Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 8 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Mitchell, Margaret

221276
Via col vento 8 occorrenze
  • 1939
  • A. Mondadori
  • Milano
  • Paraletteratura - Romanzi
  • UNICT
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Il lamento era stato evidentemente il canto del cigno di Geraldo, il quale ora era completamente abbandonato fra le braccia del suo compagno. Gli era caduto il cappello e i lunghi capelli crespi erano scompigliati come una bianca criniera. Aveva la cravatta tutta storta e il davanti della camicia era macchiato di liquore. - Vostro padre, credo? - disse il capitano Butler i cui occhi brillavano gaiamente nel volto bruno. Le lanciò un'occhiata che sembrò attraversare la leggera vestaglia. - Portatelo dentro - replicò ella brevemente, confusa per il suo abbigliamento e furibonda contro Geraldo che la esponeva a farsi canzonare da quell'uomo. Rhett sospinse Geraldo. - Debbo aiutarvi a portarlo di sopra? Per voi è impossibile; è troppo pesante. Ella spalancò la bocca inorridita dall'audacia di questa proposta. Figuriamoci che cosa avrebbero pensato Pitty e Melly se il capitano Butler fosse salito di sopra! - No, per l'amor di Dio! Qui, in salotto, su quel divano. - Debbo levargli le scarpe? - No. Ha già dormito altre volte tenendole. Si sarebbe morsa le labbra per essersi lasciata sfuggire questo, sentendolo ridere piano mentre stendeva le gambe di Geraldo. - Vi prego, ora andate. Butler attraversò il vestibolo buio e raccolse il cappello che aveva lasciato cadere sulla soglia. - Vi vedrò domenica sera a pranzo - disse, e se ne andò chiudendo la porta senza strepito. Rossella si alzò alle cinque e mezzo, prima che la servitú fosse entrata in casa a preparare la colazione e scese silenziosamente al pianterreno. Geraldo era sveglio, seduto sul divano, stringendosi la testa fra le mani come se si volesse spremere il cranio. Alzò gli occhi furtivamente sentendola entrare. A muoverli, gli dolevano: emise un gemito. - Accidempoli! - Hai fatto un bell'affare, papà - cominciò Rossella con voce sommessa ma irritatissima. - Venire a casa a quell'ora e svegliare tutto il vicinato col tuo canto! - Ho cantato? - Eccome! Hai svegliato tutti gli echi cantando il «lamento». - Non me ne ricordo affatto. - I vicini se ne ricorderanno finché vivranno; e cosí zia Pittypat e Melania. - Madre dei Sette Dolori! - si lamentò Geraldo passandosi la lingua ingrossata sulle labbra aride come pergamena. - Tutti i miei ricordi si confondono dopo la partita... - Che partita? - Quel ragazzaccio di Butler sosteneva di essere il miglior giocatore di poker in... - Quanto hai perso? - Macché! Naturalmente ho vinto. Qualche bicchiere mi ha aiutato a giocare. - Guarda nel tuo portafogli. Come se ogni movimento fosse una sofferenza, Geraldo trasse di tasca il portafogli e lo aperse. Era vuoto; ed egli lo guardò con desolato stupore. - Cinquecento dollari - disse. - Mi servivano per comprare della roba del blocco per la mamma; ed ora non ho piú neanche il denaro per pagare il viaggio di ritorno. Nel guardare con indignazione il portamonete vuoto, alla mente di Rossella balenò un'idea che prese forma rapidamente. - Non potrò piú alzar la fronte in questa città. Ci hai disonorati tutti. - Tieni la lingua a posto, gattina. Non vedi che ho la testa che mi scoppia? - Venire a casa ubbriaco con un uomo come il capitano Butler, e cantare con tutta la forza dei tuoi polmoni e perdere tutto il tuo denaro! - Quell'uomo è troppo abile alle carte per essere un gentiluomo. Egli... - Che dirà la mamma quando lo saprà? Geraldo alzò il capo con improvviso spavento. - Non andrai a dirlo alla mamma per farle fare il sangue cattivo, eh?! Rossella non rispose ma strinse le labbra. - Pensa che dolore per lei che è cosí buona! - E pensa, papà, che solo ieri sera hai detto che io ho disonorato la famiglia! Io, con un misero balletto per guadagnare un po' di denaro per i soldati! Oh, vorrei mettermi a piangere! - No, non piangere - pregò Geraldo. - Sarebbe piú di quello che la mia povera testa può sopportare; e ti assicuro che mi sta scoppiando. - E hai detto che io... - Gattina, gattina, non essere offesa di quello che ha detto il tuo povero vecchio babbo, che non ne pensava una parola e non ne capisce nulla! Ma sí, sei una figliuola piena di buone intenzioni; questo è certo. - E volevi riportarmi a casa in punizione! - No, tesoro, non volevo far questo. Era solo per spaventarti e tormentarti un poco. Non dirai niente alla mamma? - No - rispose Rossella con franchezza - se tu mi lasci qui e le dici che sono state tutte chiacchiere di quelle vecchie streghe. Geraldo guardò cupamente sua figlia. - E ieri sera è stato un vero scandalo! - Beh - cominciò adescandola - dimentichiamo tutto questo. Non credi che una brava signora come Miss Pittypat abbia in casa un po' di acquavite? Rossella si volse e attraversò in punta di piedi il vestibolo silenzioso per recarsi in sala da pranzo a prendere la bottiglia di acquavite, che lei e Melly chiamavano segretamente la «bottiglia dello svenimento» perché Pittypat ne prendeva sempre un sorso, quando il suo cuore delicato la faceva svenire - o fingere di svenire. Sul suo volto era scritto il trionfo e non vi era traccia di vergogna per il trattamento poco filiale usato verso Geraldo. Ora, se qualcun altro avesse scritto a Elena delle malignità, Geraldo saprebbe tranquillizzarla. E lei poteva rimanere ad Atlanta. E fare quasi tutto ciò che le piaceva, data la debolezza di Pittypat. Aperse l'armadio dei liquori e rimase un istante con la bottiglia e il bicchiere stretti contro il suo petto. Ebbe una lunga visione di picnic sulle acque gorgoglianti del fiumicello che scorreva lungo la Ripa dell'Albero di Pesco, e di banchetti alla Montagna Pietrosa, ricevimenti e balli, pomeriggi danzanti, gite in carrozzino e cene domenicali. Sarebbe stata dovunque, centro d'attrazione di una folla maschile. E gli uomini si innamoravano cosí facilmente, dopo che si facevano tante piccole cose per loro all'ospedale. Ora non le dispiaceva piú andarvi. Gli uomini si lasciano menare per il naso cosí volentieri quando sono stati ammalati! Cadono ai piedi di una bella ragazza come le pere di Tara cadono solo a scuotere l'albero, quando son mature. Tornò verso suo padre col liquore vivificante, ringraziando Dio che la testa di O'Hara non fosse stata capace di resistere al bere smodato della sera prima; e a un tratto si chiese se Rhett Butler non entrasse per nulla in quella faccenda.

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Perciò Rhett era un ottimo sostituto al «Godey's» per le signore; e ogni volta che arrivava era il centro di gruppi femminili a cui riferiva che le cuffie erano piú piccole e collocate piú in alto, che si ornavano di piume e non di fiori, che l'Imperatrice dei Francesi aveva abbandonato lo «chignon» per la sera, e portava i capelli raccolti in alto scoprendo tutte le orecchie, e che le scollature erano di nuovo scandalosamente profonde.

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E ripeteva volentieri che se avesse potuto guadagnare altrettanto altrimenti, per esempio coi contratti governativi, avrebbe abbandonato i pericoli del blocco, e si sarebbe messo a vendere alla Confederazione stoffe fatte di stracci, zucchero misto con sabbia, farina guasta, e cuoio d'infima qualità. A molte delle sue osservazioni era impossibile rispondere. Vi erano già stati degli scandali sulle forniture militari. Lettere di uomini al fronte che si lamentavano che le scarpe non duravano piú di una settimana, che la polvere da sparo non valeva nulla, che i finimenti cadevano a pezzi, che la carne era immangiabile e la farina verminosa. Gli abitanti di Atlanta cercavano di persuadersi che chi vendeva roba simile al Governo era gente di Alabama o della Virginia o del Tennessee, e non della Georgia. Non appartenevano forse alle migliori famiglie, i georgiani che avevano dei contratti di forniture? E non erano stati fra i primi a sottoscrivere in favore degli ospedali? L'ira contro i profittatori non era ancora desta e le parole di Rhett erano ritenute una prova della sua malvagità. Non solo egli offendeva la città con l'accusa di venalità a coloro che occupavano alte posizioni e di codardia agli uomini che erano in campo, ma si divertiva anche a mettere i dignitosi cittadini in posizioni imbarazzanti. Non sapeva resistere alla tentazione di pungere l'ipocrisia, la presunzione e il fiammeggiante patriottismo di quelli che lo circondavano, come un ragazzo che non può fare a meno di ficcare uno spillo in un palloncino gonfio di idrogeno. E lo faceva con tale garbo e tale apparenza di interessamento, che le sue vittime non erano mai sicure di ciò che era accaduto finché non si sentivano chiaramente messe in berlina. Rossella non aveva illusioni sul conto di quell'uomo. Ella sapeva la mancanza di sincerità delle sue elaborate galanterie e dei suoi madrigali fioriti. Sapeva che recitava la parte dell'eroico sfidatore del blocco unicamente perché ciò lo divertiva. A volte le sembrava fosse uno dei ragazzi insieme ai quali era cresciuta; ma sotto l'apparente leggerezza di Rhett ella sentiva che vi era qualche cosa di malizioso, quasi di sinistro nella sua soave brutalità. Benché si rendesse perfettamente conto della sua impostura, pure Rossella preferiva vederlo nel ruolo di romantico comandante di un brigantino. Questo, in un primo tempo, giustificava in certo modo la sua cordialità con lui. Perciò fu molto seccata quando egli lasciò cadere la maschera; e le parve che una parte delle critiche contro quell'uomo ricadesse anche sopra di lei. Fu alla riunione musicale della signora Elsing a beneficio dei convalescenti che Rhett firmò il suo definitivo mandato di ostracismo. Quel giorno la casa Elsing era affollata di soldati in licenza, di convalescenti, di membri della Guardia Nazionale e della Milizia Unitaria; di signore, vedove e fanciulle. La grande coppa di vetro inciso che il maggiordomo degli Elsing teneva fra le mani, accanto all'ingresso, era stata già riempita due volte di monete d'argento: l'offerta individuale di tutti gli intervenuti. Questo rappresentava già un successo, perché ogni dollaro d'argento valeva sessanta dollari di carta. Ogni giovane donna un po' musicista aveva suonato e cantato e i quadri viventi erano stati accolti da vivissimi applausi. Rossella era molto contenta di sé, perché non solo aveva cantato con Melania il commovente duetto «Quando sui fiori brilla la rugiada», ma era stata scelta per rappresentare nell'ultimo quadro lo Spirito della Confederazione. Era stata affascinante, vestita di tarlatana bianca orlata di rosso e di blu, con le Stelle e le Sbarre in una mano, mentre con l'altra tendeva al capitano Carey Ashburn, di Atlanta, inginocchiato dinanzi a lei, la spada con l'elsa dorata, che aveva appartenuto a Carlo