Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Epistolario ascetico Vol.I

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Rosmini, Antonio 1 occorrenze

Credo che molto debba aiutare questa causa ne' nostri tempi una sana filosofia, e che quelli che daranno opera a renderla non meno pura che evidente si acquisteranno molto merito per l' eternità, se il faranno sinceramente per amor di Dio. Vorrei vedere i Gesuiti entrati su questa strada: oh quanto n' aspetterei di bene! se non fanno i buoni, e quelli che se l' intendono con Dio, chi farà? Pare a molti un prendere la cosa da lontano a voler per questa via giovare gli uomini, ed amano più i mezzi più vicini e pratici. Ottimi sono questi, ma ciò non fa che non sia maggiore il bisogno di risanare le menti coll' infondere in esse idee giuste. Gli uomini conviene andare a prenderli lontani, perchè sono andati lontani. Non ci sarà nè chi sappia somministrare, nè chi sappia ricevere i mezzi migliori, fino che si seguita a empir le menti di torte idee e che hanno in seno il verme. L' umana debolezza d' altro lato ha bisogno anche degli amminicoli, massime oggidì. La religione, tanto guasta da una mala filosofia, riceverà solo da una filosofia buona quello splendore che penetra ovecchesia, e a cui nulla s' agguaglia: o, per dir meglio, gli uomini si metteranno in posto e in istato da contemplare tanta bellezza. Ah se io potessi trasfondere questo mio sentimento o anzi questo calcolo ne' Gesuiti! dico, questo mio calcolo: perchè non credo di parlare senza avere un po' meditato sui bisogni dell' umanità e sulla malattia da cui è travagliata: non parmi che sia un puro e vano sentimento che a creder così e a sperar tanto mi muova. Ho per certo che se fosse al mondo S. Ignazio m' intenderebbe: ma può dal cielo ottenere tutto il lume necessario a' suoi figliuoli. Ella mi farà sempre una grazia singolare se mi darà sue notizie, e de' suoi studi. Aspetto la preziosa grazia, che mi promette, di tenermi raccomandato nelle sue orazioni a Gesù, ed alla nostra carissima speranza Maria. Io, sebben così povero d' ogni bene, che ho vergogna fino di me medesimo a prometterglielo, pure non mancherò di farlo per lei; nè mi sconfido per questo mai di essere esaudito « quoniam inops et pauper sum ego ». La prego de' miei rispettosi saluti a' RR. PP. Rettore e Ministro, e a quegli altri suoi correligiosi che ho avuto il bene di conoscere quando fui a Novara. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] 1.32 Non tardo un momento a rispondere alla cara vostra. Se ella mi ha afflitto per la compassione di quelli che patiranno dal sopravvenire della malattia che minaccia; di gran lunga più mi ha consolato ed empito di giubilo la manifestazione dell' unanime disposizione de' miei carissimi fratelli del Calvario nell' impiegare le loro forze e nell' esporre le loro vite in servire Gesù Cristo ne' suoi infermi. Oh bella occasione che vi manda l' amore del nostro Gesù! oh corona desiderabile che vi guadagnerete, se moriste in tale ufficio! oh consolanti parole quelle che udirete nel giorno estremo: « infirmus eram, et visitastis me »! Certo non vi può essere via più sicura e preziosa di questa per assicurarvi l' eterna vostra salute. Io, se mi sarà conceduto, verrò sicuramente ad aiutarvi, e dividere con voi, troppo avventurati, i travagli per Cristo. In quanto alla casa di cui sono livellario, io la metto in pienissima disposizione del pubblico per farvi lo Spedale ; e anzi lo scriverò io medesimo al caro Bianchi, nella lettera che qui unisco. Converrà però prendere le cose con fervore insieme e con prudenza, come vuole il nostro Maestro ed esemplare: cioè premunirsi di tutte le cautele tanto pel corpo , che per le anime nostre . Dico anche per le anime ; perchè in questi tempi di pubbliche malattie occorrono dei pericoli anche per l' anima più del solito, per la libertà maggiore del trattare, ed altre cagioni. Perciò in questo punto ci vorrà una somma vigilanza e provvidenza da parte dei Superiori. Voi pensateci; e mandatemi tutti i vostri riflessi, e un piano circa il modo di procedere de' nostri nel caso della malattia, dove tutto sia ben cautelato: ve ne incarico espressamente; questa è cosa vostra personale. Il Vice7superiore me ne farà uno anch' egli; ma non dovete comunicare insieme; ma ciascuno pensare da sè, scrivere e mandare. Io poi vi manderò, se ci sarà bisogno, un Regolamento definitivo per vostra buona regola. Addio, pregate istantemente e abbracciatemi tutti, facendo sapere a tutti la consolazione mia della loro generosa disposizione. Qui siamo tutti dello stesso cuore, e ci siamo offerti al Vescovo, prima d' ora. Anzi questo desiderio che facciate anche voi altri. Fate una bella lettera al Vescovo, offerendovi in essa a qualunque uso e luogo per tutta la Diocesi, in che egli vi vorrà adoperare in aiuto spirituale e corporale de' malati (non però in aiuto corporale di donne, chè questo lo escludo assolutamente), e dite in questa lettera che ciò ognuno fa per ispontaneo suo volere e maturo consiglio, fidando in Dio, ed avendone ricevuto il consenso e la permissione dal vostro Superiore. Poi sottoscrivetevi tutti cominciando dal Vice7superiore, e quindi voi, il Molinari e tutti gli altri, non esclusi i laici; sicchè tutti i nostri sieno anche in ciò un' anima sola ed un solo olocausto; non ne manchi uno solo. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] 1.32 Io temo che quelli ai quali Ella ha affidato l' esame delle Costituzioni, non ne abbiano bastevolmente penetrato lo spirito. Essi sembrano essere intimoriti dalle gravi obbligazioni di coscienza che impongono. Ma l' Altezza Vostra non ha che a rileggere il paragrafo 16., che è l' ultimo delle Costituzioni, per accertarsi che non v' è nessuna cosa nelle Costituzioni che obblighi sotto pena di peccato nè pur veniale, eccetto i voti e quelle cose che già sono obbligatorie per altre leggi. Con meno vincoli di coscienza di questi non si può erigere nessuna congregazione religiosa che abbia voti. Può essere che abbia fatto timore quel predicarsi e raccomandarsi da un capo all' altro delle Costituzioni una gran perfezione e una ubbidienza la più perfetta. Ma altro è quello che si propone come meta, altro è l' esigere che questa meta sia conseguita; oltracciò nello stesso tempo che si propone quella meta così alta, si prescrive ai Superiori ogni dolcezza, discrezione, non comandando se non quello che è proporzionato alle forze, in modo tale che ciò che i soggetti fanno, riesca sempre volontario. Questa autorità tutta spirituale e dolcissima de' Superiori, son per dire che sia propria dell' Istituto della Carità, e che l' autorità non sia se non puramente spirituale e persuasiva come quella di un padre spirituale e d' un maestro di spirito. Forse in nessun Istituto religioso l' autorità di comandare è proposta con tanta dolcezza, come nelle Costituzioni dell' Istituto della Carità. La cosa riesce in pratica mirabilissimamente; ed è una vera consolazione a vedere la letizia di tutti i miei compagni, nessuno eccettuato, che benedicono ogni giorno il cielo per la contentezza di cui godono. I Superiori ancora possono sciorre i membri da' voti; ed è loro prescritto di farlo ogni qual volta credessero che questi riuscissero de' vincoli troppo stretti e pericolosi, perchè il fine è la salute delle anime de' membri stessi. Voglia dunque Vostra Altezza assicurarsi intieramente su questo punto; voglia restituirmi il suo pieno compatimento e la prima sua cooperazione ed appoggio, e possa io sperare che Ella me lo presti di tutta sua persuasione. Io credo che l' opera sia adattata ai tempi, e che riuscirebbe sicuramente se Ella il vuole; non dico senza delle difficoltà, perchè di queste pur troppo se n' incontrano in ogni cosa, e dobbiamo anche noi aspettarne, ma dico senza difficoltà insuperabili, ecc.. 1.32 La venerata sua lettera degli . corrente mi ha prodotto incredibile consolazione per il pensiero che Le ha ispirato Maria santissima. Oh il bel pensiero, che fu questo! Lo eseguisca senza perdere tempo, ed Ella corrispondendo a questa inspirazione, s' acquista sicuramente un nuovo titolo alla protezione della Vergine, nostra carissima Madre, da cui dobbiamo aspettare ogni lume e conforto. Sì, la cara e benignissima nostra Madre Maria sarà quella che Le darà ogni consolazione al cuore, e quella tranquillità e pace di animo che è tanto necessaria, e che, sebbene indegnamente, Le prego ogni giorno. Abbandoniamoci alla divina Provvidenza e