Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 4 in 1 pagine

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Il pollo non si mangia con le mani. Galateo moderno

189091
Pitigrilli (Dino Segre) 4 occorrenze
  • 1957
  • Milano
  • Casa Editrice Sonzogno
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Lascia alle signorinette analfabete che hanno abbandonato la scuola Berlitz dopo la prima lezione, le espressioni «one, two, three». 4°: La carta chiamala carta, e non «cartolina» o «Carolina», e non abbandonarti alle ilari forme di goffaggine dei giocatori di bassa lega nel quarto d'ora di fortuna. Contro la volgarità: 1°: Conserva la tua impassibilità quando perdi e non arrabbiarti contro chi vince. 2°: Quando sei in vincita, non avere un tono canzonatorio verso chi perde. 3°: Durante la serie sfavorevole, non sbattere rabbiosamente le carte. Le carte sono irresponsabili, e il più delle volte le ha pagate il padrone di casa. 4°: Alla resa dei conti non intascare trionfalmente il denaro vinto come se gli altri avessero cercato di derubarti e tu avessi sventato la congiura; se hai perso, non buttare al vincente il denaro come gli antichi principi buttavano la borsa di zecchini al sicario. 5°: In tutte le circostanze del gioco rimani imperturbabile, tanto se ti propongono di continuare, quanto se ti propongono di sospendere. Non agitarti per andartene quando sei in vincita, non mercanteggiare i minuti nella suprema speranza di rifarti. 6°: Non fare gesti cabalistici contro la iettatura. Non attribuire, con vaghe allusioni, la tua « guigne » all'influenza malefica di questo o di quel partner. 7°: Se un bluff ti è riuscito, non mostrare orgogliosamente le tue carte: questo atto significa: «vedete come sono furbo? Io non avevo niente e voi, pusillanimi, ci siete cascati». 8°: Se il bluff non ti è riuscito, non arrabbiarti con gli altri, perchè questo li farebbe ridere, né con te stesso, perchè ciò aumenta pericolosamente la tua esasperazione. 9°: Evita le frasi-termometro, denunciatrici della tua volgarità mentale. «Fortunato al gioco sfortunato in amore» è un proverbio stupido come la maggioranza dei proverbi che hanno avuto successo (infatti lo si trova in tutte le lingue del mondo). Non dilatarlo fino alle triviali illazioni: «Chissà come mi è fedele mia moglie» quando perdi, e «Chissà con chi mi tradisce» quando guadagni. Il gioco sia pacifico e taciturno. Le parole si riducano allo strettamente necessario. In quella tremenda e interminabile partita a poker che è la vita si debbono applicare le stesse norme che ho dettato ai giocatori. E soprattutto l'ultima, quella che riguarda l'impiego minimo di parole, la soppressione delle frasi superflue. Un importuno, dopo aver seccato Einstein per tutta una sera, pregò lo scienziato di tracciargli, in termini matematici, la formula della felicità. Einstein prese un lapis, scrisse: «a = x + y + z» e spiegò: - a è la felicità; x è il lavoro; y è la ricchezza. - E z? - domandò lo scocciatore. - E' il silenzio - rispose Einstein.

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Spigliato e vivace è invece il movimento delle due mani aperte dal basso verso l'alto delle donne francesi per dire che hanno «balancé» l'innamorato che cominciava a essere attaccaticcio o che hanno abbandonato per sempre un proposito, un programma o una carriera. In fondo non si tratta che della posizione delle mani, ma fra il gesto teutonico e quello francese c'è la differenza che corre fra il brutale «Diktat» del quartiere generale prussiano e il sorriso di una mannequin di Christian Dior. Sedersi. Se la donna è bassa di statura, eviti le sedie alte. Quelle gambette che oscillano comicamente dall'alto di uno sgabello di bar le conferiscono un'aria di marionetta. Cerchi le sedie basse, butti sul tappeto un cuscino, o si collochi sopra un'ottomana, ma non faccia ciondolare le gambe. Gli uomini non avvolgano i piedi come gli acrobati sospesi al trapezio intorno ai piedi della sedia. Accavallare le gambe è facoltativo per le donne; incrociarle obbligatorio. Il sedersi sulle tavole o il cavalcare «all'amazzone» i braccioli delle poltrone pretende ostentare una certa disinvoltura, ma l'ostentazione di disinvoltura è una confessione di timidezza. Utilissima, per l'educazione del gesto, è una scuola di danza. Abituando l'orecchio alla disciplina del ritmo, i movimenti si misurano e si controllano: e il dover interpretare con gli atteggiamenti del corpo il significato della coreografia, conferisce al gesto un'assidua coordinazione con la parola. Nessuna donna cammina con tanta grazia come le danzatrici classiche; nessuna donna si siede dignitosamente e castamente come le attrici. Osservatele. Esse non piombano violentemente sulla sedia; non cercano col corpo il sedile; non si muovono come i cani che si scavano una nicchia nella paglia. Le attrici incrociano le gambe, ne flettono una, scendono lentamente verso il sedile; senza lasciarsi cadere. Obbediscono alla forza di volontà, non alla forza di gravità. Né il proprio corpo né gli oggetti debbono essere buttati. Gli oggetti si posano. Anche un mozzicone di sigaretta, an- che il nocciolo di un'oliva. Ricordate il verso di Baudelaire nel sonetto «La Beauté»: io odio il movimento che sposta le linee : «Je hais le mouvement qui déplace les lignes:...» e non dimenticate che nella Francia degli ultimi grandi Re, alla corte di Versailles, quando si ordinava a qualcuno di chiudere una porta, gli si diceva : «conduisez cette porte», conducetela, accompagnatela. Si deve «accompagnare» la porta, e non sbatterla, anche quando la chiudiamo in faccia a qualcuno o quando la chiudiamo per sempre dietro di noi.