e a suo padre. Terminato il quadro, cercò gli occhi di Rhett per vedere se egli avesse apprezzato la sua esibizione e vide con un senso di dispetto che egli era tutto intento a discutere e probabilmente non l'aveva neanche notata. Dai volti di coloro che lo circondavano ella comprese che erano furibondi per ciò che Butler stava dicendo. Rossella si aperse un varco tra la folla e, in uno di quegli strani silenzi che piombano a volte su una riunione, udí Guglielmo Guinan della Milizia dire semplicemente: - Debbo comprendere, signore, che intendete dire che la Causa per la quale sono caduti i nostri eroi non è sacra? - Se voi foste maciullato da un treno in corsa, la vostra morte non santificherebbe la Compagnia Ferroviaria, non è vero? - replicò Rhett; e la sua voce sembrava che chiedesse umilmente un'informazione. - Signore - e la voce di Guglielmo tremava - se non fossimo sotto questo tetto... - Io tremo al solo pensiero di ciò che accadrebbe - rispose Rhett. - Perché il vostro coraggio è ben noto. Guglielmo divenne scarlatto e tutte le conversazioni cessarono. Tutti erano imbarazzati. Guglielmo era sano e forte e in età da prestar servizio, eppure non era al fronte. Era figlio unico, questo è vero; e poi, bisognava pure che qualcuno rimanesse a casa per proteggere lo Stato. Ma quando Rhett parlò di coraggio, vi furono da parte degli ufficiali convalescenti delle risatine beffarde. «Ma perché non tace!» pensò Rossella indignata. «Rovina tutto il ricevimento!» Le sopracciglia del dottor Meade erano minacciose. - Per voi, giovinotto, non vi è nulla di sacro - cominciò con la voce che usava per i suoi discorsi. - Ma per i patriotti del Sud, uomini e donne, vi sono molte cose sacrosante. Una di queste è la libertà del nostro paese dagli usurpatori; un'altra è il Diritto di Stato, e... Rhett ebbe l'aria infastidita. - Tutte le guerre sono sacre - replicò. - Per quelli che debbono combatterle. Se coloro che cominciano una guerra non la dichiarassero sacra, chi sarebbe tanto sciocco da andare a battersi? Ma checché dicano gli oratori agli idioti che vanno a farsi ammazzare, qualunque sia il nobile scopo che assegnano alla guerra, la ragione di questa è sempre una sola. Il denaro. Tutte le guerre non sono che questioni di quattrini. Ma poca gente se ne rende conto. Le loro orecchie sono troppo piene di squilli di tromba e di rullar di tamburi e delle belle parole degli oratori che rimangono a casa. A volte il grido di guerra è: «Liberiamo il Sepolcro di Cristo dagli Infedeli!»; altre volte «Abbasso il Papato!»; altre volte ancora: «Libertà!» e qualche volta anche: «Cotone, schiavismo e Diritti di Stato!» «Che diavolo c'entra il Papa?» si chiese Rossella. «E il Sepolcro di Cristo?» Ma mentre tentava di raggiungere il gruppo, vide Rhett inchinarsi seccamente e avviarsi alla porta. Tentò di raggiungerlo ma la signora Elsing la trattenne per la gonna. - Lasciatelo andare! - le disse con una voce chiara che risuonò nella sala improvvisamente silenziosa. - E un traditore e uno speculatore. È un serpe che abbiamo nutrito nel nostro seno! Rhett, in anticamera e col cappello in mano, udí ciò che era stato detto appunto perché lo udisse e si volse ad esaminare un istante il salone. Fissò impertinentemente il seno piatto della signora Elsing, sogghignò e, facendo ancora un inchino, uscí.

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Essi avevano abbandonato la sicurezza delle retrovie per i pericoli della battaglia; molti di loro avevano lasciato una vita facile per una morte dolorosa. Ora erano dei veterani, veterani di un servizio breve, ma veterani ugualmente per la maniera in cui s'erano comportati. E cercavano nella folla i volti degli amici, fissandoli con fierezza. Adesso potevano tenere la fronte alta. I vecchi e i ragazzi della Guardia Nazionale marciavano: i primi movendo a stento il passo, e i secondi col volto di bimbi stanchi che avevano troppo presto conosciuto le tristezze della vita. Rossella scorse Phil Meade e stentò a riconoscere il suo volto nero di polvere e di sudiciume, irrigidito dallo sforzo e dalla stanchezza. Zio Enrico si avanzava zoppicando, senza cappello sotto la pioggia, col capo riparato alla meglio da un pezzo di tela impermeabile. Il nonno Merriwether era in un carro d'artiglieria coi piedi nudi avvolti in ritagli di coperte. Ma per quanto guardasse non riuscí a scorgere John Wilkes. I veterani di Jonhson, però, camminavano col passo instancabile che avevano avuto per tre anni, ed avevano ancora la forza di sorridere alle belle ragazze e di insolentire gli uomini senza uniforme. S'avviavano alle trincee che circondavano la città; non fossati scavati in fretta, ma trincee costruite in piena regola, con parapetti all'altezza del petto, rinforzati con sacchi di terra e travi di legno. Erano miglia e miglia di solchi purpurei, che attendevano gli uomini che dovevano riempirli. La folla salutava le truppe come le avrebbe salutate se fossero state vittoriose. In ogni cuore era la paura; ma ora che si conosceva la verità, ora che il peggio era accaduto, ora che la guerra era tra loro, un mutamento sopravvenne. Non vi era piú panico né isterismo. Ciò che era nel cuore non si leggeva sul volto. Ciascuno cercava di mostrarsi coraggioso e fiducioso dinanzi ai soldati. E tutti ripetevano ciò che il Vecchio Joe aveva detto proprio prima di essere esonerato dal comando: «Terrò Atlanta indefinitamente.» Ora che Hood si era dovuto ritirare, molti desideravano, come i soldati, il ritorno del Vecchio Joe; ma non osavano dirlo e si limitavano a ripetere la sua frase: «Conserverò Atlanta indefinitamente!»

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Tranne il signor Meade e i Merriwether, tutti avevano abbandonato quella zona! Rimpianse di non avere zio Pietro, il quale avrebbe potuto andare al Quartier Generale per sapere qualche cosa. Se non fosse stato per Melania, sarebbe andata lei stessa; ma non poteva lasciarla prima che venisse la signora Meade. Perché non veniva? E dove si tratteneva Prissy? Si alzò e andò a mettersi sotto il porticato per vederle arrivare. Dopo un pezzo vide spuntare Prissy sola: camminava pigramente come se avesse avuto tutta la giornata di tempo e cercava di fare ondeggiare le sue sottane, torcendo il collo per vederne l'effetto. - Come te la prendi comoda! - esclamò Rossella quando la negra aperse il cancello. - Che ha detto la signora Meade? Quando viene? - Non c'era. - E dov'è? A che ora torna? - Io dire. - Prissy parlava lentamente, come per darsi la gioia di accrescere importanza al suo messaggio. - Cuoca avere detto che Miss Meade essere uscita presto perché giovine badrone Phil essere ferito; e miss Meade avere preso carrozza con vecchio Talbot e Betsy ed essere andata a cercarlo. Cuoca dice essere ferito grave e forse miss Meade non poter venire qui. Rossella ebbe l'impulso di scrollarla. I negri erano sempre fieri quando potevano dare una cattiva notizia. - Avanti, non stare lí come un idiota. Corri dalla signora Merriwether e pregala di venire o di mandare la sua Mammy. - Non essere in casa, miss Rossella. Io essere passata da lei venendo a casa. Essere andata via. Casa tutta chiusa. Credo essere a ospedale. - Perciò sei stata tanto tempo! Per tua regola, quando ti mando in qualche posto, non devi «passare» da nessuno; capito? Ora vai... Si interruppe. Chi era rimasto in città, dei loro amici, che potesse aiutarla? Ah, la signora Elsing. Certo non aveva alcuna simpatia per Rossella, ma voleva molto bene a Melania. - Vai dalla signora Elsing e spiegale bene tutto pregandola di venire qui. E stammi a sentire. Il bimbo di miss Melly sta per arrivare: ci può essere bisogno di te da un momento all'altro. Perciò spicciati! - Sí, badrona. - Svelta, ti dico! Prissy accelerò il passo in modo quasi insensibile e Rossella rientrò in casa. Esitò ancora prima di salire. Dovrebbe spiegare a Melania perché la signora Meade non poteva venire; e la notizia che Phil era gravemente ferito le avrebbe certo fatto male. Beh, le racconterebbe una frottola. Trovò Melania coricata di lato: il vassoio della colazione era intatto. - La signora Meade è all'ospedale; ho mandato a chiamare la signora Elsing. Ti senti male? - Non molto - mentí Melania. - Dimmi, Rossella, quanto tempo ci mise Wade a venire al mondo? - Pochissimo - rispose Rossella con una tranquillità che era lontana dal provare. - Ero nel cortile e feci appena a tempo a rientrare in casa. Mammy disse che era una cosa scandalosa... proprio come se fossi stata una negra! - Spero di fare anch'io come una negra - riprese Melania accennando un sorriso che si trasformò in una smorfia di dolore. Rossella guardò le anche strette di Melania, ma disse incoraggiandola: - Oh, non è poi una cosa tanto terribile. - Lo so. Forse io sono un po' vile. E... viene subito la signora Elsing? - Subito. Ora vado giú a prendere un po' d'acqua fresca per lavarti. Fa molto caldo oggi. Impiegò molto tempo a prender l'acqua, correndo continuamente alla porta per avvistare Prissy. Ma questa non si vedeva; sicché ella si decise a salire. Passò la spugna sul corpo in sudore di Melania e le pettinò i lunghi capelli neri. Dopo un'ora udí uno scalpiccío sordo sulla strada: si affacciò e vide Prissy che veniva lentamente, come prima, prendendo degli atteggiamenti come se vi fosse stato del pubblico ad ammirarla. «Un giorno o l'altro la picchierò» pensò Rossella affrettandosi a scendere le scale per andarle incontro. - Miss Elsing essere all'ospedale. Cuoca dire che molti soldati feriti arrivare con treno. Cuoca preparare zuppa per portare a badrona. E dire... - Non m'importa niente di quello che dice - interruppe Rossella sentendosi riempire di sgomento. - Mettiti un grembiale pulito perché ora ti mando all'ospedale. Ti darò un biglietto per il dottor Meade; e se non c'è, lo darai al dottor Jones o a uno degli altri medici. E se non ti sbrighi a tornare, questa volta ti scortico viva. - Sí, badrona. - E domanda a quei signori le notizie della battaglia. Se non lo sanno, vai al deposito e domanda ai macchinisti che hanno condotto il treno. Domanda se stanno combattendo a Jonesboro o nelle vicinanze. - Dio Signore, miss Rossella! - e un subitaneo terrore invase il volto nero di Prissy. - Yankees non essere a Tara, vero? - Non lo so. Perciò ti dico di domandare. Prissy cominciò improvvisamente a singhiozzare ad alta voce, aumentando il senso di ansia di Rossella. - Smettila! Miss Melania ti sente. Vai presto a cambiarti il grembiale. Frettolosamente, Prissy corse nella parte posteriore della casa, mentre Rossella scarabocchiava due parole sul margine dell'ultima lettera di Geraldo: l'unico pezzetto di carta che fosse in casa. Nel ripiegarla, le caddero sott'occhio le parole di Geraldo «... la mamma... il tifo... a nessun patto... venire a casa...» Singhiozzò quasi. Se non vi fosse stata Melania, sarebbe partita subito; anche se avesse dovuto