Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonavano

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

IL RE DEL MARE

682254
Salgari, Emilio 2 occorrenze

- gridò Sambigliong ai suoi prodi che non abbandonavano i loro posti, quantunque molti fossero stati già feriti. - Ecco il momento terribile! Sappiate morire da eroi! I dayaki per la seconda volta si erano precipitati all'assalto, sostenendosi con un fuoco vivissimo. Malgrado le enormi perdite che subivano, avevano cominciato ad arrampicarsi su per le roccie, vociando sempre, balzando come scimmie, impazienti d'impadronirsi delle teste di quegli ostinati difensori e di vendicarsi di tante sconfitte subite. Il drappello guidato da Sambigliong e da Kammamuri resisteva tenacemente. La lotta diventava terribile! Era un battagliare selvaggio, feroce, inumano. Gli uomini cadevano mandando urla furiose, tentando ancora di offendere o col fucile o coi kampilang o coi parangs gli avversari. Sambigliong e Kammamuri vedevano con angoscia assottigliarsi sempre più il loro drappello. Tutti quelli che si trovavano a metà della rupe erano stati decapitati dalle pesanti sciabole degli assalitori o fucilati sul posto ed il segnale ancora non si udiva! Che cosa poteva essere successo a Yanez? Che i prahos dei pescatori non fossero ancora rientrati in porto? Era quello che si chiedevano con ansietà estrema Kammamuri e Sambigliong, i quali ormai si vedevano impotenti a frenare l'attacco. I dayaki salivano sempre, sfidando intrepidamente la morte e facendo scintillare i loro terribili kampilang. Non facevano quasi più fuoco, tanto erano sicuri della vittoria. Sambigliong, vedendo sciabolare gli uomini che si erano appiattati a due terzi della salita, mandò un grido tuonante: - Kammamuri! Lancia la tigre! - A te, Darma! - urlò il maharatto. - Sbrana! La belva, che durante quella intensa fucilata era rimasta nascosta dietro una roccia, mugolando sordamente e rizzando il pelo, a quel comando balzò innanzi con un aug spaventevole e piombò su un uomo che stava decapitando un giavanese, puntandogli i denti nella nuca. I dayaki, vedendo rovinarsi addosso quella belva, che pareva volesse divorarli tutti, si erano precipitati all'impazzata giù dalla roccia, ricaricando precipitosamente i loro moschetti. Vedendoli retrocedere, Darma aveva subito abbandonato il primo uomo per scagliarsi sopra un altro. Con un secondo slancio piombò addosso ad uno dei fuggiaschi, rovesciandolo di colpo, quando una scarica vivissima la colpì. La povera bestia si era bruscamente rizzata sulle zampe posteriori, rimanendo in quella posa alcuni istanti, poi s'abbattè, mentre Kammamuri mandava un urlo disperato: - La mia Darma! Me l'hanno uccisa! Quasi nel medesimo istante si udirono in lontananza tre spari. - Il segnale! Il segnale! - gridò Sambigliong. - In ritirata! Del drappello non rimanevano che undici uomini. Tutti gli altri erano caduti sotto le palle e i kampilang dei dayaki e i loro corpi giacevano sui pendii della rupe, privi della testa. Sambigliong afferrò Kammamuri che stava per scendere verso la tigre, a rischio di farsi fucilare e lo trascinò con sè, dicendogli: - È morta: lasciala. Si erano precipitati a corsa disperata nel burrone, mentre una seconda scarica rumoreggiava verso la costa. Yanez doveva avere molta premura. Il drappello con una corsa fulminea percorse tutta la gola, sotto una grandine di palle, avendo i dayaki ripreso l'inseguimento e sbucò su una piccola pianura alla cui estremità s'alzavano quindici o venti capanne, piantate su dei pali. Al di là rumoreggiava il mare. - Signor Yanez - gridarono Sambigliong e Kammamuri, vedendo dei piccoli prahos ancorati dinanzi al minuscolo villaggio, colle vele già spiegate, pronti a prendere il largo. Il portoghese usciva in quel momento da una