Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbandonato

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Documenti umani

244723
Federico De Roberto 3 occorrenze
  • 1889
  • Fratelli Treves Editore
  • Milano
  • verismo
  • UNICT
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L'esercizio prolungato dei muscoli, il consumo fisiologico, sono certo causa di sensazioni penose; ma basta che lo sforzo si arresti, che l'organismo sia abbandonato all'inerzia, perchè un profondo benessere, un sollievo quasi voluttuoso guadagni tutte le fibre. Il lavoro dello spirito non conosce queste tregue ristoratrici; l'attività cerebrale, una volta destata, non si può più arrestare; le idee succedono alle idee, le imagini alle imagini, secondo una legge di associazione incosciente; e la volontà, non solo impotente a frenare questo movimento, ma spesso ancora a dirigerlo. Un malessere fisico ordinariamente ne deriva, come effetto dell'afflusso del sangue al cervello, ed in questo stato irritante la stessa riparazione del sonno tarda a venire. Carlo Landini, con la fronte scottante, la vista intorbidata dalle lunghe letture dei voluminosi processi accatastati sul grande tavolo da lavoro, aveva dato ordine che nessuno fosse introdotto per quel giorno nel suo studio. Se negli anni della sua prima giovinezza si era parlato di lui come di uno cui l'avvenire arrideva, il fatto si era lasciato indietro le più liete promesse. A poco meno di quarant'anni, in una professione dove la concorrenza è grandissima, egli aveva conseguita la più chiara delle reputazioni, si era fatto un posto eminente non solo fra i suoi compagni, ma perfino fra i maestri, ed era talmente affollato di affari, da vedersi spesso costretto a rifiutarne ed a chiudere l'uscio di casa sua ai troppo numerosi clienti. Quel giorno, l'ordine era stato appena impartito, il Landini aveva appena chiusa l'ultima memoria, che il campanello elettrico risuonò. - Chi è ancora? - chiedeva egli infastidito, al servo che, aperto l'uscio, se ne stava lì in mezzo, come cercando le parole. - Una persona che vuol parlare al signore... che insiste.... - Ho già detto che non sono in casa per nessuno. - Dice, scusi, che deve consegnare a lei personalmente una lettera urgente.... L'avvocato Landini passò egli stesso in sala, non cercando di nascondere la sua contrarietà. Si trovò dinanzi ad uno sconosciuto, che dall'abito, dall'attitudine umile più che rispettosa, pareva dover essere un domestico. - Che cosa volete? - È lei il signor avvocato Carlo Landini? - Io in persona. - Debbo consegnarle questo. Cavò di tasca una lettera e la porse al Landini. Appena questi ebbe gettato uno sguardo sulla busta, il fastidio che s'era fino a quel momento letto sulla sua fisonomia, dette luogo ad una specie di attenzione concentrata, di preoccupazione mista ad una inquieta curiosità. - Sta bene.... grazie.... - disse alla persona che aspettava, congedandola; e passò rapidamente nella sua stanza da studio. Prese sul tavolo un piccolo tagliacarte a foggia di scimitarra, e come la luce si andava ritirando, si fece presso la finestra. Stava per aprire la lettera, quando si arrestò un momento, considerando il carattere dell'indirizzo, sulla busta moyen-âge, suggellata di ceralacca azzurra in un angolo. - Dieci anni! - mormorò, facendo mentalmente il conto del tempo trascorso dacchè quella persona non gli aveva più scritto. - Dieci anni!.... - e una tristezza gl'invadeva lentamente l'anima, come una nebbia, mentre sollevava uno sguardo al cielo occidentale, sul cui fondo rosato si ergeva gloriosamente la cupola di Santa Maria del Fiore. Dieci anni, dacchè aveva ricevuta l'ultima lettera di lei; e quei dieci anni non erano valsi ad abolirne il