speriamo nella bontà di Gesù Cristo e nell' intercessione della sua santa Madre. Non siamo troppo solleciti, e non ci chiameremo pentiti di questa nostra confidenza e di questo nostro abbandono. E` vero che siamo tanto miserabili e che abbiamo tanti difetti! E chi non ne ha? Ma la grazia di Gesù Cristo può purificarci in un istante. E qual miglior mezzo di ottenere questa grazia, che è il solo vero bene di cui abbisogniamo, se non quello di fare opere della sua gloria, e farle unicamente per la sua gloria? Lungi da noi ogni altro pensiero: se noi penseremo solo al nostro Padre celeste, dimenticando noi stessi, egli allora penserà a noi; egli è il padrone del tutto, e nelle sue mani pende tutto ciò che abbiamo, e che siamo, i nostri averi, la nostra salute, la nostra vita e la nostra morte; egli mortifica e vivifica. In lui dunque solo confidiamo e pienamente riposiamo. Oh qual quiete dolce e piena di contento non dà il pensare che siamo nelle sue mani! E` impossibile, se abbiamo fede, che vogliamo turbarci: tutto succede secondo i consigli della Provvidenza, anche i nostri stessi falli. Siamo dunque contenti di tutto, e amiamola ogni dì più questa Provvidenza: seguiamola, ed essa ci scorgerà soavemente per la via della nostra eterna salute e della pace, « quae exsuperat omnem sensum ». Io qui sono consolato assai, perchè ho trovato le cose in ottimo stato. Sia lodato Iddio di tutto: egli sa solo tutte le cose. Finisco baciandole umilmente la mano, e implorando la pastorale sua benedizione sopra chi, col più alto rispetto, gratitudine e affezione sincera, si dice, ecc., A. R.. [...OMISSIS...] 1.32 Sieno grazie al nostro buon Dio, che, come sento dall' amico Mellerio, avete cominciato a fare la trottata; egli mi dice che non avete vinta ancora la tosse, che sola vi toglie dal dirvi pienamente rimesso in istato: ma spera ed io pure, che se n' andrà. Intanto questi son tutti sperimenti che ci fa prendere il Signore di noi stessi, acciocchè veggiamo nullità che noi siamo. E che varrebbe saperlo speculativamente, se non avessimo acquistata la scienza sperimentale ? Oh quanto è vana la scienza puramente ideale, se non abbiamo delle verità la prova reale! Quella scienza non penetra fin dentro al cuore, il quale praticamente resta incredulo, perchè è duro e tardo a credere, se non isperimenta. L' essere tentato dai mali, all' incontro, e quasi oppresso, abbassa l' altezza del nostro pensiero, e ci costringe quasi involontariamente a riconoscere ciò che siamo, senz' alcuna illusione. E il senso di tanta nostra miseria vien reso dalla grazia il veicolo che ci conduce alla cognizione di Dio. Poichè non trovando in noi altro che miseria, e non altro in questo mondo che tribolazione, il nostro cuore, che non può starsi senza un bene ed un amore, si rivolge finalmente a Dio, quasi per una felice necessità di cui si serve la grazia, ed in Dio intieramente s' abbandona; ed allora incomincia a riconoscerlo per il solo bene, e ad averlo per il solo suo amore, e sente, oh quanto! la verità di quelle parole di Cristo: « « Venite a me, o voi tutti che affaticate e siete aggravati, ed io vi ristorerò » ». E quanto bene, che prima gli era incognito, non trova allora il nostro cuore in Dio! E con quale affetto allora pronuncia quelle dolci parole: « Deus meus et omnia »! E gli pare d' essere troppo felice per quelle stesse infermità che tanto contrariano la natura, giacchè per mezzo loro, privato della lusinga de' beni naturali, sente che Dio solo basta a tutto e soprabbasta ad ogni suo desiderio. Oh preziosa semplicità dell' amor di Dio! O ricca nudità dell' anima, che, libera dall' ingombro delle dilettazioni terrene, si converte tutta al suo Creatore! Ella ha un tal valore questa conversione dell' anima desolata e nuda dei beni naturali al bene sommo ed essenziale, che Iddio n' ha fatto il fiore della sua provvidenza in sul genere umano, che per essa ci ha lasciato le infermità e la morte, che fa di essa le delizie de' suoi più cari e il lor patrimonio ricchissimo, e che al suo diletto Figliuol solo n' ha dato la pienezza, nelle angoscie inenarrabili della sua vita e della sua morte. Ah! noi pure avventurati, o mio Giulio, se il seguiremo dietro la sua voce: « « Chi vuol venire dopo di me, anneghi se stesso, e tolga la sua croce, e sì mi segua » ». Tale e tanto conforto il Signore ha aggiunto a' nostri mali! Il Signore, che a ciascun che soffre e che ama lui, dice: « Sono io stesso con lui nella tribolazione, e nel trarrò io fuori, e lo glorificherò », patisce egli stesso con noi, e quasi non fosse ciò abbastanza a renderci dolce ogni patire, ci aggiunge ancora che ce ne trarrà fuori, e ci glorificherà. E di che gloria! « Non sono condegne - dice l' Apostolo - le sofferenze di questo tempo verso alla gloria futura che si manifesterà in noi ». Quivi adunque, in questa gloria abitiamo, fin da ora, per la fede: chè la conversazione del cristiano dee pur essere in cielo, secondo l' Apostolo stesso. E se siamo in cielo collo spirito, colla mente e coll' affetto, che sarà per noi mai questo mondo corruttibile, sopra cui ci siamo immensamente innalzati? Allora sentiremo tutta la noia di quello che l' Apostolo chiama peregrinare dal Signore , e ci nascerà in cuore quella parola non intesa, se se non da chi gli è dato da Dio, « cupio dissolvi et esse cum Christo ». E se pur viveremo, ciò non ci sarà tollerabile per altro, se non per fare la volontà di quel Signore appunto a cui notte e giorno dall' esilio sospiriamo. [...OMISSIS...] 1.32 Sperava di potervi abbracciare personalmente nel Signore nei primi giorni del prossimo novembre; ma alcuni affari incamminati che riguardano la gloria di Dio e che esigono la mia presenza, acciocchè siano prontamente ultimati, com' è necessario, non me lo permettono, ma richieggono che mi trattenga ancora qualche poco in questo dolcissimo santuario della passione di Cristo, che fu la culla, come sapete, del minimo Istituto nel quale Dio solamente per sua misericordia ci ha insieme congregati e congiunti. Se non colla corporale presenza adunque, almeno però con questa lettera vengo in mezzo di voi, per effondere a voi tutto il mio cuore, e per dirvi con quanta pena io mi stia da voi diviso di corpo (chè di spirito nol sono mai), sollecito del progresso ne' santi vostri propositi. Non già che l' essere io vicino a voi possa arrecarvi qualche grazia, o che io possa molto colle mie parole aiutarvi e sostenervi nelle tentazioni, e spingervi avanti nella virtù: poichè anzi conosco d' essere inetto a tutto ciò, e di non poter nulla, se non forse nuocervi coll' esempio della mia debolezza e miseria. Ma l' amore tuttavia che vi porto in Gesù, nostro strettissimo vincolo, è quello che mi fa desiderare di avere tutti i miei cari compagni nel santo servizio, se fosse possibile, continuamente sotto gli occhi. Poichè l' amore è impaziente di sapere tanto il bene che il male delle persone amate, nè vuole aspettarne la relazione altrui, ma rilevarlo da se stesso e certificarsene cogli occhi propri: giacchè egli vuol godere del bene loro, e vuole esserne certo, e per essere certo di quanto bene abbiano le persone amate, vuol saperne anch' il male. Oltracciò, conoscendo io la vostra carità e umiltà e la vostra dedicazione al Signore, non mi fa meraviglia che vogliate cavar profitto alle anime vostre da tutto, e anche dalle stesse mie parole, ricevendo in buona parte e in edificazione dell' uomo interiore, quanto io vi fossi per ripetere degl' insegnamenti del Signore, sebbene io sia tanto indegno di proferirli. Ed è appunto per questa santa disposizione, che spero essere negli animi di tutti voi, che io voglio dirvi nella presente (ciò che farei a voce se potessi) quanto credo essere il più necessario e vantaggioso per le vostre anime, acciocchè consumino la santa vocazione, nella quale sono per la singolare benignità e carità di Cristo, e nella quale desidero che restino in eterno. Ognuno di voi pensi seriamente ad essere sincero con Dio, cioè a volere col fatto eseguire quanto propongono le regole della Società, nella quale è entrato; il che importa, che noi entrati in questa Società vogliamo sinceramente e pienamente consecrato a Dio solo tutti noi stessi, e tutte le cose che abbiamo al mondo , non avendo d' ora in avanti altro scopo ed affetto ultimo sopra la terra, se non quello di accrescere la gloria di Gesù Cristo e della sua Chiesa in tutti i modi possibili; pronti a qualunque cosa; e massimamente senza attacchi di carne e di sangue, che