione, tranne questa, che vi fosse il consenso di don Carlo. Chi si pigliò la briga di portar la lettera al suo destino fu lo stesso Arnoldo, per una buona ragione che coverse di due buone scuse, cioè di fare una visita all'amico, e di percorrere un' altra volta, innanzi abbandonarla, quella bella contrada. Prima che uscisse l'alba della vegnente mattina, una barca lo traghettò a ****, dov' erano i cavalli di suo padre Qui giunto, condusse fuori uno svelto e brioso leardo; montò in sella, e seguitando i sentieri lungo la montagna, viaggiò tutto il giorno, per arrivare innanzi sera alla lontana parrocchia. Più d' una volta falli il cammino, e gli fu forza tornar indietro, rifare lunghi tratti della strada già corsa; onde sentiva dispetto dell'indugio, e compassione della sua povera cavalcatura. Già da parecchie ore il cavallo andava di buon portante o di galoppo su per quelle strade appena praticabili, e sbuffava dalle nari per la lunga fatica; la sua criniera ondeggiava sollevata dalla gentile brezzolina d' ottobre; le ferrate sue zampe percotevano con violento passo sui grossi ciottoli di que' sentieri franati: ma il giovin cavaliere non pareva mai stanco di tener piede in ista fra. Soltanto egli lasciava, a quando a quando, che il cavallo continuasse di passo la via, e intanto gli accarezzava il collo e la criniera. A mezzo del cammino, scese di sella, e fermossi per breve tempo in un deserto casolare, il quale d'osteria non aveva che l'insegna; un tugurio. dalla mala sorte collocato in fondo di solitaria valle. Condusse egli stesso il suo cavallo in un canto della corte, innanzi a una mangiatoia tarlata; poi entrò nella cucina, sedette, e senza parlare si refiziò con un stantio resto di torta, e con certo cacio di capra che gli fu messo innanzi, e che poi inaffiò d'un bicchiero di vino acido; e pure l'ostessa ne aspettò un pezzo il complimento. Era una giovine e tarchiata valligiana, la quale gli s'era piantata in faccia, con le pugna appuntate sul descaccio zoppo, quantunque fosse piú usa a guardare, con due occhi grigi e furbi, il bel muso d'un contrabbandiere a lume di luna, che non la faccia dilicata e i capegli biondi d'un giovinotto inglese innamorato. Ripigliò il cammino, e lungo la strada, la sua fantasia, seguendo sempre gli stessi pensieri, vestiva d' una immagine sola la varia scena della natura ridente o selvaggia ch'egli attraversava: i gruppi d' alberi, i casali, i dirupi e le frane, il ruscello e il torrente, la piccola pianura e la greggia col mandriano, il paesetto e il cimitero, tutto pareva fuggirgli dinanzi, come fosse nel paese delle visioni. Una sola meditazione nutriva il suo cuore; nè quel pensiero era mai così forte, come quando traeva fuori la lettera di Maria, e contemplava con segreta dolcezza le parole della soprascritta; la quale, del resto, non poteva esser più semplice, nè so che incanto avesse. A un'ora di notte arrivò alla parrocchia, e scavalcò all'uscio d'una povera abitazione, che un pecoraio gl'insegna come quella del vicecurato. E lo trovò nella più interna delle due camere, ch'erano tutta la casa, Io trovò a vegliare in mezzo a' suoi volumi, qua e là sparsi, ammucchiati o aperti, al lume d'una piccola lucerna. Al vedere l'inaspettato visitatore, il prete s'alzò, e, fattosegli incontro, sorrise; poi, senza parlare, gli strinse con molto affetto la mano; ma il suo volto era pallido, malinconico il sorriso; lo stesso suo andare aveva qualche cosa di penoso e d'incerto. « Siate il benvenuto, amico mio! Dunque non l' avete dimenticato il povero prete? Nella mia solitudine, la vostra venuta è una benedizione. Oh credetelo! il mio cuore ve n'è riconoscente. » « Mio buon Carlo, tocca a me a domandarvi perdono, se è la prima volta che vengo a visitarvi; non ho tenuta la mia promessa, lo so; ma.... mio padre.... » « Non, dite altro: vi so troppo buongrado del piacere che adesso mi