andare a piedi! Prissy uscí di corsa, col biglietto in mano, e Rossella andò al piano di sopra, cercando una fandonia plausibile per spiegare l'assenza della signora Elsing. Ma Melania non chiese nulla. Era coricata sul dorso, e il suo viso era tranquillo; quella vista calmò per il momento Rossella. Sedette e cercò di parlare di cose indifferenti; ma il pensiero di Tara e di una possibile disfatta per opera degli yankees la torturava. Vedeva Elena morente, gli yankees che entravano in Atlanta, che bruciavano tutto, uccidevano tutti. E il tuonare lontano intanto persisteva, penetrando nelle sue orecchie in ondate di spavento. Finalmente non riuscí piú a pronunciar parola e rimase a fissare la finestra aperta sulla strada assolata, sugli alberi le cui foglie pendevano immote coperte di polvere. Anche Melania taceva; ad intervalli, però, il suo viso si contorceva pel dolore. Dopo ogni trafittura diceva: - Non è poi tanto terribile - ma Rossella sapeva che mentiva. Avrebbe preferito degli urli a quella silenziosa sopportazione. Sentiva che avrebbe dovuto aver compassione di Melania, ma non riusciva a mostrarle una briciola di simpatia. Era troppo tormentata dalla propria angoscia. Una volta guardò quel viso contorto dalle doglie e si chiese perché proprio lei - fra tutti al mondo - doveva essere qui con Melania in quel momento; lei che non aveva con quella donna nulla di comune, che la odiava, che sarebbe felice di vederla morta. Chi sa, forse questo desiderio sarebbe appagato, magari prima di sera. A quest'idea fu presa da un terrore superstizioso. Portava disgrazia desiderare la morte di qualcuno! E anche imprecare! - Le imprecazioni ricadono su chi le lancia - diceva Mammy. Si affrettò a pregare che Melania non morisse e cominciò febbrilmente a parlare, senza neanche sapere quel che diceva. Finalmente Melania le posò una mano ardente sul polso. - Non sforzarti a discorrere, cara. So quanto sei preoccupata. E sono desolata di darti anch'io tanto pensiero. Rossella tacque, ma fu incapace di rimaner tranquilla. Che farebbe se né il dottore né Prissy tornavano in tempo? Andò alla finestra, guardò in istrada e tornò a sedere. Passò un'ora. E poi ne passò un'altra. Giunse il mezzogiorno; il sole era alto e scottante e non un soffio agitava le foglie polverose. Le doglie di Melania erano piú forti adesso. I suoi lunghi capelli erano bagnati di sudore e la camicia da notte le si incollava al corpo. Rossella le asciugò il viso senza parlare; ma si sentiva invadere dal timore. Dio mio, se il bimbo si presentasse prima dell'arrivo del dottore! Che fare? Non aveva la piú piccola nozione di ostetricia. Aveva contato, nell'eventualità, su Prissy, la quale sapeva tutto; almeno cosí aveva detto piú volte. Ma dov'era Prissy? Perché non tornava? Perché non veniva il dottore? Andò di nuovo alla finestra e in quel momento le sembrò che il rombo del cannone fosse cessato. Se si allontanava, poteva significare che la battaglia era piú vicina a Jonesboro oppure che... Vide Prissy che si avvicinava correndo e che, scorgendola alla finestra, aperse la bocca per un grido. Ma vedendo il panico scritto su quel volto nero e comprendendo che Melania si sarebbe spaventata udendo gridare una cattiva notizia, Rossella posò rapidamente il dito sulle labbra e lasciò la finestra. - Vado a prendere un po' d'acqua fresca - disse cercando di sorridere. Poi uscí chiudendo accuratamente l'uscio. Prissy era seduta sui gradini della scala, ansimando. - Stare combattendo a Jonesboro, miss Rossella! Dire che nostri stare perdendo. O Dio, miss Rossella! Che cosa succedere di mamma e di Pork? Oh Dio! Cosa succedere se yankees venire qui? Oh Dio... - Per l'amor di Dio, taci! - E Rossella le pose una mano sulla bocca. Che cosa succederebbe qui... e a Tara? Scacciò questo pensiero per preoccuparsi dell'urgenza immediata. - Dov'è il dottor Meade? Viene? - Non averlo visto, miss Rossella. - Come? - Non essere all'ospedale. Nemmeno miss Merriwether e miss Elsing. Un uomo aver detto che dottore essere sotto tettoia dei carri con feriti di Jonesboro, ma io avere avuto paura di andare sotto tettoia... esservi tanti moribondi. Io aver paura di morti... - E gli altri dottori? - Miss Rossella, non aver potuto trovare uno per far leggere tuo biglietto. Tutti correre per l'ospedale come matti. Un dottore aver detto a me di non seccare con bambini che nascere quando esserci tanti uomini che morire. Trovare donna per aiutarti. E allora io essere andata a chiedere notizie di battaglia perché tu avermi detto di domandare e tutti dire che si combatte a Jonesboro e... - Hai detto che il dottor Meade è al deposito? - Sí, badrona. - Stammi a sentire. Io vado a cercare il dottore e tu vai disopra, da miss Melania e farai tutto quello che ti dirà di fare. Ma se ti sfugge una parola sulla località della battaglia, ti mando subito nel Sud, quanto è vero Dio. E non dirle neanche che gli altri medici non possono venire. Hai capito? - Sí, badrona. - Asciúgati gli occhi, prendi una brocca d'acqua fresca e vai su. Rinfresca miss Melania con la spugna. E dille che io sono andata a chiamare il dottore. - Essere arrivato momento, miss Rossella? - Non lo so. Ho paura che sia, ma non me ne intendo. Tu devi saperlo. Vai su. Rossella prese sulla tavola dell'anticamera il suo largo cappello di paglia e se lo mise sulla testa. Si guardò nello specchio e automaticamente respinse qualche ciocca di capelli, ma senza vedersi. Piccoli brividi irradiavano dal suo stomaco per tutto il corpo, benché si sentisse tutta sudata. Uscí in fretta nella strada assolata; nel calore soffocante sentiva le tempie batterle con violenza. Da lontano udí levarsi e poi diminuire un vocío confuso. Dopo un poco cominciò ad ansimare, perché il busto era allacciato molto stretto, ma non rallentò il passo. Il vocío diventava piú forte. Verso la casa dei Leyden, in prossimità dei Cinque Punti, vi era un gran movimento; il movimento di un formicaio distrutto. Si vedevano negri correre col panico dipinto sul viso; sotto ai porticati alcuni bambini bianchi piangevano senza che nessuno se ne curasse. La strada era affollata di carri e di ambulanze rigurgitanti di feriti, e di carrozze su cui si accatastavano bauli, valige, mobili. Uomini a cavallo venivano dalle strade laterali e correvano verso il quartier generale. Dinanzi alla casa dei Bonnell vide il vecchio Amos che teneva le redini del cavallo e che la salutò con gli occhi spalancati. - Tu non andare ancora, miss Rossella? Noi andare adesso. Vecchia miss stare facendo valigia. - Andar dove? - Dio lo sa, miss. In qualche posto. Yankees stare venendo. Si affrettò senza neanche salutarlo. Gli yankees stavano venendo! Si fermò un attimo per riprender fiato e calmare il batticuore, appoggiandosi a un lampione per non svenire; in quel momento vide giungere a spron battuto un ufficiale. Istintivamente si pose in mezzo alla strada e gli fece cenno. - Fermate, per carità! Fermatevi! Egli trattenne il cavallo cosí improvvisamente che questi si drizzò sulle zampe posteriori. Il volto dell'ufficiale era segnato di stanchezza, ma egli si tolse ugualmente il cappello grigio. - Signora? - Ditemi, è vero? Gli yankees stanno venendo? - Temo di sí. - Non siete certo? - Sì, signora, sono certo. Mezz'ora fa è arrivato al Quartier Generale un dispaccio dei combattenti di Jonesboro. - Di Jonesboro? Siete sicuro? - Sicuro. Inutili le menzogne pietose, signora. Il dispaccio era del generale Hardee e diceva: «Ho perduto la battaglia e sono in piena ritirata». - Oh Dio! Il volto abbronzato dell'uomo non mostrò commozione. Egli raccolse le redini e si rimise il cappello. - Un momento, signore, vi prego... Che dobbiamo fare? - Non saprei, signora. L'esercito sta evacuando Atlanta. - E ci lascia in balia degli yankees? - Pare di sí. Spronò il cavallo e Rossella rimase in mezzo alla strada coi piedi affondati nella polvere rossa. Gli yankees stavano venendo. L'esercito partiva. Che fare? Dove fuggire? No, non poteva fuggire. C'era Melania a letto, che aspettava il bambino. Ma perché le donne partorivano? Se non ci fosse Melania, lei prenderebbe Wade e Prissy e si nasconderebbe nei boschi dove gli yankees non potrebbero trovarla. Ma era impossibile portare Melania nei boschi. No, bisognava trovare il dottor Meade. Forse potrebbe affrettare il parto. Raccolse le gonne e riprese la corsa ritmando il passo sul ritornello: «Arrivano gli yankees! Arrivano gli yankees!» Cinque Punti era formicolante di gente, di carri, di ambulanze, di carrozze cariche di feriti. Da quella folla giungeva un fragore simile a quello di un mare in burrasca. Allora uno strano spettacolo colpí i suoi occhi. Frotte di donne venivano dalla parte della ferrovia portando sulle spalle prosciutti, sacchi di patate. Accanto a loro trotterellavano bambini che inciampavano sotto fasci di canne da zucchero; ragazzi piú grandicelli trascinavano sacchi di granturco e di farina gialla. Donne, uomini, bambini, bianchi e negri si affrettavano, con visi sconvolti, trasportando involti e sacchi di viveri; piú viveri di quanti ella ne avesse visti in un anno. A un tratto la folla si aperse per dare il passo a una carrozza nella quale era la fragile ed elegante signora Elsing, con le redini in una mano e la frusta nell'altra. Pallidissima e senza cappello, coi capelli grigi che le ciondolavano sul d'orso, ella frustava il cavallo come una furia. Sul sedile posteriore della carrozza era la sua mammy negra, Melissy, che stringeva al petto con una mano un pezzo di lardo, mentre con l'altra e coi piedi cercava di trattenere le valige e le scatole ammonticchiate attorno a lei. Un sacco di piselli secchi si era aperto e il contenuto si andava disseminando lungo la strada. Rossella gridò per chiamarla, ma il vocío della folla coperse la sua voce e la carrozza continuò la sua pazza corsa. Per un istante non comprese il significato di quel movimento; ma poi, ricordando che i magazzini del commissariato erano accanto alla ferrovia, capí che erano stati spalancati al popolo perché potesse salvare quanto poteva, prima dell'arrivo degli yankees. Si aperse un varco attraverso la calca, oltrepassò la folla isterica che si agglomerava ai Cinque Punti, e si diresse con la maggior velocità possibile verso il deposito. Attraverso il groviglio dei carri e delle ambulanze e una nuvola di polvere, scorse dottori, infermieri e portatori che fasciavano frettolosamente, si chinavano, sollevavano dei corpi. Meno male; almeno troverebbe subito il dottor Meade. Quando svoltò l'angolo dell'Albergo Atlanta e giunse completamente in vista del deposito e delle rotaie, si fermò sbigottita. Sotto il sole spietato, a spalla a spalla, teste contro piedi, giacevano centinaia di feriti, sulle rotaie, sui marciapiedi, sotto le tettoie dove usualmente si ricoveravano i vagoni. Alcuni erano rigidi e tranquilli, altri si torcevano gemendo. Dovunque, sciami di mosche si