Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Giacomo l'idealista

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De Marchi, Emilio 1 occorrenze

Quando capí che il padrone cominciava a veder qualcheduno, il brutto cane, che da cinque o sei giorni non abbandonava la loggetta, si fece coraggio e venne innanzi a fiutare il letto. Giacomo, aprendo gli occhi, incontrò quelli buoni e lagrimosi del fedele animale; sporse una mano dalla coltre, gli strinse il muso, lo carezzò, lo interrogò a lungo con uno sguardo, a cui il vecchio filosofo pessimista rispose con un tremito convulso di tutto il corpo e con un lento dimenar della coda. - Hai sentito, Blitz, quel che ci hanno fatto? - mormorò Giacomo, come se volesse provare la voce e le forze in presenza del suo prudente compagno. - Hai sentito quel che hanno fatto della nostra povera Celestina? E non è finita, ve', Blitz; ne vedrai di piú brutte. Se non propriamente pronunciate, queste tristezze furono espresse dallo sguardo dell'uomo, raccolte e compatite dallo spirito del cane, che, posate le due zampe pelose sulle coltri del letto, mandava un gemito come d'anima sofferente. Le forze fisiche tornarono a poco a poco e, insieme, andava crescendo, al tornare della coscienza del suo stato, il terrore e la vergogna dell'oltraggio ricevuto. L'animo, già cosí paziente e tollerante dei mali, correva, al divampare dell'odio, a pensieri di estrema violenza: l'occhio fissavasi in una sua idea lugubre: l'infermo stringeva ipugni sotto le coperte, o si metteva a sedere sul letto, come se cercasse di misurare le sue forze per una estrema battaglia. Non poteva finir cosí! Era un risveglio assai doloroso e grottesco per un filosofo idealista, che stava sognando l'amabile conciliazione degli uomini colle forze nemiche della natura! All'urto feroce della realtà egli si avvedeva d'aver riflesso nella sua filosofia le cose del mondo forse con una certa limpidezza, ma semplicemente capovolte! Aveva creduto nell'illusione fantastica della sua solitudine di stendere il volo ai piú alti cieli e invece era semplicemente la terra che gli mancava sotto i piedi. Mai ingenuità filosofica era stata piú punita! mai s'era vista una piú grande incapacità! Che gli restava di fare? egli non poteva restar eternamente cosí immerso in un morboso letargo, né chiudere gli occhi bastava per non vedere, né sprofondarsi in un sepolcro significava esser morto. Dalla rovina delle sue costruzioni fantastiche, come tra gli sconquassi d'un'immensa impalcatura posticcia, qualche cosa d'immobile e di massiccio era di sotto, contro cui ogni uomo va a battere la testa, ove non sappia edificarvi sopra la vita. Cadevano i vaghi pensieri, ma restava il dovere da compiere. Bisognava insomma far qualche cosa per sé, per Celestina, per il suo onore, per la famiglia, per l'opinione del mondo, per la pace dei buoni, per il riscatto della coscienza, per il sollievo dell'animo esulcerato, per la difesa degli innocenti, per il castigo dei tristi. Ma dove cominciare? a chi chiedere la forza dell'odio e della vendetta? come rompere le catene ormai irrugginite della sua antica schiavitú morale contro questi benefattori, che non poteva pagare? All'immagine laida del miserabile, che aveva vituperato con bestiale brutalità quanto di piú sacro e di piú puro può contenere il cuore d'un uomo sentiva a un tratto la sua volontà ingrandirsi, farsi di ferro; coll'occhio arroventato fisso nell'aria cercava il vile, lo ritrovava, gli si scagliava addosso, metteva le mani nel suo sangue e di questo sangue, di cui nella squisita debolezza nervosa vedeva le chiazze vermiglie vagolare sulle pareti e sul bianco del letto, provava una vertiginosa ebbrezza. A queste fiammate, da cui il suo spirito debole e titubante era trasportato a esagerate emozioni, seguivano molte ore di depressione morale e di sonnolenza, durante le quali la forza critica della sua mente, quella ch'egli era abituato ad adoperare di piú e di cui, come di un coltello del mestiere, si serviva per recidere i lacci e le corde degli inviluppi morali, rispondeva con una lunga e ironica argomentazione alle rodomontate del sentimento. "Un assassinio? una strage? un duello? Ci vuole un bel coraggio a liquidare con un delitto o con una elegante pantomima il crudele dolore dell'anima tua! Forseche il sangue ha mai potuto lavare una macchia e spegnere una sete? E deve proprio toccare a te questa parte di romantico Ernani, perché si tragga dall'agonia mortale di due cuori un drammaccio volgare, che rallegri e contristi di tragica pietà i lettori delle cronache e dei fatti diversi? A chi gioverebbe una vendetta volgare? poco a te, se pur ti pare che giovi al frenetico il rotolarsi nel fango; nulla agli altri, se non a rendere volgari le piú delicate sofferenze; nulla a pagare il danno d'una vita spezzata; nulla a soddisfare la legge morale; nulla a nessuno insomma, tranne che a far piacere agli invidiosi e agli imbecilli". Ma che poteva fare dunque per quella poverina? All'immagine di Celestina le lagrime gli correvano agli occhi, un nodo angoscioso minacciava di soffocarlo, pareva che le ultime forze della sua vita si ritirassero e lo lasciassero esangue. La voce malinconica, il viso sconvolto, quel tono di morta disperazione, con cui gli aveva parlato l'ultima volta nel viale del giardino, tutto questo tornava vivo e presente a scoraggiarlo di piú. Che cosa rimaneva di tutto il caro edíficio della sua vita di lavoro ideale, di quel loro amore cosí naturale e ridente, cosí