fate; e v' assicuro ch' io aveva gran bisogna di vedere un volto amico. » « Vi trovo assai mutato da tre mesi; magro, sparuto: siete stato forse malato? » « No! sto bene: è l'animo ch'è malato. Ma di me non parliamo; voi.... » « Ho una lettera per voi.... una lettera di Maria, di vostra sorella. » « Che? accadde qualche disgrazia?... di mia madre....» « Oh! sta bene e vi saluta, la buona donna; è ben disposta e così lieta! » « Dio la benedica! Ma questa lettera di Maria.... » « Eccola: essa vi domanda che consentiate di lasciarla per qualche tempo con noi, che andiamo a passar l'inverno a Milano.... Le mie sorelle anch'esse ve ne pregano. » disse il prete, maravigliando e cadendo d'improvviso in gravi pensieri. Indi aperse lentamente il foglio, lo lesse attento, e ripiegatolo l' intascò. Il giovine lo riguardava, in atto di serio esitare. Indi a poco il prete gli domandò: « Quando contate di partire? » « Domattina, forse. Perchè.... non so se mio padre.... » dubitando rispose. « Domattina, dunque, avrete la mia risposta per Maria. » E ciò detto, il prete mutò discorso, nè più parlò di sua madre, nè di sua sorella. Ma raccontò all'amico la vita che menava in quella valle; vita di sacrifizio, di coraggio, e che avrebbe presto distrutte le forze d'altri uomini di tempra più salda della sua. Quella remota parrocchia di poveri terrazzani, dispersa in abituri e capanne, senza ricolto e senza decime, metteva a dura e continua prova il ministero dell'uom del Signore, chiamandolo a tutte l' ore dov' era bisogno di consolazione, dove stavano il pianto e la fame. Ma fattasi l'ora tarda: « Pensiamo a voi; » disse don Carlo. « Voi siete stanco, rotto dal viaggio; qui nel paese non c'è locanda di sorte, chè altri non vi capita se non qualche vagabondo, o al più due volte l' anno qualcuno che abbia perduta la strada. Se v' accontentate, vi cedo il mio letto; già lo sapete, siete sotto il tetto d'un povero romito.... » Ma negando l'altro in ogni maniera: « Bene, » soggiunse il prete, « il mio Bernardo (è un buon cristiano di questi monti che m'aiuta e mi serve) vi preparerà alla meglio un lettuccio sul canapè ch'è nell'altra stanza. Scusatemi, amico; v' accorgerete stanotte di non essere nelle belle case, e nei buoni letti della vostra Londra. Ora addio, e buona notte! » Arnoldo si coricò; ma alle stanche membra non concede- vano riposo l' ardore e l' inquietudine della mente combattuta da cento pensieri più strani delle larve d'un cattivo sogno. Vegliava dunque, e dopo qualche tempo s' accorgeva che nella stanza vicina il prete era pur desto; poiché la lucerna mandava ancora, per alcune fessure dell'uscio, il sottile suo raggio. Dapprima non gli giungeva all'orecchio nè voce nè respiro; poi intese come il muover lento e grave d'un passo che misurasse chetamente la stanza. Il giovine si traeva sotto le coltri, cercando dormire, ma invano.... Origliava, non fiatava; passò un' ora, ne passò un' altra: e sempre sentiva il prete andare e venire su e giù lentamente per la camera. Tutto ad un tratto lo riscosse uno strepito, come lo scricchiolar d'una seggiola sotto il peso di persona che sopra vi s' abbandoni; in quella, gli parve d'udire un affannoso sospiro, e poi queste parole: - Mio Dio!... dammi forza e costanza!... Allora, vinto da non so che terrore, stava per balzar dal letto, quando s' accòrse che la lucerna era spenta, e che tutto era silenzio. Alla mattina, Arnoldo pensava di chiedere al prete, in nome dell'amicizia, la spiegazione di quel mistero, la causa della preoccupazione grave e dolorosa in cui l'aveva trovato. Nondimeno, quando se lo vide venire incontro, con aspetto serio ma tranquillo, per fargli nuove scuse di quella sua meschina ospitalità, e s'accorse ch'esso troncava ogn'inchiesta, la quale a lui riguardasse, pensò che doveva essere un segreto geloso e profondo, uno di que' segreti che si trema di confidare