avventavano ronzando sui volti degli uomini; dovunque sangue, bende sudice, gemiti, imprecazioni. Sentore di sangue, di sudore di corpi non lavati, di escrementi si levava in ondate nauseabonde. Indietreggiò portandosi le mani alla bocca, sentendo che stava per rigettare. Non poteva andare avanti. Aveva visto feriti nell'ospedale, nel prato di zia Pitty, ma mai nulla di simile. Nulla che somigliasse a quest'inferno di spasimi, di fetore, di lamentazioni e... Presto, presto, presto!... Gli yankees stavano arrivando! Fece uno sforzo su se stessa e si avanzò, cercando di distinguere fra le figure di coloro che erano in piedi il dottor Meade. Ma si accorse che se non guardava dove metteva i piedi correva rischio di calpestare qualche soldato. Sollevò le gonne e cercò di dirigersi verso un gruppo di uomini che davano degli ordini ai portantini. Mani febbrili le afferravano gli abiti e voci rauche supplicavano: - Signora... acqua! Per pietà, signora, acqua! In nome di Cristo, acqua! Il sudore le rigava il volto mentre strappava il suo abito da quelle mani convulse. Se avesse calpestato uno di quegli uomini, avrebbe urlato e sarebbe svenuta. Calpestò dei morti, uomini che avevano gli occhi spalancati e le mani rattrappite sul petto dove il sangue coagulato era appiccicato alle uniformi lacere, uomini che avevano la barba indurita dal sangue rappreso e dalle cui mascelle frantumate usciva un gemito che voleva dire: «Acqua! Acqua!» Se non trovava il dottor Meade, comincerebbe a urlare anche lei, come una pazza. Guardò verso il gruppo degli uomini e gridò con tutta la sua voce: - Dottor Meade! C'è il dottor Meade? Un uomo si staccò dal gruppo e guardò verso di lei. Era il dottore. Senza giacca e con le maniche rimboccate sino alle spalle. La camicia e i calzoni erano rossi come quelli di un macellaio, e perfino l'estremità della sua barba grigia era insanguinata. Aveva il viso di un uomo ubriaco di stanchezza, di ira impotente e di ardente pietà. Ma la sua voce era calma e decisa. - Meno male che siete venuta. Ho bisogno di tutti quanti. Per un attimo ella lo fissò sbalordita, lasciando ricadere le sue gonne che andarono a sbattere sul viso di un ferito che cercò di voltare la testa per evitare quelle pieghe soffocanti. Che voleva dire il dottore? - Presto, figliuola! Venite qui. Ella raccolse nuovamente le gonne e lo raggiunse il piú presto che poté attraverso le file di corpi. Gli mise una mano sul braccio e sentí che tremava di stanchezza; ma il suo volto non aveva traccia di debolezza. - Dottore! - esclamò. - Dovete venire. Melania sta per avere il bambino. Il dottore la guardò come se non capisse. Ella ripeté: - Melania. Il bambino. Dovete venire. Le... Come fare a dire certe cose con tanti uomini che sentivano? Ma non si poteva fare altrimenti. - Le doglie stanno aumentando. Vi prego, dottore! - Un bambino! Santo Dio! - tuonò il dottore. E a un tratto il suo volto si contrasse di odio e di rabbia verso un mondo nel quale potevano accadere simili cose. - Siete pazza? Io non posso lasciare questi uomini. Muoiono a centinaia. Non posso lasciarli. Trovate una donna che vi aiuti. Chiamate mia moglie. Aperse la bocca per dirgli la ragione per cui la signora Meade non poteva venire, ma si trattenne. Egli ignorava che suo figlio fosse ferito! Chi sa se sapendolo sarebbe rimasto lí... Qualche cosa nel suo intimo le disse che anche se Phil fosse moribondo, egli sarebbe rimasto al suo posto, dando il suo aiuto a centinaia di uomini anziché a uno solo. - Dovete venire, dottore. Voi stesso avete detto che sarà un parto difficile... - Era proprio lei, Rossella, che diceva quelle cose indelicate ad alta voce, in quell'inferno di spasimi e di lamenti? - Morrà se non venite! Meade si liberò sgarbatamente dalla mano che posava sul suo braccio e parlò come se non la udisse. - Morire? Sí, muoiono tutti quanti... tutti questi uomini. Mancano le bende, i medicinali... chinino, cloroformio. Dio, Dio, un po' di morfina! Solo un po' di morfina per i piú gravi. Solo un po' di cloroformio. Maledizione agli yankees! Maledizione agli yankees! Rossella cominciò a tremare; i suoi occhi si riempirono di lacrime di spavento. Il dottore non poteva venire. Melania morrebbe... e lei aveva desiderato che morisse. Il dottore non veniva. - In nome di Dio, dottore! Vi scongiuro! Il dottor Meade si morse le labbra; la sua mascella si irrigidí, il suo volto ridiventò freddo. - Tenterò, figliuola. Non posso promettere. Gli yankees stanno per arrivare e le truppe abbandonano la città. Non so che cosa faranno dei feriti. Non vi sono piú treni. La linea di Macon è in mano loro... Ma tenterò. Correte a casa adesso. Del resto, non ci vuol molto a raccogliere un bambino. Tagliate il cordone... Si voltò perché un sergente era venuto a parlargli, e ricominciò a dare ordini indicando questo e quel ferito. L'uomo che era ai suoi piedi guardò Rossella con compassione. Ella si volse altrove: il dottore l'aveva dimenticata. Si fece nuovamente strada in mezzo ai feriti e tornò alla Via dell'Albero di Pesco. Il dottore non veniva. Doveva cavarsela da sola. Meno male che Prissy se ne intendeva... Le doleva il capo e sentiva che il corpetto dell'abito le si incollava alla pelle per il sudore. Le gambe sembrava che non volessero piú portarla, e la strada le parve interminabile. Ma il ritornello «arrivano gli yankees!» ricominciò ad ossessionarla. Il cuore riprese a batterle con furia e le gambe ritrovarono un po' di forza. Attraversò nuovamente la folla ai Cinque Punti, tanto densa che non si poteva camminare sui marciapiedi. Passavano lunghe file di soldati coperti di polvere, disfatti dalla stanchezza. Sembravano migliaia, sudici, con la barba lunga, i fucili appesi alle spalle. Dietro a loro erano i carri d'artiglieria; i conducenti frustavano le mule macilente con rozzi staffili di pelle. Non aveva mai visto tanti soldati insieme. Ritirata! Ritirata! La soldatesca la respinse contro il marciapiedi affollato, ed ella sentí un acre odore di whisky di grano. Nella calca presso Via Decatur erano donne in abiti vistosi, i cui volti dipinti davano una nota di festa stranamente discordante. In gran parte erano ubriache, e i soldati a cui davano braccio erano piú ubriachi di loro. Ella scorse fuggevolmente una massa di riccioli rossi e vide Bella Wading; udí il suo riso stridente e avvinazzato, mentre si aggrappava a un soldato mutilato di un braccio che barcollava. Dopo avere oltrepassato i Cinque Punti, trovò la folla meno densa; raccolse allora le gonne e riprese a correre. Dinanzi alla Chiesa wesleyana si fermò: ansimava, aveva un tremendo mal di stomaco e il busto troppo stretto le segava la vita. Piombò sui gradini della chiesa e si nascose il capo fra le mani, cercando di respirare profondamente. Non aveva mai dovuto agire di sua iniziativa, in tutta la vita. Vi era sempre stato qualcuno che aveva fatto le cose per lei, che l'aveva aiutata e protetta. Le sembrava impossibile di trovarsi cosí sola, senza un vicino, senza un amico. Aveva sempre avuto amici, conoscenti e schiavi volenterosi. E in quest'ora di necessità, nessuno. Era completamente sola, atterrita, lontana da casa sua. La sua casa! Se almeno fosse laggiú, a Tara... Anche con gli yankees. Anche se Elena era ammalata. Anelava al dolce viso di Elena, alle forti braccia di Mammy attorno al suo corpo. Si alzò a fatica e riprese a camminare. Giungendo in vista della casa scorse Wade che usciva dal cancello per correrle incontro, e che, vedendola, cominciò a frignare mostrandole un ditino scorticato. - Bibi! - gridava. - Fatto bibi! - Zitto! Zitto! Altrimenti ti batto. Vai nel cortile dietro alla casa a giocare. E non ti muovere. - Wade ha fame... - piagnucolò il bimbo ficcandosi in bocca il dito ferito. - Non me n'importa. Vai nel cortile e... Guardò in alto e vide Prissy alla finestra, con lo sguardo e la preoccupazione dipinti sul viso. Rossella le accennò di scendere ed entrò in casa. Che bel fresco in anticamera! Si sciolse i nastri del cappello e lo gettò sulla tavola, passandosi il braccio sulla fronte madida di sudore. Prissy scese i gradini a tre per volta. - Essere venuto dottore? - No. Non viene. - Dio, miss Rossella! Miss Melania star male. - Il dottore non può venire. Siamo sole. Bisogna che tu prenda il bambino; io ti aiuterò. Prissy spalancò la bocca agitando la lingua senza riuscire a spiccicar parola. Guardò Rossella di sbieco, agitò i piedi, inquieta, Si contorse tutta. - Non fare la sciocca! - gridò Rossella infuriata da quell'espressione idiota. - Che c'è adesso? Prissy indietreggiò verso la scala. - Per carità, miss Rossella... - I suoi occhi erano pieni di vergogna e di spavento. - Ebbene? - Per carità... Bisogna avere dottore. Io... io... miss Rossella, io non saper niente di nascite di bambini. Mamma non aver mai voluto che io stare presente quando partorivano. Rossella si sentí mancare il respiro in un brivido di orrore, prima di essere invasa dall'ira. Prissy tentò di prender la fuga, ma Rossella l'afferrò. - Brutta negra bugiarda... che vuoi dire? Mi hai detto che sapevi tutto quello che bisogna fare... Qual è la verità? Parla! - La scrollò furiosamente. - Aver detto bugia! Non sapere come aver mentito... Io aver visto solo un bambino, dopo essere nato, perché Mamma avermi mandata via per non farmi guardare. Rossella la fissò; Prissy indietreggiò nuovamente. Per un attimo la mente della giovine donna si rifiutò ad accogliere la verità; ma quando comprese che Prissy non ne sapeva di ostetricia piú di quanto ne sapesse lei, si sentí infiammare dalla collera. Non aveva mai battuto uno schiavo in tutta la sua vita; ma ora percosse quella guancia nera con tutta la forza del suo braccio stanco. Prissy urlò, piú per paura che per dolore e cominciò ad agitarsi per liberarsi dalla stretta di Rossella. Mentre quella gridava, il gemito al secondo piano cessò e la voce di Melania, debole e tremante, chiamò: - Sei tu, Rossella? Vieni, ti prego! Rossella lasciò il braccio di Prissy, la quale cadde a terra piagnucolando, e per un attimo rimase immobile, ascoltando il gemito che era ricominciato. Ebbe l'impressione di sentirsi schiacciare da un giogo; un peso che le gravava sulla nuca e che avrebbe sentito piú greve appena avesse mosso un passo. Cercò di ricordarsi tutto quello che Elena e Mammy avevano fatto per lei quando era nato Wade; ma quasi tutto si perdeva in una nebbia confusa. Comunque, ricordando qualche cosa, parlò rapidamente e con autorità a Prissy. - Accendi il fuoco e metti a bollire dell'acqua nella caldaia. E porta su tutti gli asciugamani che trovi e quella balla di cotone. Portami anche le forbici. Non venirmi a dire che non le trovi. Cercale e portamele. Svelta. Rimise in piedi Prissy e la mandò in cucina con una spinta. Poi si irrigidí e cominciò a salire le scale. Sarebbe difficile dire a Melania che solo lei e Prissy avrebbero dovuto aiutare il bimbo a venire al mondo.

