Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonavano

Numero di risultati: 1 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Cosima

243784
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
  • w
  • Scarica XML

Le due piccole, Pina e Coletta, leggevano già anch'esse avidamente tutto quello che loro capitava in mano, e, quando erano sole con Cosima, si abbandonavano insieme a commenti e discussioni che uscivano dal loro ambiente e dalle ristrettezze della loro vita quotidiana. E Cosima, come costretta da una forza sotterranea, scriveva versi e novelle. Da sua parte Andrea aveva molti difetti, ma era anche generoso e gioviale. Forse troppo: e la sua generosità era alimentata da un po' di amor proprio, di vanità, di boria; ma spesso era schietta e istintiva: aveva, poi, impeti di vero entusiasmo per cose che agli altri sembravano degne di poco aiuto, se non proprio di esser contrariate; e allora gli sembrava di fare atto di giustizia mettendosi dalla parte del debole. Cosí, quando si venne a sapere che la sua sorellina Cosima, quella ragazzina di quattordici anni che ne dimostrava meno e sembrava selvaggia e timida come una piccola cerbiatta, era invece una specie di ribelle a tutte le abitudini, le tradizioni, gli usi della famiglia e anzi della razza, poiché s'era messa a scrivere versi e novelle, e tutti cominciarono a guardarla con una certa stupita diffidenza, se non pure a sbeffeggiarla e prevedere per lei un quasi losco avvenire, Andrea prese a proteggerla e tentò, in modo invero molto intelligente ed efficace, ad aiutarla. Egli aveva fatto solo il ginnasio, e sebbene avesse appena ventidue anni si occupava adesso dell'amministrazione dei beni lasciati dal padre, traendone, è vero, molto profitto per sé e per i suoi divertimenti; ma leggeva, anche, e in certo modo era al corrente degli avvenimenti letterarî. L'eco di questi era sempre portata alla piccola città da Antonino, lo studente di lettere, fratello del piú intimo amico di Andrea. Questo fratello si chiamava Salvatore, e aveva anche lui preferito allo studio la vita beata del piccolo proprietario sempre a cavallo per i suoi campi ad aizzare il lavoro dei servi e a divertirsi poi con le belle e ardenti ragazze del paese: e si beffava, pur ammirandolo in segreto, di Antonino, che aveva le mani bianche e affusolate di donna e gli occhi pieni di sogni; e non era buono neppure a montare sulla giumenta sulla quale balzavano d'un salto le servette di casa per andare a prender l'acqua alla fontana: come nei suoi eterni studi, nelle Università piú celebri del Continente, spendendo tutti i risparmi della famiglia, non riusciva o non voleva riuscire a prendere la laurea. Ad ogni modo questo bellissimo, questo elegante e quasi principesco studente (e in quei tempi e in quel luogo la parola studente significava ancora un essere superiore: un uomo al quale potevano essere assegnati i piú alti e potenti destini della terra), portava davvero, nella cerchia famigliare, primitiva, isolata, quasi condannata a un esilio dal mondo grande, un soffio di quella grandezza tanto piú luminosa quanto piú lontana. Egli parlava di re, di regine, di alti personaggi politici, di artisti e di letterati, come fossero tutti suoi intimi amici. Sulla figura di Gabriele d'Annunzio, allora in tutto il suo piú radioso splendore, circonfusa inoltre dall'aureola di notizie leggendarie, egli si appoggiava sopra tutto, come il credente si appoggia alla colonna del tempio per riceverne forza e maestà Cancellate, ma leggibili, nel manoscritto seguivano le parole: «Questo tempio, questo San Graal col tabernacolo d'oro piú sfolgorante del sole era la poesia di Gabriele d'Annunzio».. Le cose raccontate dal buono, dall'epico Antonino, infiammavano di folli sogni il cuore del rude, ma anche lui à suo modo epico Andrea. Egli cominciò a fantasticare sulla piccola Cosima. Bisognava pertanto aiutarla. La mandò a prendere lezioni d'italiano, poiché a dire il vero ella scriveva piú in dialetto che in lingua, da un professore di ginnasio. Queste lezioni accrebbero il senso di ostilità istintiva che la piccola scrittrice provava per ogni genere di studi libreschi, a meno che non fossero romanzi o poesie. Piú efficaci furono le lezioni pratiche che il fratello volonteroso le procurò facendole conoscere tipi di vecchi pastori che raccontavano storie piú mirabili di quelle scritte sui libri, e portandola in giro, nei villaggi piú caratteristici della contrada, alle feste campestri, agli ovili sparsi nei pascoli solitari e nascosti come nidi nelle conche boscose della montagna. Una di queste gite fu meravigliosa, anche perché fatta in buona compagnia. Oltre al fratello di Antonino, c'erano altri amici di Andrea, quasi tutti studenti mancati, che ai tormentosi fasti del vocabolario preferivano quelli della fisarmonica e la Odissea Nel senso popolaresco di avventura. se la creavano da sé prendendosi a pugni per qualche bella giovane paesana e poi 'riconciliandosi in banchetti ove le ossa degli agnelli arrostiti alla viva fiamma si ammucchiavano ai loro piedi come sotto le mense degli eroi e conti di Re Carlo. Uno di questi banchetti fu apprestato quel giorno, nell'ovile delle tancas paterne di Andrea e di Cosima. Ai pastori porcari, che avevano finito la loro stagione, erano seguiti quelli di pecore e di capre. Le pecore brucavano l'asfodelo secco, i cui lunghi steli dorati scrocchiavano fra i denti delle bestie come grissini, e le capre nere, dalle teste diaboliche, si profilavano sulla madreperla delle cime rocciose. Quel giorno Cosima imparò piú cose che in dieci lezioni del professore di belle lettere. Imparò a distinguere la foglia dentellata della quercia da quella lanceolata del leccio, e il fiore aromatico del tasso barbasso da quello del vilucchio. E da un castello di macigni sopra i quali volteggiavano i falchi che parevano attirati dal sole come le farfalle notturne dalle lampade, vide una grande spada luccicante messa ai piedi di una scogliera come in segno che l'isola era stata tagliata dal continente e tale doveva restare per l'eternità. Era il mare, che Cosima vedeva per la prima volta. Certo, fu una giornata indimenticabile, come quella della cresima, quando un fanciullo che crede fermamente in Dio si sente più vicino a lui, lavato del tutto dal peccato originale. Tutto pareva straordinario a Cosima, persino il grido rapace delle ghiandaie e i cardi spinosi fra le pietre arse: ma invece di esaltarsi si sentiva piccola e umile accanto alle rocce che scintillavano come rivestite di scaglie, e ai lecci millenari che sembravano piú antichi delle stesse rocce. L'ombra era fitta, e se qualche nuvoletta solcava il cielo sembrava si afferrasse alle cime piú alte, in certi piccoli squarci del bosco, come i fanciulli che guardano in fondo a un pozzo. Ma il banchetto fu servito in una radura, per terra s'intende, tutta circondata da un colonnato di tronchi come un salone regale: per Cosima Andrea preparò con una sella e una bisaccia una comoda poltrona; e i migliori bocconi furono per lei: per lei il rognone dell'agnello, tenero e dolce come una sorba matura; per lei il cocuzzolo del formaggello arrostito allo spiedo, per lei il piú bel grappolo d'uva primaticcia portata appositamente dal fratello premuroso.

Pagina 75

Cerca

Modifica ricerca

Categorie