sono i più fatali di tutti per chi vuol darsi veramente e pienamente a Dio nella nostra società, la quale dee avere siccome scritte in fronte quelle divine parole di Gesù Cristo: [...OMISSIS...] . Ognuno di voi ami tenerissimamente tutti i suoi compagni nelle viscere di Gesù Cristo, senza eccezione alcuna, e sopporti con piena carità i loro difetti, condonandoli loro per amore di Cristo, soffrendoli anche con gusto per propria mortificazione, non pensandoci, e, se fosse possibile, non osservandoli; all' incontro osservando continuamente i difetti suoi proprii e avendone dispiacere, anche per quello che in conseguenza di essi fa sopportare agli altri suoi compagni di molestie e di pene. Ognuno consideri il bene e l' ordine di tutta la Casa come il bene proprio, e faccia tutto quello che può per ispargere nella famiglia sempre più la dolcezza di una tenera carità e l' unione più stretta de' cuori; ognuno cerchi di unire fratello con fratello, e i fratelli coi padri, cioè co' Superiori; e di rimuovere qualunque anche minima cagione che possa diminuire questa unità d' anima e di cuore che abbiamo in Cristo, a imitazione dei primi fedeli. Tutti quelli che cooperano alla perfetta consensione delle volontà e dei cuori sono in Cristo; ma quelli che non si guardano dall' essere cagione di dissapori e amarezze, e anche solamente di freddezze scambievoli, non operano in Cristo, ma piuttosto si fanno ministri dell' inimico di Cristo, e di tutti noi. Siamo tutti un corpo: ognuno è membro del proprio nostro corpo; dunque ognuno da parte sua studi di fare quello che può per la perfetta concordia e sanità delle membra. Specialmente poi ognuno desideri di vedere i propri compagni andare continuamente avanti nelle solide virtù, e a tal fine aiuti i Superiori informandoli di quanto possono credere che sia utile loro sapere per vantaggio de' singoli. Questa carità santa, e questo impegno che ognuno prenderà per il bene spirituale e l' ordine di tutta la Casa, ci mostrerà veri seguaci del nostro Maestro che ha detto: « Gli uomini conosceranno che voi sarete i miei discepoli, se voi vi amerete l' un l' altro ». Finalmente ciò che in singolar modo vi raccomando, si è di studiare di rendervi perfetti nella ubbidienza . Oh quanto è grande, quanto bella questa virtù! Ognuno cerchi di essere ben disposto verso il Superiore: chi è benignamente inclinato verso di lui riceve con gratitudine tutte le cure che il Superiore impiega per suo bene. Le correzioni, le penitenze, le mortificazioni sono de' grandi benefizi: attacchiamoci di cuore a quei Superiori che ce li danno. In tutte le cose dove non si scorge peccato, la voce del Superiore è la voce di Gesù Cristo, la volontà del Superiore è la volontà di Gesù Cristo: e però quello che ci comanda il Superiore eseguiamolo; quello che desidera il Superiore, desideriamolo; quello che egli vuole, vogliamolo. Così si ama Iddio, così si depone se stesso. Ah! miei cari fratelli, non abbiamo volontà propria: non conosciamo ripugnanze e propensioni, non abbiamo altre ripugnanze, che di quelle cose che ci sono da' Superiori vietate, nè altre propensioni, che di quelle cose che ci sono da' Superiori comandate. Vinciamo noi stessi: dobbiamo essere vittima con Cristo, e ciò che ci immola, come Isacco, dee essere il ferro dell' ubbidienza. Tanto mi preme questa virtù, perchè è il fonte di tutte le altre, massime nella società nostra; e perciò vi prego di legger tutti in comune e di meditare, per convertire in succo e sangue, la bellissima lettera di sant' Ignazio sull' ubbidienza; ella par fatta a posta per noi, per la nostra società. Voi vedrete in essa, come il gran fondamento di questa virtù sia la fede che vede nel Superiore la stessa persona di Gesù Cristo, e non considera punto le qualità umane. Con questo fondamento sarete ubbidienti sempre, ed a tutti i Superiori, qualunque sieno: e se i Superiori fossero per se stessi dispregevoli, voi allora appunto acquistereste un merito più grande, e sareste più sicuri di servire ed ubbidire a sua divina Maestà. Di queste massime desidero vedervi forniti, specialmente ogni qual volta mi accade di dover costituire fra di voi un nuovo Superiore, come ora; e perchè credo che lo siate, perciò spero che ne riceverete l' annunzio non solo con illimitata sommessione, ma ancora con amore e con vera spirituale allegrezza. Perocchè considerando che il nostro carissimo fratello e padre don Rigler, Superiore costì di tutti voi, è oltremodo aggravato dalle sante sue occupazioni che il rubano a voi quasi del continuo, e perciò non potete ricorrere a lui ne' vostri bisogni; ho veduto esser necessario di aggiungere a lui un Assistente che faccia le sue veci, e sia una gran parte almeno di tempo con voi, e possiate con lui conferire e ricevere conforto e direzione ogni volta che vi abbisogna. Al qual fine ho pregato caldamente il Signore che m' illumini, e fatto pregare per trovare quello che meglio convenga, considerate tutte le circostanze; e finalmente mi sono risoluto di dichiarare Assistente del Superiore di Trento il vostro e mio carissimo don Giulio Todeschi, colla fermissima fiducia che come egli vi sarà l' interprete fedele della volontà del Signore, così voi sarete quegli umili e docili soggetti che avidamente riceverete e fortemente eseguirete la medesima divina volontà che egli vi manifesterà. Non è bisogno che vi lodi questo nostro carissimo fratello, perchè voi lo conoscete, e col destinarlo a tale ufficio, mostro abbastanza la stima che ho di lui. Piuttosto vi scongiuro tutti nelle viscere di Gesù Cristo a sopportare i suoi difetti, se ne ha come uomo, giacchè qual uomo mai ne è esente? e a rammentarvi quello che ho detto innanzi, che i difetti del Superiore rendono infinitamente più meritoria e cara a Dio l' ubbidienza de' sudditi. Ma chi di voi sarà un vero ubbidiente e un vero discepolo di Cristo, assai più che i difetti, se ce ne ha, vedrà ed amerà le rare virtù di cui il nuovo vostro Padre va fornito, e con una carità che crescerà ogni giorno, unirà una devota riverenza verso di lui. Ah! vi supplico tutti, quanto so e posso, date nuove prove ogni giorno della vostra sincera umiltà e annegazione, e mostrate che nell' uomo, mediante la fede, mirate continuamente non l' uomo, ma Dio. Non aggiungo di più, e so che neppur di questo era mestieri; ma ho voluto dire tutto ciò, perchè siate sempre aiutati a rammentarvi ed avere vive nella mente quelle grandi verità che già sapete, le quali formano le basi della vita religiosa, e perchè conosciate la mia premura e il mio amore continuo che anche assente ho per voi. Ed abbracciandovi tutti al seno in Gesù Cristo nostro Capo e Maestro, nostra delizia, ogni cosa, mi raccomando alle vostre orazioni, e vi benedico. Il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo abiti nei vostri cuori perpetuamente. Così sia. [...OMISSIS...] 1.32 Le mando qui una carta intitolata « Regolamento dell' Istituto », nella quale c' è tutta la descrizione in breve dell' Istituto della Carità. La prego di farla copiare pulitamente, e di umiliarla, in mio nome, all' Em.mo cardinal Weld, che desidera avere notizia precisa e diretta di questo Istituto. La relazione che l' Istituto ha coi vescovi, di cui l' Em.mo desidera special contezza, la troverà chiaramente esposta al N. 15 del suddetto Regolamento. A mio parere la natura dell' Istituto è tale che non può mai venire in collisione coi vescovi, perchè egli non agisce che dietro le richieste principalmente de' vescovi, ed è soggetto a questi in quanto alle funzioni sacerdotali e alla cura d' anime; restando soggetto a' propri Superiori in quanto al governo interno dell' Istituto medesimo, al mantenimento delle Regole, alla distribuzione de' soggetti, e all' assumere o non assumere, ritenere o dimettere gli uffizi, che egli mai non cerca, ma solo assume dietro le dimande del prossimo. Dimanda ancora S. Em.za, come intendo dalla sua lettera, qual sarebbe il sistema e modo di agire che don Gentili e compagni si propongono di tenere in Inghilterra. Se alla Provvidenza piace che il Gentili si rechi in Inghilterra con de' nostri « egli si propone di tenere un modo di agire tutto uniforme al « Regolamento » annesso, un modo di operare cioè quieto e tranquillo, che da principio si restringerebbe a fare strettamente, nè più nè meno, i doveri propri dei cristiani e de' sacerdoti, e starebbe aspettando gli ordini del vescovo e le dimande del prossimo. A quelli e a queste egli intenderebbe di prestarsi con prontezza e