Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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ALLA CONQUISTA DI UN IMPERO

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Salgari, Emilio 2 occorrenze

Il rajah, completamente ubriaco, rimaneva sordo a quelle grida disperate e sparò ancora due colpi, senza riuscire a coglierlo, tanto era lesto suo fratello; poi, preso forse da un improvviso pentimento, abbassò la carabina che un ufficiale gli aveva data, gridando al fuggiasco: "Se è vero che tu abbandonerai per sempre il mio stato ti fo grazia della vita, ad una condizione". "Sono pronto ad accettare tutto quello che vorrai", rispose il disgraziato. "Io getterò in aria una rupia; se tu la coglierai con una palla della carabina, ti lascerò partire pel Bengala senza farti alcun male." "Accetto", rispose allora il giovane principe. Il rajah gli gettò l'arma che Sindhia prese al volo. "Ti avverto", urlò il pazzo, "che se manchi la moneta subirai la medesima sorte degli altri." "Gettala!" Il rajah fece volare in aria il pezzo d'argento. Si udì subito uno sparo e non fu la moneta bucata, bensì il petto del tiranno. Sindhia, invece di far fuoco sulla moneta, aveva voltata rapidamente l'arma contro suo fratello e l'aveva fulminato, spaccandogli il cuore. I ministri e gli ufficiali si prosternarono dinanzi al giovane principe, che aveva liberato il regno da quel mostro e senz'altro lo accettarono come rajah dell'Assam. - Voi, mylord, mi avete narrata una storia che qualunque assamese conosce a fondo, - disse il ministro. - Non il seguito però, - rispose Yanez, versandosi un altro bicchiere ed accendendo una seconda sigaretta. - Sapreste dirmi che cosa è avvenuto della piccola Surama, figlia del capo dei kotteri? - Kaksa Pharaum alzò le spalle, dicendo poi: - Chi può essersi occupato d'una bambina? - Eppure quella bambina era nata ben vicina al trono dell'Assam. - Continuate, mylord. - Quando Sindhia seppe che Surama era sfuggita alla morte, invece di accoglierla alla corte o almeno di farla ricondurre fra le tribù devote a suo padre, la fece segretamente vendere a dei thugs che percorrevano allora il paese per procurarsi delle bajadere. - Ah! - fece il ministro. - Credete Eccellenza che abbia agito bene il rajah vostro signore? - chiese Yanez, diventato improvvisamente serio. - Non so. È morta poi? - No, Eccellenza, Surama è diventata una bellissima fanciulla ora e non ha che un solo desiderio: quello di strappare a suo cugino la corona dell'Assam. - Kaksa Pharaum aveva fatto un soprassalto. - Dite, mylord? - chiese spaventato. - Che riuscirà nel suo intento, - rispose freddamente Yanez. - E chi l'aiuterà? - Il portoghese s'alzò e puntando l'indice verso la Tigre della Malesia che non aveva cessato di fumare, gli rispose: - Quell'uomo là innanzi a tutto, che ha rovesciato troni e che ha vinto la terribile Tigre dell'India, Suyodhana, il famoso capo dei thugs indiani, e poi io. L'orgogliosa e la grande Inghilterra, dominatrice di mezzo mondo, ha piegato talvolta il capo dinanzi a noi, tigri di Mompracem. - Il ministro si era a sua volta alzato, guardando con profonda ansietà ora Yanez ed ora Sandokan. - Chi siete voi, dunque? - chiese finalmente, balbettando. - Degli uomini che nemmeno i vostri più formidabili uragani potrebbero arrestare, - rispose Yanez, con voce grave. - E che cosa volete voi da me? Perché mi avete trasportato in questo luogo che io non ho mai veduto? - Yanez, invece di rispondere, riempì nuovamente le tazze e ne porse una al