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Se i Confederati avrebbero abbandonato il posto senza combattere? I Confederati... com'erano pochi! E Sherman aveva tanti uomini e tutti ben nutriti! Sherman! Quel nome la sgomentava come quello di Satana. Ma non vi era tempo di pensarci adesso, perché Melania chiamava per avere un po' d'acqua, un asciugamani asciutto sulla testa e perché le scacciasse le mosche dal viso. Al crepuscolo, mentre Prissy, sgambettando come un piccolo fantasma nero, accendeva la lampada, Melania si sentí piú debole. Cominciò a chiamare Ashley, con una insistenza che sembrava delirio, finché Rossella provò il desiderio di soffocare quella voce monotona con un guanciale. Forse il dottore avrebbe finito col venire. Con un barlume di speranza, alzò la testa e ordinò a Prissy di correre alla casa del dottor Meade a vedere se lui, o la signora, fossero tornati. - E se non c'è, chiedi alla signora Meade o alla cuoca che cosa bisogna fare. Pregale di venire! Prissy uscí di corsa e Rossella la vide allontanarsi con una velocità di cui non l'avrebbe creduta capace. Dopo un certo tempo tornò, sola. - Dottore non essere venuto a casa tutto il giorno. Forse essere andato via con soldati. Miss Rossella, Mist' Phil essere finito. - Morto? - Sí, badrona. Talbot, il cocchiere avere detto che essere stato... - Non importa. - Non avere visto miss Meade. Cuoca aver detto che miss Meade voler lavarlo e seppellirlo prima che arrivare yankees. Cuoca dice che se doglie essere troppo forti, tu mettere un coltello sotto il letto e questo tagliare doglie in due. Rossella provò il desiderio di batterla ancora; ma Melania aveva spalancato gli occhi terrorizzata e stava bisbigliando... - Dio mio... stanno venendo gli yankees? - No - rispose Rossella risoluta. - Prissy è una bugiarda. - Sí, badrona - annuí Prissy con calore. - Stanno arrivando - sussurrò Melania senza lasciarsi ingannare; e nascose il viso tra i guanciali. La sua voce giunse alle orecchie di Rossella come un soffio. - Il mio povero piccino... Il mio povero piccino... - E, dopo un lungo intervallo: - Tu non devi restare qui, Rossella. Devi prendere Wade e andar via. Era ciò che Rossella pensava; ma udirlo da Melania la irritò, e le diede un senso di vergogna, come se la sua vigliaccheria fosse scritta a chiare lettere sul suo viso. - Non dire sciocchezze. Non ho paura. E sai che non ti lascerò. - Potresti anche andare... Tanto, io sto per morire... - E riprese a mugolare.

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Quelle due linee parallele di alberi cupi erano sue, suo quel prato abbandonato, invaso dalle erbacce cresciute enormemente sotto i giovani alberelli di magnolie. I campi incolti e circondati di pinastri e di cespugli spinosi, che ai quattro lati stendevano lontana la loro superficie di argilla rossiccia, appartenevano a Geraldo O'Hara... erano suoi perché egli aveva un ostinato cervello irlandese, e il coraggio di arrischiare tutto su un colpo alle carte. Geraldo chiuse gli occhi e, nel silenzio del terreno senza lavoratori, sentí di essere giunto a casa. Qui, sotto i suoi piedi, sorgerà una casa di mattoni intonacati. Al di là della strada saranno nuove barriere di legno e di ferro, dietro alle quali pascoleranno mandrie ben pasciute e cavalli di razza; e il terreno sanguigno che giunge dalla collina al fertile fondo valle risplenderà al sole di un candore piumoso: cotone, jugeri e jugeri di cotone! La fortuna degli O'Hara risorgerà a nuovo splendore! Col piccolo peculio guadagnato che i fratelli gli liquidarono con scarso entusiasmo, e con una sommetta ottenuta mettendo un'ipoteca sul terreno, Geraldo comprò i primi agricoltori e si stabilí a Tara vivendo in solitudine nella casetta di quattro stanze del sorvegliante, fino al giorno in cui avrebbe potuto costruire la casa bianca. Dissodò i campi in cui piantò il cotone e si fece prestare altro denaro da Giacomo e da Andrea per comprare un maggior numero di schiavi. Gli O'Hara erano una tribú irlandese, unita nella prosperità come nell'avversità, non per eccessiva affezione famigliare, ma perché avevano imparato durante gli anni dolorosi, che una famiglia deve, per poter sopravvivere, presentare al mondo un fronte compatto. Prestarono il denaro a Geraldo, il quale, negli anni seguenti, lo restituí con gli interessi. Gradatamente la piantagione s'ingrandí, perché Geraldo comprò ancora del terreno vicino; e col tempo la casa bianca divenne una realtà invece di un sogno. Fu costruita dagli schiavi ed era un edificio largo e pesante che coronava il cocuzzolo dominante il verde pendio che giungeva sino al fiume; e piaceva molto a Geraldo perché anche quand'era nuova aveva l'apparenza di essere fabbricata da diversi anni. La vecchie quercie che avevano visto passare sotto il loro fogliame gli indiani circondavano la casa coi loro grossi tronchi e spandevano coi loro rami un'ombra densa sul tetto. Il prato, ripulito dalle erbacce, si ricoprí di trifoglio e di erba medica e Geraldo sorvegliò che fosse ben tenuto. Dal viale dei cedri alle bianche capanne del quartiere degli schiavi era in tutta Tara un'aria di solidità e di stabilità; e quando Geraldo girava al galoppo la curva della strada e vedeva tra i rami verdi il tetto della sua casa, il suo cuore si gonfiava di orgoglio, come se lo vedesse per la prima volta. Era tutto opera sua, del piccolo, cocciuto e rumoroso Geraldo. Ed egli era in ottimi rapporti con tutti i suoi vicini, meno coi MacIntosh, il cui terreno confinava col suo a sinistra, e con gli Slattery i cui miseri tre jugeri si stendevano alla destra, lungo le paludi tra il fiume e la piantagione di John Wilkes. I MacIntosh erano scozzesi - irlandesi e Orangisti; e se anche avessero posseduto tutte le sante qualità del calendario cattolico, questa provenienza li avrebbe resi maledetti per sempre agli occhi di Geraldo. Veramente vivevano in Georgia da settant'anni e, prima, avevano trascorso il tempo di una generazione nella Carolina; ma il primo della famiglia che aveva messo piede sulle rive americane era giunto da Ulster, e questo bastava per Geraldo. Era una famiglia di gente rigida e taciturna, che viveva per conto proprio e si sposava fra parenti; Geraldo non era il solo ad avere antipatia per loro, perché la gente della Contea era socievole e cordiale, e non tollerava negli altri la mancanza di queste qualità. La fama di aver simpatia per gli abolizionisti non aumentava la popolarità dei MacIntosh. Il vecchio Angelo non aveva mai manomesso un solo schiavo ed aveva commesso l'imperdonabile colpa di vendere alcuni dei suoi negri a mercanti di schiavi di passaggio che si recavano ai campi di zucchero della Luisiana; ma le voci persistevano. - È un abolizionista, non vi è dubbio, - osservava Geraldo a John Wilkes: - Ma in un Orangista, quando un principio è contrario all'avarizia scozzese, non viene piú rispettato. Con gli Slattery la faccenda era diversa. Essendo essi dei bianchi miserabili non si aveva per loro neanche il forzato rispetto che l'indipendenza di Angelo Macintosh otteneva dalle famiglie dei vicini. Il vecchio Slattery, che rimaneva disperatamente attaccato ai suoi pochi jugeri di terreno malgrado le ripetute offerte di Geraldo e di John Wilkes, era inetto e piagnucoloso. Sua moglie era una donna coi capelli scarmigliati, di aspetto pallido e malaticcio, madre di una nidiata che aumentava regolarmente ogni anno. Tom Slattery non possedeva schiavi; lui e i suoi due figli maggiori coltivavano spasmodicamente i Ioni pochi jugeri di cotone, mentre la moglie e i figli minori si occupavano del cosiddetto podere. Ma il cotone non cresceva mai bene e l'orto, a causa delle continue gravidanze della signora, forniva raramente di che nutrire il modesto armento. La vista di Tom Slattery che gironzolava sotto i porticati dei vicini, mendicando dei semi di cotone o un po' di lardo per poter tirar avanti, era frequente. Slattery odiava i suoi vicini con quel po' di energia che possedeva, intuendo il loro disprezzo sotto alla loro cortesia; e specialmente odiava i negri servi di questi ricchi. Gli schiavi negri della Contea si consideravano superiori ai «rifiuti bianchi» e il loro non celato disprezzo lo feriva, cosí come la loro piú sicura posizione nella vita destava la sua invidia. Egli conduceva un'esistenza miserabile mentre essi erano ben nutriti, ben vestiti, e curati quando erano vecchi e ammalati. Essi erano fieri del buon nome dei loro padroni e generalmente fieri di appartenere a gente che era «qualcuno», mentre Slattery era disprezzato da tutti. Egli avrebbe potuto vendere la sua proprietà per il triplo del suo valore a qualsiasi piantatore della Contea; chiunque avrebbe considerato bene speso il denaro che liberava il Paese da un individuo spiacevole; ma egli preferiva rimanere e vivere miseramente del ricavato di una balla di cotone all'anno e della carità dei suoi vicini. Col rimanente degli abitanti della Contea, Geraldo era in rapporti di amicizia e con qualcuno di intimità. I Wilkes, i Calvert, i Tarleton, i Fontaine sorridevano quando la piccola figura sul grande cavallo bianco galoppava lungo i loro viali; e facevano cenno perché fossero portati dei grandi bicchieri in cui era stato versato una buona quantità di whisky su una cucchiaiata di zucchero e un pizzico di menta tritata. Geraldo era simpatico e i vicini apprendevano col tempo ciò che i bambini, i negri e i cani scoprivano a prima vista e cioè che dietro ai suoi modi truculenti e alla sua voce reboante si nascondeva un cuore ottimo, un orecchio sempre pronto ad ascoltare e un portafogli che si apriva con facilità. Il suo arrivo provocava sempre un tumulto di cani che abbaiavano e di bambini negri che urlavano correndogli incontro, litigando fra loro per il privilegio di tenere il suo cavallo, e poi si torcevano e ridevano ai suoi insulti scherzosi. I bambini bianchi volevano sedere sulle sue ginocchia per fare il cavalluccio, mentre egli denunciava ai loro genitori l'infamia degli uomini politici inglesi; le figlie dei suoi amici gli confidavano i segreti amorosi e i giovinotti del vicinato, che avevano paura di confessare ai loro padri i debiti d'onore, trovavano