indifferentemente in ogni genere di opere buone, fino che bastassero a lui ed a' compagni suoi le forze ». Questo sarebbe il procedere ch' egli terrebbe, e questo è il modo di procedere nostro: nulla facciamo di proprio moto, se non i doveri strettamente privati; mossi poi da' prelati principalmente, ci prestiamo a quelle prime opere, qualunque sieno, che ci vengono dimandate. Che « se si volesse dare al Gentili co' compagni il peso d' una parrocchia, anche questa l' accetterebbe, e l' amministrerebbe secondo le leggi canoniche ed i voleri del vescovo, senza eccezione o privilegio alcuno; se poi si volesse impiegarlo nella predicazione, egualmente; se nelle scuole, pur sarebbe pronto; se nelle opere di carità, come spedali de' poveri, ed altre simili cose, di gran cuore le accetterebbe. Insomma l' Istituto nostro vuole avere dei sacerdoti che, senza predilezione, non abbiano altro in mira se non di prestarsi con missione , cioè non di proprio moto, e di prestarsi a tutto, giacchè Iddio solo credono di servire egualmente in tutte le cose ». Se mai l' Em.mo Weld desidera sapere qualche altra cosa, ove si degni di farmela conoscere, mi onorerò di comunicare tutti gli schiarimenti desiderabili. Ora veniamo a noi, mio caro Quin. Ha fatto bene a non entrare Ella a parlar della natura della Società, e faccia così anche per l' avvenire, non comunicando a nessuno quello che ha, senza licenza espressa. Desidererei molto di averla con noi qualche tempo in questa sacra solitudine, dove il carissimo Gentili fa progressi grandi nelle virtù. Non dico che desidererei di averla come de' nostri: questa non può esser che l' opera di Dio: io non v' entro, e non desidero se non quello che Dio Le ispira nel cuore; sono però certo che il desiderio della perfezione non viene che da Dio, e perciò, sebbene io non La esorti punto a prendere il nostro Istituto, tuttavia La esorto quanto so e posso a seguire i consigli evangelici, perchè i consigli di Gesù Cristo sono ottimi, senza bisogno d' alcun esame, come insegna san Tommaso; e ogni cristiano per seguirli non ha bisogno di dimandare consiglio di direttori, ma solo di risolversi con generosità a darsi tutto e senza eccezione alcuna al suo Dio. Oh beati quelli che intendono la bellezza de' consigli dati agli uomini dal divino Maestro! Non c' è oro nè gemme che si possano mettere a confronto col prezzo di que' consigli. Perciò li segua animosamente, ma in quell' Istituto al quale la volontà di Dio piegherà il suo cuore. Ad ogni modo caro assai mi sarebbe il vederla, l' abbracciarla, e l' averla meco qualche tempo. La prego di tradurmi in buon inglese il « Regolamento » e di mandarmelo. 1.32 « La buona novella, dopo diciotto secoli, è nuova tuttavia per il mondo che l' ha sentita, senza comprenderla ». Dite bene, mio caro Tommaseo, è nuova per il mondo, « tenebrae eam non comprehenderunt », e sarà sempre; ma non pe' Santi che l' hanno sempre compresa in tutti i secoli. I figli di Dio sono stati sempre e sempre saranno, « et fulgebunt quasi stellae in perpetuas aeternitates ». Non è dato agli uomini di accrescere il numero di questi d' un solo, nè è in potere dell' uomo diminuirlo di un solo. Iddio gli ha contati, e nessuna creatura può alterarne il conto. L' uomo può essere superbo, ma non disperdere la superbia degli altri uomini: Iddio solo dall' alto sperde la superbia di tutti. Tutto ciò che sta nella perfezione dell' ordine morale, Iddio l' ha riserbato a se solo; e, se usa degli istrumenti umani come ministri di quest' ordine, egli li ha scelti « ab eterno. Ego elegi vos »; non fu scelto da loro: « non vos me elegistis »; sicchè l' uomo in quest' ordine soprannaturale di cose è sempre inutile per se stesso: « servi inutiles sumus »; e guai a chi si intrude! « non mittebam prophetas, et ipsi currebant ». Non ha l' uomo altra incombenza, che quella de' propri doveri morali, conformandosi a colui che disse: « « Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore » ». Ma chi segue il Vangelo, nella sua umiltà e mitezza è leale e generoso; non teme di annunziare tutta la verità che è il suo bene, e di confessare Cristo; e non sa fare nè per viltà, nè per ingannevole speranza di produrre un bene che Dio non vuole, alcuna transazione colle massime carnali e collo spirito omicida di questo mondo. Il Vangelo basta a se stesso. Dio è tutto, e il giusto nei beni eterni ha tutto il suo cuore: è da ciò appunto che scorre da se stessa la felicità anche temporale, come un fiume uscente da un mare; non dico ogni felicità che la nostra cupidigia desidera o s' immagina, ma quella felicità temperata che sa Dio più convenire a' suoi disegni di misericordia pei predestinati ai regni immortali. La sventura, la croce sarà sempre un dolce tesoro ai discepoli del Cristo, e non mancherà loro: nel tempo stesso che la loro carità universale è portentosa, non penserà che di alleggerire e sollevare la croce che pesa in sui fratelli. Non ha dunque bisogno la religione di essere giustificata con industrie umane; ma, osservata, si giustifica da se stessa: è il fatto quello che mostrar dee i buoni effetti temporali venienti spontanei dalla osservanza della legge: « Mirabile cosa, diceva pur bene quell' uomo di legge: la Religione cristiana, che non sembra avere altra cura che delle cose del Cielo, è quella che produce anche il bene di questa terra! »Sì, « pietas, ad omnia utilis »: ma pietà, e non cupidigia. Sì, la carità sia lo stimolo; un amore di Dio, un amore degli uomini per Iddio; tutto è possibile alla carità. In tal modo gli interessi umani non sono cercati direttamente; è il solo regno di Dio che hassi direttamente a cercare: « Cercate prima il regno di Dio, - il resto vien da sè, - e tutte queste cose vi saranno aggiunte », perchè sa il Padre celeste che n' avete bisogno. La Chiesa ne' suoi santi mostra una sapienza più alta ancora, una sapienza non intesa dal mondo, anzi chiamata stoltezza: ella fugge i beni materiali, ella vive d' astinenza, di mortificazione, di volontaria povertà, ed ha scritto sul suo petto: « beati pauperes ». A questi è venuto Cristo ad evangelizzare, a questi è venuto a comunicare i suoi tesori Colui che non aveva ove reclinare il capo. Ben è vero che dalla radice della povertà nasce un frutto contrario alla madre: le ricchezze corrono là, dove questa povertà si è mostrata: ecco come s' è arricchita la Chiesa: ecco l' unico mezzo onde la religione del Crocifisso può giungere a signoreggiare gl' interessi materiali. Ma, oh quanto il Consiglio di Dio è alto sopra i consigli degli uomini! Allora appunto che la Chiesa è carica delle spoglie d' Egitto come di altrettanti trofei, allora ch' ella pare divenuta l' arbitra delle sorti umane, allora solo ella è come impotente, ella è il Davidde oppresso sotto l' armatura di Saulle: quello è il tempo del suo decadimento. E l' Eterno che vigila a' suoi destini, dopo averla così umiliata, averle fatto conoscere ch' ella è composta di uomini soggetti alla tentazione, averle mostrato per un' amara esperienza che in lui solo ella è forte e può confidarsi, mosso a pietà di lei, concede alla ferocia del secolo di buttarsi sui beni temporali della Chiesa, e farne bottino; riducendola in tal modo a quella sua originaria semplicità che, amabile sopra ogni bellezza muliebre, trae di nuovo a sè tutto, per tutto nuovamente deporre al cenno non degli uomini, ma dello Sposo, quando le dica; « Sorgi, t' affretta, amica mia, colomba mia, e te ne vieni ». [...OMISSIS...] Le due Case vanno bene per la grazia di Dio: lo scopo loro è tutto morale religioso, non è uno scopo particolare, ma lo scopo comune a tutti gli uomini, il fare i proprii doveri, il mantenere la legge di Dio, e perciò può prender per motto; « in lege Domini voluntas eius »: nulla di più semplice, ed io credo altresì nulla di più dolce. Ciò dunque perchè si distinguono dagli altri cristiani, non è per lo scopo, ma per l' essersi alcuni associati per aiutarsi scambievolmente ad ottenere questo scopo. Nel libretto che ho stampato a Roma col titolo « Massime di perfezione », c' è tutto, eccetto l' ubbidienza, poichè non si parla in quel libro di Società. Addio, pregate per me. [...OMISSIS...] 