ministro, dicendogli colla sua voce insinuante: - Bevete prima, Eccellenza. Questo squisito liquore vi rischiarirà le idee meglio del vostro detestabile toddy. Bevetene pure liberamente: non vi farà male. - Il ministro, che si sentiva invadere da un invincibile tremito nervoso, credette opportuno di non rifiutarsi. Yanez si raccolse un momento, poi, fissando il disgraziato ministro che aveva le labbra smorte, gli chiese: - Chi è l'europeo che si trova alla corte del rajah? - Un uomo bianco che io detesto. - Benissimo: il suo nome? - Si fa chiamare Teotokris. - Teotokris! - mormorò Yanez. - Questo è un nome greco. - Un greco! - esclamò Sandokan, scuotendosi. - Che cos'è? Io non ho mai udito a parlare di greci. - Tu non sei un europeo, - disse Yanez. - Sono uomini che godono fama di essere i più furbi dell'intera Europa. - Avversari temibili? - Temibilissimi. - Buoni per te, - rispose la Tigre della Malesia, sorridendo. Il portoghese gettò via con stizza la sigaretta, poi rivolgendosi al ministro: - Gode molta considerazione a corte, quello straniero? - gli chiese. - Più che noi ministri. - Ah! Benissimo. - Si era nuovamente alzato. Fece tre o quattro giri intorno alla tavola, torcendosi i baffi e lisciandosi la folta barba, poi, fermandosi dinanzi al ministro che lo guardava attonito, gli chiese a bruciapelo: - Dov'è che i gurus nascondono la pietra di Salagraman che contiene il famoso capello di Visnù? - Kaksa Pharaum guardò il portoghese con profondo terrore e rimase muto, come se la lingua gli si fosse improvvisamente paralizzata. - Mi avete capito, Eccellenza? - chiese Yanez un po' minaccioso. - La pietra ... di Salagraman! - balbettò il ministro. - Sì. - Ma ... io non so dove si trova. Solo i sacerdoti ed il rajah ve lo potrebbero dire, - rispose Kaksa, riprendendo animo. - Io non so nulla, mylord. - Voi mentite, - gridò Yanez, alzando la voce. - Anche i ministri del rajah lo sanno: me lo hanno confermato parecchie persone. - Gli altri forse, non io. - Come! Il primo ministro di Sindhia ne saprebbe meno dei suoi inferiori? Eccellenza, voi giuocate una pessima carta, ve ne avverto. - E perché vorreste sapere, mylord, dove si trova nascosta? - Perché quella pietra mi occorre, - rispose Yanez audacemente. - Kaksa Pharaum mandò una specie di ruggito. - Voi rubate quella pietra! - gridò. - Non sapete che il capello che contiene, appartenne, migliaia di anni or sono, ad un dio protettore dell'India? Non sapete che tutti gli stati c'invidiano quella reliquia? Non sapete che, se ci venisse portata via, sarebbe la fine dell'Assam? - Chi lo ha detto? - chiese Yanez ironicamente. - Lo hanno affermato i gurus. - Il portoghese alzò le spalle, mentre la Tigre della Malesia faceva udite un risolino beffardo. - Vi ho detto, Eccellenza, che a me occorre quella conchiglia: aggiungerò poi, per placare i vostri timori, che non lascerà l'Assam. Io non la terrò nelle mie mani più di ventiquattro ore, ve lo giuro. - Allora andate a chiedere al rajah un tale favore. Io non posso accordarlo, perché ignoro ove i sacerdoti della pagoda di Karia la nascondano. - Ah! Non vuoi dirmelo, - disse Yanez cambiando tono. - La vedremo! - In quel momento si udì ad echeggiare il gong, sospeso esternamente alla porta. - Chi viene a disturbarci? - chiese Yanez, aggrottando la fronte. - Io, padrone: Sambigliong, - rispose una voce. - Che cosa c'è di nuovo? - Tremal-Naik è giunto. - Sandokan aveva lasciata la pipa, e si era alzato precipitosamente. La porta si aprì ed un uomo comparve, dicendo: - Buona sera, miei