capanna, accompagnato da Tremal-Naik e dalla fanciulla, mentre la loro scorta accostava i due legnetti alla riva. - Presto! - gridò Yanez, vedendo i superstiti ad attraversare, sempre correndo, la piccola pianura. Pochi minuti dopo, estenuati e insanguinati, madidi di sudore, si precipitavano sulla riva. - E gli altri? - chiesero a una voce Yanez e Tremal-Naik. - Tutti morti, - rispose Kammamuri con voce affannosa; - anche la tigre, la nostra brava Darma. - Sia dannato quel cane di pellegrino! - gridò l'indiano, sul cui viso traspariva un intenso dolore. - Anche la mia tigre perduta! - Ed i dayaki? - chiese Yanez. - Fra poco saranno qui, - disse Sambigliong. - Lesti, imbarchiamoci. Tu sul più grosso, Tremal-Naik, con tua figlia e la scorta. A me l'altro con Kammamuri ed i superstiti. S'imbarcarono rapidamente e i due legni presero il largo, mentre la popolazione della borgata udendo le grida dei dayaki si salvava precipitosamente nei boschi vicini. Il vento era favorevole, sicchè i due prahos con poche bordate uscirono dalla piccola baia, filando rapidamente verso il sud-ovest, non volendo scostarsi troppo dalla spiaggia, almeno pel momento. I dayaki giungevano allora sulle rive della baia, ma troppo tardi. La preda tanto sospirata ancora una volta sfuggiva loro e proprio nel momento in cui credevano di averla finalmente nella mani. Non sapendo su chi sfogarsi, avevano dato fuoco al villaggio. - Canaglie! - esclamò Yanez, che teneva la barra del timone. - Se avessi ancora la mia Marianna vi darei io una tale lezione da non scordarvela più. Tutto forse non è finito fra noi e voi e chissà che un giorno non vi ritroviamo sui nostri passi e allora guai al vostro pellegrino! I due legnetti, spinti da un fresco vento di settentrione, erano già lontani e stavano girando il capo Gaya, per entrare nella baia di Sapangar, entro cui sbocca il Kabatuan. Erano due piccoli prahos pescherecci, con grandi vele formate di vimini intrecciati, bassi di scafo, privi di ponte e col bilanciere per poter meglio appoggiarsi e resistere alle raffiche senza correre il pericolo di rovesciarsi. Quello montato da Tremal-Naik, dalla fanciulla e dagli otto uomini della scorta era un po' più grosso e portava per armamento un lilà; quello di Yanez invece non aveva che una vecchia spingarda collocata su un cavalletto fissato sulla prora. - Pessimi velieri, - disse Sambigliong, dopo un rapido esame. - Sono vecchi quanto me. - Non vi era di meglio, mio bravo tigrotto, - rispose Yanez. - È stata anzi una vera fortuna trovarli e non ci volle poco a indurre quei pescatori a venderceli. - Muoviamo subito su Mompracem? - Costeggeremo fino a Nosong, prima di intraprendere la traversata. Non vi è molto da fidarsi di queste barcacce che assorbono acqua come le spugne. - Sono impaziente di giungervi, capitano. - Ed io non meno di te, Sambigliong. Che cosa sarà successo laggiù, dopo le notizie portate da Kammamuri? Come desidero saperlo! - Che la Tigre stia combattendo contro gli inglesi? - Non mi stupirei: Sandokan non è un uomo d'abbassare la bandiera e di cedere alle pretese del governatore di Labuan senza opporre una fiera resistenza. Come rimpiango ora d'aver perduto la mia nave! Colla mia Marianna e la sua appoggiati dai prahos da guerra, avremmo potuto dar da fare alle cannoniere di Labuan. - Non è colpa mia, capitano Yanez, - disse Sambigliong. - Tu hai fatto anche troppo per difendere la mia nave, - rispose Yanez, con voce dolce. - Non ho alcun rimprovero da farti, mio bravo. Stringiamo verso la costa e cerchiamo di guadagnare più via che potremo. Se il vento si mantiene, domani notte noi approderemo a Mompracem. Era allora calato il sole e le tenebre scendevano rapide. Il mare era calmo, con leggere ondulazioni che non davano alcun fastidio ai due legnetti, i quali