tenero di tutte le dolcezze piú spontanee della vita? Questo loro affetto non intessuto di astruserie, come sogliono fabbricarne gli spiriti stanchi e sciupati, ma semplice come un fiore, era stato il suo orgoglio. Celestina, oltre alle virtú native della donna innamorata, che cede all'amore dell'uomo forte e sapiente, rappresentava per lui gli adunati desideri, la bellezza ideale, il sospirato riposo, quanto insomma di eletto sovrabbonda alla vigorosa virtú dell'uomo savio e che la donna raccoglie e conserva per i giorni della stanchezza e del dubbio. All'idea che di un cosí incantevole edificio non restava piú che un mucchio di cenere, egli si rivoltava nel letto, cacciava la testa sotto il cuscino, urlava come una belva ferita chiedendo: perché? perché? L'immaginazione gli procurava non minori tormenti nel fargli sentire quel che al propalarsi del sordido caso, i soliti beffardi avrebbero dovuto dire di lui, della ragazza, della burla giocata al filosofo, della superbia punita di casa Lanzavecchia. O Dio! qualche soddisfazione egli doveva pur domandare a questi signori. Nessun anacoreta avrebbe tollerato che una creatura debole e innocente rimanesse senza difesa e senza giustizia sotto l'obbrobrio di un simile oltraggio, senza assumere nella sua pigra sonnolenza morale una obbrobriosa responsabilità. Il male che si compie, accettando in silenzio il male, è una forma, e non la piú coraggiosa, di complicità. Molte ore restava cosí confitto, come un povero Cristo, alla croce dei suoi pensieri, cogli occhi fissi alla luce della finestra, in cui sbatteva irrigidito il candore della prima nevicata; e ripensando per un ozioso abbandono dello spirito ai fatti piú lontani della sua fanciullezza, evocava gli episodi di quel suo antico amore. Sul muro di quella stessa stanza, dove giaceva a invocare inutilmente la morte, erano rimaste le vecchie traccie di un altarino in due striscie dipinte in mattone rosso, simulanti un padiglione, tra le screpolature dell'intonaco. Celestina era venuta spesso ad ascoltare una messa, che il pretino recitava sopra due sedie con indosso il grembiale della mamma in luogo della sacra pianeta, con in testa un logoro berretto dello zio prete. Qualche altra volta egli l'aveva confessata, stando seduto in un vecchio armadio; poi l'aveva comunicata con un manus Christi della zia Veronica. Quante volte avevano preparato insieme le feste del mese di Maria, addobbando la loggetta di pezzuole, di frasche, di corone di fiori, o avevano preparata per la sera una lunga illuminazione di moccoletti, in mezzo alla quale sfilava una processione di ragazzine e di villanelli scalzi, nel frastuono d'una musica di coperchi, d'imbuti e di scatole di lucilina! Quando Giacomo predicava dall'alto del seggiolone, Celestina con sulla testa il grembialone della zia Santina, stava a sentirlo tutta raccolta e compunta, ridendo a qualche citazione in trappolorum gamberellis, che usciva di bocca al predicatore, con quel suo riso irresistibile che metteva in iscompiglio la divozione. Dal suo letto egli vedeva la chioma biancheggiante dell'antico frassino in fondo alla vignetta, in cui solevano ricoverarsi nelle ore calde e cercar nel fitto dei rami una aerea abitazione e fabbricare colla fantasia case e palazzi incantati, che tremolavano ad ogni soffio di vento. Venivano ad una ad una queste memorie e partivano da lui, come pietose visitatrici, che escano dalla casa di un morto. Che potevano dare questi signori in compenso di tanto bene perduto?

L'ANNO 3000

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Mantegazza, Paolo 1 occorrenze

Alle sedie smosse e cadute di chi abbandonava la sala, si unirono grida irose: Profanazione! Profanazione! Abbasso il psicoscopio ... Paolo rimase imperterrito, e il Presidente suonò più volte il campanello, invocando silenzio e pace. Intanto la sala si era vuotata più che mezza, e il segretario potè ripigliare la sua relazione: L'Accademia ha creduto a voti unanimi di conferire il primo premio al signor Fortunati, perchè se le due altre scoperte ci allargano le frontiere del conoscibile, il psicoscopio ci promette un'era nuova di moralità e di sincerità fra gli uomini. Quando noi tutti sapremo, che chiunque può leggere nel nostro cervello, faremo sì che pensieri e opere non si contraddicano, e noi saremo buoni nel pensiero, come cerchiamo di esserlo nelle opere. È a sperare che col psicoscopio la menzogna sarà bandita dal mondo o almeno sarà un fenomeno rarissimo, che si andrà perdendo del tutto; come tutte le funzioni e gli organi, che non hanno più uno scopo necessario o utile. E lasciamo da parte tutti i vantaggi, che potrà arrecarci il nuovo strumento nella diagnosi delle malattie mentali, nell'educazione, nella psicologia. La scienza del pensiero entrerà ben presto in un nuovo mondo, e di certo è assai più utile all'uomo il conoscere se stesso, che il centro della terra o gli abitanti degli altri pianeti. Dacchè l'uomo è comparso sulla terra, egli ha fatto immensi progressi nelle scienze, nelle arti, nelle lettere; in tutto ciò che riguarda la vita del pensiero; ma nella moralità il progresso è ancora molto addietro, e non è punto in armonia con quello della mente. Il psicoscopio ci promette di realizzare questo sogno di tutti i secoli, quello cioè che il progresso morale sia parallelo a quello intellettuale, e siccome tutti crediamo, che il primo per la felicità degli uomini sia molto più importante dell'altro, ecco perchè l'Accademia ha creduto di dover assegnare