cari amici: eccomi pronto ad aiutarvi. - Le destre di Sandokan e di Yanez si erano tese verso il nuovo venuto, il quale le aveva strette fortemente, esclamando: - Ecco un bel giorno: mi pare di tornare giovane insieme a voi. - L'uomo che così aveva parlato era un bellissimo tipo d'indiano bengalino, di circa quarant'anni, dalla taglia elegante e flessuosa, senz'essere magra, dai lineamenti fini ed energici, la pelle lievemente abbronzata e lucidissima e gli occhi nerissimi e pieni di fuoco. Vestiva come i ricchi indiani modernizzati dalla Young-India, i quali ormai hanno lasciato il dootèe e la dubgah pel costume anglo-indù, più semplice, ma anche più comodo: giacca di tela bianca con alamari di seta rossa, fascia ricamata e altissima, calzoni stretti pure bianchi e turbantino rigato sul capo. - E tua figlia Darma? - avevano chiesto ad una voce Yanez e Sandokan. - È in viaggio per l'Europa, amici - rispose l'indiano. - Moreland desidera far visitare a sua moglie l'Inghilterra. - Sai già perché ti abbiamo chiamato? - chiese Yanez. - So tutto: voi volete mantenere la promessa fatta quel terribile giorno in cui il Re del Mare affondava sotto i colpi di cannone del figlio di Suyodhana. - Di tuo genero, - aggiunse Sandokan, ridendo. - È vero ... Ah! - Si era vivamente voltato guardando il ministro del rajah, il quale stava immobile presso la tavola, come una mummia. - Chi è costui? - chiese l'indiano. - Il primo ministro di S. A. Sindhia, principe regnante dell'Assam, - rispose Yanez. - Toh! Tu giungi proprio in buon punto. Sapresti tu, Tremal-Naik, far parlare quell'uomo che si ostina a non dirmi la verità? Voi indiani siete dei grandi maestri. - Non vuol parlare? - disse Tremal-Naik, squadrando il disgraziato che pareva tremasse. - Hanno fatto cantare anche me gli inglesi, quando ero coi thugs. Kammamuri però è più destro di me in tali faccende. Ti preme, Yanez? - Sì. - Hai ricorso alle minacce? - Ma senza buon esito. - Ha cenato quel signore? - Sì. - È quasi mattina, può quindi fare uno spuntino, o una semplice tiffiné (2)

Non abbandonerai il mio fidanzato è vero? - Un lampo terribile avvampò negli occhi del formidabile uomo. - Fossi sicuro di perdere ambe le braccia, ti giuro, Surama, che Yanez, l'uomo che io amo più che se fosse mio fratello, sarà libero, e che vendicherò anche i miei uomini caduti sotto le zampe dell'elefante-carnefice. Quando saremo sfuggiti all'accerchiamento, il rajah ed il greco avranno da fare i conti con me. - E perché vuoi quegli elefanti? - chiese Tremal-Naik. - Desidero, prima di ridiscendere verso Gauhati, vedere le montagne dove nacque Surama. E poi mi occorre della forza in mano, ed una forza terribile da scaraventare addosso a quei due miserabili. I seikki li tengo in mano e quando vorrò, il demjadar s'incaricherà di metterli a mia disposizione; ma quelli non bastano per spazzare via un trono. Che io possa avere cinque o seicento montanari e vedrai come prenderemo d'assalto la città e come l'Assam intero griderà: Viva la nostra regina! Orsù, facciamo i nostri preparativi. - Ed i prigionieri? - Verranno con noi, per ora. - Due ore prima del tramonto, come già era stato convenuto, i dieci uomini mandati in esplorazione, fecero ritorno alla pagoda. Recavano tutti notizie poco rassicuranti. Molti uomini erano realmente sbarcati nello stagno dei coccodrilli, e si erano accampati sul margine della jungla. - Bindar non si è ingannato, - disse Sandokan. - È proprio contro di noi che si preparano ad operare. Ebbene prenderanno d'assalto