Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Contessa Lara (Evelina Cattermole)

220278
Storie d'amore e di dolore 5 occorrenze
  • 1893
  • Casa editrice Galli
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Ma Giulio Sermanni, con la sua tradizionale poesia, quando aveva fatto tanto d'entrar nel campo del sentimento, non lo abbandonava a quel modo senza un po' di sfogo, e specialmente dopo aver sorbito qualche bicchierino di più. — Sì, da vero. Matilde dieci anni fa era magra, bruna, palliduccia. Abitava in una stamberga attigua alla mia, nelle soffitte d'un vecchio palazzo a Porta Genova, e a traverso l'assito che ci separava ella poteva, osservando dalla mia parte, godersi lo spettacolo d'una confusione di tele, di cartoni, di gessi, in mezzo ai quali io badavo a tirar giù alla brava pennellate e freghi di matita. Ma aveva altro da pensare, poverina! In vece, per conto mio, quando udivo il suo passo svelto su' mattoni o la sua fresca vocetta che rispondeva al brontolìo della madre, non mi facevo per nulla scrupolo di curiosare dalle commettiture del legno nella camera della mia vicina. Questo accadeva sempre di mattina presto, o di sera. Nelle altre ore del giorno, silenzio perfetto: meno lo strascicar lento delle ciabatte della vecchia e la sua tosse ostinata. La ragazza, ch'era giornante da una sarta, s'alzava nel cuor dell'inverno verso le sei. Acceso un lumicino che spandeva su l'oscure pareti un barlume fioco fioco da stanza mortuaria, indossava un vestito a quadrelli che nella notte le aveva servito da coperta, e, ancor tutt' assonnata, si scioglieva le trecce guardandosi in un pezzo di specchio rotto che s' appoggiava su le ginocchia. Aveva de' capelloni lunghi, folti, bellissimi, ma che una volta acconciati non facevano più nessuna figura, perchè se li spartiva lisci lisci a sommo del capo, e se li fermava di dietro, come stretti da una morsa, con un brutto pettinaccio sdentato. Terminata quest'acconciatura, ella si metteva a spazzar la camera, a spolverare i tre o quattro mobili tarlati che c'eran dentro, ma pian pianino perchè non si destasse la madre, che russava ancora, raggomitolata in una specie di canile; poi, aperta la cassetta Contessa Lara. 9 del tavolino, prendeva da un foglio mezzo lacero un cucchiaio di caffè di ghiande, e lo metteva a bollire sopra un veggio. Questo modo di riscaldarsi lo stomaco era l'unico lusso di Matilde, allora! — Montazzi inghiottì quattro o cinque sorsi di chartreuse tutti di seguito, astrattamente, e Bertino Fragni s'accostò più che mai alla tavola. II pittore riprese: — Dopo queste faccende, la ragazza trottava lesta lesta verso il suo magazzino e fino a un'ora di notte era tutta una tirata di lavoro. Spesso, al suo ritorno, c'incontravamo per le scale. Io scendeva per recarmi in Galleria, al Gnocchi, dove s'era formata una combriccola di glorie in erba cui davamo il nome pomposo di cenacolo. C'era un po' di tutto: pittori, scultori, musicisti, uomini politici, e non mancava nè anche qualche poeta di genere pornografico; però una razzamaglia di buon umore e con un certo bagaglio di talentaccio, più che altro poi di sfacciataggine. On ne doutait de rien! Bisognava sentir che teorie strampalate, che sublimi paradossi difesi a forza di pugni su' tavolini!... Basta, so che adesso darei molte opere mie che il pubblico loda e paga, per l'entusiasmo pazzo d'una di quelle ore giovenili. Matilde, lei, povera piccina, saliva al nostro quinto piano intirizzita dal freddo, e ravvolta in uno scialletto a maglia che a pena le copriva le braccia; ma era un amore con quel visino livido sotto la paglia d'un cappello scolorito e sbertucciato da chi sa quanti acquazzoni, con quelle dita che facevan capolino in cima ai guanti, tutte rosse per le punture dell'ago e pe' geloni; era un amore tutta impacciata a dissimular sotto le gonnelle