1.33 L' indifferenza di S. Ignazio non riguarda il fine , ma i mezzi . Possiamo e dobbiamo sospirare incessantemente il fine, e dire col massimo affetto: « adveniat regnum tuum »; ma dobbiamo essere indifferenti su questi o su que' mezzi, pei quali la divina bontà ci voglia condurre al fine. Ciò che è degno di altamente meditarsi si è, che noi non conosciamo nè pure quali sieno i mezzi particolari che ci facciano ottenere il nostro fine. Siamo ignoranti, e perciò conviene rimetterci a chi ci vede, che è Dio, ricevendo tutto dalle mani di Dio con perfetta indifferenza. Tutto sta dunque in trovare i segni del divino volere. Senza questi, so io che lo studio, in ragion d' esempio, sia la strada della mia eterna salute? Quanti vi hanno trovato l' eterna dannazione! So io che la predicazione mi gioverà? Quanti, predicando agli altri si sono resi reprobi! Tutta la vita, la perfezione, la morale cristiana sta nel dare il giusto peso a questa parola Eternità . - Ma ella è futura. - Appunto per questo gli uomini, trattenuti dal glutine della vita presente, non danno la dovuta importanza all' eternità, e giudicano stolti quelli che gliela danno. La vita futura risponde a quella dimanda: da mihi punctum . E` il punto fuori del mondo, sul quale la religione punta la leva e muove il mondo stesso. O conviene rinunziare alla religione, o conviene ammettere che questo è vero. Se poi questo è vero, tutto è indifferente fuori che Dio, fuori che la parola di Dio, i segni della volontà di Dio, i mezzi conosciuti pe' segni della volontà di Dio; insomma Dio solo in tutte le cose: « et exaltabitur Dominus solus ». Un giorno non sarà più virtù amare la vita eterna, perchè sarà presente. Virtù è amarla ora, perchè è lontana. Oh non lascino gli uomini passare inutilmente questo tempo del merito e della virtù! Ecco il mio voto. 1.33 Mio soavissimo amico e fratello in Gesù Cristo nostro bene, Cercate di piantare in tutti un amore sviscerato per la verità e per ogni bene . Dominando in noi un grande e prevalente amore della verità , noi la cercheremo da per tutto, e ci chiameremo sempre felici quando potremo averla acquistata. Se mai noi la troveremo nelle parole di un nostro amico o fratello, ella riuscirà ancor più cara, e gli resteremo obbligati d' averla insegnata. Se dovremo deporre una nostra opinione per la verità, qual cosa più dolce di questo? Subito con un sentimento di bella umiltà diciamo: « io era in errore, ora ho conosciuto il vero: ne sia lode a Dio: lo sapeva già di essere ignorante ». Infatti noi dobbiamo sapere e tenercelo ben certo, che siamo ignorantissimi, anzi l' ignoranza stessa in persona. E l' ignoranza ricuserà d' imparare? oh questo poi no. Per tal fine non fuggiamo la disputa accademica : anzi, io vi do per consiglio di cercarla voi stesso, ma sempre con buon umore, con ilarità, umiltà e carità; oh quanto bel campo non troverete in essa da esercitare tutte queste virtù, da sempre più conoscere voi stesso, e da vincervi salutarmente! Sapete già la bella dottrina dello Scupoli: per andare avanti nella virtù, conviene sfidare a battaglia, cimentare i nostri vizi, fuori che in ciò che è contrario all' onestà. Di questo dunque vi consiglio. Parimenti posso dire dell' amore del bene . Se noi abbiamo un vero e compìto amore pel bene, noi ameremo sicuramente ogni bene dovunque lo troveremo, in ogni persona, in ogni circostanza, sotto qualunque forma. Ah! la nostra bella legge è legge d' amore: l' amore non odia nè invidia chicchessia; egli non vuole in ogni cosa che il bene. Così si forma un' anima dilatata, che corre nella via dei divini comandamenti. Per riuscire ad ottenere questo, spargiamo lagrime dinanzi a Dio giorno e notte; e i nostri sforzi saranno certo coronati. - Ora qui nella Chiesa capitolare si sta facendo il Giubileo: i predicatori sono don Giacomo e don Giovambattista. Don Luigi è impegnato pel prossimo quaresimale. Abbiamo dimande di missioni da tre luoghi. Domenica scorsa abbiamo ricevuta l' abiura di un nuovo calvinista; ed è il ventesimo che abbiamo la consolazione di riunire alla Chiesa cattolica dopo che siamo qui. Sia lodato il Signore. Insomma, affari non ne mancano: « rogate Dominum messis ». Le Figlie della Provvidenza prendono un buon avviamento per la misericordia divina. Da per tutto se ne vorrebbero: fin ora non ne abbiamo conceduto che a Torino; ma presto dovremo darne ad altri luoghi. Preghiamo tutti d' accordo il Signore per tanti bisogni che abbiamo. Se egli non ci assiste, che possiamo noi fare? Vi raccomando l' anima di un mio condiscepolo che amai tanto. [...OMISSIS...] 1.33 Ho ricevuto la lettera vostra e quella del conte Salvadori, colle quali mi parlate del tentativo che si sta facendo di erigere una casa di ricovero pei poveri nella mia patria; e mi chiedete di voler entrar anch' io in parte della spesa necessaria per quest' opera. In quanto a quest' ultimo punto, io non mi ricuso; e scrivo al conte Salvadori di dar per me quella somma maggiore ch' io posso. Dopo di ciò però permettetemi, mio caro D. Paolo, ch' io vi dica candidamente il mio sentimento, come si fa cogli amici, intorno al merito di questo progetto e di questo tentativo. Non voglio già far torto alle intenzioni; e sono persuaso che molti per puro zelo del bene e per un sentimento di vera carità si facciano promotori di quest' opera, e uno di questi siete voi, mio carissimo. Ma in quanto all' opera stessa, in quanto alla massima de' reclusori de' poveri, io ho variato di sentimento. Fu un tempo nel quale io accoglieva con entusiasmo tutti questi progetti e piani di pubblica beneficenza, e debbo forse rimproverarmi di aver guardato qualche volta con un occhio severo e disdegnoso quelle persone che si mostravano fredde a cooperarvi, o di contrario avviso. Ma ogni anno si fa qualche riflessione nuova, si aumentano le osservazioni, e si vanno verificando le cose, come sono in realtà, senza lasciarsi ingannare (o piuttosto disingannandosi) dalle apparenze, dalle promesse, e da quelle speranze senza limite, che una fantasia giornaliera e ancora verginale somministra incessantemente ad un cuore benevolo. Io vi dico la verità, non sono più amante de' reclusori de' poveri dopo averne veduti tanti, e dopo aver letto ciò che uomini savii hanno scritto sopra di essi, e più di tutto dopo aver meditato io stesso sull' intrinseca natura della cosa. Egli è bensì vero che v' ha una infinita differenza da reclusorio a reclusorio, il che nasce dalla diversità de' loro regolamenti e del primo loro impianto: ma appunto l' estrema difficoltà di dare un regolamento sapiente ad un tale istituto è uno degli scogli che s' incontrano, e che gli uomini superficiali non calcolano per nulla. Un altro timore mio si è che questi istituti, i quali, al modo che si concepiscono comunemente oggidì, appartengono ai protestanti, non sieno già effetti di una vera carità cristiana, ma piuttosto del sottile egoismo e della mollezza del secol nostro, il quale contraffà la stessa carità, e veste i vizi da virtù, facendo servire con una perpetua finzione e colla più indegna ipocrisia le cose tutte al proprio interesse. In vero nè Gesù Cristo, nè gli Apostoli ci hanno mai insegnato a non poter sopportare sotto gli occhi nostri i poverelli e ad allontanarne il loro aspetto da noi: Gesù Cristo e gli Apostoli non ci hanno mai insegnato ad essere tanto insofferenti che ci riesca di una noia insopportabile il sentirci a domandare un pezzo di pane, talora più colle lagrime che colle parole. Non è egli una gran durezza di cuore l' esserci cosa insopportabile che il sentimento della nostra compassione sia suscitato dalla vista delle miserie de' nostri simili? E` questo sentimento una cosa sì trista, che si convenga far di tutto perchè egli non sia in noi mai commosso, e da dover inventare un sistema per giungere a far sì che il pubblico non abbia mai bisogno di essere compassionevole? saremo più felici quando la nostra compassione non sarà mai più eccitata? la società si renderà migliore? Voi direte che non si fa per questo il reclusorio de' poveri; ma per impedire la mala vita di molti e l' ozio coperto sotto la professione di povertà. Mio caro D. Paolo, l' uomo nelle sue operazioni ha de' secreti che non vuol rivelare a tutti: il suo cuore talora non si rivela neanche a lui medesimo, se pur l' uomo non faccia una sottile disamina di sè stesso; perciò ben sovente le operazioni umane hanno un pretesto ed un motivo. Il pretesto si dice, ed il motivo si tace. Considerate con profonda attenzione ciò che ho detto e ne sentirete la verità: ma ch' io l' abbia detto nol dite a persona del mondo, perocchè gli uomini non la perdonano mai a chi rivela un loro secreto. [...OMISSIS...] 