Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Sentiva di essere piú che morta, sepolta viva, e piangendo, diceva in modo di poter ascoltarsi: - Giacomo, perché mi abbandoni? Vieni a vedere che cosa hanno fatto della tua Celestina. - Non pensi, Adelasia, che quella ragazza possa aver bisogno.di qualche speciale benedizione? - disse un giorno donna Gesumina alla sorella. - Ho letto nella vita di Santa Zita, patrona delle donne di servizio, che il demonio ama tormentare queste ragazze povere e ignoranti per tirarle al male. - Certi diavoli, quando ci sono, non c'è benedizione che li possa scacciare. Bisogna aspettare che se ne vadano da sè. Sono i fenomeni del suo stato. Cosí disse donna Adelasia quasi con solennità scientifica. - Basta, basta, tu sei piú in grado di me di saper giudicare - rispose, umiliandosi, la piú giovine delle due vecchie zitelle; e non tornò piú sull'argomento. Dopo molto aspettare, un giorno arrivarono finalmente due lettere di donna Cristina, una per Celestina, l'altra per donna Adelasia. A Celestina, riferiva in poche righe, non tutte sincere, il risultato del colloquio avuto con Giacomo: "Per quanto il colpo sia stato grande" scriveva la contessa "egli mi ha promesso di perdonare, e sarebbe già venuto a vederti costí, se un po' di febbre buscata con questi freddi non l'obbligasse a letto. La sua pace, la sua salute, il destino di tutta la sua vita dipende unicamente da te, mia cara figliuola. Se tu sarai buona, docile obbediente a tutto quello che ti diranno di fare queste tue benefattrici, vedrai che col tempo proverai una grande consolazione. Io faccio pregare sempre per te." Nella lettera a donna Adelasia la contessa lasciava trasparire invece tutte le paure e le preoccupazioni che aveva ridestate nel suo cuore il primo incontro con Lanzavecchia: "Speravo di trovare nel giovine una maggiore arrendevolezza; ma ho paura di aver sbagliato nel giudizio che mi son fatta del suo carattere. Soffre meno per il fatto doloroso che non per l'orgoglio ferito. Il pensiero che ci deve qualche cosa gli è insopportabile. Quale altra soddisfazione vorrà chiederci? come intende vendicarsi di Giacinto? La mia povera testa si confonde e non sa piú che cosa pensare e che cosa temere. Ora è piuttosto gravemente ammalato, non si sa se per una minaccia di tifo o per una congestione cerebrale, che lo tiene in continuo delirio: e questo dottore non è senza qualche apprensione. Nel mio egoismo non so piú che cosa augurare a me stessa e agli altri. Mi pare che, prima d'ora, non abbia mai saputo che cosa sia soffrire, né mai prima di questa grande battaglia ho tanto compatito chi piange. Ora, sí, sento nel cuore le sette spade dell'Addolorata e capisco come le ricchezze, i titoli gli onori, le vanità del mondo, non valgano un'ora di buona coscienza. Non c'è donna cosí povera tra queste contadine, colla quale non farei cambio volontieri, se Dio mi potesse restituire la pace. No, il morire non è il peggior male: è peggio il non poter morire, quando si vuole. Dio sa se io vorrei essere sotto la terra da dieci anni! almeno sarei morta nell'illusione della mia felicità, nella freschezza delle mie gioie materne, sarei morta compianta, benedetta, e avrei trovato nella memoria de' miei cari il suffragio, che ci fa vivere anche dopo la morte. Questa invece non è né la vita, né la morte. È un'agonia, un singhiozzo che non cessa mai. Io sono un dolore solo, temo d'ogni scossa, non ho piú lagrime e non ho finito di piangere, non ho riposo né giorno né notte, e, poiché non posso morire, invoco quasi la pazzia, che mi liberi da questa spaventata coscienza. Lorenzo, che non deve mai saper nulla, s'è lasciato persuadere a restare al Ronchetto fino a dicembre: cosí almeno spero di poter rivedere il giovine e di strappargli almeno una promessa, che salvi la mia povera casa. Come potrei abbandonare questo campo di battaglia? Alla ragazza non dite nulla per ora di questa malattia del giovine; ma procurate di secondare le idee, che espongo nella lettera qui inclusa per lei. E poi pregate per me: mai ho avuto tanto bisogno della preghiera di tutti. Giacinto non scrive piú, ma so che mi rimprovera di non saper far nulla per lui. Non immagina nemmeno quel che mi costa di fatiche e di spasimi questa sua colpa. Dio salvi lui e me dal dover rendere i conti, Quando mi sforzo d'immaginare quel che accadrebbe intorno a noi, se uno di questi giornali nostri nemici, che combattono per l'empietà, stampasse il nostro nome nella cronaca degli scandali; quando penso al giudizio che di lui, di me, di suo padre pronuncerebbero i nostri parenti e gli amici che ci stimano, dico il vero, non mi pare quasi che sarebbe un maggior avvilimento, se Giacinto riparasse al suo errore, come si fa in altri ceti, sposando la ragazza."

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