continuavano la loro rotta verso il sud-ovest, tenendosi a due o tre gomene l'uno dall'altro. Yanez, seduto a poppa, su una grossa pietra che serviva da ancora, teneva la mano sulla barra, consumando le sue ultime sigarette, mentre la maggior parte dei suoi uomini russavano stesi sul fondo del legno. Soli quattro vegliavano a prora, per la manovra. Nessun lume brillava sul mare, già divenuto color dell'inchiostro. Anche verso la costa tutto era tenebroso. Solo verso l'isolotto di Sapangar, che chiude a ponente la baia omonima, un punto rossastro brillava, la torcia forse di qualche pescatore notturno. Al di là del capo Gaya, il vento era venuto quasi a mancare ed i due velieri non avanzavano che con estrema lentezza. - Bramerei trovarmi ben lontano dalla baia prima dell'alba, - mormorò il portoghese. - La foce del Kabatuan per poco non è stata fatale alla mia Marianna. Vegliò fino alle una del mattino, poi non scorgendo nulla di sospetto, cedette la barra a Sambigliong, sdraiandosi sotto un banco, su una vecchia vela di vimini. Un grido del mastro lo svegliò bruscamente alcune ore dopo: - All'armi! Tutti in piedi! Cominciava allora ad albeggiare e i due prahos, che durante la notte avevano camminato pochissimo, si trovavano verso la punta settentrionale dell'isola di Gaya. Yanez, udendo il grido del suo fedele mastro, era balzato rapidamente in piedi, chiedendo: - Ebbene, che cosa c'è? Che non si possa dormire un momento tranquilli e ... Si era bruscamente interrotto, facendo un gesto che tradiva una viva ansietà. Un grosso giong, un veliero assai più rotondo e più lungo dei soliti prahos, con due vele triangolari, usciva in quel momento dalla baia, seguìto da una mezza dozzina di doppie scialuppe munite di ponte e da una scialuppa a vapore che non portava alcuna bandiera sull'asta di poppa. - Che cosa vuole quella flottiglia? - si era domandato il portoghese. Un colpo di mirim, partito dal giong, sparato a bianco, fu la risposta. La flottiglia intima ai due prahos di fermarsi. - I dayaki, signori! - gridò in quell'istante Sambigliong, che si era slanciato verso prora per meglio osservare gli uomini che montavano il veliero e le doppie canoe. - Signor Yanez, virate di bordo e gettiamoci verso la costa! Il portoghese mandò una bestemmia. - Ancora essi! - esclamò poi. - Ecco la fine! Era una follia tentare d'impegnare la lotta con forze così poderose e munite di lilà e di mirim e fors'anche di spingarde. Fuggire era pure impossibile: la scialuppa a vapore, che era pure montata da uomini di colore, malesi e dayaki, non avrebbe tardato a raggiungere i due vecchi e pessimi velieri. Gettarsi verso la costa o meglio ancora verso l'isola di Gaya che era coperta di folte foreste, era l'unica salvezza che restasse ai fuggiaschi. - Appoggiate sulla costa! - gridò Yanez. - E armate i fucili. Il praho di Tremal-Naik che si trovava a sette o otto gomene da quello di Yanez, aveva già virato di bordo e muoveva sollecitamente verso Gaya. Disgraziatamente il tempo mancava. Il giong, accortosi dell'intenzione dei fuggiaschi, con una lunga bordata si era frammesso fra i due prahos, seguìto subito dalla scialuppa a vapore ed aveva cominciato a far fuoco coi suoi lilà, cercando di abbattere le manovre. - Ah! Canaglie! - aveva gridato Yanez. - Ci separano per distruggerci più facilmente. Su, tigri di Mompracem, diamo battaglia e affondiamo tutti piuttosto che cadere vivi nelle mani di quei selvaggi. Afferrò la carabina e pel primo aprì il fuoco, sparando sul ponte del giong. I suoi uomini avevano pure impugnate le armi, moschettando vigorosamente l'equipaggio della nave avversaria. Anche sul praho di Tremal-Naik, quantunque stretto fra il grosso veliero e la scialuppa a vapore che tentava di abbordarlo, le carabine tuonavano furiosamente, tentando una