la pagoda vuota. - I malesi ed i dayachi si caricarono dei loro fardelli, contenenti tappeti, tende, coperte, munizioni ed un po' di viveri e si misero in marcia su una doppia fila, tenendo nel mezzo i prigioneri e Surama. Tremal-Naik e la Tigre della Malesia, con sei uomini scelti fra i migliori tiratori, aprivano la marcia, mentre Kammamuri e Sambigliong con altri quattro, pure scelti, la chiudevano per coprire la colonna alle spalle. Le tenebre calavano rapide e le grida dei numerosi volatili, appollaiati sulle cime degli altissimi bambù, a poco a poco si spegnevano, mentre invece in lontananza cominciavano a farsi udire le lugubri urla dei cani selvaggi. Di passo in passo che la piccola colonna si allontanava dalla pagoda, la via diventava sempre più difficile, poiché in quella direzione non esistevano sentieri. Gigantesche macchie di bambù, di quando in quando, sbarravano il passo, obbligando gli uomini dell'avanguardia a lavorare colle scimitarre per aprirsi un varco. Fortunatamente di tratto in tratto s'incontravano delle radure abbastanza vaste; ma anche là i fuggiaschi si vedevano costretti ad avanzare con infinite precauzioni, perché il suolo era tutto irto di quelle erbe taglienti e rigide come sciabole, chiamate kalam, che hanno le punte così acute, da traforare le suole delle scarpe. La marcia, in conseguenza di quegli ostacoli, diventava lentissima, mentre Sandokan avrebbe desiderato che fosse stata velocissima, temendo, e non a torto, che anche le truppe, sbarcate nella palude dei coccodrilli, approfittassero delle tenebre per avanzarsi nella jungla, colla speranza di sorprendere gli abitatori della pagoda ancora addormentati. Dopo un'ora la colonna aveva appena percorse due miglia, ed il margine orientale della jungla era ancora lontanissimo. - Eppure bisogna raggiungerlo prima che spunti l'alba, - disse Sandokan a Tremal-Naik, - se vorremo passare inosservati. Gli indiani che hanno risalito il fiume possono essere già sbarcati ed essere in agguato. La nostra salvezza sta nella nostra rapidità e negli elefanti, se Bindar riuscirà a procurarceli. Con quegli animali ci lasceremo indietro seikki e assamesi. - Di quando in quando qualche animale, disturbato dal rumore prodotto dalle scimitarre e dal cadere delle gigantesche canne, balzava fuori dai cespugli vicini e fuggiva a precipizio. Non erano però sempre dei nilgò o degli axis, gli eleganti cervi delle jungle indiane, che scappavano davanti alla colonna: qualche volta era una pantera che mostrava qualche velleità di resistenza, ma che si decideva, dinanzi al lampeggiare delle scimitarre dell'avanguardia, a battere in ritirata, pur ringhiando e brontolando. Altre tre miglia erano state guadagnate ed in lontananza cominciava a delinearsi qualche albero, quando una detonazione debole, si propagò attraverso i bambù della jungla. - La detonazione viene da oriente, è vero, Tremal-Naik? - chiese Sandokan. - Sì, - rispose il bengalese che ascoltava attentamente. - Allora vuol dire che gli indiani hanno raggiunto il margine della jungla. - Un altro sparo, un po' più distinto però, si udì in quel momento e non già verso oriente, bensì verso occidente. - Le due colonne si corrispondono, - riprese Sandokan, la cui fronte si era rabbuiata. - Quella che viene dalla palude dei coccodrilli, ci è ben più vicina dell'altra. - Abbiamo però un vantaggio di tre o quattro miglia per lo meno, - disse Kammamuri. - Che perderemo se riescono a trovare la nostra pista, - rispose Sandokan. - Mentre noi saremo costretti