troppo corte i tronchi di certi stivaletti larghi e sformati dove il pieduccio le ballava; sicchè ci avevo preso gusto a fermarla. - Buona sera, come sta? Ha fatto tardi, eh? O non ha paura a girar sola a quest'ora? — Quasi sempre le stesse domande e sempre le stesse risposte: - Grazie, sì, stava bene. No, paura no, perchè sceglieva le strade con molti lampioni. Nel carnevale, si sa, c'era il lavoro a monti in magazzino, e non si poteva finir prima. Ma non era mica stanca! Quando si fatica si dorme meglio, nevvero? Buona notte, grazie. - - Buona notte! — E, sorridendo, correva su tutta contenta di appendere a un arpione lo scialletto a maglia e il cappello di paglia, e di mangiar finalmente quel po' di minestra su l'acqua che la mamma avea preparata. Qualche sera, quando la porta di Matilde s'era gia richiusa, io rientravo dietro a lei zitto e cheto nella mia stanza, e mi godevo un quadretto da innamorare un pennello fiammingo. Al lume d'un mozzicone di candela di sego infilato nel collo d'una bottiglia posta in mezzo alla tavola, cenavano le due donne: la vecchia, faccia caratteristica della popolana dalle fattezze ruvide, accentuate, con una pezzuola di cotone a fiorami gialli in testa, legata sotto il mento, e una a fiorami rossi incrociata su 'l seno, piegava il naso fin quasi al piatto, biasciando lentamente i bocconi; la giovanetta, con una cornice di capelli bruni su la fronte, due begli occhi d'un grigio d'acciaio brunito, allargati dalle ciglia lunghe, col profilo regolare, si coloriva e pareva rianimarsi al caldo della zuppa fumante. In un angolo della stanza brillava la nota rossa di qualche tizzo acceso dentro un fornello di terra; a una parete era un'asse con sopra un boccale e de' piatti sbocconcellati ma lucidi, puliti; più là il letto, con a capo un gran ramo d'ulivo ombreggiante una Madonna di carta colorata e un quadretto nero con una medaglia al valor militare: memoria del padre morto in guerra: una reliquia. Matilde, mangiando, raccontava il gran da fare che c'era in magazzino. Madama era diventata più stucca, più rigorosa che mai. E certe volte si metteva a descriver minutamente un abito che avea finito in giornata; era d'una signora forestiera, chi diceva una marchesa, chi una mantenuta, non si sapeva. — Eh!... Bisogna esser di quelle per aver fortuna! — filosofava tra un sospiro e l'altro la madre, scrollando la faccia ossuta. La ragazza terminava a dire: — Bisogna veder che vestito!... — E l'idea di quei monti di stoffe dalle morbidezze di velluto, da' riflessi di raso, di quell'onde di tralci e di merletti in cascate d'argento, era il contrasto più forte, l'antitesi più potente che si potesse opporre a quell'interno miserabile. Un giorno, il proprietario del nostro palazzo fece sloggiar le mie vicine co' loro quattro stracci, per un'unica, ma valida ragione: non avevano pagato l'affitto. Questo io lo seppi qualche giorno dopo dalla portinaia, che mi raccontò per filo e per segno tutti i fastidi sofferti da quel galantuomo del padrone per dare lo sfratto alle due donne. La ragazza, quando caricavan la roba sur un carretto a mano, stava lì ferma al portone con gli occhi rossi, più muta e più sbiancata d'una statua.... Ma, Dio mio, certe cose si sanno senza imparar l'abbaco! O che forse credevan di stare in casa gratis? Quanto a mance, non c'era pericolo che cascasse mai un soldo; po' poi la Matilde doveva guadagnar bene in quel gran magazzino... E la degna portinaia concludeva con una strizzatina d'occhi: — Quando si è giovani si trova sempre da far bene. - - Dove mai sarà andata a finire la povera Matilde? — mi domandavo io con un certo senso di tristezza. Passò più d'un anno senza che rivedessi la sartina. Non la cercai, è vero, perchè non c'era nulla di comune tra di noi; ma di tanto in tanto quella sua figura patita ed ingenua mi tornava nella