Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonava

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Clelia: il governo dei preti: romanzo storico politico

675780
Garibaldi, Giuseppe 2 occorrenze
  • 1870
  • Fratelli Rechiedei
  • prosa letteraria
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

soggiungeva egli, e la buona Silvia, quasi fuori de’ sensi, si abbandonava nelle braccia del suo robusto antico protetto. «Qui non v’è tempo da perdere - disse finalmente Orazio, rivolgendosi a Manlio, con cui aveva pur ricambiato mille segni di reminiscenza e di gratitudine. - Questo luogo è pieno zeppo di malviventi e quel fuggito potrebbe ricondurre una banda più numerosa». Pigliando dunque i cavalli per i morsi invitò la comitiva a rimontare in carrozza e mettendosi egli stesso al posto del cocchiere, s’incamminò velocemente verso la marina secondo i voti dei viaggiatori. Giunti alla spiaggia, l’aria balsamica del Mediterraneo sembrò ravvivare i nostri stanchi amici, e l’effetto apparve sorprendente sulla bella Giulia. Figlia della regina del mare ella, come tutti coloro che nascono sulle sue sponde, ne era innamorata. Lontani lo sospirano, al rivederlo, par loro rivedere una persona amata. L’effetto prodotto sui dieci mila Greci di Senofonte al rivedere il mare dopo lungo e pericoloso viaggio pedestre a traverso la Persia, si comprende facilmente. E le grida di gioia e l’inginocchiarsi a salutare Anfitrite liberatrice, come il mare fosse la patria loro, non hanno d’uopo di spiegazioni.

Or, mentre il paese festoso, quasi dimentico del lungo servaggio, si abbandonava alla gioia, e la gioventù dopo aver fatto solenne saluto di porta Romana, a dispetto delle autorità pretine passeggiava in buon ordine preceduta dalla banda che suonava inni patriottici; mentre le signore, sempre più ardenti degli uomini quando si tratta d’atti generosi, acclamavano dai balconi, e sventolavano graziosamente fazzoletti tricolori ai passanti; mentre infine la città intiera, che i preti come tutte le altre avean tenuta nel lutto, si destava alla gioia di un ricordo glorioso dalla stessa porta Romana, spuntava la testa di colonna del corpo straniero, e con baionetta in canna, e a passo di carica invadeva la via principale della città, ove ancora si trovavano viterbesi festanti. Un delegato di polizia, che con alcuni birri precedeva i mercenarii impose al popolo di ritirarsi. A quell’intimazione risposero fischi solenni ed alcune pietre ben dirette fecero fuggire il delegato ed i suoi compagni, che rannicchiandosi fra la soldatesca, gridavano a squarciagola: «caricate quella canaglia! Fate fuoco per Dio!». Il comandante di quella ciurmaglia, che voleva guadagnarsi qualche cindolo e sapeva che facendo macello del popolo si metteva sulla vera via per ottenerlo, persuaso ancora che giovasse aizzare i suoi cagnotti contro i cittadini, acciò che l’odio reciproco tra loro non si raffreddasse, ordinò tosto la carica alla baionetta. I Viterbesi, che come tutte le popolazioni Romane, avevano ordine dai comitati rivoluzionari di non muoversi e quindi non eran preparati alla pugna. Si dispersero per le vie traverse, il che venne loro facilitato dalla incipiente oscurità della sera, e dal subitaneo spegner dei lumi, che le donne come per incanto, eseguirono dovunque. La carica dei mercenarii non ebbe sfogo che contro alcuni cani e somarelli di campagna che si ritiravano a casa e non s’udiva altro che un grande abbaiare dei primi ed un urlar dei secondi, perseguiti colle baionette alle reni dai valorosi campioni delle sottane. Eran circa le 10 della sera e tutto era tranquillo in Viterbo. La truppa aveva formato i fasci sulla piazza principale, riposandosi sugli allori dalle fatiche e vittorie del giorno. Dei cittadini, ritirati nelle loro case, non se ne incontrava uno solo per le strade. Al grande Albergo della Luna il campanello chiamava a raccolta i commensali alla gran tavola rotonda. Circa cinquanta posti erano preparati, con quel lusso che nelle odierne locande si suole spiegare. Verso l’istessa ora, una carrozza a quattro cavalli giungeva alla porta della locanda, e vi scendeva una donna in abito da viaggio, che alla sveltezza del passo e alla scioltezza d’ogni movimento si scorgeva essere giovane. Il maestro di casa, dopo aver introdotto in una delle più eleganti camere dell’albergo la forestiera, le chiese se desiderava rifocillarsi senza uscire di stanza; ed essa rispose che volentieri sarebbe scesa alla tavola rotonda, non piacendole di pranzar sola. La sala era già affollata, e la maggior parte degli astanti erano ufficiali stranieri del corpo recentemente arrivato. Il resto erano forestieri italiani e cittadini di Viterbo. All’apparire della viaggiatrice, tutti gli occhi si rivolsero su lei con ammirazione ed era veramente ammirabile in quella sera la nostra Giulia, perocché la nuova venuta era lei. Tutti fecero largo quando traversò la sala, gli italiani assunsero un’aria di gentile stupore, gli ufficiali affilarono i baffi, dilatarono il collo e rigonfiarono il torace in aria di conquistatori. A capo della tavola s’assise il padrone di casa, elegantemente vestito, e pregò la bella inglese di sedersi alla sua destra. Gli ufficiali sollecitamente si affollarono verso il capo della tavola per mettersi accanto alla signorina e così i primi posti in un batter d’occhio furono occupati da loro. Giulia vedendosi un mercenario alla destra, si pentì di avere accettato l’offerta, ma era già troppo tardi e, mentre con aria contrita, girava lo sguardo sui commensali, i suoi occhi s’incontrarono con due occhi, che la colpirono come folgore. Erano gli occhi di Muzio! di Muzio che si trovava all’altra estremità della mensa, collocato fra Attilio ed Orazio niente meno! Assuefatta a vedere il suo diletto col mantello, poco abituata alla fisionomia d’Orazio che aveva veduto un sol momento armato da capo a piedi nella selva, e d’Attilio, che in Roma usava il semplice vestito dell’artista, rimase incerta ed esitante e vedendoli tutti e tre in cilindro, e con abito da viaggiatori stranieri, veramente sulle prime non li riconobbe. Quando fu ben sicura che erano loro, proprio loro, rimase mortificata di trovarsi accanto a tal vicino. Ma come fare? Come alzarsi, avvicinarsi, chieder loro mille cose che essa bramava sapere senza destare sospetti, senza comprometterli, mentre sovr’essa lampeggiavano cinquanta sguardi d’uomini affascinati dall’incantatore suo volto? E Muzio! il medico, il capo della contropolizia Romana, l’uomo che come il suo omonimo

Cerca

Modifica ricerca