in lui un amico pronto ad aiutarli. - Avevi questo debito da un mese, ragazzaccio! - gridava. - Ma, in nome di Dio, perché non mi hai chiesto il denaro prima? Il suo modo ruvido di parlare era troppo noto per offendere; il giovanotto si limitava a sorridere imbarazzato rispondendo: - Non volevo disturbarvi, signore, e mio padre... - Tuo padre è un buon uomo, ma un po' tirato; prendi questi e non ne parliamo piú. Le mogli dei piantatori furono le ultime a capitolare. Ma la signora Wilkes (una gran signora che ha il dono di saper tacere, come la definiva Geraldo) disse una sera a suo marito, dopo aver visto Geraldo scomparire in fondo al viale - parla in modo volgare, ma è un signore; e allora la posizione di O'Hara fu assicurata. Egli non sapeva che gli c'erano voluti quasi dieci anni per arrivare, perché non si era mai accorto che da principio i suoi vicini lo guardavano storto. Nella sua mente non vi era mai stato alcun dubbio in proposito, dal momento in cui aveva messo piede a Tara. Quando ebbe compiuto quarantatré anni - cosí atticciato di corpo e florido di volto che sembrava un gentiluomo sportivo - gli venne in mente che Tara, per quanto fosse piacevole, e gli abitanti della Contea, per quanto avessero il cuore e la casa aperti per lui, non erano abbastanza. Gli ci voleva una moglie. Tara aveva bisogno di una padrona. Il grasso cuoco, un negro agricoltore elevato a quel grado per necessità di cose, non era mai puntuale nel preparare i pasti; e la cameriera, che prima lavorava essa pure nei campi, lasciava che la polvere si accumulasse sui mobili e non aveva mai tovaglie pulite, sicché l'arrivo di ospiti era sempre occasione di subbuglio e di confusione. Pork, l'unico negro abituato a servire in casa, aveva l'incarico di sorvegliare gli altri servitori, ma anche lui era diventato negligente e trascurato dopo tanti anni di vita rilassata. Come servitore teneva in ordine la camera da letto di Geraldo, e come cameriere serviva a tavola con dignità e con stile; ma oltre a questo, lasciava che le cose seguissero il loro corso. Con l'infallibile istinto africano, i negri avevano tutti scoperto che Geraldo era un cane che abbaiava ma non mordeva, e ne approfittavano vergognosamente. Si sentivano sempre alte minaccie di vendere gli schiavi o di frustarli a sangue, ma nessuno schiavo era mai stato venduto fra quelli di Tara e una sola frustata vi era stata; somministrata soltanto perché il cavallo preferito di Geraldo non era stato strigliato dopo una lunga giornata di caccia. Gli occhi azzurri di Geraldo osservavano come erano ben tenute le case dei suoi vicini e con che facilità le donne dai capelli ravviati e dagli abiti fruscianti, dirigevano la servitú. Egli ignorava l'attività di queste donne dall'alba a mezzanotte, fra la sorveglianza della cucina, del bucato, del rammendo e l'allevamento dei bimbi. Vedeva soltanto i risultati esteriori e questi l'impressionavano. L'urgente necessità di una moglie gli apparve chiaramente una mattina mentre si stava vestendo per recarsi in città ad assistere a un'udienza al Tribunale. Pork tirò fuori la miglior camicia a pieghettine di Geraldo cosí malamente rammendata che ormai solo il domestico avrebbe potuto metterla. - Mister Geraldo - aveva detto mentre ripiegava con riconoscenza la camicia e Geraldo strepitava - quello che tu avere bisogno è moglie; una moglie che avere buon numero di negri per la casa. Gerardo rimproverò Pork per la sua impertinenza, benché fosse convinto che aveva ragione. Aveva bisogno di una moglie e aveva bisogno di bambini; e se non provvedeva subito, poi sarebbe troppo tardi. Ma non voleva sposare la prima venuta, come aveva fatto il signor Calvert, che aveva impalmato la governante inglese dei suoi bambini orfani di madre. Sua moglie doveva essere una signora, una vera signora dignitosa ed elegante come la signora Wilkes, e capace di governare Tara come la signora Wilkes governava la sua proprietà. Ma nelle famiglie del Contea vi erano due difficoltà. La prima era la scarsità di fanciulle in età da marito. La seconda, piú seria, era che Geraldo era un «uomo nuovo», malgrado i suoi dieci anni di residenza, e uno straniero. Non si sapeva nulla della sua famiglia. Pur essendo meno inespugnabile dell'aristocrazia della Costa, la società della Georgia settentrionale non avrebbe mai ammesso che una delle sue figliuole sposasse un uomo del quale si ignorava chi fosse il nonno. Geraldo sapeva che, malgrado la simpatia sincera degli uomini della Contea coi quali cacciava, beveva e parlava di politica, non avrebbe potuto sposare la figlia di nessuno di loro. E non voleva che si potessero far delle chiacchiere attorno alle tavole, a cena, sul fatto che questo o quell'altro padre avesse con rammarico rifiutato a Geraldo O'Hara il permesso di far la corte alla sua figliuola. Non per questo Geraldo si sentiva inferiore ai suoi vicini; d'altronde nulla e nessuno avrebbe mai potuto far sí che egli si sentisse inferiore a chiunque. Soltanto, riconosceva che era una strana costumanza della Contea, quella che faceva maritare le ragazze solo con persone appartenenti a famiglie che vivevano nel sud da oltre vent'anni, e che durante tutto quel tempo erano stati possessori di schiavi e si erano dedicati unicamente ai vizi eleganti. - Prepara il bagaglio. Andiamo a Savannah - disse a Pork. - E se ti sento emettere una sola imprecazione, ti vendo immediatamente, perché sono espressioni che io stesso uso ben raramente. Giacomo e Andrea avrebbero potuto certamente dargli dei consigli intorno a questa faccenda del matrimonio; e forse tra i loro vecchi amici poteva esservi qualche fanciulla che avesse i requisiti voluti e che lo trovasse accettabile come marito. I fratelli ascoltarono pazientemente la sua storia ma non gli diedero eccessivo incoraggiamento. Non avevano parenti a Savannah a cui rivolgersi, perché entrambi erano già sposati quando erano venuti in America! E le figlie dei loro vecchi amici erano maritate da un pezzo e avevano già dei bambini. - Sei un uomo ricco ma non di grande famiglia - osservò Giacomo. - Sono diventato ricco e la grande famiglia me la farò. Ma non voglio sposare la prima venuta. - Hai delle vedute alte - replicò Andrea seccamente. Ma fecero del loro meglio per aiutare Geraldo. Erano ormai anziani e si erano creati a Savannah un cerchio di amicizie. Per un mese condussero Gerardo di casa in casa, facendogli frequentare balli, cene, picnic. - Ce n'è una che mi piace - disse finalmente Geraldo - una ragazza che quando io sbarcai in America non era ancora nata. - E chi sarebbe? - Miss Elena Robillard - e la risposta cercò di avere un tono indifferente, perché gli occhi neri e lievemente obliquati in basso di Elena lo avevano colpito piú di quanto volesse dire, e il suo modo di fare, ingannevolmente incurante, cosí strano in una fanciulla quindicenne, lo aveva affascinato. Inoltre vi era in Elena una continua espressione di disperazione che gli andava al cuore e lo rendeva piú gentile con lei che non fosse mai stato con nessun altro. - Ma potresti esser suo padre! - Sono nel fiore della vita! - ribatté Geraldo, punto. Giacomo prese la parola, con calma. - Ascoltami, Jerry: non vi è ragazza in Savannah con la quale tu possa aver minori probabilità. Suo padre è un Robillard; e questi francesi sono orgogliosi come Lucifero. E sua madre - Dio l'abbia in gloria - era una gran signora. - Non me n'importa - si ostinò Geraldo. - Del resto, sua madre è morta e il vecchio Robillard mi vuol bene. - Come uomo, sí; ma come genero, no. - E poi la ragazza non ti accetterebbe - intervenne Andrea. - Da un anno fa l'amore con quel ragazzaccio di suo cugino, Filippo Robillard, benché la sua famiglia la tormenti giorno e notte perché lo lasci. - È partito il mese scorso per la Luisiana. - Come lo sai? - Lo so. - E Geraldo non volle svelare che quest'informazione gli veniva da Pork né che Filippo era andato in Occidente per espresso desiderio della sua famiglia. - E non credo che ne sia tanto innamorata da non poterlo dimenticare. Quindici anni son troppo pochi, perché l'amore sia profondo. - Preferiranno quel rompicollo di cugino a te. Giacomo e Andrea furono quindi stupiti come tutti gli altri quando si sparse la notizia che la figlia di Pierre Robillard avrebbe sposato il piccolo irlandese. I commenti furono infiniti e tutta la città chiacchierò sul conto di Filippo Robillard che era andato in Occidente; ma le chiacchiere rimasero lettera morta. E fu sempre per tutti un mistero perché la piú bella delle figlie di Robillard accettasse di sposare quel rumoroso ometto dal viso rosso, che le arrivava appena alle spalle. Neanche Geraldo comprese mai perfettamente com'era andata la cosa. Sapeva soltanto che era accaduto un miracolo. E fu l'unica volta in vita sua che si sentí umile umile, quando Elena, pallidissima ma calma, posò leggermente una mano sul suo braccio dicendogli: - Vi sposerò, Mr. O'Hara. I Robillard, sbalorditi, conobbero la risposta; ma solo Elena e la sua Mammy seppero tutta la tristezza di quella notte in cui la fanciulla singhiozzò fino all'alba come una bambina col cuore spezzato, alzandosi al mattino con una ferma decisione. Con un doloroso presentimento, la bambinaia aveva portato alla sua padroncina un pacchetto proveniente da Nuova Orléans, con l'indirizzo scritto da una mano ignota; nel pacchetto era una miniatura di Elena, che ella lasciò cadere a terra con un grido, quattro lettere scritte da lei a Filippo Robillard e poche parole di un sacerdote di Nuova Orléans che le annunciava la morte di suo cugino in una rissa d'osteria. - Lo hanno cacciato via, il babbo, Paolina e Eulalia. Lo hanno cacciato via. Li odio. Non voglio piú vederli. Voglio andar via. Voglio andare tanto lontano da non vedere mai piú né loro né questa città né chiunque mi ricordi... lui. E al sorger del giorno, la nutrice, che aveva anch'essa pianto china sul capo bruno della sua padrona, aveva esclamato: - Ma non puoi far questo, tesoro! - Lo farò. È un brav'uomo. Lo farò, o andrò a chiudermi in un convento a Charleston. Fu la minaccia del convento che finalmente strappò il consenso a Pierre Robillard, che non rinveniva dallo stupore e