suprema resistenza. Non doveva durare a lungo quella lotta così impari. Una bordata di mitraglia disalberò d'un colpo solo il praho dell'indiano rasandolo come un pontone ed immobilizzandolo, mentre una piccola granata, sparata dal pezzo d'artiglieria che armava la scialuppa a vapore sfondava la ruota di prora, aprendo una falla enorme. - Tigrotti di Mompracem! - aveva gridato Yanez, che si era subito accorto della disperata situazione in cui trovavasi Tremal-Naik. - Andiamo a salvare la fanciulla! Il praho virò per la seconda volta di bordo cercando di accostarsi a quello dell'indiano, quando si vide tagliare la via dal giong. Il grosso veliero, compiuta la sua opera di distruzione, si era rivolto verso quello di Yanez, mentre la scialuppa a vapore abbordava, con due doppie scialuppe d'appoggio, quello di Tremal-Naik che cominciava ad affondare. - Fuoco sul ponte, Tigrotti! - gridò il portoghese. - Almeno vendichiamo gli amici! Una voce dall'accento metallico, si levò in quel momento dalla poppa del giong: - Arrendetevi al pellegrino della Mecca! Vi prometto salva la vita! Il misterioso nemico era apparso sul cassero col suo turbante verde in capo, impugnando una di quelle corte scimitarre indiane chiamate tarwar. - Ah! Cane! - gridò Yanez. - Anche tu ci sei! Prendi! Aveva in mano la carabina carica. La puntò e fece fuoco rapidamente. Il pellegrino aprì le braccia, le richiuse, poi cadde addosso al timoniere, mentre un altissimo urlo di furore s'alzava fra l'equipaggio del giong. - Finalmente! - gridò Yanez. - Ed ora fumiamo la nostra ultima sigaretta!

Specialmente di notte abbandonavano di rado la coperta, accontentandosi di riposare solo poche ore dopo il levar del sole. - Sandokan, - disse Tremal-Naik, quando già il Re del Mare aveva oltrepassata la seconda bocca del Sarawak di qualche dozzina di miglia, - mi sembri molto inquieto. - Sì, - rispose la Tigre della Malesia, - non te lo nascondo, mio caro amico. - Temi qualche incontro? - Io sono certo di essere seguìto o preceduto, e un marinaio difficilmente s'inganna. Si direbbe che io senta odor di fumo e di fumo di carbon fossile. - E da chi? Da squadre inglesi o da quelle del rajah? - Di quelle del rajah non mi occupo troppo, perchè l'unica nave che poteva misurarsi colla mia, ora giace sventrata in fondo al mare. - Quella di sir Moreland? - Sì, Tremal-Naik. Le altre che possiede il rajah sono vecchi incrociatori di ordine secondario, che non valgono assolutamente nulla come navi da battaglia. È la squadra di Labuan che mi preoccupa. - Sarà forte? - Molto forte no, numerosa di certo. Potrebbe prenderci nel mezzo e crearci molti fastidi, quantunque io ritenga il nostro incrociatore così poderoso d'aver ragione di essa. I migliori, l'Inghilterra se li tiene in Europa. - Sono ben lontani da noi, - disse Tremal-Naik. - E chi mi assicura che non ne mandi alcuni a darci la caccia? Mi hanno detto che ve ne sono dei poderosi anche nell'India. Quando si apprenderà quali danni noi abbiamo recato alle loro linee di navigazione, gli inglesi non esiteranno a lanciare su questi mari il meglio della loro squadra indiana. - E allora? - chiese Tremal-Naik. - Faremo quello che potremo, - rispose Sandokan. - Se il carbone non ci mancherà la faremo correre e molto. - È sempre il carbone il nostro punto nero. - Di' il nostro lato debole, Tremal-Naik, perchè a noi tutti i porti sono chiusi. Fortunatamente la marina inglese è la più numerosa del mondo e piroscafi ne troveremo sempre, dovessimo andarli a cercare perfino nei mari della Cina. Ah! Cala la nebbia! È una fortuna per noi, che stiamo per passare dinanzi alle coste del sultanato. - Quanto distiamo dal Sedang? - Forse duecento miglia. Queste sono le acque più pericolose. Se questa notte non facciamo alcun incontro, domani troveremo la