ad aprirci la via, loro invece seguiranno quella che ci lasciamo alle spalle. Affrettiamoci! - L'avanguardia fu accresciuta di altri quattro uomini: due armati di bastoni, fiancheggiavano l'avanguardia tirando furiose legnate a destra ed a manca, per far fuggire i serpenti, i quali preferiscono abitare le macchie più fitte per meglio sorprendere le prede. Già tutte le jungle indiane, sia del settentrione, del centro che del mezzodì, sono infestate di serpenti del minuto, che in meno di quaranta secondi fulminano l'uomo più robusto; di gulabi, chiamati anche serpenti rosa; di cobra-capello, i più terribili della specie, e di cobra manilla, lunghi appena un piede, di colore azzurro e sottilissimi e pure pericolosi, e di colossali rubdira mandali, che raggiungono talvolta la lunghezza di dieci e perfino undici metri, e di pitoni che posseggono una forza così prodigiosa da stritolare, fra le loro possenti spire, i formidabili bufali e perfino le ferocissime tigri. A mezzanotte Sandokan concesse un po' di riposo ai suoi uomini, sia per riguardo a Surama che doveva essere stanchissima, quanto per mandare Kammamuri con due dayachi a fare una rapida esplorazione alle spalle della colonna. Quella corsa, eseguita dal maharatto con velocità straordinaria, non diede però alcun risultato apprezzabile. I guerrieri sbarcati nella baia dei coccodrilli dovevano essere ancora lontani. Una detonazione che rimbombò verso oriente, più chiara della prima, decise Sandokan a levare frettolosamente il campo. Una seconda rispose, dopo qualche minuto, in direzione opposta. - Ci stringono, - disse Sandokan a Tremal-Naik. - Se deviassimo verso il nord? - Ed il villaggio dove Bindar ci aspetta cogli elefanti? - chiese il bengalese. - Lo ritroveremo più tardi. Quello che ora preme di più è di non lasciarci rinchiudere in un cerchio di ferro e di fuoco. - Proviamo, - concluse il bengalese. - Riformarono la colonna e dopo d'aver percorso il tratto di sentiero aperto dall'avanguardia, piegarono decisamente verso il settentrione. L'idea di Sandokan fu ottima, poiché dopo che ebbero percorso altri cinque o seicento metri, la jungla pur rimanendo sempre tale, e conservando le sue inestricabili macchie, cominciò a diradarsi. La colonna incontrava con maggior frequenza degli spazi liberi, dove non vi erano che delle erbe che non avevano la rigidezza dei kalam e dove poteva avanzare con maggior rapidità, però aumentava il pericolo da parte degli abitatori della jungla. Se cervi e caprioli scappavano, di tratto in tratto qualche gigantesco bufalo o qualche rinoceronte, si precipitava all'impazzata addosso all'avanguardia e non voltava il dorso se non dopo d'aver ricevuto una mezza dozzina di palle di pistola nel corpo. Alle due del mattino Sandokan fece fare un secondo alt. Era inquieto, e prima di piegare verso oriente, non volendo discostarsi troppo dalla linea, sulla quale doveva incontrare il villaggio, voleva avere almeno qualche notizia delle due bande indiane, per sapersi regolare sul cammino che doveva tenere. Avendo scoperto un fico baniano, che da solo formava una piccola foresta e la cui cupola immensa era sorretta da parecchie centinaia di tronchi, come il famoso ficus chiamato dagli indiani cobir-bor, che è celebre nel Guzerate, fece nascondere là in mezzo la sua colonna, poi chiamati due uomini e Tremal-Naik, partì alla scoperta, dopo aver raccomandato agli accampati il più assoluto silenzio. - Rifacciamo la via percorsa, - disse al bengalese. - Noi non dobbiamo procedere così alla cieca