dal dolore. Era un fedele presbiteriano, benché la sua famiglia fosse cattolica; e l'idea che sua figlia diventasse monaca gli era anche piú penosa del pensiero che fosse moglie di Geraldo O' Hara. Dopo tutto, contro costui non si poteva dir nulla, se non che non aveva famiglia. Cosí Elena, non piú Robillard, volse le spalle a Savannah per non rivederla mai piú e partí per Tara con un marito di mezz'età, la sua nutrice e venti «negri di casa». Dopo un anno nacque la prima bambina a cui diedero il nome di Caterina Rossella, come la mamma di Geraldo. Geraldo fu deluso, perché desiderava un maschio, ma ciò nondimeno fu abbastanza soddisfatto della sua bambina bruna da offrire, in segno di gioia, il rum a tutti i suoi schiavi, ubbriacandosi anche lui, felice e rumoroso. Nessuno può dire se Elena rimpianse mai la sua decisione di sposare Geraldo; meno di tutti suo marito, il quale non stava nella pelle ogni volta che la guardava. Ella aveva scacciato dalla sua mente Savannah e i suoi ricordi, da quando aveva lasciato quella graziosa città marittima; e dal momento in cui era giunta nella Contea, la Georgia era diventata il suo paese. Lasciando per sempre la dimora di suo padre, ella aveva abbandonato una casa le cui linee erano dolci e morbide come quelle di un corpo di donna, come quelle di una nave a vele spiegate; una casa intonacata di un pallido rosa, costruita nello stile coloniale francese, elegantemente sollevata sul suolo da palafitte a colonne, e a cui si saliva mediante scale a spirale, con ringhiere di ferro battuto che sembravano un merletto: una casa ricca e graziosa, ma lontana. Ella aveva abbandonato non solo la bella abitudine, ma anche tutta la civiltà che era dietro quell'edificio; e si trovava in un mondo cosí strano e diverso come se fosse addirittura in un altro continente. La Georgia settentrionale era una regione aspra, abitata da gente aspra anch'essa. Dall'altipiano che si ergeva al disotto delle cime delle Montagne Azzurre, ella vedeva ovunque distese ondulate rossicce, con vasti spazi su cui affiorava il granito sottostante ed enormi pini che torreggiavano cupamente dovunque. Tutto sembrava selvaggio e inospitale ai suoi occhi abituati alla costa e alla tranquilla bellezza delle isole drappeggiate nel muschio grigio e verde, con le larghe strisce di rena ardente sotto il sole semitropicale, le lunghe distese di terra sabbiosa ornata di palmizi. Questa era una regione che conosceva tanto il freddo dell'inverno quanto il calore dell'estate; e nel popolo erano un vigore e un'energia che la sorprendevano. Era gente buona, gentile, generosa, ma risoluta, virile, facile all'ira. Gli abitanti della Costa che ella aveva abbandonato si vantavano di occuparsi di ogni cosa, anche dei loro duelli e delle loro proprietà, con aria noncurante; ma questi Georgiani erano invece dotati di violenza. Sulla Costa la vita era molle; qui era giovanile, nuova, piena di vivacità. Tutte le persone che Elena aveva conosciuto a Savannah erano dello stesso stampo: avevano tutti quanti gli stessi punti di vista, e le stesse tradizioni; qui vi era invece una grande varietà. I colonizzatori della Georgia settentrionale venivano da molti luoghi diversi: da altre parti della Georgia stessa, dalla Carolina, dalla Virginia, e anche dall'Europa e dal Nord. Alcuni, come Geraldo, erano individui recatisi colà a cercar fortuna. Altri, come Elena, erano membri di vecchie famiglie che trovavano la vita insopportabile nel loro paese e avevano cercato rifugio altrove. Altri ancora si erano trapiantati senza alcuna ragione se non che il sangue irrequieto dei loro padri nomadi scorreva ancora nelle loro vene. Questa gente, arrivata da luoghi diversi e con diverse origini, dava alla vita della Contea una mancanza di formalismo che per Elena era assolutamente nuova ed alla quale non riuscí mai ad abituarsi completamente. Sapeva per istinto che cosa avrebbe fatto uno della Costa in certe date circostanze; non riuscí mai a prevedere che cosa avrebbe fatto, nelle stesse circostanze, un Georgiano del nord. Ciò che dava vita al commercio della regione era l'ondata di prosperità che allora volgeva verso il Sud. Tutto il mondo chiedeva cotone, e il nuovo terreno della Contea, fertile e non sfruttato, ne produceva in abbondanza. Il cotone era la pulsazione del cuore del paese; la semina e il raccolto erano la sistole e diastole della vermiglia terra. Dai solchi sinuosi veniva la ricchezza e anche l'arroganza; arroganza fondata sui verdi cespugli e sugli ettari di un bianco fioccoso. Se il cotone poteva farli ricchi in una generazione, quanto piú ricchi sarebbero nella prossima! La certezza dell'indomani dava entusiasmo e gioia di vivere; e la gente della Contea godeva la vita con un fervore che Elena non riuscí mai a comprendere. Avevano abbastanza denaro e abbastanza schiavi per avere anche il tempo di divertirsi; e si divertivano volentieri. Sembrava che non fossero mai tanto occupati da dover mancare a una partita di pesca, a una caccia o a una corsa di cavalli: ed era raro che passasse una settimana senza la sua riunione a base di porchette arrostite e il suo ballo. Elena non avrebbe mai potuto o voluto diventare simile a loro - aveva lasciato a Savannah troppo di se stessa - ma li rispettava e, col tempo ammirò la franchezza e la rettitudine di quel popolo che aveva poche reticenze ed apprezzava un uomo per quel che valeva. Divenne la signora piú amata della Contea. Era una vigile ed economa padrona di casa, una buona madre e una moglie devota. L'altruismo che avrebbe dedicato alla Chiesa fu invece consacrato al servizio dei suoi figliuoli, della sua casa e dell'uomo che l'aveva allontanata da Savannah e dai suoi ricordi e non le aveva mai rivolto alcuna domanda. Quando Rossella ebbe un anno - piú sana e vigorosa di qualsiasi altra bambina, secondo Mammy - nacque la seconda bambina di Elena, Susanna Eleonora, sempre chiamata Súsele, e, alla debita distanza, venne Carolene, iscritta nella Bibbia familiare come Carolina Irene. Seguirono poi tre maschietti, ognuno dei quali morí prima di avere imparato a camminare; tre bambini che ora dormivano sotto i cedri contorti, nel cimitero a cento metri dalla casa, sotto tre pietre ciascuna delle quali portava l'iscrizione «Geraldo O' Hara, Jr.» Dal giorno in cui Elena giunse a Tara, il luogo fu trasformato. Benché avesse solo quindici anni, ella era nondimeno pronta per tutte le responsabilità di una padrona di piantagione. Anche allora, prima del matrimonio, le ragazze dovevano essere soprattutto belle, gentili, decorative; ma dopo sposate, bisognava che fossero in grado di dirigere un'azienda domestica che contava oltre cento persone, fra bianchi e negri; e venivano educate in vista di questo. Elena aveva ricevuto quella preparazione per il matrimonio che veniva data a tutte le fanciulle di buona nascita; inoltre aveva con sé Mammy, la quale, con la sua energia, era capace di galvanizzare il negro piú inetto. In breve ella portò nel governo della casa di Geraldo ordine e dignità e diede a Tara una bellezza che non aveva mai avuta prima. La casa era stata costruita senza alcun piano architettonico prestabilito, aggiungendo delle camere quando occorrevano; ma con l'attenzione e la cura di Elena, acquistò un fascino speciale che derivava appunto dalla sua mancanza di disegno. Il viale di cedri che conduceva dalla strada principale alla casa - quel viale di cedri senza il quale nessuna casa di piantatore georgiano sarebbe stata completa - spandeva un'ombra cupa e fresca che per contrasto dava maggior vivezza e splendore al verde degli altri alberi. Il convolvolo che si arrampicava sulle verande appariva di un verde chiaro sul bianco delle mura; e insieme ad esso il rosa dei cespugli di ibisco accanto alla porta e le magnolie dai candidi fiori che si ergevano sulla spianata, nascondevano alquanto le linee goffe dell'edificio. In primavera e in estate il trifoglio e l'erba medica del prato diventavano color smeraldo, di uno smeraldo cosí seducente che rappresentava una tentazione irresistibile per i branchi di tacchini e di oche bianche che avrebbero, in realtà, dovuto abitare solo le regioni dietro alla casa. I volatili tentavano sempre delle clandestine avanzate sulla spianata, attratti dal verde dell'erba e dalla seducente promessa dei cespugli di gelsomini del Capo e delle aiuole di zinnie. Contro le loro ruberie era stata installata sotto al porticato una piccola sentinella nera. Il bambino seduto sui gradini, armato di un grande straccio bianco, faceva parte del quadro di Tara; ma era molto infelice perché gli era proibito di inseguire i gallinacei e doveva limitarsi a gridare e ad agitare lo straccio per spaventarli. Elena addestrava a questo còmpito dozzine di bambini negri: era il primo ufficio con una responsabilità che gli schiavi maschi avessero a Tara. Dopo i dieci anni venivano mandati dal vecchio Daddy, il ciabattino della piantagione per imparare il suo mestiere, o da Amos, il carpentiere, o da Filippo, il vaccaro, o da Cuffee, il guardiano delle mule. Se non mostravano attitudine per alcuno di questi mestieri, diventavano coltivatori e, nell'opinione dei negri, avevano perso il diritto a qualsiasi posizione sociale. La vita di Elena non era facile né felice; ma ella non si era aspettata che fosse facile, e quanto alla felicità, quello era il destino della donna. Il mondo era degli uomini ed ella lo accettava cosí. L'uomo era lodato per l'ordine della sua proprietà e la donna lodava la sua abilità. L'uomo rugghiava come un toro se una scheggia gli si ficcava in un dito e la donna soffocava i gemiti, quando metteva al mondo un figlio, per timore di disturbarlo. Gli uomini erano sgarbati e spesso ubriachi. Le donne ignoravano le cattive parole e mettevano gli ubriachi a letto senza parlare. Gli uomini erano rudi e brontoloni, le donne erano sempre buone, gentili e disposte a perdonare. Era stata educata nella tradizione delle grandi dame e le era stato insegnato a sopportare i propri dolori conservando il suo sorriso; ed ella intendeva che anche le sue tre figlie fossero, come lei delle vere signore. Con le figlie piú giovani era riuscita, perché Súsele desiderava