Marianna. Apriamo gli occhi, Tremal-Naik ed aumentiamo la nostra velocità. Tanto peggio a chi tocca se taglieremo qualche legno. Pareva che la fortuna proteggesse le ultime tigri di Mompracem, perchè poco dopo il tramonto del sole una folta nebbia era cominciata a scendere sul golfo, in dense ondate. Il Re del Mare aveva quindi maggiori possibilità di sfuggire alla caccia delle navi alleate, ammesso che si fossero realmente messe in moto per sorprenderlo. Nondimeno Sandokan e Yanez avevano dati gli ordini per tenersi tutti pronti. Qualche nemico poteva comparire, impegnare subito la lotta e colle sue cannonate attirare l'attenzione della squadra. L'incrociatore, che aveva aumentata la sua velocità portandola a tredici miglia, muoveva rapido attraverso il nebbione che sempre più si addensava. Sandokan, Yanez, Tremal-Naik e l'ingegnere americano erano tutti sul cassero, presso i timonieri, cercando, ma invano, di distinguere qualche cosa attraverso le ondate caliginose che il vento, di quando in quando, scompaginava. Gli artiglieri erano dietro i loro mostruosi pezzi o accanto alle piccole artiglierie; i malesi ed i dayaki dietro le murate. Tutti tacevano ed ascoltavano attentamente. Non si udivano che i rauchi muggiti del vapore ed il gorgoglìo prodotto dalle eliche e dallo sperone fendente le acque. La seconda foce del Sarawak doveva essere stata oltrepassata di una cinquantina di miglia, quando tutto d'un tratto si udì a echeggiare una sirena. - Una nave esplora il mare e segnala la sua presenza ad altre, - disse Yanez a Sandokan. - Sarà mercantile o da guerra? - Suppongo che sia qualche avviso del rajah, - rispose la Tigre della Malesia. - Ci aspettavano? - Fa' puntare verso levante. - Vorrei però prima conoscere con quale avversario abbiamo da fare. - Con questa nebbia non sarà cosa facile, Sandokan, - disse Tremal-Naik. - Quando potremo giungere alla foce del Sedang? - Fra cinque o sei ore. Vedi nulla, Yanez? - Null'altro che nebbia, - rispose il portoghese. - Non devieremo: tanto peggio per chi si caccerà sotto il nostro sperone. Poi, accostandosi al tubo che comunicava colla sala della macchina, gridò con voce poderosa: - Signor Horward! Avanti a tutto vapore, a tiraggio forzato! Il Re del Mare continuava la sua corsa, aumentandola rapidamente. Da tredici nodi era salita a quattordici all'ora, e non bastava ancora. L'ingegnere americano aveva comandato il tiraggio forzato per raggiungere possibilmente i quindici. Era ben vero che il carbone se ne andava rapidamente, però ne avevano in quantità sufficiente per tenere il mare alcune settimane senza bisogno di provvedersi. Erano già trascorse due ore, quando tutto d'un tratto la nebbia s'illuminò come se un gran fascio di luce l'attraversasse. Luce lunare non doveva essere, perchè assai più intensa e brillante e poi non ne aveva l'immobilità. Veniva dall'est e scorreva dal sud al nord, facendo scintillare vivamente le acque. - Un fanale elettrico! - esclamò Yanez, trasalendo. - Ci si cerca. - Sì, ci cercano, - disse Tremal-Naik. - Che siano in molti? Sandokan non aveva aperto bocca; la sua fronte però si era bruscamente aggrottata. Trascorsero alcuni minuti ancora. - Macchina indietro! - tuonò ad un tratto la Tigre della Malesia. Il Re del Mare trasportato dal proprio slancio, s'avanzò per due o trecento metri, poi s'arrestò lasciandosi cullare dall'onda larga del golfo. Una nave e forse non sola, si trovava dinanzi all'incrociatore ed esplorava il mare, proiettando dovunque fasci di luce. - Che la squadra di Sarawak si sia accorta della nostra presenza? - chiese Tremal-Naik. - Dobbiamo essere stati segnalati da qualche veliero, forse da qualche praho che è sfuggito alla nostra sorveglianza, - disse Sandokan. - Che cosa farai, Sandokan? - Aspetteremo, per ora, poi passeremo, dovessi