ricordo, se appena scorto quel carattere fine, minuto, ma inchiostrato nei pieni e dalla asteggiatura eguale, lo aveva immediatamente riconosciuto, senza esitare un istante! Dieci anni - e il sangue gli aveva dato un tuffo, ora come allora, come quando ogni lettera di lei lo colmava di un turbamento delizioso!... Le memorie irrompevano nella mente del Landini, ed egli se ne restava lì, dinanzi alla finestra con gli sguardi errabondi, tenendo la lettera in mano, ma senza decidersi ancora ad aprirla... Era stato tutto un romanzo, un romanzo di passione, di tormenti, di felicità, un romanzo in fondo al quale non era stata però scritta la parola piena di soave rammarico e di composta rassegnazione: Fine. Bruscamente, quella donna a cui lo legavano i vincoli più teneri e più saldi, le gioie insieme gustate, i pericoli sfidati insieme, lo aveva messo quasi alla porta, gli aveva ingiunto di non tentar di rivederla, mai più! Che cosa era avvenuto? Perchè quella risoluzione incredibile, contro la quale ogni sua insistenza si era spuntata?... Non aveva potuto saperlo. A tutte le lettere che egli le aveva scritte, alle umili lettere di preghiera, alle appassionate lettere d'amore, alle fiere lettere di minaccia, ella non aveva voluto rispondere. Un momento, era stato per ismarrire la ragione dinanzi a tanta ostinatezza di repulse. Il secreto che essi erano riusciti a serbare a costo di mille rischi e di mille sacrifizii , egli era stato sul punto di andarlo a rivelare a chi più interessava di conoscerlo; le aveva fatto sapere che se ella non si fosse piegata a rivederlo, ad ascoltarlo, a dargli una ragione di quel suo repentino mutamento, sarebbe andato a dir tutto al marito di lei!... Pazza minaccia, che non era stata seguita da effetto, grazie al sopravvenire del freddo ragionamento, non già perchè ella si fosse piegata!... Ed era stato per un caso, molto tempo dopo, quando ella era scomparsa nella solitudine di una campagna ignorata, che egli aveva intraveduto il possibile motivo di quella rottura. Poco prima che questa scoppiasse, un suo amico, quasi un fratello, gli aveva chiesto uno di quei servigi che solo un fratello può rendere: gli aveva affidata una donna compromessa per causa propria. Durante tutto il tempo da costei passato a Firenze, egli si era perciò messo a sua disposizione; le aveva reso tutti quei piccoli servigi che erano in suo potere, le aveva fatto meno insopportabile la sua posizione disgraziata. Ed ecco che una voce si era sparsa a sua insaputa, ed ecco che tardi, troppo tardi, veniva al suo orecchio quella voce, secondo la quale quella signora sarebbe stata la sua propria amante!... Allora, egli si era tutto spiegato: l'invenzione assurda, malvagia, aveva dovuto arrivare fino all'altra, fino a lei; ella l'aveva creduta; e la cieca prepotenza dell'amor suo non gli aveva data una prova preventiva di quel che avrebbe dovuto essere la sua gelosia?... Tutta questa storia, nei suoi più minuti particolari, si svolgeva ora nella memoria del Landini. Girando quella lettera da una mano all'altra, egli pensava che in quel pezzo di carta doveva essere la conferma o la smentita di quella sua spiegazione. Però non si decideva ad aprirla. Un tumulto di sentimenti gli si era scatenato nell'anima, e con quell'acutezza di indagine psicologica che metteva nello studio dei suoi processi, analizzava ora raffinatamente sè stesso. Perchè il suo cuore batteva dunque così forte? Ah! egli è che di un amore come quello, da lui ricordato, non se ne provano due nella vita!... Egli aveva amato ancora, aveva cercato attraverso le rinnovate esperienze qualche scintilla di quella gran fiamma: ma non l'aveva trovata. Come il duca d'Illiria della Dodicesima Notte di Shakespeare, egli avrebbe voluto esclamare:

"Ho troncata la mia carriera, ho abbandonato il mio paese che potevo ancora servire, mi sono ridotto in questa terra d'esilio; e tutto ciò è nulla! È l'aria che mi manca, è la gola che mi si stringe, è il petto che mi si opprime.... Senta, dopo tutto è una provvidenza che lei mi abbia scritto, che mi abbia offerta l'occasione di sfogarmi, di buttar sulla carta una parte di ciò che mi tempesta nel cranio e che minaccia di farmi ammattire! "Allora, stia a sentire: bisogna che io le dica tutto, non è vero? Ebbene, la prima colpa è un po' sua. Perchè si ostinò a farmi conoscere quella donna? Perchè mise tanto zelo ad interessarmi a lei? Si diverte dunque a far degli esperimenti in anima vili? Lei lo sapeva bene quel che doveva accadere in me, il bisogno che io aveva di un poco di cuore, malgrado il cinismo della caserma, malgrado la facilità degli intrighi di guarnigione, che l'ordine di tramutamento rompe, come rompe il contratto d'affitto delle camere mobiliate!... Egli è che questo cinismo è una specie di obbligo; che a fare i sentimentali si corre il rischio di esser messi in berlina dagli ufficialetti freschi di spalline! Egli è che vi sono dei sentimenti che si esprimono come si indossa l'uniforme d'ordinanza, perchè così va fatto, per non essere consegnati e per non essere canzonati! "Ebbene, quello che doveva accadere accadde! Io l'amai, quella donna; l'amai subito che la vidi, l'amavo prima! Quando io ricordo i primi tempi di questo amore muto, inconfessato, forse per ciò stesso più intenso - no, dico male, più raro - quando io ricordo questi giorni che non potranno ritornare mai più, è come se tutte le mie vene si vuotassero.... Sarebbe stato molto meglio che si fossero vuotate allora davvero! "Perchè dunque colei mi fece capire che non le ero indifferente?Perchè, invece di rafforzare la mia paura di offenderla, le sue parole, i suoi sguardi, i suoi stessi silenzii mi spinsero alla confessione? E quando io non potei più frenarmi, quando le ebbi fatto leggere nell'anima mia come in un libro, sa Ella la risposta che mi diede? "Mio Dio!... esclamò, che cosa ha fatto!" Dunque ella aveva paura? Dunque mi amava!... Quale altra interpretazione potevano avere quelle parole?... No, ella non aveva ragione di temere; io non le domandavo nulla che non volesse accordarmi ella stessa. Che cosa mi rispose ancora? Che solo così poteva essere amata, come una sorella; che una fatalità pesava su di lei, che forse un giorno avrei tutto saputo.... "Perchè quella reticenza? Che cosa poteva essere quella fatalità? Era libera, era stato suo marito che l'aveva lasciata per la prima venuta: lo avevo sentito ripetere da tutti. E nessuno dava una colpa a lei, nè prima nè dopo quell'abbandono; neppure l'ombra d'un sospetto la sfiorava. Allora? Aveva un amante ad insaputa del mondo? Ma se lo aveva perchè accettare la confessione dell'amor mio?perchè non dirmi alle prime parole che non era libera?.... Chi l'obbligava a fingere quella paura: "Mio Dio, che cosa ha mai fatto?" Perchè non mi aveva fatto mettere alla porta, o non si era messa a ridermi in faccia? "Non v'ha di peggio che trovarsi dinanzi all'assurdo e sentire nello stesso tempo la necessità imperiosa di trovargli una spiegazione. Quando mancano le induzioni ragionevoli, le più pazze ipotesi si presentano allo spirito. Dire tutte quelle che io formulavo e che dopo un attimo respingevo, non è assolutamente possibile. Ma quell'ansioso farneticamento, quell'assiduo lavorìo dell'imaginazione, se non mi avanzava di un passo nella scoperta della verità, riusciva però ad offuscare la figura della persona amata, gettava il dubbio su di lei, menomava, contaminava l'idolo che io me ne ero formato! "Questo, da