il primo premio al signor Paolo Fortunati, che ha inventato il psicoscopio. Tutti quelli che erano rimasti nella sala, perchè non avevano paura che il terribile strumento ottico leggesse attraverso il loro cranio alcuni pensieri malvagi, si alzarono in piedi, applaudendo fragorosamente il fortunato vincitore del premio cosmico, e che anche nel suo nome portava quasi il vaticinio della sua gloria ... L'unica persona che non si alzò, era la più felice e la più commossa. Era Maria, che si nascondeva il volto nel fazzoletto per celare le lagrime di una gioia infinita, che la innondava tutta quanta dal capo ai piedi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo intanto era sceso dal banco della presidenza, era ritornato al suo posto, e là le lagrime di due felici si univano insieme, confondendosi nell'estasi di un'ebbrezza sola. Tutti i presenti guardavano commossi quel gruppo dei due felici, persuasi che l'abbraccio di quella donna in quel momento, in quel luogo, era il premio più alto e primo della scoperta immortale di Paolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . *** Pochi giorni dopo Paolo e Maria, dopo aver avuto l'alto consenso del Tribunale sanitario di Andropoli, per unirsi nel matrimonio fecondo; ne ricevevano nel Tempio della Speranza il sacramento solenne, e da amanti, che lo erano già da varii anni, diventavano marito e moglie; avendo acquistato per consenso della scienza il più alto dei diritti, una volta concesso a tutti nei tempi barbari; quello cioè di trasmettere la vita alle generazioni future. 1 Il Panglosso è un teatro riserbato agli uomini molto colti e dove si danno rappresentazioni nelle lingue morte, dal greco all'italiano, dal latino e dal sanscrito all'inglese, al turco, al chinese. 2 Il Teatro dei buffoni di Andropoli ha lo scopo di far ridere ad ogni costo, onde rallegrare gli ipocondriaci, gli annoiati e tutti i depressi. 3 Il Teatro del pianto non dà che rappresentazioni melanconiche, ma non mai strazianti, per mettere una nota triste e pur desiderata nella vita dei troppo felici.

Teresa

678666
Neera 2 occorrenze
  • 1897
  • CASA EDITRICE GALLI
  • prosa letteraria
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Né freddo, né vento, né brina la preoccupavano; metteva i piedi nella sabbia umida dei viali, abbandonava i capelli alla rugiada della notte, cogli occhi rivolti al cielo, cercando nelle miriadi delle stelle una combinazione che formasse la lettera E. E quando quella lettera a caratteri ardenti si disegnava nell'immenso azzurro, le saliva dal cuore un'onda commossa, quasi una promessa, una profezia, un segno indelebile della grandezza del suo amore. Ora sapeva il nome dell'Orlandi - Egidio. Non era nessuno di quelli immaginati prima, neanche un nome noto; non conosceva nessuno con quel nome, non poteva nemmeno dire che fosse un bel nome; eppure, dopo averlo pronunciato una dozzina di volte, pensando a Orlandi, le parve il piú dolce nome della terra. Né solamente colle stelle ella componeva quel nome. Nelle ore in cui, Cenerentola solitaria, era obbligata a starsene in cucina, ritta accanto al fuoco, lo tracciava con un fuscello, nella cenere. Nel rovescio delle imposte, negli angoli oscuri delle muraglie, sul margine del calendario, dappertutto dove una matita poteva giungere, le E si succedevano accarezzate, prolungate in svolazzi. Sull'uscio della sua camera, accanto al suo letto, dove nessuno poteva vederla, un'E maiuscola era intrecciata ad un T - ed ogni sera, prima di coricarsi, Teresina baciava quel monogramma come avrebbe baciata un'immagine benedetta. Tutte le sue azioni restavano involontariamente sottoposte al pensiero dominante. Si muoveva, parlava, come se Orlandi la vedesse. Talvolta sorrideva nel vuoto, coll'allucinazione del caro volto davanti agli occhi. Prendeva l'abitudine di interrogarlo, di chiedergli il suo parere. L'illusione era così viva che alcune sere, mentre si spogliava, gettava un grido di spavento, sembrandole che Orlandi fosse lì. In qualunque luogo e in qualunque ora il giovane le fosse apparso, non poteva sorprenderla, perché ella lo aveva sempre con sé; si meravigliava anzi di non vederlo comparire alle sue potenti invocazioni. Si scrivevano spesso. Queste lettere oramai formavano un piccolo volume che ella non riusciva piú a nascondere in seno. Dopo lunghi dibattimenti e ricerche penose, Teresina decise di cucire la sua corrispondenza nella federa del materasso; ma spesso ancora scuciva per rileggerla, e tutte le notti, coricandosi, trovava modo di mettersi a giacere proprio sul suo tesoro. Rispondere a codeste lettere non era un piccolo pensiero. Ella si sapeva illetterata, ignorante d'ogni artifizio di stile, e temeva di fare cattiva figura; si limitava quindi alla coniugazione del verbo amare in tutti i tempi. La sua maggiore gioia consisteva nello scrivere: "Mio dilettissimo Egidio" in alto - e sotto: "fedele Teresina". La vigilia di Natale venne Carlo a passare le feste in famiglia. Carlino aveva veduto Orlandi, gli aveva stretta la mano, qualche cosa di lui doveva essergli rimasto; Teresina lo circuiva con astuzia, con finezza, invidiandogli la somma felicità di vedere Orlandi tutti i giorni. Usava stratagemmi ingegnosi per indurlo a parlare dell'amico. - Come è graziosa quella cravatta! Ne aveva una simile ... non so piú chi ... Oh! ma precisa. Chi mai l'aveva? - Orlandi. E un'altra volta: - I tuoi amici sono ancora Franceschino, Edmondo? - Sì. - Non ne hai altri? ... delle classi superiori ... dell'Università? - Orlandi. Egli è mio amico piú che mai. Teresina gioiva. La mattina di Natale, intanto che la mamma e le ragazze finivano di approntarsi per la messa, Teresina già vestita, col suo abito nuovo di lana, col cappellino di feltro grigio, si metteva i guanti ai piedi della scala. Carlino zufolava sotto il portico. - Senti Carlino. - ? - Ti ricordi una certa fotografia che mi hai mostrata quest'autunno, una donna ... così, col braccio stretto alla vita ... vestita di bianco? - Uhum! - L'avevi nella valigia ... ti sembrava molto bella ... - Ebbene? Teresina stringeva i denti, facendo forza per allacciare il suo guanto, colla testa chinata. - Dovresti mostrarmela ancora. - Adesso? - No, non adesso, quando vuoi. - Non l'ho piú. Devo averla resa all'Orlandi. - A Orlandi? - Sì, era sua. Il bottone saltò via, con un colpo netto, e la fanciulla poté far credere che l'improvvisa contrazione del suo volto dipendesse da quel contrattempo. Si era ripromessa una bella mattinata in chiesa, col suo abito nuovo, il cappellino che le stava tanto bene, ma tutto rimase guastato. Si sentiva profondamente infelice. Nella navata a destra, la giovane signora Luzzi, sposa da quindici giorni, tutta pallida, affettando un'aria vaporosa, sfoggiava bellissimi diamanti e trine vecchie di Chantilly, cagionando molte distrazioni e peccati d'invidia. L'abito di Teresina non venne nemmeno guardato; ma non era per ciò che la fanciulla si crucciava. Ella pensava a quel ritratto di donna. Le tre messe le parvero sei. Smaniava di trovarsi sola, di strapparsi di dosso tutte quelle vesti inutili, di buttarsi col capo in giù sul suo lettuccio e di piangere. In quella folla che la circondava, tutti i volti le sembravano nemici; la musica dell'organo le metteva addosso una tristezza da campana funebre. Ma perché si mostrava così lieta la vecchia Tisbe, tutta arzilla sotto una cuffietta nuova? Perché era sempre così rubiconda, quasi lucida come una mela, la grossa serva di Monsignore? E la moglie del sindaco, calma, serena, assorta nel suo libro di preghiere? E le due sorelle Portalupi, ricevendo il riflesso dell'eleganza della sorella, vestite anch'esse con un abito nuovo, nella aspettativa fiduciosa di un principe? Tutta questa gente non amava, non era gelosa; tutti si godevano in pace la solennità del Natale. Guardò ancora la sposina Luzzi. Che irradiamento! Lei era felice. Anche quel tormento finì; uscirono di chiesa, le gemelle davanti, Teresina dietro colla mamma. Sulla piazzetta Carlino le aspettava, ma insieme a Carlino c'era Orlandi. Teresina non voleva credere a' suoi occhi; arrossì, poi divenne pallida, poi tornò ad arrossire. I due giovanotti si accostarono. Orlandi ancora piú bello del solito, spigliato, ridente, collo sguardo che raggiava, con un abbandono sicuro in tutte le movenze. - Il Natale qui? - gli domandò la signora Soave. Orlandi rispose, guardando Teresina alla sfuggita: - Sono venuto a trovare la zia; riparto fra un'ora. Non volevo passare questo giorno senza vederla. Teresina capì; si appropriò sguardo, parole e intenzione. Avrebbe voluto ringraziarlo lì sul sagrato, sotto quel bel sole d'inverno, in mezzo a tutta quella gente che un momento prima le sembrava nemica. Sollevò gli occhi lentamente, turbata, giuliva, volendo mostrargli la sua riconoscenza, e pur compresa della necessità di non tradirsi. Egli le accompagnò fino alla porta di casa, stringendo la mano a tutte; stringendola a Teresina in modo particolare, quasi a confermarle che era venuto per lei sola. La fanciulla era in estasi; scomparsa la malinconia; scomparso il dispetto. Rise, cantò, fece due o tre volte il giro della propria camera ballando; si guardò nello specchio con somma compiacenza, con una gioia trionfante. Scelse nel cassettone due nastri che le gemelle vagheggiavano da qualche tempo, e gliene fece dono. Condusse l'Ida a spasso per il giardino, giuocando con lei, abbracciandola tutti i momenti con certi baci caldi, furiosi ... - Torna in casa, Teresina, piglierai freddo. Forse che faceva freddo? Teresina ubbidì e tornò a casa; ma salita di nuovo nella sua camera spalancò i vetri, cedendo a un bisogno d'aria, di luce, di moto. A tavola si parlò di Orlandi. Il signor Caccia disse che era un capo-scarico, che dava cattivi esempi a Carlino, che s'era già mangiato parecchie volte i denari della laurea, e che non riuscirebbe mai a nulla di buono. Carlino difese l'amico. Assicurò sopra tutto che Orlandi metteva giudizio, e che alla fine dell'anno si sarebbe laureato immancabilmente. La prima parte del discorso aveva ripiombata Teresina ne' suoi crucci, ma le spiegazioni date dal fratello la rassicurarono. Anche a lei Orlandi aveva scritto che quell'anno piglierebbe la laurea, e dopo si sposerebbero. Nella sera stessa, prima di coricarsi, preparò una lettera. Teneva sotto il letto uno scodellino coll'inchiostro, per non destare sospetti a portarsi il calamaio in camera; la carta la pigliava nello studio del babbo; carta azzurrina, quadrettata, a fogli larghi come pezzuole; il giorno poi in cui arrivasse a possedere qualche lira, si sarebbe data il lusso dei piccoli fogliettini inglesi, come li adoperava lui. Scrisse: che era felice della bella improvvisata, che per quella aveva passato il piú gaio Natale della sua vita, e tante altre cosine graziose, come le sanno dire e scrivere le fanciulle innamorate. Ma siccome le bruciava sempre in fondo al cuore la gelosia della bella donna fotografata, dopo tre pagine di tenerezza si decise a