1.33 Ho letto le vostre lettere, ed ecco quanto il Signore mi suggerisce al cuore di dirvi. State certo che ogniqualvolta, venendoci proibite dai superiori le penitenze, noi sofferiamo una grande alterazione, un turbamento eccessivo, una grave malinconia, egli è segno che vi è dentro di noi un gravissimo difetto; che vi è un attacco pernicioso a quelle mortificazioni e penitenze che noi facevamo, sieno esse poche o molte, ciò non importa. Questa è dottrina sicura, mio caro, confermata da tutti i Santi. Noi dobbiamo fare le mortificazioni e le penitenze in modo da poterle lasciare al menomo cenno del Superiore o del Confessore, senza nessunissima difficoltà, anzi con allegrezza grande di cuore; perchè tutto ciò che vuole l' ubbidienza ci dee rallegrare sempre, qualunque cosa ella voglia, e senza pensare altro. Se l' ubbidienza non ci rallegra, ma ci rattrista, ma ci fa dare indietro, ma ci fa pensare all' una cosa e all' altra, e c' induce a biasimare nel nostro cuore il comando; la cosa è chiara, noi siamo ben lontani dalla perfezione, e colle penitenze che facevamo prima, c' ingannavamo miseramente, credendo d' andare avanti nella strada delle virtù: ma sotto la cenere ed il cilicio abitava pur troppo il serpente. Ringraziate dunque di tutto il vostro cuore la misericordia del Signore, che si è servito della voce del vostro Superiore per trarvi d' inganno e farvi vedere la verità coll' esperienza appunto che avete fatto di voi stesso, alla prova del dover lasciare le penitenze. Orsù rallegratevi dunque, e presentemente occupatevi a vincere in voi questo difetto ed a rendervi perfettamente indifferente a far penitenze ed a tralasciarle, sì che serviate il Signore con gran libertà di cuore, e confidando nella sua bontà e non nelle opere penitenziali per sè stesse. Tutti i pensieri che vi vengono contro questa dottrina, per quanto sembrino pii, non sono che sofismi, che vi fa il finissimo demonio per ingannarvi. Iddio vuole che confidiate in lui solo: e Iddio non vi mancherà se cercherete non le penitenze, ma l' ubbidienza: a quest' ultima troverete annessa un' abbondante grazia. Abbiamo dunque scoperto il nemico, la vittoria vostra sarà certa. Attendo vostre lettere per sentire che vi scuoterete d' attorno le tentazioni; e negando il vostro giudizio, correrete ilaremente per la via giusta che il Signore vi mostra per sua misericordia. Vi abbraccio teneramente. Salutatemi tutti i nostri cari; a molti de' quali debbo e desidero scrivere da molto tempo, massime al caro don Giacomo. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] 1.33 Chiamandovi Iddio per la bocca de' vostri Superiori ad assumere (benchè per ora solo in prova) la Scuola elementare de' fanciulli del comune di Calice, voi ricevete con ciò una dolce e grave missione, della quale dovrete render conto ai Superiori vostri, e, ciò che è più, al tribunale del vostro Creatore, onde veracemente vi viene da esercitare tale ministerio di carità. E però l' amore, che vi porto vivissimo nel Signore, mi stringe a dovervi munire, in tale circostanza, della presente breve Istruzione, sulla quale dirigendo la vostra condotta, l' incarico datovi vi diverrà, come io spero, una via diritta pel Cielo. Primieramente vi raccomando di badare, che il nuovo ufficio non diminuisca punto in voi il raccoglimento religioso, l' esattezza nel mantenere le regole e la piena dipendenza e sommissione verso i vostri Superiori; ma che anzi queste virtù in voi s' accrescano, rendendovi per amore di Cristo via più simile a que' fanciulli, che or venite ad avere sempre sott' occhio, e ne' cui teneri cuori dovete coltivare le care virtù proprie dell' infanzia, quali sono la semplicità, la purità, la mansuetudine, la sincerità, la docilità e la dolcezza. Per conoscere quanto dovete amare in Gesù Cristo i fanciulli, che vi vengono consegnati, meditate spesso quanto stanno a cuore al divin Redentore, e quelle sue parole: « lasciate che i pargoletti vengano a me »; come pure quelle altre: « chi avrà scandalezzato uno solo di questi pargoletti, che credono in me, meglio sarebbe stato per lui che, sospesagli al collo una mola da mulino, fosse gittato nel profondo del mare ». Proponetevi di condurre i fanciulli come esseri ragionevoli e cristiani coi due mezzi della ragione e della fede ; chè altro non si dà, che meglio possa nell' uomo, di questi due mezzi. Perciò voi dovete arricchire l' animo de' giovanetti di motivi di operare sempre puri e nobili; giacchè questi soli sono ad un tempo ragionevoli ed evangelici; e le intenzioni torte e ignobili, che inavvedutamente si seminano ne' teneri fanciulli a ritroso della retta natura, recano in essi un guasto segreto e, quasi direi, una etisia morale fino nei primi loro anni infantili, e sono l' origine sconosciuta di quegli aperti vizi, che contaminano l' età matura e straziano la società. Ma sappiate tuttavia, che il giovanetto non viene corretto e abbonito, se non dalla interna operazione di Dio, che l' aiuta a custodire i divini comandamenti, come dice il salmo: « in che corregge il giovanetto la sua strada? nel custodire i tuoi comandamenti »; però dovete con ferventi preghi ottenere che Gesù, solo maestro degli uomini, accompagni e avvalori le vostre sollecitudini, mantenendo e sviluppando in essi la grazia del Battesimo. Per infondere poi ai giovanetti un abito di operare con ragionevolezza e secondo il lume divino, vi conviene quest' abito mostrarlo loro nel vostro proprio contegno. Tutto ciò che voi fate adunque sui loro occhi, e tutto il trattar vostro con essi sia pacato e pieno di lume; e cotesta chiarezza e pacatezza del vostro operare vi renderà più amabile a loro, che non farebbero delle carezze senza ragione. Vi raccomando adunque quella dolcezza non ricercata, che nasce spontanea da un operare nella tranquillità della luce interiore, dove non havvi mai indizio di passione, o d' ira, e che la divina Scrittura mette sempre in compagnia della sapienza, mentre alla stoltezza dà per carattere l' iracondia. « « L' iracondia, leggesi in Giobbe, veramente uccide lo stolto » (c. V) »; e ne' « Proverbi : « la verga della superbia è nella bocca dello stolto »(c. XIV) », e poco appresso si legge anche questa bella sentenza: « « quegli che è paziente governa assai cose colla prudenza; ma quegli che è impaziente fa apparir ben grande la sua stoltezza »(ivi) ». Le quali sentenze, ed altre tali delle Sacre Lettere vi forniscano spesso materia alle vostre meditazioni. Mantenete con religiosa puntualità le ore prescritte alla scuola e tutto ciò che viene ingiunto dai « Regolamenti » intorno alle Scuole elementari e dai « Capitoli » del comune di Calice. Tanto di quelli poi come di questi sarà vostra cura di procacciarvi due copie, e comunicarne una a chi tiene ufficio di Superiore nella Casa del Sacro Monte, che la riporrà negli archivi. Abbiate un vero zelo, acciocchè i giovanetti a voi affidati imparino a francamente leggere, scrivere e conteggiare, e gli altri oggetti, scopo della scuola. E a tal fine voi dovete por l' animo vostro a procacciarvi tutte le cognizioni a ciò opportune, le nozioni di una buona pedagogia, e la maniera pratica più confacevole a dare con perfezione l' istruzione, facendo conto dei libri che vi possono a ciò giovare. Finalmente considerate che voi riuscirete probabilmente, se così ne piace a Sua Divina Maestà, il primo maestro elementare approvato dall' Istituto della Carità; e che vi incombe perciò il dovere di rendervi forma e modello di quelli che Dio volesse mandare di poi. Farete, prima di cominciare il vostro ministero, quindici giorni di spirituali esercizi a fine d' impetrare la grazia che vi abbisogna, e di prepararvi allo stato chericale, a cui sarete ascritto ricevendo la chericale tonsura. E dopo che, assistito dal divino aiuto, avrete dati argomenti della vostra fedeltà e perizia in questo servizio del Signore, cioè come maestro in prova del comune di Calice, sarete al debito tempo, così piacendo al Signore, ordinato altresì Lettore della santa Chiesa, e dichiarato maestro approvato dell' Istituto della Carità. [...OMISSIS...] 