memoria; massime poi da quando nella sua camera era venuta a star una famiglia d'operai carica di bambini che vociavano e piagnucolavano in tutte l'ore del giorno e della notte; a segno che una bella volta dovetti prender io pure le mie carabattole e andare ad alloggiare altrove. Ora, sentite. Una sera, al Gnocchi, mentre me ne stavo secondo il solito in mezzo al così detto cenacolo, viene una coppia, maschio e femmina, a sedersi al tavolino dirimpetto. Il maschio mostrava una cinquantina d'anni. Alto, con la barbetta ancora biondiccia tagliata corta e un po' calvo, con modi riservati, magari freddi, aveva in tutta la persona un'eleganza esotica, da gentiluomo russo o svedese. M'era ignoto. La femmina, in vece, mi ricordava un viso da me conosciuto, ma non mi sovvenivo nè dove nè quando. Bruna, snella, con due lunghe trecce penzoloni su le spalle, indossava un vestito d'ultima moda fatto di seta e di velluto color lontra: un vestito da signora autentica. Ma in pari tempo erano in lei delle stonature da non isfuggir a un occhio pratico di donne: per esempio, un cappello con delle penne rosee troppo vistose, e brillanti agli orecchi, al collo, ai polsi; sopra tutto poi una larga striscia nera giro giro agli occhi. Che volete? Sarò retrogrado, ma per me, lasciando da parte le voluttuose usanze orientali, ho un'idea fissa: le donne oneste non si tingono. Poi questa donna rideva, rideva da bimba sguaiata, e mangiava per due. Guardandola bene ravvisai la Matilde. Passarono circa altri quattro anni e la rividi quando proprio non mi ricordavo più che fosse al mondo, un inverno, di carnovale, ai veglioni della Scala. Ella tornava allora da Vienna o da Parigi dov'era andata a scuola; portava una parrucchina fulva come il granturco e s'era ingrassata a furia di mangiar dolci e di girare in carrozza. Aveva una stupenda pariglia di sauri e degli abiti di trine vere. — Bisogna esser di quelle per aver fortuna! — aveva filosofato sua madre. Un amico comune mi presentò alla nuova stella, una sera, al Manzoni. Per me pure, in tanto, era girata la ruota. Le mie tele cominciavano a vendersi bene; nel mio studio era già una profusione alla Makart di ninnoli eleganti e d'oggetti d'arte, e più d'una volta Matilde mi ha fatto volentieri da modella per raffigurare qualche baccante. Entrava da me con un incantevole sorriso com'è entrata or ora qui; toccava tutto, curiosava dovunque, poi sedendosi a canto a me mentre lavoravo, si metteva a narrarmi — chi sa perchè - le sue tante avventure amorose, con la franchezza, con l'abbandono d'una folle compagna d'infanzia. - Ma un amore non l'ho mai avuto, sai! — mi disse una volta facendosi triste d'un tratto; poi scrollò le spalle e soggiunse: - Chi sa se l'amore esiste! — Cosa strana! Matilde non ha mai voluto convenire d'esser lei la mia piccola vicina della soffitta a Porta Genova. Quando io, talvolta, gliene ho parlato, massime ne' tempi a dietro, insistendo su' particolari delle nostre prime relazioni e facendogliene vedere il lato gentile, ella protestava energicamente ch'io non l'avevo mai conosciuta, e al fine indispettita, nervosa, mi piantava lì senza salutarmi. Sostiene d'esser nata a Torino e di non saper nulla de' propri genitori. Un giorno, mi ricordo che a questo proposito fui crudele con lei; guardandola fisso fisso le chiesi a bruciapelo: — O della medaglia al valore ch'era a capo del tuo letto, che cosa n'hai fatto? — Ella impallidì, e mi rispose soltanto con una occhiata: un'occhiata che non dimenticherò più. Fu la sua sola vendetta, povera Matilde! - Il fragore delle voci e delle risa misto a un tintinnio di posate e di cristalli cresceva nel gabinetto a costo, simile alla marea. Sermanni ascoltava astrattamente; non parlava più. - Andiamo! — disse Bertino Fragni,voltandosi agli amici. Montazzi si versò dell'altro liquore. - Eh, che volete