battere un po' quel terreno pericoloso. Non poteva tenersi il dubbio; era troppo atroce. Voleva sapere da lui la verità. Sottoscrisse come il solito, "fedele Teresina". Ella era ben sicura di restargli fedele, sempre, fino alla vecchiaia, fino alla morte. Campando la media comune, aveva davanti a sé trent'anni ancora per amare Orlandi; e si rallegrava pensando come sono lunghi trent'anni. Tre giorni dopo riceveva in risposta un letterone, con francobollo doppio, contenente la fotografia della bella, stracciata in pezzi. A questa nuova vittoria la felicità di Teresina non ebbe piú limiti. Un lieve fumo d'orgoglio si mischiò alla schietta sensazione del suo amore, si sentì potente, divenne audace. Scrisse ancora: che desiderava vederlo, parlargli, chiedergli cento cose, persuadersi che egli l'amava veramente, udirlo ripetere dalla sua bocca. Il giovane venne. Si diedero un convegno come il primo, alla finestra, di notte, e fu piú lungo del primo, inebbriante; Teresina non aveva piú paura. Delle cento cose che voleva chiedergli, non glie ne chiese alcuna; una sola fu detta e ripetuta d'ambe le parti senza varianti, con un crescendo d'ardore; e la ridissero nel separarsi, e se la giurarono coll'anima sulle labbra. Nulla ormai sembrava impossibile a Teresina; con l'amore di Orlandi l'avvenire era suo. Di quindici in quindici giorni lo studente capitava a farle un'improvvisata. Ella cuciva, accanto alla finestra, e lo vedeva a un tratto comparire, rallentando il passo per potersi scambiare almeno un'occhiata. Che emozioni erano quelle! Quando tornò la primavera, e Teresina poté lavorare coi vetri aperti, il suo cuore era sempre nella via, spiando il passo d'Orlandi. Egli passava, rasente il muro, mormorandole una dolce parola; ella lasciava cadere l'ago, oppressa da un turbamento delizioso. Solamente i loro sguardi si incontravano in un abbraccio immateriale, eppure tutte le fibre della fanciulla trasalivano, come al tocco di una fiamma. Nell'abitudine perdeva la prudenza. Oramai non guardava piú se la via era deserta, quand'ella vi si affacciava per salutare il suo amante; non si accorgeva che vi fossero alcune teste curiose dietro le gelosie. Aveva dell'amore tutte le fedi e tutti gli ardimenti. Un dopo pranzo del mese di giugno, la pretora indusse Teresa a fare una passeggiata sull'argine; presero insieme anche Ida, e così, chetamente, s'avviarono dalla parte dei boschi, dove la riva è quasi deserta. Faceva un magnifico tramonto, uno di quei tramonti porpora che si vedono sul Po, dove pare che un incendio arda dietro la linea verde dei pioppi. La bimba si pose subito a cercare i sassolini e le erbe, saltellando libera nell'aperta campagna. Le due amiche venivano dietro silenziose. Erano proprio amiche, ora; da quando Teresina aveva compiuto i vent'anni, la pretora aveva voluto che le desse del tu. Venivano dietro silenziose; la pretora preoccupata, Teresa nell'estasi dei suoi sogni, guardando la riva opposta del fiume. Bruscamente, com'era suo costume, la pretora disse: - Guardi verso Parma, dove c'è Orlandi? La fanciulla arrossì tutta, impreparata alla lotta. - Non negare, sai, è inutile. Il tuo è il segreto di Pulcinella. - Come? ... - Come avviene sempre di questa sorta di segreti. Teresina raccontò ogni cosa; poiché custodir un segreto amoroso è una voluttà, ma farne la confidenza ad un'amica è voluttà maggiore. Accesa in volto, con una sovrabbondanza di gesti e di parole, ella tentò di far capire come Orlandi l'amava; ma la pretora l'ascoltava senza molta emozione, tacendo. - Vedi se l'ho trovato l'amore ardente e puro? Esiste! La pretora continuava a tacere, camminando a testa bassa, coll'aria di persona che medita. - Ebbene, non credi? - Che cosa? - Che Egidio mi ami. - Oh! sì ... lo credo. - E allora perché fai quella ciera scura? - Perché ... non saprei, ma non sono d'opinione ch'egli possa renderti felice. - Non è un buon giovane? - Te lo accordo. - Hai visto, quando ci fu l'innondazione, come si prestò senza compenso alcuno, con rischio della vita? Tutti allora parlavano di lui come di un eroe. - È vero - Ha ingegno. - Senza discussione. - È simpatico, bello ... - E questi sono, non v'ha dubbio, i suoi meriti piú evidenti. - Se poi lo conoscessi, nell'intimità, quant'è caro ... - Anche di ciò sono persuasa. Ma è una testa calda, capisci? piena di grilli, con poca tenacità di propositi, con nessuna voglia di lavorare ... - Sembri mio padre! - esclamò Teresina con dispetto. - Come se tutti al mondo dovessero essere posati, seri e noiosi per riuscire a qualche cosa di buono. - È un fatto - continuò la pretora - che da tre anni si mangia regolarmente i denari della laurea. - Ma quest'anno no. Me lo ha promesso. - Voglio ammettere. E dopo? - Dopo ci sposiamo. - Così? La ragazza mostrò di non comprendere. - Non può esercitare l'avvocatura prima di averne fatta la pratica. - La farà. - Altri due anni. - Pazienza. - Egli di casa sua non è ricco ... - Insomma finiscila. Io l'amo. Dopo questa interruzione violenta, la fanciulla pianse un poco, stringendosi al braccio dell'amica, ripetendole che adorava Egidio, che non avrebbe potuto vivere senza di lui. La pretora si intenerì; ricordò anche lei i suoi primi amori, le belle illusioni de' suoi vent'anni. - Infine - mormorò - posso ingannarmi. Orlandi non è cattivo; se ti ama veramente, saprà compiere il miracolo. - Mi ama! Così gridò Teresina infiammata d'entusiasmo, colle braccia tese verso la riva destra del Po, dove il sole tramontando accendeva i boschi.

