Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 3 in 1 pagine

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Il codice della cortesia italiana

184223
Giuseppe Bortone 1 occorrenze
  • 1947
  • Società Editrice Internazionale
  • Torino
  • verismo
  • UNICT
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Poi, come tutte le cose di moda, l'uso si venne rarefacendo, fin che fu quasi completamente abbandonato . Qualche anno fa, tutto il campo grammaticale-letterario fu messo a rumore per l'abolizione del lei. - Chi voglia essere informato delle ragioni che militano per l'uso o contro l'uso del tu, del voi e del lei, legga il grazioso dialogo del Baretti fra i tre pronomi personali. Si disse, dunque, che era strano ed illogico rivolgere il discorso a persona presente col pronome di persona assente, oltre che era - l'uso del lei - un inutile esotismo. Ma si contrappose che era un esotismo anche l'uso del voi; ed era altrettanto strano ed illogico rivolgere il discorso a una sola persona col pronome che ne indica di piú. Il tentativo fascista di sostituire il lei col voi ebbe qualche successo nelle relazioni ufficiali, perché ripetutamente e minacciosamente imposto: caduto il fascismo, son tramontate, con tutte le altre, anche le innovazioni nel campo grammaticale. Senza dubbio, molto meglio sarebbe che si adoperasse la sola seconda persona singolare. Forse, da principio, stenterebbe ad assuefarsi l'orecchio - e la lingua - alla grande novità; ma stenterebbe per poco; perché, del resto, siamo già abituati, attraverso i classici, a sentire il « tu » sulle labbra del popolano di Roma, sia ch'egli si rivolgesse all'amico, sia che si rivolgesse a un senatore, a un pontefice o all'imperatore. Nelle relazioni sociali, si può passare dal lei al tu, quando si desidera stabilire rapporti piú cordiali, piú confidenziali e quasi amichevoli: il che è prudente fare soltanto quando la conoscenza è divenuta, direi quasi, piú ampia e piú profonda. E siccome può anche darsi che sia uno solo dei due a voler questo, è bene andar motto cauti; non foss'altro per evitare l'affronto di sentirsi ancora opporre al tu confidenziale il lei, piuttosto compassato e freddo. Non sbaglia chi attende che l'iniziativa sia presa da chi è, o si crede, piú in alto o piú autorevole: per quanto, anche in questo caso, sia meglio che l'inferiore, pur grato del tono confidenziale, continui ad usare il lei. Se una persona con cui si era in rapporti confidenziali sale di qualche gradino e diviene superiore, è opportuno, per quanto sembri strano, passare con lei dalla seconda singolare alla terza: ciò sia come riconoscimento della autorità, sia perché a me pare buona regola di vita non cercar di superare in alcun modo le distanze gerarchiche. Mal fatto sarebbe se una tale iniziativa fosse presa dal superiore; il quale, invece, deve insistere perché continuino le relazioni amichevoli. Mi par qui necessario ricordare ancora l'uso del signore. Non è uno scimmiottare i Francesi metterlo sempre dopo i monosillabi di affermazione e di negazione. Che volete vi dica: quando sento pronunziare un sí o un no secco, provo subito l'impressione di trovarmi di fronte a una persona poco fine: mi par che il sí, signore; sí, signora; sí, signorina conciliino simpatia, e che il no, signore; no, signora; no, signorina, attenuino quel non so che di aspro che quasi sempre contiene la particella negativa.