farci? Questa è la vita — dichiarò come per rispondere al baccano della vicina comitiva e al silenzio improvviso del narratore; quindi soggiunse a mo' di morale: - Matilde, però, nel suo genere, è una buona diavola. - - Dieci anni fa era un angiolo — pensava Giulio Sermanni. - Andiamo, andiamo! — ripetè Bertino — lo sapete che di là ci aspettano. Accesero degli altri sigari; s'infilarono i soprabiti e uscirono. Ma il pittore si fermò di botto. - Scusatemi se non vengo con voi — disse a' due giovanotti maravigliati. — Ho da fare. Proprio vi giuro che non mi sarebbe possibile.... — I compagni protestarono forte. No, perdio! che non doveva lasciarli. Che c'era di nuovo? Qualche convegno amoroso, si capisce. Ma per quella volta la sua bella poteva aspettare!... E a troncare il battibecco, Bertino spalancò l'uscio della stanza dove avea luogo la cena ed annunziò il tradimento meditato dal Sermanni. Allora sì che fu un vocio da stordire; e Sermanni era già in fondo al corridoio quando una donna mezz'ubriaca, con gli occhi lustri, con le labbra ardenti, gli corse dietro incespicando nello strascico di damasco del proprio vestito, e tra risa sgangherate gridò: — Disertore! disertore! — buttandogli il suo bicchiere colmo di sciampagna.

Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.

Emma, my darling, alzati e senti se il signor conte ha la febbre — ordinò alla figliuola; poi si mise a spiegare a' suoi ospiti come Emma fosse abilissima a conoscere la febbre, da quando lei, sua madre, aveva avuta la perniciosa a Roma; in tanto che la giovanetta, con un sorriso birichino, tastava il polso del vecchio, che le abbandonava la mano, guardandola beatamente fisso, di sopra le lenti. — No, no, miss Emma, il conte non ha febbre — insinuò con rispettosa confidenza San Teodoro. — Il conte è innamorato, come diceva benissimo ieri la signora Alford. Emma scoppiò in una sonora risata di bimba; gli altri risero meno rumorosamente; ma in quella che il capitano apriva bocca per lasciarne andare qualcuna delle sue, e Sampieri pensava: — Dio ti mandi un acci... — ecco un cameriere avvertir sottovoce la padrona che c'erano due uomini con un mobile fatto di fiori. — Io non ho ordinato fiori — rispose la signora; poi si volse alla sua ragazza: — va a vedere di che si tratta, my darling, perchè dev'esservi uno sbaglio d'indirizzo. Emma era a pena uscita che di nuovo si precipitava nella sala da pranzo, con gli occhi lucenti di gioia, esclamando: — La fontana! Una fontana più alta, più bella di quell'altra! — poi subito, volta al tenente: — Ma che pazzia, Totò! che gran pazzia! Dopo che ve l'avevo proibito, dopo che v'avevo fatto promettere, giurare che non l'avreste ordinata! Un oooh! d'ammirazione generale salutò quel trionfo di fiori che lentamente i camerieri trasportavano nella stanza, in tanto che Emma, a cui s'univano la madre e il capitano, badava a colmar di dolci rimproveri e di effusioni di gratitudine l'ufficialino: il quale si difendeva, in vano, giurando su tutti i toni e in tutti i modi ch'egli non ne intendeva una buccicata. Quando il cicaleccio si fu alquanto acquetato, Emma andò a posar la testa bionda su l'orlo odoroso della vasca di gardenie, come una colomba assetata. — Avrei dovuto figurarmelo — diss'ella dolcemente commossa. — son proprio del carattere di Totò queste premure senza parole... — e seguitando ad aspirare il profumo acuto, mormorò: — I bellissimi fiori dovranno appassire, ma il ricordo resta.... L'avvocato guardava fisso fisso il suo amico. — Che diamine faccio io? — gridò il tenente guardando l'orologio - M'ero assolutamente dimenticato che debbo tornare a Salerno. E a quest'ora mi pare impossibile di fare in tempo al treno, con tanta distanza dalla stazione! Rapido come un lampo, balzò a riprendere la sciabola che aveva deposta in un canto, e affibbiandosi il cinturino, salutava