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Si abbandonava senza resistenza alla malinconia, trovando che era ancora il meglio che potesse fare. Guardando giù in platea, astrattamente, vedeva Luminelli, di cui avrebbe potuto essere la moglie, e che non si era mai accasato. S'ella lo avesse preso, quando la pretora glie ne aveva fatto la proposta, anderebbe ora a braccetto con lui, pranzerebbero insieme, dormirebbero insieme; gli farebbe molti baci e lo abbraccerebbe stretto. L'idea di abbracciare Luminelli le diede uno stringimento di gola; si voltò verso il fondo del palco, colla testa appoggiata alla tappezzeria. I baci di Orlandi le tornavano cocenti alle labbra ... Le maschere incominciavano ad affollare, serie, compassate, svelandosi sotto l'abito raffazzonato. Le gemelle si divertivano a indovinare. - Quello là è il farmacista. - Credi? - Senza dubbio. Non vedi come muove i fianchi e tiene i gomiti aperti? - Allora quel domino celeste che pare la sua ombra è la Gigia? - Naturale. - Quando si va in maschera si dovrebbe nascondersi meglio. - È difficile. Qui ci conosciamo tutti. Chi nessuno conosceva erano quattro giovinotti, nascosti sotto l'elegante costume dei gentiluomini veneziani, i quali avevano invaso il palco scenico con un brio indiavolato. Forastieri senza alcun dubbio; ma chi erano? Le gemelle scesero a ballare; Luminelli minore si mostrava molto assiduo presso una di esse. - Che cosa fa quel giovane? Così domandò il signor Caccia sospettoso, perché dopo l'affare di Teresina non aveva occhi che per scoprire gli amanti delle sue figlie. Il tenente dei carabinieri lo soddisfece pienamente dicendogli che egli era professore, come il fratello, e persona raccomandabilissima. Dopo aver fatto parecchi giri colle gemelle, il giovane professore insisté per ballare con Teresina. "È delicato", pensò il signor Caccia, e per quanto Teresina si rifiutasse, la costrinse ad accettare, almeno un giro, per non far parlare la gente. Scesero sottobraccio tenendosi lenti, in una reciproca e completa indifferenza; egli badando solo a farsi strada in mezzo alle maschere; la ragazza annoiata, contrariata, non aspettando nessuna gioia dal ballo, pensando che si troverebbe così bene sola, nel suo lettuccio, dove almeno riposerebbe. - Saltato o strisciato? - chiese Luminelli, appoggiandole la punta delle dita sul dorso. - Come vuole. Fecero mezzo giro, urtati, pestandosi i piedi a vicenda, non arrivando mai a mettersi d'accordo. - Proviamo a saltare? - Ma se le ho detto di fare come vuole! Una compagnia di Pierrot li travolse, serrandoli contro il muro; per poco non caddero. Teresina, a corto di pazienza, sentendosi crescere la nausea e l'irritazione della folla, ritirò la mano dalla spalla del suo ballerino; stava per dirgli: sono stanca. In quel momento, uno dei quattro veneziani in mantello corto la prese rapidamente per la vita. Luminelli, poco pratico, stordito, credette che ella stessa si fosse sciolta per ballare colla maschera e non avendo nessun motivo di rimpiangerla, stette a vedere, pensando che, tanto, loro due non sarebbero mai andati d'accordo. Prima che Teresina potesse dire una sola parola, la stretta appassionata del suo rapitore le svelò chi era. Nella confusione, girando abilmente, egli poté continuare a tenersela serrata contro il petto in un amplesso vertiginoso Attraverso la bauta della maschera la sua bocca sfiorava i capelli della ragazza. - Ho bisogno di parlarti: non dirmi di no. Trovati all'alba in fondo al tuo giardino. Pochi minuti dopo, riconducendo a Luminelli la sua ballerina, il gentiluomo veneziano si inchinò profondamente, ringraziando, e sparve nella folla. Teresina non aveva aperto bocca; si attaccò al braccio di Luminelli come uno che ha le traveggole, e quando costui le chiese se voleva continuare il ballo, accennò negativamente col capo. Luminelli con un sospiro di sollievo la ricondusse in palco. Le gemelle la guardarono con sorpresa. Suo padre le chiese se si sentisse male. Quanto a lei, sempre incapace di parlare, scuoteva il capo, fissando gli occhi vitrei nel vuoto. - Si vede che il ballo non ti va - disse il signor Caccia. L'incidente della maschera era stato così breve, così rapido, che nessuno se n'era accorto. Luminelli, presa per mano la sua fiamma, tornò sul palcoscenico a far miglior prova di abilità. - Sarà tempo di ritirarsi; è il tocco - annunciò il signor Caccia, guardando il suo vecchio cilindro d'oro. - Oh! sì, torniamo a casa. Furono le prime parole che Teresina pronunciò, uscendo dal suo stupore. Non le pareva vero di andarsene fuori da quella calca. La prima boccata d'aria pura la rinvigorì tutta, dandole un bisogno di moto: si pose a correre lungo il muro, colla testa alta, per sentire sulla faccia il fresco della notte. - Che