una parte. Dall'altra, vedendola spesso, restando solo con lei, respirando la sua stessa aria, stringendo la sua mano, il mio martirio si raffinava; e se aveva voluto mettermi alla prova, qual prova maggiore potei darle del rispetto timido di cui la circondai? "Vi è un limite a tutto. Quando io non potei più oltre resistere, che cosa feci? Le scrissi che non l'avrei più rivista; non avevo il coraggio di dirglielo a voce. Ella mi richiamò, mi suplicò di rivederla; era necessario!... Mi amava! Era lei che lo scriveva! era lei che me lo ripeteva, aggiungendo che un giorno mi avrebbe tutto rivelato.... Che importava tutto il resto? Io non chiesi più nulla; me le affidai; non sospettavo ancora gli abissi di doppiezza di cui un cuore di donna è capace! "Non chiesi più nulla. Avevo sete dei suoi baci, non volevo aver l'aria di rubarglieli. Vi erano dei momenti in cui la mia ragione minacciava di smarrirsi; allora ella gemeva: "È una colpa!..." Perchè colpa? Se mi amava? Se io non avevo altri doveri, e se lei non ne aveva più? Poteva esser l'idea del dovere astratto, della legge divina che l'arrestava? Se era così, perchè non lo diceva? "Un giorno, non so più come, io nominai suo marito. Si turbò tutta, scongiurandomi di non parlare di lui. Comprendevo bene come il ricordo di quell'uomo non dovesse riuscirle gradito; però le dissi: "Fortunatamente egli è lontano..." Ella stette un momento guardando dinanzi a sè; poi rispose: "È ancora troppo vicino!" E nascose la faccia tra le mani. La luce d'un lampo traversò il mio spirito. Mi sentii morire. Nondimeno tacqui. "Al ballo del generale, qualche sera dopo, come il fascino di lei era irresistibile, io le mormorai: "Ebbene.... a quando la rivelazione?..." - "Anche ora! rispose; bisognerà però avere molto coraggio." - "È dunque molto triste a sapere? - "Anche a dire; credevo che avesse indovinato..." Allora io sentii come una mano che mi afferrasse alla gola, che mi strozzasse, che mi facesse schizzar gli occhi dalle orbite. Potei dire ancora: "Suo marito?" Ella chinò la testa. Poi mi afferrò una mano: "Mi giuri che non farà nulla, mi giuri che prima mi ascolterà..." "Io non le rivelo delle cose nuove; sono tanto amiche! Quel marito che l'aveva oltraggiata ed abbandonata, tornava ora da lei, pentito, ma non abbastanza da riparare alla luce del giorno i propri torti! Veniva a trovarla, di quando in quando; non si faceva veder da nessuno in città, restava nascosto il giorno, passava le notti da lei.... Ah! ah! non avevo io l'anima sua! "Che importa il resto?" ella mi domandava "il resto non esiste!" rispondeva quest'uomo accomodante! E appena io andavo via, quell'altro veniva ad esercitare i suoi diritti; faceva, secondo ogni probabilità, le grasse risate alle mie spalle! E colei, da economa esperta, dava l'anima a me, il resto all'altro! Io le schiudevo le gioie del cuore, l'altro... Oh! in nome di Dio, io vorrei scendere in istrada e fermare i passanti, il primo galantuomo che passa; io vorrei domandare: Di qual nome è degna costei? Che perfidia deve annidarsi nel suo petto, di quali transazioni è capace, se avendo dei pretesi doveri da custodire, allettava me di lusinghe; se giurandomi di non amare che me, non sapeva rinunziare a quell'altro; se si ridava a chi l'aveva offesa, se vilipendeva il sentimento sacro di cui le avevo fatto l'omaggio?... Come aveva mentito, sapientemente, dal primo all'ultimo giorno! Come aveva dovuto prendersi beffe di me!... In nome di Dio, perchè non mi aveva detto, se non era libera: "Andatevene, io non sono per voi?" Perchè quando volli io andarmene, mi trattenne? Perchè non mi disse da principio, subito, la verità; e mi derise invece con quella fatalità assurda, inverosimile, da lei