in fretta e furia la società; poi volò giù a precipizio per le scale; ma Emma, afferrando una manata dei tralci di rose che figuravano il getto della fontana, senza udir un grido soffocato d'ira e di dolore del povero conte Sampieri — a cui nessuno, tranne il Bencini, badava — corse al balcone e buttò i fiori nella carrozzella che si portava via San Teodoro. Quando la fanciulla rientrò nella sala, il vecchio n'era scomparso. L'amico si mise in cerca di lui per tutta la pensione; ma senza frutto. Allora, inquieto, insospettito, fantasticando che un originale di quella fatta era capace di commettere qualunque sciocchezza, uscì subito in traccia di lui, percorrendo tutti i luoghi ch'erano usi a frequentare insieme; e finalmente, dopo più d'un'ora di palpiti, trovò il conte dentro la Villa, solitariamente accasciato sur una panchina, come un povero diavolo che non ha nè pane nè tetto. L'infelice non gli lasciò tempo di parlare. - Ma è orribile! è atroce, sai! — esclamò battendosi tutt'e due le mani su le ginocchia. — Chi poteva immaginare che quell'animale si sarebbe appropriato così tutto il merito?... mentre son io che ho regalato il mazzo ad Emma; io, io, non già lui! - Me lo figuravo, non dubitare. - asserì l'altro - Ma, che tu sia benedetto! o perchè non glielo accompagnavi con una tua carta? O almeno perchè non hai parlato quando la cosa è andata come è andata? Ci voleva tanto! - Mio caro, non è da oggi che tu mi conosci! Io, lo sai come son fatto. Con le donne ho avuto un sistema tutto di discrezione; e figúrati se questo sistema mi si è fatto più sacro da quando ho capito che è proprio quello che piace a Emma. Le dichiarazioni brusche non valgon a nulla, di certo: in vece la delicatezza.... Ora, però, so io quel che ho da fare. — Come? — domandò con sorpresa l'avvocato. — E intenderesti di corteggiar ancora quella ragazza... a ogni costo?... - Intendo di farla mia moglie, capisci? — dichiarò il conte risoluto. - La passione, eh? dà ogni scaltrezza, e io ho trovato un mezzo ingegnosissimo per impossessarmi di quel coricino cosi sensibile. — Sì molto sensibile, ma non per te! — ribatteva l'avvocato. — Per adesso, mi sembra che tutti i tuoi espedienti ingegnosi, tutte le tue delicatezze mute sieno state soltanto buone ad avvantaggiare il tuo rivale, il bel Totò.... - Bencini, non mi nominar mai più quello sfacciato straccione, o ci guastiamo! — Caro Sampieri, ci guastiamo senza dubbio e su 'l serio, se tu non mi giuri su 'l tuo onore che domattina stessa andiamo via di qui. Ma il conte era nello stato acuto della passione. Partire! Partire ora proprio ch'egli aveva trovato il modo di conquistare il paradiso? No, no, e poi mille volte no, che non partiva! E fece e disse tutto quel che potè per persuader l'avvocato che questo era l'esperimento decisivo, l'estremo. — Ti chiedo per grazia, per misericordia, di tentar quest'ultima prova; dopo di che partirò per sempre, sì, per sempre; ma mi devi promettere che questa volta mi aiuterai molto anche tu. Fuori di sè per la stizza che gli faceva l'ostinazione del conte, il Bencini protestò energicamente su 'l proprio intervento in una ridicolaggine come quella; e sa Dio se risparmiò, mescolati insieme, consigli e rimproveri. Ma quando vide quella povera figura grottesca, compassionevole pregarlo con gli occhi pieni di lagrime, quando s'accorse che il cervello del suo vecchio amico ci andava di mezzo, si calmò e cercò di calmare l'altro; ascoltò con pazienza i progetti di lui, e gli promise il suo appoggio a conseguirne l'adempimento. Poco dopo l'avvocato tornava solo alla pensione.

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Voci della notte

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Neera 1 occorrenze
  • 1893
  • Luigi Pierro Editore
  • Napoli
  • Verismo
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