Pagina 71

Cosima

243878
Grazia Deledda 2 occorrenze
  • 1947
  • Arnoldo Mondadori Editore
  • Milano
  • verismo
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Oh, oh; Elia; e tutto questo perché i miei figlioli hanno abbandonato le vie del Signore.» «Lei esagera, padrona: ci sono figli peggiori: tutte le famiglie hanno la lor croce. Il signorino Andrea, dopo tutto, bada alla roba e la fa fruttare; è, dirò cosí, come un fattore, che si piglia la porzione maggiore. Ma poi metterà giudizio.» «No, Elia, non lo spero. D'altronde, che si fa? Siamo povere donne sole, con quel castigo terribile di Santus: e bisogna pure appoggiarsi ad Andrea. Tante volte penso di dividere il patrimonio: a ciascun figlio il suo; ma sarebbe peggio, poiché il disgraziato Santus in pochi mesi cadrebbe nella miseria, e anche il tuo signorino Andrea si giocherebbe la sua parte. Non c'è via di uscita: bisogna soffrire. E poi io voglio bene ai miei figli: troppo bene gli voglio; piú sono disgraziati piú li amo e li compatisco. Ma quella Cosima! È quella che piú mi dà pensiero.» «E invece sarà quella che piú le darà consolazioni: vedrà.» Ma la madre, mentre rimuginava nella padella le patate che lentamente si arrossavano e spandevano un buon odore, continuava a sospirare. Non è questo, Elia, io non ho bisogno di consolazione: la mia strada è finita, e nulla esiste piú per me tranne il bene dei miei figli. Ma essi non seguono la via giusta, quella che abbiamo percorsa io e il padre loro, benedetto sia. Sarà mia la colpa: sono una donna senza forza e senza volontà; ma loro dovrebbero capirlo. E se parlo cosí con te, questa sera, Elia, è perché so che tu solo puoi compatirmi.» Oh, padrona!» egli esclamò: e una commozione sincera, piena di sorpresa e di gratitudine, gli vibrava nella voce: probabilmente nessuno, da molto tempo, gli aveva parlato cosí. E intese forse quello che la padrona voleva dirgli, che anche lui aveva peccato e sofferto, ma era rientrato nella giusta via, perché aggiunse: «Le strade del Signore sono tante, ed Egli aiuta sempre i buoni cristiani». «Tu, dunque, credi in Dio? Io, vedi, a volte, non ci credo piú.» Non so: anche io non vado a messa da venti anni. Non so; non so: ma so che ad essere buoni e pazienti ci si guadagna sempre. E, dunque, padrona, coraggio.» Tacquero un momento: si sentiva il friggere sommesso della padella sulla fiamma: un odore di gente umile ma rassegnata usciva da quella stanzetta solitaria. Il pino vibrava ancora di fruscii, di pigolii, di vaghi lamenti, e dallo stradone arrivava il rumore di un passo di cavallo: Andrea. Cosima sentiva voglia di appoggiarsi al muro e piangere: in quel momento avrebbe rinunziato a tutti i suoi sogni, pur di consolare la madre: pensò che bisognava almeno darle il conforto della speranza di un buon matrimonio, fra lei e un qualche bravo giovane del luogo, e passò in rassegna tutti i proprietari, i professionisti, gli impiegati di sua conoscenza. Ma essi erano tutti imbevuti del pregiudizio che ella non potesse, con quella sua passione dei libri, diventare una buona moglie; né, d'altronde, ella voleva piú umiliarsi con nessuno. E fu in quel momento che le venne l'idea di muoversi, di uscire dal ristretto ambiente della piccola città, e andare in cerca di fortuna. Per dare consolazione alla madre.