fracassare dieci navi a colpi di sperone. Il Re del Mare ha la prora a prova di scoglio e le macchine d'una solidità tale che non si sconquasseranno per l'urto. Il fascio di luce continuava a scorrere lentamente dal nord al sud, tentando di forare la nebbia, fortunatamente sempre foltissima. D'improvviso, un secondo ne apparve dal lato opposto, ossia verso la poppa dell'incrociatore, poi altri due al nord e uno al sud. Una sorda imprecazione sfuggì dalle labbra del portoghese, il quale stava a guardia dei timonieri. - Ci hanno ben circondati! Alla malora quegli squali! Fra poco qui farà caldo! La Tigre della Malesia aveva seguìto attentamente la direzione di quei diversi fasci di luce. La sua nave che occupava il centro, non poteva essere stata ancora scorta, però non poteva slanciarsi innanzi nè retrocedere senza farsi scoprire. Con un gesto chiamò Yanez e l'ingegnere americano. - Si tratta di forzare il passo, - disse. - Dinanzi, presumibilmente, non abbiamo che una sola nave. Il nostro carico è stato ben stivato? - Assaliremo collo sperone? - chiese l'americano. - Ne ho l'intenzione, signor Horward. Fate raddoppiare il personale delle macchine. - Bene, comandante, - rispose lo yankee. - I miei compatriotti non agirebbero diversamente in simile frangente. - Sono tutti ai pezzi gli artiglieri? - Sì, - rispose Yanez. - Avanti a tutto vapore! Passeremo a qualunque costo. I fasci di luce elettrica continuavano ad incrociarsi in tutti i sensi e a poco a poco diventavano più luminosi. Probabilmente i comandanti di quelle navi dovevano aver scorta l'ombra immensa del Re del Mare e si preparavano ad assalire, dirigendosi verso uno stesso punto. Il momento stava per diventare terribile; tuttavia malesi, dayaki ed americani conservavano anche in quel supremo momento, una calma ammirabile. - Tutti nelle batterie! - gridò Sandokan, entrando nella torretta di comando con Yanez e con Tremal-Naik. Il Re del Mare balzò avanti. La sua velocità aumentava di momento in momento ed il fumo usciva turbinando dalle due ciminiere abbattendosi sui ponti in causa della nebbia. Un fremito sonoro lo scuoteva tutto, mentre gli alberi delle eliche raddoppiavano i giri ed il vapore muggiva nelle caldaie. L'incrociatore attraversò come un gigantesco proiettile la zona luminosa, ma appena rientrato nella nebbia oscura, altri fasci di luce lo raggiunsero, diventando rapidamente più luminosi. Le navi nemiche si erano messe in caccia e cercavano di rinchiuderlo in un cerchio di ferro e fuoco. Sandokan non si sgomentava e lasciava che la sua nave corresse sempre verso l'est. Alcune cannonate rimbombarono al largo e si udì in aria il rauco sibilo dei proiettili. - Pronti pel fuoco di bordata! ... - gridò Yanez. - Per Giove! ... E le fanciulle? - Sono al sicuro nel quadro, - rispose Tremal-Naik. - Manda qualcuno ad avvertirle che non si spaventino se succede un urto, - disse Sandokan. Delle ombre gigantesche si muovevano fra la nebbia che i riflettori elettrici rendevano sempre più luminosa. La squadra nemica stava per piombare sull'incrociatore delle tigri di Mompracem per tentare di sbarrargli il passo. Ad un certo momento una massa nera comparve bruscamente dinanzi la prora, sulla dritta del Re del Mare, a meno di quattro gomene di distanza. Era impossibile arrestare lo slancio dell'incrociatore. - Speronate! - gridò Sandokan con voce tuonante. Il Re del Mare si precipitava sul legno nemico come un ariete. Un rombo assordante, spaventevole, seguìto da urla d'angoscia echeggiò fra la nebbia perdendosi lontan lontano sul mare. Lo sperone dell'incrociatore era entrato tutto dentro la nave avversaria, producendole uno squarcio immenso ... Il Re del Mare s'arrestò un momento inclinandosi a prora, mentre degli scoppi accadevano sulla nave investita e colpita a morte