tanto di essere piacente che prestava orecchio attento agli insegnamenti di sua madre, e Carolene era timida e facile da guidare. Ma, per Rossella, figlia di Geraldo, la via della signorilità fu dura. Con grande indignazione di Mammy, ella preferiva compagni di gioco che non fossero le sue ubbidienti sorelline o le bene educate fanciulle Wilkes, ma i bambini negri della piantagione e i maschietti del vicinato, ed era capace di arrampicarsi su un albero e di lanciar sassi. Mammy era molto turbata che la figlia di Elena avesse simili inclinazioni, e spesso la scongiurava di «condursi come una signora», ma Elena considerava la faccenda con una tolleranza piú lungimirante. Ella sapeva che i compagni d'infanzia sarebbero piú tardi diventati dei corteggiatori; e il primo dovere di una ragazza era sposarsi. Diceva quindi fra sé che la bimba era semplicemente piena di vita e che vi era tempo per insegnarle le arti e i modi che attraggono gli uomini. A tal fine Elena e Mammy riunirono i loro sforzi, e col passare degli anni, Rossella divenne una buona allieva, ma solo in questa materia, ché per tutto il resto imparava assai poco. Malgrado una successione di istitutrici e due anni trascorsi nella Accademia Femminile di Fayetteville, la sua educazione era incompleta; ma nessuna fanciulla della Contea parlava piú graziosamente di lei. Ella sapeva sorridere con garbo, camminare facendo ondeggiare i cerchi della sua gonna in modo attraente, sapeva guardare un uomo in faccia e poi abbassare gli occhi e battere le palpebre rapidamente in modo che sembrasse il tremito di una dolce emozione; e, soprattutto, aveva imparato a nascondere agli uomini un'intelligenza acuta sotto un viso dolce e semplice come quello di un bambino. Elena con la sua voce ammonitrice e Mammy con le sue costanti censure cercavano d'inculcare in lei le qualità che l'avrebbero resa veramente desiderabile come moglie. - Devi essere piú dolce, cara, piú remissiva - diceva Elena. - Non devi interrompere gli uomini che ti parlano, anche se credi di saperne piú di loro sull'argomento. Gli uomini non amano le ragazze troppo perspicaci. - Ragazze superbe che darsi arie e dire «voglio questo, voglio quello» di solito non trovare marito - profetizzava cupamente Mammy. - Le ragazze dovere abbassare occhi e dire «bene signore» e poi «Sí signore» e «avete ragione signore.» Le insegnarono dunque tutto ciò che una gentildonna doveva sapere, ma ella imparò soltanto la vernice della gentilezza. Non apprese mai la grazia interiore da cui questa gentilezza doveva sgorgare, e non vedeva neppure la ragione di apprenderla. Le apparenze bastavano, perché le apparenze della signorilità le acquistavano dei corteggiatori; ed ella non desiderava di piú. Geraldo proclamava che sua figlia era la piú bella di cinque Contee, e con un certo fondo di verità; infatti ella ebbe proposte di matrimonio da quasi tutti i giovani del vicinato ed anche da luoghi lontani, come Atlanta e Savannah. A sedici anni, grazie a Mammy e ad Elena, appariva gentile, simpatica e briosa, mentre in realtà era volontaria, vana e caparbia. Aveva ereditato la facile eccitabilità del padre irlandese e nulla della natura altruista e indulgente di sua madre, se non d'apparenza. Elena non si rese mai completamente conto che era soltanto una vernice, perché Rossella le mostrava soltanto il suo volto migliore, nascondendo le sue scappate, piegando il suo temperamento e apparendo in presenza di Elena piú dolce che poteva, perché sua madre, con un solo sguardo di rimprovero, riusciva a mortificarla fino alle lagrime. Ma Mammy non aveva illusioni sul suo conto ed era continuamente sul «chi vive» per le screpolature della vernice. Gli occhi di Mammy erano piú acuti di quelli di Elena, e Rossella non ricordava di essere mai riuscita ad ingannarla per molto tempo. Non che questi due mentori affettuosi deplorassero la vivacità, il fascino e la disinvoltura della giovinetta. Di tali qualità le donne meridionali andavano fiere. Erano invece preoccupate dalla natura impetuosa e dalla cocciutaggine di Geraldo che risorgevano in lei; e talvolta temevano che questi difetti non si sarebbero potuti nascondere prima che ella facesse un buon matrimonio. Ma Rossella intendeva sposarsi - e sposare Ashley - e perciò voleva apparire modesta, docile, e leggera, se queste erano le qualità che attraevano gli uomini. Non sapeva perché gli uomini fossero cosí; sapeva soltanto che questi metodi funzionavano. La cosa non l'interessò mai tanto da farle cercare la ragione di questo, poiché ella ignorava il lavorio interiore di ogni essere umano, e perfino il suo. Sapeva soltanto che se ella diceva o faceva «cosí - e cosà» gli uomini invariabilmente rispondevano col complimento «cosí - e cosà». Era come una formula matematica e non piú difficile di questa, perché la matematica era l'unica materia che era sembrata facile a Rossella quando andava a scuola. Se conosceva poco il raziocinio maschile, conosceva ancor meno quello femminile, perché le donne l'interessavano poco. Non aveva mai avuto un'amica e non ne aveva mai sentito la mancanza. Per lei tutte le donne, comprese le sue due sorelle, erano nemiche naturali che inseguivano la stessa preda: l'uomo. Tutte le donne, eccetto sua madre. Elena O'Hara era diversa, e Rossella la considerava come qualche cosa di sacro, fuori da tutto il resto del genere umano. Da bambina confondeva sua madre con la Vergine Maria, ed ora che era grande non vedeva ragione di mutare la sua opinione. Per lei Elena rappresentava la completa sicurezza che solo il cielo o una madre possono dare. Ella sapeva che sua madre era la personificazione della giustizia, della verità, della tenerezza affettuosa e della profonda saggezza: una gran dama. Rossella desiderava molto di essere come sua madre. La sola difficoltà era che essendo giuste e sincere, tenere e altruiste, si lasciavano sfuggire la maggior parte delle gioie della vita e senza dubbio si allontanavano molti corteggiatori. La vita era troppo breve per rinunciare a tante cose piacevoli. Un giorno, quando avesse sposato Ashley e fosse vecchia, un giorno, quando ne avrebbe il tempo, cercherebbe di essere come Elena. Ma fino allora...

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Il Sud era troppo bello per poter essere abbandonato senza lotta, troppo amato per essere calpestato dagli yankees che odiavano i meridionali sino al punto di esser felici di trascinarli nel fango, troppo diletto per essere lasciato in potere di negri ignoranti, ebbri di whisky e di libertà. Ripensando al subitaneo arrivo di Toni e alla sua rapida partenza, ella si sentí affine a lui, ricordando la vecchia storia della partenza di suo padre dall'Irlanda, in fretta e furia e di notte, dopo un omicidio che per lui e per la sua famiglia non era stato delitto. Il sangue violento di Geraldo era in lei. Ricordò la sua gioia ardente nell'uccidere il ladro yankee. Il sangue violento era in tutti loro, pericolosamente a fior di pelle, sotto la cortesia esteriore. Tutti gli uomini che ella conosceva, perfino il sonnolento Ashley e l'irrequieto Franco, erano cosí nel loro intimo: pronti a uccidere in caso di necessità. Anche Rhett, benché fosse un farabutto senza coscienza, aveva ucciso un negro perché era stato «insolente verso una signora». Quando Franco rientrò tossendo, gocciolante di pioggia, ella balzò in piedi. - Oh, Franco, quanto durerà? - Finché gli yankees ci odieranno cosí. - E non si può far nulla? Franco passò la mano stanca sulla sua barba bagnata. - Stiamo facendo qualche cosa. - Che cosa? - Perché parlarne prima di averla compiuta? Può darsi che ci vogliano degli anni. Forse... forse il Sud sarà sempre cosí. - Oh, no! - Vieni a letto, tesoro. Devi essere infreddata. Tremi. - Quando finirà? - Quando potremo ancora votare. Quando ogni uomo che ha combattuto per il Sud potrà mettere il suo voto nell'urna per un meridionale democratico. - Un voto? - ella esclamò disperata. - E a che può servire quando i negri hanno perso il cervello... quando gli yankees li aizzano contro di noi? Franco continuò a spiegare con pazienza; ma l'idea che i voti potessero porre rimedio a tutto quello, era troppo complicato per lei. Ella pensava soltanto con soddisfazione che Giona Wilkerson non potrebbe piú minacciare Tara; e di questo era grata a Toni. - Quei poveri Fontaine! È rimasto il solo Alex, e a Mimosa c'è tanto da fare! Perché Toni non ha avuto il buon senso di... di farlo di notte quando nessuno poteva vederlo? Franco le passò un braccio attorno alla vita. Di solito ella diventava nervosa quando egli la prendeva in quel modo; ma stanotte vi era negli occhi di suo marito una strana espressione, e il suo braccio era fermo. - Non è cosa di poca importanza spaventare i negri e dare una lezione ai rinnegati nella persona di uno di loro. Finché vi sono dei giovinotti come Toni, non avremo bisogno di preoccuparci troppo per il Sud. Se riusciamo a stare uniti e a non cedere di un pollice agli yankees, forse un giorno vinceremo. Ma non preoccuparti, tesoro. Lascia che pensino gli uomini. Forse noi non vedremo piú questo; ma certo un giorno verrà. Gli yankees si stancheranno di molestarci quando vedranno che non riescono a spuntarla; e allora potremo vivere e allevare i nostri figlioli. Ella pensò a Wade e al segreto che da qualche giorno teneva chiuso in sé. No, non desiderava che i suoi figlioli crescessero in questo lievito di odio e di incertezza, di amarezza e di violenza, di miseria e di disperazione. Per i suoi figlioli desiderava un mondo sicuro e ordinato in cui poter guardare all'avvenire e sapere che questo era sicuro per loro; un mondo in cui i suoi figlioli conoscessero solo dolcezza, tepore, abiti caldi e cibi nutrienti. Franco credeva che ciò si sarebbe ottenuto coi diritti politici. Ma a che serviva il voto? Alle persone per bene nel Sud non sarebbe mai piú concesso di votare. Una sola cosa al mondo poteva essere un baluardo sicuro contro le calamità del destino: il denaro. Ella pensò febbrilmente che bisognava guadagnarne molto e metterlo al sicuro. E bruscamente disse a suo marito che aspettava un bambino.

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