furia! - disse una delle gemelle, indispettita di aver dovuto abbandonare il ballo così presto. Teresina rallentò il passo, ma non rispose. Era la prima volta che si trovava in istrada a quell'ora; e nella condizione di esaltamento in cui l'aveva posta l'improvviso incontro di Orlandi. avrebbe voluto camminare sola nel buio, nel fresco, nel silenzio. La sua calma fantasia di fanciulla intravedeva con meraviglia i contorni di un mondo fantastico. Le case ben note, le vie tante volte percorse, le apparivano sotto un aspetto nuovo; ma, piú ancora degli oggetti materiali, era il mistero della notte che la colpiva; quel gran silenzio freddo, quella purezza dell'aria e del suolo, che si ritemprava nella assenza degli uomini, quasi la natura volesse riprendere fra le tenebre i suoi diritti violati ogni giorno sotto la luce del sole. Mai ella aveva sentito così vivo l'istinto della libertà. Senza accorgersene riprincipiò a correre, illudendosi di essere padrona di se stessa, provando, in questo inganno, una delle gioie piú inebbrianti della sua vita. Ma la voce dell'esattore chiamò in falsetto: Teresina! - e l'incantesimo cadde. Il padre, la madre, la famiglia, il decoro, le consuetudini, tutte le catene della sua esistenza ripresero il loro posto; ella trasalì proprio come se un anello di ferro le avesse serrato i polsi. Solamente quando fu nella sua camera, prese a considerare con una freddezza, relativa, la proposta di Orlandi. Egli le aveva detto in fondo al giardino e si capiva che, dopo gli scandali occorsi, non volesse esporla alla finestra che dava sulla via. Il giardino confinava con un viottolo disabitato: ma la muraglia era alta; come avrebbero potuto parlarsi? E sopratutto che cosa le avrebbe detto? Da un anno Teresina dormiva sola in camera; le gemelle le avevano collocate, insieme all'Ida, nell'ampia camera di Carlino. Ebbe dunque tutto l'agio di riflettere e di pensare le cose piú stravaganti, così come le piú comuni, appoggiata alla sponda del letto. Quando vide che la candela, quasi interamente consumata, stava per abbruciare la carta, si spogliò rapidamente l'abito di gala, mise il solito di casa, e, soffiando sulla fiamma, si buttò così mezzo vestita sul letto per aspettare l'alba. Verso le cinque la finestra, imbiancandosi, le diede avviso del giorno che spuntava; ed ella fu meravigliata di doversi levare con uno sforzo, meravigliata di sentire il corpo in un momento come quello. Tutte le ossa le dolevano. Si pose sulle spalle uno sciallino nero, e discese le scale rabbrividendo, sbadigliando per convulsione, con un gran vuoto al posto dello stomaco. Attraversò il giardino in mezzo agli alberi secchi, sul viale bianco di brine; dando un'occhiata a destra nel cortile sfiancato della casa del pretore, ed a sinistra alla casina di don Giovanni, che sembrava sprofondarsi sotto un boschetto di magnolie sempre verdi. In fondo, sul muro di cinta, dove il fico stendeva i suoi rami nodosi, Orlandi era alla vedetta, pronto, e appena scorse la fanciulla, discese. Teresina fu sorpresa, non dell'apparizione, ma di non aver pensato prima, che quella era una via praticabilissima per un amante ardito. Si abbracciarono subito, senza parlare, quasi temessero di perder tempo. La fanciulla che aveva preparata una frase dignitosa, si trovò avvinghiata al collo di Egidio, e lo baciava sulle guancie, sulle orecchie, alla radice dei capelli, stringendosi a lui nel caldo delle sue braccia, colla sensazione di un benessere che affogava qualsiasi ragionamento. Non aveva piú freddo, non era piú stanca; tutta la sua persona era appoggiata, abbandonata su quella del giovane, in un oblìo completo di tutto quanto non fosse lui. Lo stringeva gradatamente, sempre piú forte, coll'incoscienza dell'istinto, avendo una sola idea chiara e precisa: Egidio nelle sue braccia. Egli le prese la testa, e rovesciandola indietro con un movimento brusco, la baciò sulle labbra. - Vieni con me, fuggiamo. Il suono della voce riscosse Teresina. Si allontanò dal giovane, tenendogli solo le mani sulle spalle, guardandolo inebbriata. - Vieni con me. Tuo padre non acconsentirà mai alle nozze finché non vi sia costretto. Ti condurrò a Parma, dalle mie sorelle: vuoi? Teresina non poté sapere se egli fosse venuto a trovarla con quel progetto, o se forse gli era sorto improvvisamente nel delirio del primo amplesso. Però sentiva che Egidio era sincero, e non mai come in quel momento comprese di essere amata. Ma intanto che questa certezza le innondava il cuore di una gioia immensa, come bilancia che da una parte ha raggiunto la misura, balzava dall'altra parte il terrore di far cosa sconveniente per una onesta ragazza. - No… no… non posso. Ho promesso a mia madre. - Che hai promesso? - Di non darle dispiaceri… - E di rinunciare a me? - Oh! questo