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Uno sguardo, solo, ma Cosima vide un misterioso balenio in fondo alle pupille che non erano quelle del duro e freddo Elia, ma di un uomo disperato, che aveva paura di morire solo, abbandonato, come un vecchio cane. Gli si avvicinò e disse: «Come vi sentite? Faremo venire il dottore, o vi porteremo a casa.» Egli accennò di no, di no: per quanto solo e malato, non voleva il dottore e non voleva muoversi dalla sua tana: ma l'occhio gli si era rischiarato, pieno di una dolcezza, quasi di un sorriso infantile. «Andate, andate pure» disse. «Vadano pure a casa, signorina, lei e la signora padrona: bisogna pigiare l'uva e metterla nel tino.» «Eh, non la pigiamo noi, coi nostri piedi» disse Cosima, tentando di scherzare. «C'è poi Andrea, che ci bada: non pensateci. E poi il tempo si cambia: minaccia di piovere. Non vogliamo lasciarti cosí, zio Elia.» Ella lo chiamava cosí, come si usava con tutti i vecchi servi; ma era la prima volta che egli si sentiva accomunato agli altri, come fosse nato nella stessa terra e tutto il suo passato sprofondasse quasi in una vita anteriore. Tuttavia non parlò, non dimostrò la sua gratitudine: anzi fece un po' indispettire la padroncina col rispondere sempre con un cenno negativo del capo a tutte le sue domande premurose. No, egli non voleva il dottore, non voleva muoversi, non voleva che nessuno si disturbasse per lui. Vecchio testardo. Pareva volesse morire solo, come solo era vissuto. Ma le padrone restarono, finché arrivò Andrea che portò del chinino: si discusse però se si doveva o no somministrarlo al malato: e del resto la discussione fu vana, perché egli dichiarò che non avrebbe preso nessuna medicina. Durante la notte si scatenò una forte bufera: la grandine mitragliava la piccola casa, e il pino urlava come un mostro. Dietro gli scurini mal connessi i vetri della finestra parvero spaccarsi e spargersi in frammenti d'oro e d'ametista, con un rombo spaventoso. Lampi e tuoni. Non c'è da nascondere che Cosima aveva paura e la madre tremava come una fronda sbattuta dal vento. Storie spaventose di banditi e malfattori, che in notti simili sbucano come demoni dalla tempesta e assalgono le dimore solitarie, tornavano in mente alle donne: e il fatto che il servo e Andrea erano rimasti sul posto, non le rassicurava. Il vento gridava e piangeva nella pianura come nel mare, e solo il pino pareva potesse combattere con l'uragano come un eroe inferocito contro un intero esercito. Nel suo giaciglio Elia, con la febbre alta, ricordava come il signor Antonio lo aveva accolto benevolmente quando lui si era presentato in cerca di lavoro, mentre nessun altro dei diffidenti proprietari del luogo aveva accettato la sua offerta; e il padrone gli aveva affidato la vigna nuova, l'orto, la terra intorno. Adesso il vecchio amava questa terra con una passione tenace; era diventata la sua nuova patria, la sua famiglia; e il solo pensiero che i padroni giovani avrebbero potuto mandarlo via, come una vecchia bestia che non può più lavorare, lo colmava di tristezza: non per la probabile ventura povertà, ma per l'amore alla terra che oramai faceva parte della sua carne e del suo sangue. Ed ecco, invece, la padrona e la signorina, e lo stesso Andrea, si mostravano benevoli, fino al punto di restare vicino a lui in quella notte tempestosa mentre avrebbero potuto già essere nella loro casa tranquilla. E non lo avrebbero cacciato, no: lo sentiva; lo aveva sentito nella voce di Cosima, e gli sembrava che questa voce fosse l'unica medicina che potesse guarirlo. E la certezza che un giorno forse avrebbe potuto dimostrarle la sua riconoscenza, già lo alleviava dal male. All'alba il tempo si calmò, d'un tratto, dopo un tuono formidabile che parve un ordine militare: la battaglia doveva cessare. Solo il pino continuò in un suo lieve brontolio, quasi pensieroso. Cosima lo sentiva nel sonno lieve del mattino: e le pareva che il pino mormorasse: "Perché tutto questo? Si combatte, si soffre, ci si tormenta per nulla: la forza del vento è vana; tutto è vano e vuoto; eppure bisogna combattere perché cosi vuole Dio". Poi tacque anche l'albero; ma quando Cosima aprí la finestruola vide uno spettacolo indimenticabile: centinaia di uccelli svolazzavano sui rami battuti dal sole, e parevano d'oro e d'argento: ogni loro battere d'ali faceva cadere goccie simili a scintille: e ad ogni ago delle foglie era infilata una perla dai colori dell'iride. Pareva un albero magico, fatto di uccelli, di rubini, smeraldi e diamanti.

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