stessa creata? Come mi accecai così; come caddi in tanto ridicolo? Guardi, io piango di rabbia! Che cosa aspettava, dunque; che cosa sperava? Che una vampa di desiderio mi avesse un giorno fatto perdere la ragione e che io avessi preso i resti di quell'altro? Che mi fossi accomodato di questa divisione amichevole?... Guardi, piango di umiliazione.... "Andiamo, via; ho torto di prendermela così calda. "Perfida come l'onda" il giudizio è antico; ma sono soltanto gli ammaestramenti della propria esperienza quelli che ci s'inchiodano nella mente. Ella mi perdoni queste lunghe ed inutili geremiadi; ma gli ammalati non provano una soddisfazione lor propria nel parlare del loro male? "Io non so ancora quel che farò; il presente è incerto e l'avvenire più tenebroso che mai. Si ricordi di me." Come il Darsi ebbe decifrato la firma: Alessandro Morea, la signora Auriti domandò: - Ebbene, che cosa ne dice? - Ecco un uomo - esclamò vivacemente il Darsi, credendo di aver trovato un argomento in suo favore - a cui la passione strappa accenti di una grande eloquenza! Lei non mi sosterrà, credo, che quest'uomo non sia sincero, che egli faccia delle frasi, se ha abbandonato il suo paese, se ha distrutta la sua vita.... - Non è vero che egli ha ragione? Non pare anche a lei che sarebbe difficile giustificare la parte avversa, e più difficile ancora ritorcere le accuse contro di lui?... Stia dunque a sentire. E questa volta, presa un'altra lettera dalla stessa cassetta dell'armadio, la signora Auriti cominciò a leggere ella stessa: "Amica mia, "Partito? per sempre?... Egli è partito, dopo avermi giurato di attendere dei mesi, degli anni, un'eternità? Di attendere la confessione di tutta la mia vita, dello strazio dell'anima mia? Partito, lui, senza ascoltarmi, abbandonandomi vilmente dopo aver rubata la mia pace, la tranquillità del mio povero cuore che io custodivo gelosamente, come il supremo dei beni? "Ah, se potessi credere che non è vero, che sono vittima d'una dolorosa allucinazione! Vorrei poterlo credere per me, ed anche per lui, per non disistimare quell'uomo che avevo messo molto in alto, in cima ai miei pensieri!... Non è possibile è vero? La realtà è schiacciante! Non è possibile neppure il pianto: gli occhi sono aridi, lo sguardo è inebetito.... "Mio Dio, mio Dio! perchè ha egli fatto questo! Che cosa aveva da rimproverarmi? Dici tu, amica, quali sono i miei torti? Non fui forse sincera con lui fino all'eroismo? La confessione che gli avevo promesso non mi avrebbe fatta l'anima a brani? La triste storia non mi avrebbe bruciato le labbra?... Eppure, avevo deciso di farlo ad ogni costo, come una espiazione, come un primo sacrifizio a quest'uomo che mi aveva dischiuso degli arcani dolcissimi, che mi aveva richiamata alla vita del cuore, mentre mi reputavo morta per essa! "Quest'uomo che io stimavo tanto diverso dagli altri sulla fede delle sue nobili parole, dei giudizii che gli altri, tu stessa per la prima, ne davano, aveva destato in me una grande simpatia; ma se io non ero padrona del mio sentimento, ero padrona della mia ragione; e può egli dire di essere stato da me incoraggiato, sia pure con la più innocente civetteria di cui nessuna donna va esente, a tentar di mutare la natura dei nostri rapporti? Se egli mi avesse subito fatto comprendere quali speranze nutriva, io avrei potuto farmi forza, disilluderlo fin dal principio, non vederlo più; egli invece seppe abilmente aspettare fino a quando io caddi in una fitta rete, quando la mia simpatia era diventata amore, amore potente, del quale non potevo più fare a meno, come non si fa a meno dell'aria che si respira!... ciò malgrado, che cosa gli risposi io? Chiedilo a lui stesso; mi affido alla sua coscienza, se ne ha