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Al cinquantaseiesimo il pubblico è stanco; metà del pubblico ti ha già mentalmente abbandonato da un quarto d'ora. 9°: Esigi che accanto a te non ci siano lampade; dànno fastidio. Che la sala sia illuminata in pieno e che sulla tribuna o sul palcoscenico si diffonda una luce discreta. Tu devi vedere il tuo pubblico, per metterti in sintonia con lui, per dare a te stesso la sensazione che tu sia il suo interprete, che tu non gli tenga una lezione, ma gli faccia delle amichevoli confidenze. 10°: Non credere agli applausi che, partiti da un piccolo gruppo o da un parente isolato, si sono estesi faticosamente alla sala. Sono applausi autentici quelli che esplodono collettivamente e non ti permettono di finire la frase. Tutto il resto è usanza mondana, accettazione sociale, «tanto non costa nulla». 11°: Quelli che poi ti diranno che è stata «un'ora di fine godimento spirituale» sono tutti bugiardi. 12°: Le conferenze sono un castigo di Dio. Il solo momento emozionante è quando l'oratore dice: «Ma non voglio abusare della vostra pazienza e mi affretto a concludere».

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In certe ferrovie della Germania d'anteguerra c'era un carrozzone di prima classe destinato ai viaggiatori che non volevano essere molestati da colui che chiede un fiammifero o lo offre, da colui che tenta di iniziare una conversazione, da colui che allunga la mano sul giornale abbandonato dal viaggiatore di fronte. Carrozzone riservato, in poche parole, a coloro che chiedono al prossimo semplicemente la pace e il silenzio. Nel più grande elegante, e moderno albergo del mondo, il «Provincial» di Mar del Plata, accanto alla sala da pranzo immensa, che può ospitare un migliaio di commensali, c'è un salone un po' più piccolo, dove prendono posto le famiglie in lutto, la gente dai nervi esauriti, gli ecclesiastici, coloro che apprezzano i vicini silenziosi, i camerieri taciturni e il maître d'hôtel che viene solamente quando è chiamato, non dà consigli, non impone la sua volontà. Mi pare questo un sensibile progresso nella psicologia applicata. Non so se avrà imitatori. Anzi, temo di no. Nonostante la lotta che si conduce contro i rumori, contro il parassitismo acustico delle grandi città, mi pare che il non saper collocarsi dal punto di vista del prossimo renda difficile questa nobile campagna, e credo che gli effetti li vedranno i nostri tardi pronipoti. In treno è facile incontrare uno di quegli sciagurati buontemponi provvisti di quei maledetti apparecchi radio ad accumulatore, che, essendo portatili, se li portano dappertutto, e per tutto il viaggio appestano di suoni e di fischi, di pubblicità e di canzoni della loro onda preferita i quarantotto viaggiatori seduti che hanno voglia di leggere o di dormire, e i ventiquattro viaggiatori in piedi che già innervositi dallo stare in piedi, si sentono i nervi sfilacciati per l'esasperazione da quelle notizie che non li interessano o da quella musica classica alla quale preferirebbero una «milonga», o da quel «bolero» al quale preferirebbero una messa di requiem. Ma il proprietario dell'apparecchio portatile è convinto di fare un piacere ai 24 signori in piedi e ai 48 seduti. E' un delfino che lavora all'ingrosso.

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