anche al cuor dell'amico, e tacque. Con involontario turbamento Arnoldo ricevette la lettera che il vicecurato aveva scritta in risposta a quella di Maria. Quando, preso commiato e salito in sella, il giovine ripetè un saluto, il prete gli s'avvicinò, e strettagli forte la destra: « Arnoldo, » disse « voi siete un uomo onesto, e il cuor vostro è buono e generoso. Voi siete abbastanza felice, ma io non ho più nessuno quaggiù!... Il futuro c' incalza e trascina, Dio solamente lo conosce: se dunque a Lui piacesse che non ci avessimo a incontrar più su la terra, e se mai l'avvenire vi menasse di nuovo in quest'Italia, non dimenticate mia madre e mia sorella. Confortate, l'una, proteggete l'alba.... Fortunato voi, se avrete questa consolazione di poter dire: - C'è alcuno. che mi ama e mi bene- dice: - Addio! Arnoldo si sentì commosso fino alle lagrime, ma fattosi forza: « Addio! » rispose « virtuoso amico. State di buon animo; spero che ci rivedremo ben presto. Addio! » E, dato di sprone al cavallo, s'allontanò. Due giorni appresso, la famiglia de' Leslie era partita dalla villa, e Maria aveva abbandonato la natale sua terra. La man della fanciulla aveva tremato nell' aprir la lettera di suo fratello; erano poche linee che dicevano: - « Chi deve avere maggiore pena che tu parta di qui, mia cara Maria, è la nostra buona mamma. S' ella dunque vuol farlo questo sacrifizio, e tu segni la tua volontà. La famiglia, nel cui seno ti ritrovi è raro esempio di nobiltà vera e onesta. Ma non ti scordar mai, sorella, chi tu sia! Conserva il tuo cuore; pensa che un cuore come il tuo è una gemma, la quale, perduta una volta, non si ritrova mai più. lo spero, peraltro, che la tua lontananza non sarà lunga: quando ritornerai,fa di trovare ancora nella tua povera casa, sotto il cielo che il Signore t'ha dato, quegli stessi pensieri e quella stessa vita che ora vi lasci. E se mai temi che non sia per essere così, oh! non abbandonare, te ne scongiuro, la tua povertà e il silenzio dell'oscurità nella quale sei nata. Addio, mia sorella! Che il Signore t'accompagni! « CARLO » Caterina pianse nel leggere questa lettera così semplice, ma non ebbe cuore di stornar la figliuola dalla proposta partenza. Maria mise insieme le sue poche robe; e la mattina, nell'andare dall'una all'altra stanza, le pareva che quell'abbandono le pesasse sul cuore, e quel breve viaggio le fosse imposto come una penitenza. La buona madre anch'essa, venuto il momento di staccarsi dalla sua Maria, sentì un segreto dispiacere, quasi un pentimento d'avere accondisceso all'impensata a quella partenza; e le tornarono in mente le parole che ripeteva un tempo il suo pover uomo, quando la signora contessa volle tenere con sè la fanciulletta: - Verrà un.-giorno che ve ne pentirete, e non vi sarà più rimedio! - Ma non disse nulla, e le cacciò via quelle parole, come un tristo pensiero. Nel tragittare il lago, per raggiungere le carrozze del lord, le quali stavano aspettando su l' opposta riva, Maria non potè nascondere l' angoscia che la stringeva, benché non piangesse. Dilungandosi dalla sponda, guardava la madre sua e la vecchia Maria, che dalla soglia della casa le mandavano ancora baci d'amore; guardava la sua finestretta e la pergola del cortile. E certamente, se non era la presenza del vecchio signore, che quantunque buono e carezzevole con lei, pure la teneva nell' imbarazzo della suggezione, avrebbe lasciato libero sfogo alle lagrime. Elisa, guardandola con mestizia, la compativa; Vittorina l'abbracciava, ripetendole le più liete cose che siensi dette mai, per consolare chi abbandona la prima volta i luoghi a cui una vita serena di molt' anni donò tanta e così vera bellezza. Nel tempo di quel tragitto, un giovane barcaiuolo accompagnava il lento batter del remo nell' acqua cori una semplice canzone del suo paese, su andar della seguente: IL COMMIATO. CANZONE DEL BARCAIUOLO.