da quella terribile speronata. Le caldaie scoppiavano. - Macchina indietro! - gridò l'ingegnere americano. Si udirono a prora dei sordi scricchiolii, poi il Re del Mare con una brusca scossa liberò il suo sperone indietreggiando e virando a babordo. La nave sventrata calava a fondo a vista d'occhio, fra i clamori assordanti del suo equipaggio. Il Re del Mare aveva ripresa la corsa, passando a poppa della nave sommergentesi, gettandosi nuovamente tra mezzo alla nebbia. Altre ombre pure apparivano a babordo e a tribordo. Le navi della squadra, approfittando di quel momento di sosta, avevano raggiunto il Re del Mare e gli proiettavano sul ponte fasci di luce. - Fuoco accelerato! - comandò Yanez. L'incrociatore s'infiamma come un vulcano in eruzione, con un rimbombo orrendo. I giganteschi pezzi delle torri hanno fatto fuoco quasi simultaneamente, facendo tremare la nave dalla chiglia alla punta degli alberi, scagliando sulle navi nemiche i loro grossi proiettili, poi i pezzi di medio calibro delle batterie hanno seguìto l'esempio, tempestando i nemici. Gli inseguitori non parvero spaventarsi, quantunque quella tremenda scarica delle più grosse artiglierie moderne dovesse aver prodotto danni gravi e forse, per qualche piccolo e maldifeso legno, irrimediabili. Da tutte le parti i lampi spesseggiano. I proiettili delle granate che si spaccano sulla solida blindatura della nave corsara, scoppiano sui ponti lanciando dovunque schegge di metallo. Colpiscono il tribordo ed il babordo, piombano a poppa ed a prora, scivolando sui ponti e rimbalzano sulle cime delle torri. Il Re del Mare nondimeno non s'arresta, anzi risponde con una furia spaventevole, mandando palle a destra, a sinistra e dietro la poppa. Una piccola nave, che fila con una velocità vertiginosa, emerge bruscamente fra la nebbia e con una pazza temerità corre addosso all'incrociatore. È una grossa scialuppa a vapore che porta a prora una lunga asta, l'antica torpediniera Horward. L'ingegnere americano, che conosce quell'arme micidiale, manda un grido: - Badate, cercano di torpedinarci! Sandokan e Yanez erano balzati fuori della torretta di comando. La scialuppa, che era illuminata dalle lampade elettriche delle altri navi, muoveva veloce verso il Re del Mare, cercando di raggiungerlo. Un uomo, il comandante, stava a prora, dietro l'asta. - sir Moreland! - gridarono ad una voce. Era infatti l'anglo-indiano che cercava, con una pazza temerità, di torpedinare l'incrociatore. - Arrestate quella scialuppa! - aveva gridato Sandokan. - No, nessuno faccia fuoco! - urlò invece Yanez. - Che cosa fai, fratello? - chiese la Tigre della Malesia, stupita. - Non uccidiamolo: Darma piangerebbe troppo. Lascia fare a me. A tribordo vi erano parecchi pezzi di medio calibro. Yanez s'appressò al più vicino che era stato già puntato sulla scialuppa, corresse rapidamente la mira, poi diede uno strappo al cordone tirafuoco. La scialuppa non si trovava allora che a trecento metri, non riuscendo a guadagnare via sull'incrociatore. Il proiettile la colpì con matematica precisione a poppa, asportandole ad un tempo il timone e l'elica e fermandola, per modo di dire, in piena volata. - Buon viaggio, sir Moreland! - gli gridò il valente artigliere, con voce ironica. L'anglo-indiano aveva fatto un gesto di minaccia, poi il vento portò fino agli orecchi delle tigri di Mompracem queste parole: - Fra poco incontrerete il figlio di Suyodhana! ... V'aspetta nel golfo! ... L'incrociatore aveva allora oltrepassata la zona luminosa e si rituffava nella nebbia. Scaricò un'ultima volta i suoi pezzi da caccia in direzione delle navi nemiche, che non potevano gareggiare colle sue macchine e sparve verso l'est, mentre i malesi ed i dayaki urlavano a squarciagola: - Viva la Tigre della Malesia! ...

Cerca

Modifica ricerca