no. Un lieve imbarazzo si dipinse sulla fronte di Orlandi. Circondandole col braccio la vita, se la tirò accanto, e: - Ragioniamo. Posso io presentarmi a tuo padre? - Sì ... quando hai un impiego sicuro e conveniente. - Ecco appunto quello che non ho. - Ma mi avevi scritto… - Il progetto non andò bene. Io vivo ora alla peggio, scrivendo per l'uno o per l'altro giornale. - Ma perché ti sei dato al giornalismo? - Chi lo sa! Una passione come un'altra, e che non esclude le altre ... La strinse dolcemente, cercando di nuovo la sua bocca, con un sorriso d'uomo felice. Per cinque minuti non parlarono. - Ma tu hai freddo ... Orlandi si levò il mantello e ne avviluppò Teresina con una sollecitudine quasi materna, osservandone le guance pallide, che portavano le tracce della notte perduta. - Adesso avrai freddo tu! ... - Io? ... Stava per dire: non posso aver freddo, ho cenato lautamente: ma davanti a quel visino sbattuto, sul quale tutte le astinenze imprimevano un solco, provò un senso di pietà. Sollevò un lembo del mantello, tanto da potersene coprire le spalle, e mutò la frase: - ... se mi permetti di stare qui non avrò piú freddo. Lo strinse a sé, beata, scoprendo una gioia nuova in quella protezione, sembrandole quasi di anticipare l'intimità seria e solenne del matrimonio. Era vero che sentiva il freddo. Non aveva dormito, non aveva mangiato dal desinare del giorno prima; ma anche quei brividi che l'alba le metteva nelle ossa, avevano la loro voluttà; le facevano trovare piú dolce il tepore dell'amplesso. Una parola di Egidio la turbò. - Dunque vieni? - Sai, non posso! - gli rispose colle lagrime agli occhi, serrandogli la mano disperatamente. - E allora che vuoi che facciamo? - Aspetto. Era la sua forza, la sua fede. Non sapeva nemmeno lei che cosa aspettasse; l'incerto, l'ignoto, un miracolo forse. Ma Orlandi non la intendeva così. - Cara, la gioventù passa presto; sono già sei anni che ci amiamo inutilmente. Teresina non comprese l'accento scorato del giovane. Perché diceva che si amavano inutilmente? L'amore è sempre amore, pensava, quando si ama, si spera. Ella viveva pure con quel tenue filo di felicità; perché a lui non bastava? Le venne in mente di domandargli se intendesse di continuare per tutta la vita a scrivere articoli di giornali; ma questo discorso noioso le avrebbe portato via tanti baci; e poi voleva ascoltare da lui altre parole: mio tesoro, mia vita, cara la mia Teresa Tutto ciò era importante; il resto sfumava, si perdeva in una nebbia lontana di fatalismo. Nella monotonia della sua vita, dove il pensiero solo metteva una nota ridente, questi erano i momenti di vera felicità. Si sentiva donna, si sentiva amante e amata; mentre poi, come prima, come sempre, ella non sarebbe altro per mesi che figlia ubbidiente, fanciulla riservata, buona massaia. - Probabilmente - disse Orlandi - mi stabilisco a Milano. Un subitaneo sgomento apparve negli occhi di Teresina. Milano era piú lontano di Parma; e quantunque non conoscesse la grande città, intuiva vagamente ch'egli vi avrebbe incontrato maggiori tentazioni. Il cuore le si strinse di indefinibile malinconia. Vide d'un tratto tutta la sua umiltà, la sua povertà, la sua impotenza. Ebbe voglia di dirgli: Portami via! ma la parola le morì strozzata da un singhiozzo e non poté far altro che nascondere la faccia sul petto di lui. - Vedi, vedi? Te lo dissi che questa vita è impossibile. Ho rimorso di veder sciupare la tua giovinezza; Teresa, mia povera Teresa ... - Oh! sì chiamami tua perché lo sono! Gli si abbandonò sul petto con tale impeto disperato che, per un istante, Orlandi ebbe una fiamma negli occhi, e tremò come preso dalla febbre. Ma quasi subito ella rallentò la stretta, scivolando accasciata quasi fino a terra. dove stette col viso chiuso nelle mani, il corpo piegato in due. Orlandi contemplò quella testolina di vergine prostrata davanti a lui. - Che cosa intendi di fare? - le chiese con accento grave e dolce, rialzandola. - Amarti, sempre, qualunque cosa accada, qualunque sia il mio destino. Egli accostò alle labbra la mano della fanciulla: vi depose un bacio, esitante, turbato, ridivenuto improvvisamente freddo; affettuoso, ma distratto. Ella non se ne accorse; sentiva ancora i suoi baci, lo vedeva, lo toccava. Era impossibile che pensasse ad altro. Quando Orlandi scomparve dietro il muricciolo, Teresina fu presa dalla tentazione di seguirlo, volle gridare, volle chiamarlo, ma volgendosi improvvisamente, come se avesse udito una voce, si trovò davanti alla sua casa, alla casa casta e severa, dove sua madre riposava fidando in lei; e tornò indietro a capo chino, malcontenta di quel colloquio che le lasciava una tristezza insolita, uno scoramento da cui fuggiva la fede.

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