senza prima sapere se i nostri nemici ci sono alle calcagna o se ci preparano qualche nuovo agguato. - Si erano messi in corsa, seguendo la medesima via tenuta da prima, segnata da bambù abbattuti e da kalam decapitati. Un silenzio profondo regnava sulla jungla. Non si udivano né urla di bighama, né ululati di sciacalli: quello non era un indizio rassicurante. Se estranei non avessero percorso le macchie, quegli eterni cacciatori non sarebbero stati zitti. Se tacevano, ciò voleva dire che erano spaventati. Bastarono venti minuti, a quegli infaticabili corridori, per giungere al sentiero che avevano aperto prima di cambiare direzione. Sandokan, non udendo alcun rumore e non parendogli di scorgere nessun nemico, stava per spingere una breve esplorazione anche su quello, quando Tremal-Naik, che gli stava presso, gli posò energicamente una mano sulle spalle, spingendolo poi quasi con violenza verso un gruppo di banani selvatici, i quali stendevano in tutte le direzioni le loro gigantesche foglie. Erano trascorsi appena due minuti, quando udirono distintamente i bambù ad agitarsi e scricchiolare, poi quattro uomini, armati di fucili, sbucarono nella piccola radura che s'apriva fra le gigantesche canne ed il gruppo di banani. Erano non già seikki, bensì scikari, ossia battitori delle jungle, persone abilissime, anzi impareggiabili nel seguire le piste, sia degli uomini come delle belve feroci. Si erano subito arrestati esaminando attentamente il terreno e rimovendo le erbe che lo coprivano. - Hanno cambiato direzione, Moko - disse uno di quegli scikari. - Non marciano più verso oriente. - Lo vedo, - rispose colui che doveva chiamarsi Moko. - Devono essersi accorti che noi marciamo sulle loro tracce e filano verso il settentrione. - Allora sfuggiranno all'accerchiamento. - E perché? - Non abbiamo truppe in quella direzione. Uno di noi raggiunga i seikki che ci seguono, e noi continuiamo a camminare sulla pista. - Mentre uno partiva di corsa rifacendo la via, gli altri tre si erano rimessi in cammino, curvandosi di quando in quando al suolo, per non perdere di vista le piste della colonna fuggente. Sandokan e Tremal-Naik attesero che si fossero allontanati, poi, a loro volta, si misero in cammino, girando la macchia di banani dal lato opposto. - Dobbiamo gareggiare di velocità e sorpassarli, - disse la Tigre della Malesia. - E se tendessimo invece un agguato a quegli scikari? - chiese Tremal-Naik. - Un colpo di carabina in questo momento tradirebbe la nostra presenza. Penseremo più tardi a sbarazzarci di loro. Corriamo, amici! - Tremal-Naik, che aveva trascorsa la sua gioventù fra le grandi jungle delle Sunderbunds, possedeva un'orientazione naturale, cosa comune a molti popoli dell'oriente, quindi era più che sicuro di condurre i suoi compagni là dove la colonna si era accampata. Per timore però d'incontrare nuovamente gli scikari sui suoi passi, deviò verso ponente, descrivendo un lungo giro. Quella corsa rapidissima, poiché tutti avevano ancora le gambe solide, quantunque il malese e l'indiano non fossero più giovani, durò una ventina di minuti. - Pronti a ripartire senza indugio, - comandò Sandokan ai suoi uomini, quando ebbe raggiunto l'accampamento. - Ci seguono? - chiese Surama. - Hanno scoperto le nostre tracce, - rispose Sandokan. - Non inquietarti però, fanciulla. Noi sfuggiremo all'accerchiamento, dovessimo sfondare qualche linea. - La colonna si riformò, mettendo i prigionieri nel mezzo e partì a passo accelerato. Sandokan aveva raddoppiato gli uomini della