una; che cosa gli risposi? Gli diedi forse allora qualche speranza vaga, lontana? Io gli dissi che non doveva concepirne nessuna, che non potevo amarlo se non come un amico, come un fratello; che una fatalità pesava sulla mia vita! "Una fatalità, la più triste, la più terribile: essere legata, indissolubilmente, a chi non si ama e non si può amare; esser libera agli occhi di tutti e sentire tutto il peso del dovere nell'intimo della coscienza! Tu lo sai, tu che sei stata presente alle mie dolorose vicende dal momento che fui legata a quell'uomo fino ad oggi, tu lo sai quel che mi fece soffrire! Ebbene, per ragione di queste sofferenze medesime, potevo io cacciarlo da me quand'egli era tornato pentito, umile, supplice, quando a sua volta tradito, invocava il mio perdono, quando io stessa avevo apprezzate tutte le tristi conseguenze della mia falsa posizione, i sospetti che la malignità sempre desta andava gettando su di me? "Il mio cuore era libero, allora; io non conoscevo ancora lui; avevo creduto che tutto fosse finito per me; non ebbi la forza di respingere mio marito che veniva in nome del nostro passato, che prometteva di riparare pubblicamente, alla luce del giorno, tutti i suoi torti, di smentire per ciò stesso le voci malvagie di cui ero l'oggetto. Quand'anche l'avessi avuta, questa forza, come resistere a lungo? Non aveva egli il diritto dalla sua parte? Non era mio marito?... Fu allora che conobbi lui, e puoi tu imaginare un tormento più grande del mio, spinta com'ero a gettarmi ai piedi dell'uomo amato, e incatenata intanto a chi avevo giurata la fede? Non erano tanto più grandi i miei doveri verso costui, quanto più grande era la mia apparente libertà, quanto più ero sottratta alla sua sorveglianza?... E non lo ingannavo, intanto? non gli mentivo? non avevo dato l'anima mia a quell'altro? Avrebbe quell'altro forse voluto che io mi fossi divisa fra loro due?... "Io non so; la mia mente si turba, la mia ragione si smarrisce! Quando io gli dissi che un triste secreto mi pesava sul cuore, che un giorno lo avrebbe saputo (non volevo, non dovevo confessarmi a lui?) io gli chiesi se avrebbe avuta la forza di affrontare una posizione tristissima, di contentarsi di quel che solo gli potevo dare. Che cosa rispose? "Non sa che forza la sicurezza di essere amato può dare ad un uomo!" Egli m'ingannava; traeva profitto del mio accecamento, contava presto o tardi di vincere in un modo o in un altro! Un galantuomo avrebbe detto "Questa forza io non l'ho; mi si chiede l'impossibile!" "Ed ancora, non gli avevo io chiesto di aver fede in me? Non aspettavo l'occasione propizia da un istante all'altro di dire a mio marito: Mantenete la vostra promessa, riprendetemi con voi dinanzi a tutti, o rinunziate per sempre a me? Non ero io quasi sicura ch'egli avrebbe esitato, nuovamente sedotto com'era da quella donna che lo aveva ammaliato, non più bisognante di me; che egli mi avrebbe presto lasciata libera, questa volta davvero, e per sempre?... Giurava di aver fede in me, lui, e mentiva; e quand'era il tempo di provarla, questa fede, mi abbandonava vilmente; vilmente, lo ripeto ancora, non mi stancherei di ripeterlo!... Dunque, il martirio che io sopportavo, i rimorsi di ogni natura che mi laceravano il cuore in tutti i sensi, la posizione di una donna che è sull'orlo della colpa, i mille pericoli cui andavo incontro, tutto questo era dunque nulla? Per chi mi aveva presa egli dunque?... "Ah, io mi lamento a torto! È forse provvidenziale che sia finita così! Egli mi avrebbe forse abbandonata dopo avermi avuta, come una cosa inutile ormai!... Mi ha lasciata prima; anche questa è una specie di lealtà di cui bisogna tenergli conto! "Non è men vero per ciò, amica mia, che sono