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Abbandoniamo questa casa disgraziata; oh così non v' aveste mai messo piede! Non piangete, è tardi, è inutile!... venite, venite con me! Che vostra madre almeno non sappia mai quel ch' è succeduto, ch' ella possa almeno morire in pace!... Perché tremate?... perchè mi guardate così?... « Oh come parlate, Carlo? non sono forse più vostra sorella? » « Sì! lo siete ancora; se non fosse per questo verrei a cercarvi? » rispondeva il prete, con amarezza. « Ah! perchè non vi siete ricordata di me, quand' era tempo!... Io v'amo anche adesso, perchè siete infelice, e voi.... Oh sì , piangete pure, e sperate che il Signore avrà misericordia di voi.... » « Oh mio Dio! » rispose con debole voce la fanciulla. « Io sono innocente, ve lo giuro, sono innocente!... Ah, conducetemi, conducetemi da mia madre! » « Sì?.. tu lo dici?... Ah ripetimi che sei ancora virtuosa e pura, ripetilo, perché ho di crederlo!... dimmi ch' è proprio vero!... » « Si, Carlo, sono innocente, ne chiamo in testimonio l' anima di nostro padre. » « Dio, te ne ringrazio » La sua fronte si serenò, e un lampo d' indicibile gioia gli balenò negli occhi. Allora la sollevò pietosamente, e con la destra abbracciandole la persona, spinto dal grande affetto, la baciò sulla fronte, e: « Vieni, » le disse con forza, « finchè il cielo ti permette d'uscir di qui ancora onesta! Ritorniamo all'asilo della nostra montagna, alla nostra povera casa. Tua madre t' abbraccerà, con quanta contentezza! e potrai ritrovare presso di lei la tua consolazione, e non l'abbandonerai più. Vieni, o mia povera sorella! tu non eri fatta per il romore della città, per i vizi del bel mondo, per i piaceri d' un giorno di questi giovani eroi!... non te ne rammaricare, ma benedici il tuo buon angelo, che a tempo ti salva!... Pochi dì ancora, e il tuo cuore sicuro e perdonato racquisterà la pace di prima; pochi dì ancora, e questi sogni, che hanno turbata la tua vita e i tuoi verecondi pensieri, saranno svaniti. Non teme; no, di soffrire! ma scaccia dall' anima un amore che t' avrebbe renduta per sempre infelice.... Credilo a me! il dolore nasce accanto al piacere, e dove adesso più si gode, è là che un' ora dopo si piangerà più forte.... Oh! diamo col cuor sereno un addio a questi luoghi d' amara ricordanza.... alla miseria di queste gioie, alla voluttà di questi vili trionfi! un addio alle lucide pompe della città, a' suoi canti notturni, alle sue superbe case, alle sue povere officine, un addio a chi tripudia e s'inebbria, un addio, una lagrima a chi si martira e piange! » Racconsolata da queste amorose parole, la giovinetta sollevò le pupille, e riguardando il fratello, con una viva confidenza espressa nel viso, con tenere parole di gratitudine, parole di soavità non terrena, ma celeste, « Oh verrò con te, » gli rispose « verrò con te, o Carlo, che m'hai vata!... quando ti scrissi quella lettera, fu un' ispirazione del cielo! O mio fratello, mio padre, guidami tu! Fa che io riveda presto nostra madre, ch' io possa posare la mia testa sul suo seno, stare con lei sempre, sempre!... » Così alternando parole e lagrime, Maria fece un involto del poco ch' era suo; benchè le fosse amaro di partire, senza dar un ultimo saluto alle due buone giovinette, pure non fece motto, e seguitò i passi del fratello. Ma, innanzi abbandonare la stanza bella e modesta, dov' essa aveva per la prima volta sognata la speranza e l'amore, non potè a meno di volgere ancora un mesto sguardo a quelle care pareti, a quegli arredi, a quei pochi libri che lasciava sopra la tavola.... L' addio della fanciulla non fu che un profondo e doloroso sospiro; ma con esso Maria accompagnava una muta preghiera dell' anima, una preghiera per l' uomo che le aveva per sempre rapito la pace.