1.33 Non avrete preso sicuramente a male il mio tardare a rispondervi, perchè la vostra carità sa bene che desidererei essere sempre pronto a rispondere e conversare co' miei cari compagni; ma che delle varie cagioni ed occupazioni talora me lo impediscono. Ora ritornato da un viaggetto che ho dovuto fare per negozii del nostro Istituto, sono con voi, mio carissimo. Sperava di vedervi ed abbracciarvi tutti quest' autunno; il Signore non volle ancora concedermi una tanta consolazione; spero tuttavia che me la concederà almeno all' aprirsi della nuova stagione. Per quanto allo stato dell' anima vostra che diligentemente mi descrivete, io spero bene, mio caro, nella misericordia di Dio. Io veggo che il Signore permette che l' inimico del bene vi dia una battaglia forte e penosa; ma non vi lasciate far paura, perchè confidando nella croce di Cristo, tutto sarà superato. Quello però che trovo il punto principale al quale dovete rivolgere le vostre armi, si è a conseguire la cara mansuetudine di Gesù Cristo. « « Imparate da me che sono umile e mansueto di cuore » »: oh quanto sono belle queste parole! esse racchiudono il carattere vero di Cristo e del Cristiano! Ritenete, mio caro, questo principio infallibile: ogni iracondia, ogni turbazione irosa, ogni malevolenza, ogni acrimonia viene dal diavolo. Con questo principio alla mano voi potrete subito discernere i diversi spiriti che si manifestano nel vostro interno. E` egli uno spirito di dolcezza, di pace, di cedevolezza, di amore? Dite tosto: questo è spirito di Dio, e io debbo secondarlo. E` all' incontro uno spirito di opposizione, di durezza, di tristezza, di censura, di odio? Dite tosto: questo è spirito del demonio che mi seduce, che mi violenta; io non voglio acconsentirvi, lo sofferirò come una tribolazione, ma io non lo seconderò, non opererò nulla dietro il suo incitamento. Oh voi felice, se diverrete appieno mansueto! e se ucciderete in voi ogni iracondia, anche quella che vi si presenta sotto l' abito di zelo, ma di zelo amaro e non conforme al vostro ufficio! Voi con questo studio della carissima virtù della mansuetudine acquisterete tutte le altre; l' ubbidienza, l' umiltà, la rassegnazione e la pazienza, come pure quella che S. Filippo Neri chiamava la mortificazione razionale , sono comprese nella mansuetudine. Questa vale più di tutte le austerità e penitenze esterne, le quali non valgono nulla, se non sono umiliate e sottomesse all' ubbidienza e alla direzione anche diversa ora d' un superiore, ora d' un altro; secondo che l' uno o l' altro regge la casa. In questa diversità di direzione, mio caro, consiste una bellissima occasione di vera virtù, e una prova a vedere se siamo sì o no veramente mortificati interiormente. Quell' uomo, il quale non sa cangiarsi con tutta facilità e senza nessuna resistenza, a tenore del cangiarsi de' superiori, non è sicuramente mortificato: e tutto ciò che fa, anche di più austero, non prova in lui punto una vera mortificazione, che dee sempre essere radicata nella docilità e pieghevolezza della volontà, e, in una parola, nell' annegazione di se stesso. Osservate, mio caro, che Gesù Cristo, dando il precetto di portare la sua croce, vi premise queste parole: « « Se alcuno vuole venire dietro a me, neghi se stesso » »: e ciò perchè nulla sarebbe il portare la croce, se prima non ci fosse l' annegazione di se stesso. Non ogni croce è la croce di Cristo; la croce di Cristo non è quella che diamo noi a noi stessi; ma quella che ci è data dall' ubbidienza, con negazione della nostra volontà e del nostro intelletto. Le penitenze esterne adunque, che sono come la croce, sono buone, se noi le prendiamo con avere premessa la negazione di noi stessi: altramente il volerle è un inganno dell' inimico. Tenetevi, o mio caro, a questi principii che sono gli infallibili del Signore. Varrà più per voi un solo atto di rinunzia al vostro giudizio e alla vostra volontà, che tutte le austerità che potreste pensare. Rendetevi adunque a queste indifferente, nè vi turbi l' esservi negate, o comandate, o permesse. Tutto sia lo stesso per voi. Nulla desiderate altro che la dolcezza, la pace, la ubbidienza e il negare voi stesso. E` meglio che conserviate nella pace della carità il vostro cuore, di quello che sia che convertiate il mondo. Mirate dunque sempre nell' esemplare nostro amabilissimo Gesù Cristo, e diventate così amabile e tranquillo come lui. [...OMISSIS...] 1.33 «Mio reverendo e caro consacerdote e compagno nel servizio del Signore. » Perdonate se ho tardato a rispondervi, e attribuitelo alle mie occupazioni che mi hanno fatto essere assente, come sono ancora, dalla casa di Trento. Ora sono con voi, la cui lettera mi fu carissima, per le notizie genuine che di voi stesso mi date. La ripugnanza e la noia che voi accusate, è il solito effetto, mio caro, che si manifesta in quelli che si danno alla vita ritirata e religiosa, ed è una delle più forti prove che dà il Signore, una delle più utili occasioni di vincere noi stessi e di acquistare un solido merito. Questa vittoria sulla noia e sul tedio per la ristrettezza della vita e della libertà, non ha niente che ecciti l' amor proprio e non è considerata dagli uomini: tanto più ella è da Dio! Io spero che voi ne riporterete colla vostra costanza, mediante la grazia del nostro Signore, un pieno trionfo; ed allora comincierete a gustare come cosa dolcissima anche ciò che a principio sembra insopportabile. Se voi, ammirando l' umiltà de' vostri compagni che dimandano con tanta frequenza pubblico perdono di alcune loro mancanze, non vi sentite per anco cuore di imitarli, ciò punto non vi turbi, perchè questa specie di ripugnanza la vincerete col tempo. Sopportate solamente voi stesso, e non esigete da voi di più di quello che potete: la grazia e la virtù viene a gradi: a quelli che ancor ci mancano, suppliamo coll' umiltà e col riconoscere candidamente che gli altri sono in quel dato rispetto più umili o più perfetti di noi. Per altro, senza inquietarci, prefiggiamoci di vincere ogni specie di ripugnanza, aspettando intanto il tempo che il Signore ce ne dia le forze, e dimandando queste forze con ferventi desiderii e preghiere. Così soavemente procederemo innanzi, senz' alcun turbamento. Per altro, circa il domandar perdono, egli non è necessario che la materia sia una colpa morale, dovendoci noi umiliare anche per le limitazioni della nostra natura, o per le mancanze della nostra vigilanza: ma è bensì sempre necessario che sia una imperfezione : perchè altrimenti, se non fossimo convinti che ciò di cui formiamo materia di pubblica accusa non fosse nè pure imperfezione alcuna, quell' atto dell' accusarci non sarebbe sincero : e niente si dee fare che non sia candido, sincero e proveniente dall' interna nostra convinzione. [...OMISSIS...] Desidero moltissimo di vedervi e di trattenermi con voi a lungo, mio carissimo; ma pare che il Signore non mi voglia dare questa consolazione per ora: al più lungo però spero d' essere al Calvario in primavera. A quando a quando scrivetemi, e contate d' avere in me un amico. Vorrei che mi traduceste in bella lingua francese il piccolo libretto delle « Massime di perfezione », che vorrei anco pubblicare. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] 1.33 Ricevo in questo momento la vostra dei 21 corrente la quale mi lascia ancora fra la speranza e il timore. Piacesse a Dio che egli vi avesse veramente illuminato a scorgere l' inganno orribile dell' inimico della vostra anima! Non m' inganno, no, a dire che il nesso dell' Istituto della Provvidenza e della Carità è unicamente progettato . Dovete adunque sapere che tutte quelle Costituzioni che furono scritte al Calvario sono tutte meramente progettate ; e non sono mai e poi mai definitivamente stabilite, se prima non sono provate dalla sperienza e quindi confirmate dalla Santa Sede. Tanto è poi vero che quelle regole sono unicamente progettate, che anzi possono essere cangiate da un giorno all' altro, purchè la ragione e l' esperienza il permetta. Oltre di ciò voi confondete più questioni in una, mio caro, perchè altro è dimandar « se il nesso dell' Istituto della Carità con quello della Provvidenza vada bene sì o no »; altro è il dimandare « se posto che il direttore dell' Istituto della Provvidenza sia un membro dell' Istituto della Carità, questi possa operare a proprio arbitrio contro il grado di autorità ricevuta dal superiore dell' Istituto della Carità a cui è soggetto ». La prima questione può essere controversa, ed io non l' ho mai definitivamente decisa. Ma la seconda non è punto controversa; e l' ubbidienza perfetta che esige l' Istituto della Carità, non ammette sicuramente che un soggetto di questo Istituto sia indipendente sotto nessun rispetto e in nessun genere di cose. Ciò sarebbe una mostruosità; si introdurrebbero subito mille scismi, l' Istituto diverrebbe un' idra con cento capi e non potrebbe sussistere. Io non dirò dunque che l' Istituto della Provvidenza debba aver per direttore sempre un membro dell' Istituto della Carità; ma