delle nature predilette dalla sventura. Ed io sono del numero. Amami tu, per tutti gli altri, lascia che io versi nel tuo seno la piena del dolore; vieni, vieni presto, vieni a soccorrermi." La signora Auriti ebbe un piccolo sorriso di trionfo dinanzi al Darsi che restava un poco interdetto. - Vede se io avevo ragione? Sente come suona diversa l'altra campana? Mi parli dell'intesa, della compenetrazione delle anime, adesso!... - Ebbene! - esclamò il Darsi, che non si voleva arrendere. - Ciò prova che vi sono nella vita delle situazioni complesse, che ammettono per ciò stesso diverse soluzioni, tutte fino ad un certo punto legittime. Ma se queste persone giudicavano così diversamente della loro condotta di fronte al sentimento che li dominava, ella converrà meco che, almeno in questo sentimento, essi si accordavano del tutto, gettati com'erano per esso in preda al più disperato dolore... - Oh, non lo creda! - interruppe la signora Auriti, con un nuovo sorriso. - Non lo creda completamente. Certo, la scossa dovette esser sensibile; ma io penso che la previsione, in ciascuno di essi, del dolore dell'altro, dovesse essere più forte che non la personale sensazione dolorosa. - Come può dirlo? - Sa che cosa fece la mia amica, il giorno stesso in cui apprese la rottura? Andò a pranzo in casa di lady Dalty, dalla quale aveva già ricevuto un invito, dopo aver fatto un'accurata toletta. Per confessione stessa di lei - badi, io non metto una parola di mio - fattasi allo specchio, la sua meraviglia fu grande nel rivedersi la stessa, anzi più bella; il sangue affluito alla testa aveva acceso il suo volto, fatto come di bragia, coi grandi occhi sfavillanti. Quei preparativi di festa, i profumi dell'Ixora e della veloutine, le infusero quasi un benessere; a poco a poco una strana reazione si operò in lei; ebbe l'agio di trovare che il suo abito mauve, guernito di trine écrues e di jais, le stava a pennello... - Oh! - Aspetti ad esclamare. Per le vie, ella scambiava graziosi saluti e sorrisi, si sentiva ammirata da tutta quella folla; le pareva quasi che con quell'ammirazione le si rendesse giustizia... Esclami, amico mio; esclami pure; in quel momento ella pensava certo - questa è l'induzione mia, non me l'ha detto lei - alla disperazione dell'uomo, allo sconforto mortale a cui doveva essere in preda; e trovava giusto che egli soffrisse per lei e che lei si distraesse così... Egoismo, e del più puro! L'uomo invece... - L'uomo?... - Telegrafava ad un amico, per avere del danaro; il soggiorno di Parigi, anche quando ci si va per raccogliere un'eredità (suo fratello maggiore era stato colpito da paralisi, egli non fece che affrettare le sue dimissioni) non è una misura di economia. Da Milano a Torino fece il viaggio coi Marnengo; la signora conserva un gradevole ricordo dell'amabilità del capitano. Intanto che egli sfoggiava la sua più squisita galanteria, pensava probabilmente all'ambascia della donna, al rimorso che doveva divorarla, come la più giusta delle punizioni. Se gli avessero detto che in quell'ora precisa ella era a pranzo da lady Dalty, si sarebbe pentito di aver avuta tanta fretta!... - È disperante! - disse il Darsi, che vedeva l'inutilità dei suoi tentativi e cercava di lanciare un gran colpo. - Ella dunque crede che tutto sia finzione? Se io le provassi... - Mio Dio, vuol dire che non ho saputo ancora spiegarmi. Io dico che tutto è relativo, che tutto può esser vero e falso al tempo stesso, secondo il punto di vista. Lei, per esempio, è qui, nel mio salotto, a sostenere il disinteresse, l'altruismo, il sacrifizio. Questo, non è vero? è un concetto... - Del quale io non domando che darle la prova! - Allora, consideri un poco: non potrebbe anche essere un calcolo?