retroguardia, temendo da un istante all'altro un attacco da parte degli scikari. Aveva però raccomandato a Kammamuri, che la comandava, di respingerli colle armi bianche non volendo segnalare, con spari, la sua direzione al grosso degli assamesi. La jungla continuava a diradarsi e tendeva a cambiare. Alle macchie intricate e difficili ad attraversarsi, si succedevano, di quando in quando, gruppi d'alberi, per lo più palmizi tara, circondati però da cespugli foltissimi, che avevano delle estensioni straordinarie, ottimi rifugi in caso di pericolo. La marcia diventava sempre più precipitosa. Tutti sentivano per istinto che solo dalla velocità delle gambe, dipendeva la loro salvezza e che stavano per giuocare una partita estremamente pericolosa, anzi la corona di Surama. Che cosa sarebbe avvenuto se le truppe del rajah li avessero schiacciati nella jungla? Chi avrebbe salvato Yanez? La catastrofe sarebbe stata completa e avrebbe segnata la fine assoluta delle ultime e formidabili tigri della gloriosa Mompracem. Alle tre del mattino Kammamuri, che era rimasto sempre colla retroguardia, ad una notevole distanza, raggiunse Sandokan. - Padrone, - disse con voce affannosa per la lunga corsa, - gli scikari ci hanno raggiunti. - Quanti sono? - Sei o sette. - Sono dunque aumentati di numero? - Sembra, Tigre della Malesia. Che cosa devo fare? - Tendere a loro un agguato e distruggerli. - E se fanno fuoco? - Farai il possibile di sorprenderli e d'ucciderli prima che pongano mano alle carabine. - Kammamuri ripartì a corsa sfrenata, mentre la colonna continuava la ritirata fra le macchie e gli alberi. Altri dieci minuti trascorsero, minuti lunghi come ore per Sandokan e per Tremal-Naik, poi delle grida orribili ed un cozzar d'armi ruppero il silenzio, che regnava sulla tenebrosa jungla, seguìto qualche istante dopo da un colpo d'arma da fuoco. - Maledizione! - esclamò Sandokan, fermandosi. - Questo sparo non ci voleva. - E nemmeno questi, - aggiunse Tremal-Naik. A quella detonazione isolata aveva tenuta dietro una scarica di carabine fortissima. Dovevano essere stati i seikki e gli assamesi a far fuoco. - Sono ancora lontani! - esclamò Sandokan, il cui viso si era subito rasserenato. - Un miglio almeno, - rispose Tremal-Naik. - Aspettiamo Kammamuri. - Non attesero molto. Il maharatto giungeva di corsa seguìto dalla retroguardia. - Distrutti? - chiese Sandokan. - Tutti, padrone - rispose Kammamuri. - Disgraziatamente non abbiamo potuto impedire a uno degli scikari di scaricare la sua carabina. - Ha ucciso nessuno dei nostri? - chiese Tremal-Naik. - Ho avuto il tempo di fargli deviare la canna del fucile. - Tu vali una tigre di Mompracem, - disse Sandokan. - Riprendiamo la corsa. Abbiamo qualche miglio di vantaggio e potremo forse aumentarlo. - O perderlo, - disse in quel momento Sambigliong. - Perché? - chiese Sandokan. - I kalam ricominciano al di là di queste macchie e ci faranno nuovamente tribolare, padrone. - Sono secche quelle erbe? - Bruciate dal sole. - Benissimo, avremo, in caso disperato, una riserva preziosa. - In quale modo? - chiese Tremal-Naik. Invece di rispondere Sandokan si bagnò l'estremità del dito pollice e l'alzò come fanno i marinai, per indovinare la direzione del vento. - Soffia da settentrione la brezza, - disse poi. - Allo spuntare del sole sarà più viva. Dio, Maometto, Brahma, Siva e Visnù, tutti uniti, ci proteggono. Dateci la caccia ora, miei cari seikki! Amici, avanti, io rispondo di tutto! -

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