dico bensì che ove l' Istituto della Carità concede che un suo membro però diriga ed anche fondi un Istituto qualunque, questo membro non viene menomamente esonerato dal peso dell' ubbidienza sotto nessun rapporto; e solo opera tutto ciò che fa in virtù d' ubbidienza e d' autorità non propria, ma ricevuta. Tale è il vero concetto della santa ubbidienza in ogni Istituto religioso; e chi si vuol sottrarre a questa sicurissima virtù dell' ubbidienza, si mette a pericolo di perdere la vocazione e la perde sicuramente, è ingannato dal demonio, e l' eterna sua salute è per lo meno incerta assai, perchè ricusa i mezzi sicuri datigli da Dio di salvarsi nella guida de' suoi superiori. Val più ubbidire, mio caro, che convertire il mondo. S. Francesco Saverio era pronto ad abbandonare i milioni d' uomini, che si convertivano alla sua voce, ad un solo cenno del suo superiore! La sua fantasia non lo illuse, nè lo trasse a dire: « Il mio superiore erra, o il mio superiore non sa, non vede il bene, e la maniera di ottenerlo », oppure: « io sono chiamato da Dio ad evangelizzare questi popoli: dunque abbandonerò il mio superiore e la religione per esser più libero e far tanto bene ». Povero lui, se avesse detto così! Con un simile discorso ogni religioso potrebbe sottrarsi all' ubbidienza, col pretesto di maggior libertà a fare il bene, ed uscire dal proprio Istituto. Inganno deplorabile! « Manete », dice S. Paolo, « in vocatione »: e non mutate col pretesto di maggior bene. Io veggo tutte le orribili conseguenze che si trarrebbe dietro la vostra defezione dall' Istituto della Carità per un pretesto simile, delle quali la minima di tutte sarebbe, che il mondo stesso scandalizzato vi abbandonerebbe, e voi vi trovereste alla fine privo di tutti quegli appoggi di cui ora vanamente vi lusingate. Di questo ho moral certezza, e ne ho prove positive e documenti nelle mani; ma questo, come dico, sarebbe ancora il minimo male; il più grande per me sarebbe quello di veder voi tirato in un abisso, e per riparare ad un errore commetterne cento, e dopo aver cominciato colle più belle speranze trovarvi infine colle mani ne' capelli e coll' aver fatti moltissimi mali nel mondo per aver voluto far troppi beni, non secondo Dio , cioè secondo le regole sicure de' santi. Per tutte queste ragioni e per molte altre voi vedete adunque la risposta ch' io son disposto a dare, alla vostra lettera del 21 corrente. Io non posso assolutamente concedervi nè pure ad tempus quella indipendenza che mi dimandate, perchè distruttiva dell' Istituto della Carità, e perchè sarei responsabile di tutti i passi precipitati e falsi che potreste commettere per fantasia riscaldata. Voi poi in fine alla lettera vostra mi fate un' alternativa, o « di ritirarvi dall' Istituto della Carità secondo la vostra lettera del 30 ottobre; o che io assuma i vostri impegni e che disaggravi voi dalla direzione dell' Istituto della Provvidenza, promettendomi che voi starete in quel minimo posto che giudicherò di assegnarvi al Calvario ». Io accetto questa seconda proposta, e vedrò in questa mia accettazione se il vostro parlare sia sincero. Voi nulla sfigurerete nè verso il Governo sardo, dicendo che il vostro superiore ha richiamato a sè il carico della direzione dell' Istituto della Provvidenza, volendo egli impiegar voi in altri affari, e che perciò se l' intendano con me. Dio mi aiuterà, lo spero, nè ricuserò mai di far manco conto del vostro consiglio e dell' opera vostra, che voi mi presterete senza pericolo alcuno dell' anima vostra nè dell' Istituto. E` l' unico partito che mi resta. Lasciarvi uscire dall' Istituto non mi patirebbe mai il cuore, e peccherei sicuramente contro la carità, cooperando all' opera manifestissima del demonio. Aspetto dunque nuova lettera e veramente consolante, nella quale mostriate di aver parlato da uomo sincero, e non facciate alcuna nuova difficoltà a questa vostra promessa, dalla quale tanto dipende sia riguardo all' anima vostra, sia riguardo ai due Istituti. Scrivetemi subito; e dietro alla lettera che mi consoli, mettetevi in viaggio voi stesso per venire a Rovereto, dove vi fermerete in casa mia, ed io ci verrò pure tosto; mi direte tutti i vostri impegni, concerteremo tutti i mezzi di soddisfare pienamente ai medesimi ed accorderemo insieme ogni cosa. Ho confidenza che da quell' epoca che ciò sarà fatto, comincierete ad essere un vero superiore dell' Istituto della Carità, e comincierà una nuova e veramente salutare carriera della vostra vita. Vi abbraccio intanto tenerissimamente, aspettando con impazienza che mi togliate giù questa pietra dal cuore. Addio. [...OMISSIS...] [...OMISSIS...] 1.33 Sabbato è giunto qui il caro vice7Superiore, ed io pure mi son qua recato tosto per conferire con lui. [...OMISSIS...] Appena mi vide si mise in ginocchio, e l' ho trovato intieramente rientrato in se stesso. Come vi aveva scritto io sperava che il Signore non avrebbe certamente abbandonato questo suo servo e zelante ministro. Dite dunque il Te Deum e fate fare continua orazione, acciocchè ogni cosa si componga alla gloria di Dio, e con istabilità di successo, come spero nel Signore; avendomi il Signore già anche prima confortato molto con questa tribolazione. Ho ricevuto la vostra dei 30 novembre. Avrei gustato meglio che non vi foste giustificato. Quando Maria SS. vide che S. Giuseppe doveva dubitare della sua fedeltà maritale si tacque, e lasciò a Dio la cura di sgombrare (se egli avesse creduto) ogni dubbio dall' animo del suo sposo. E non dee essere la Madre di Dio il nostro modello? Non l' abbiamo noi scelta perchè sia la causa esemplare della nostra Società? Perchè dunque imitarla sì poco nella rassegnazione, nell' abbandono di noi stessi in Dio? Quando poi volete anche scusarvi (il che non sarebbe secondo la perfezione), da qui in avanti non adoperate più queste espressioni di troppa sicurezza: « debbo disingannarla di un errore in cui so essere stato ecc.. Tanto Ella che Don Giovanni hanno creduto che io, ecc. »; ma dite più tosto: « forse Ella potrebbe aver creduto... Io temo non forse Ella, ecc. »: come vuole la modestia e la riserbatezza, non meno che il rispetto verso i propri Superiori. Aggiungete di più, che in materia di attacchi è sconveniente al tutto purgarsi con quella sicurezza che fate voi; perchè gli attacchi acciecano; ed ognuno dee dubitare di se stesso, e non assicurarsi. Quando anco voi foste purissimo d' ogni attacco, non dovreste mai dirlo, ma lasciare che lo dicano gli altri, e voi mantenervi nella santa umiltà interiore ed esteriore. Nè crediate che il sentire ripugnanza in qualche cosa sia certo segno di non avere attacchi a quella cosa; perocchè qui si tratta principalmente di attacchi spirituali, i quali consistono in una certa estimazione e persuasione di far bene in qualche impresa, con certa durezza di giudizio proprio; e simili attacchi possono stare insieme con repugnanze naturali; anzi queste ripugnanze possono illudere, ed essere appunto la materia della nostra ostinatezza di giudizio e del nostro attacco. Del non avere questi attacchi perciò non si dà altra prova, se non il trovarsi così liberi, che al solo conoscere la volontà del Superiore ed anco il suo desiderio, senza ragionare, senza dubitare, senza replicare, senza indugiare, tosto con grande allegrezza si lasci tutto per conformarsi al desiderio del Superiore. Vi scrivo queste cose, mio carissimo, per la certezza che ho che voi non cercate altro a tutto vostro potere, che di corrispondere alla santa vostra vocazione, rendendovi un vero membro dell' Istituto della Carità, come vien descritto nelle regole. Abbiamo coraggio nel Signore, che è con chi spera in Lui. Egli ci aiuterà indubitatamente. Vorrei fra le altre cose, che in tutti noi s' introducesse un sincerissimo desiderio ed amore della correzione. Oh che bel mezzo è questo per andare innanzi! [...OMISSIS...] Vi compassiono poi di cuore di ciò che mi dite circa le molteplici vostre occupazioni che vi tolgono il tempo di pensare a voi stesso e d' istruirvi. Ma, mio caro, portate ancora voi un po' di pazienza offerendo la vostra croce al Signore. Io penserò intanto qualche via di consolarvi; e alla più lunga spero di farlo quando verrò al Calvario all' aprirsi della stagione. Intanto armatevi di fortezza. Vi raccomando poi di essere dolce e benigno, [...OMISSIS...] Ditemi se vi siete emendato circa il difetto che v' ho notato di essere troppo lungo nelle divozioni.

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