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Abbandoniamo queste amare ricordanze. Vi fu un tempo nel quale le poetiche immagini della prima età potevano consolarmi delle traversie sopravvenute. Allora io scriveva:

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Il libro della terza classe elementare

210448
Deledda, Grazia 1 occorrenze
  • 1930
  • La Libreria dello Stato
  • Roma
  • paraletteratura-ragazzi
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Poi, giacchè siam composti d'anima e di corpo, vuole che noi gli domandiamo ciò che è necessario al nostro corpo, cioè quel tanto di nutrimento che ci basta per campare, e ci abbandoniamo con fiducia nella sua Provvidenza, che non lascia mancare il necessario a nessuno. Il Signore provvede il nutrimento agli uccellini; volete che non abbia cura dell'uomo che vale infinitamente di più? Il fanciullo è abituato a trovar pronto ogni giorno tutto quello che gli occorre per il sostentamento, tanto che nemmeno più ci pensa. Ma ci pensano i genitori. Ed essi in questo caso sono proprio l'immagine sensibile della Provvidenza divina. Benediciamo, dunque, la Provvidenza divina. E se talvolta qualche nostro compagno, più povero di noi, manca del pane necessario, diamo volentieri qualche cosa della nostra tavola per rallegrare la sua mensa. Noi saremo, in quel momento, la mano della Provvidenza, che non lascia mancare il necessario a nessuno. E il pio gesto sarà registrato lassù nel Cielo.

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Pane arabo a merenda

219834
Antonio Ferrara 1 occorrenze
  • 2007
  • Falzea Editore
  • Reggio Calabria
  • paraletteratura-ragazzi
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L'auto riparte, noi abbandoniamo le bici senza pensarci due volte e seguiamo Nerone e la borsa nel furgone. Vorremmo salvare cane e borsa e andarcene, ma proprio adesso arriva il ragazzo delle consegne. Chiudiamo rapidamente il portellone e cerchiamo di non farci notare. Il ragazzo si mette al volante fischiettando. - Fifa, eh? — chiedo con galanteria. - Macché! — risponde Maristella. Purtroppo Nerone comincia ad annusare cannoli, leccare sciroppi, addentare panettoni, imbrattandosi e imbrattando dappertutto. Nel tentativo di bloccarlo, Maristella affonda una scarpa in una grande torta con la scritta "buon compleanno", scivolando si appoggia a me e così io cado seduto in una morbida cassata siciliana. Mentre Nerone continua ad ingozzarsi, Maristella ed io ci buttiamo alla disperata ricerca della nostra borsa. E così, distrattamente, cominciamo ad assaggiare qualche pasticcino sbandato, un torroncino sperduto. Dopo qualche minuto, infervorati dalla ricerca del tesoro, siamo tutti lì che mangiamo a quattro palmenti. - Eccola! — grida piano Maristella sollevando il sacchetto con la borsa sopra il groviglio di creme e marmellate. - Era ora! — faccio io. - Buh! — dice Nerone, leccandosi gli avanzi dì un bigné dai baffi. È ora di andare. Il furgone si ferma. Il ragazzo della pasticceria scende e va a suonare fischiettando al citofono di un portone verde per una consegna. Approfittiamo della sosta per aprire il portellone e darci alla fuga. Ci lasciamo dietro una scia di briciole e rimasugli di crema.

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