Franz von Rödrich ascoltava attentamente, coi gomiti sulla tavola e la testa fra le mani, mentre Ludwig Kopfliche, un po' abbandonato, le braccia pendenti, gli occhi rovesciati, seguiva per aria le spirali azzurrine della sua sigaretta odorosa. - Ed io ero in questa orribile alternativa - diceva Fritz Eisenstein - o di lasciare scoprire la mia relazione con quella donna, di vederla perduta per sempre agli occhi del mondo, di esser la causa di una rovina irreparabile, o di spingerla - io stesso! - in braccio all'unico uomo che avrei voluto fare scomparire dalla faccia della terra!... Ah! i miei capelli cominciano a brizzolarsi? Lo strano è come non sieno già tutti bianchi di neve!... Ludwig Kopfliche si attorcigliava ora lentamente i baffi candidissimi sulla faccia d'un bel roseo, di salute e di gioventù, e i suoi occhietti luccicavano sotto la larga fronte curiosa. - Non bisogna lamentarsi, perchè tutto può essere materia di studio, e di osservazione! Fra lo scatenarsi delle passioni più divoranti, c'è da fare delle raccolte preziose di piccoli documenti e di piccoli fatti! - Ed egli sviluppava le sue teorie di critico, di raffinato dilettante, capace di lasciare un brano del proprio cuore in fondo a una esperienza, pur di notare delle sensazioni nuove, o rare, o complesse. - Ma l'analisi non uccide il. sentimento? - Può anche crearlo! A furia di critica, si può costrurre - come, diciamo noi tedeschi - quel sentimento che più ti aggrada. L'amore? Anche quello. Io posso far nascere in me l'amore, quando voglio, artificialmente.... E mentre egli raccontava i risultati di qualcuna delle sue complicate esperienze psicologiche, Fritz scuoteva la testa, e replicava, opponendo argomento ad argomento, e caso a caso. Vive, appassionate, enimmatiche, si evocavano intanto ai loro occhi le scomparse figure di donne e, ad un tratto, dinanzi alla irrompente piena di ricordi, le voci tacevano un poco. Allora si sentiva il silenzio solenne della campagna assopita sotto il sole declinante, mentre l'azzurro del cielo leggermente velato pareva l'immensa evaporazione del mare e le vele latine si tingevano di porpora. Con la fronte sulla palma della mano, Franz von Rödrich lasciava annegare i suoi sguardi negli spazii profondi, e un brivido gli serpeggiò pel corpo quando gli amici si volsero a lui, strappandolo un po' bruscamente alla sua deliziosa rêverie. - Franz, tu sei ammutolito? - Non ci racconti la tua? - Che cosa volete che io vi racconti? - rispose egli, con lo sguardo un po' smarrito pel contrasto della chiara luce diffusa al largo e la penombra della stanza, dalla quale il sole si era già ritirato. - Per cercare che io faccia, non mi riesce di trovare in fondo alla mia memoria nessun fatto che sia degno di interessarvi come i vostri hanno interessato me. I casi più notevoli che mi sono capitati sono di quelli che, con parola espressiva, si chiamano fiaschi. Ora, i fiaschi è meglio vuotarli che raccontarli! - e nel ripetere il volgare doppio senso v'era qualcosa d'amaro nell'espressione della sua fisonomia. - Egli è che voi ne avete già vuotati parecchi - osservò Ludwig Kopfliche, che non beveva quasi vino - e sarebbe prudente di cambiar sistema! - Conciliamo! conciliamo! - rispose Fritz Eisenstein porgendo un bicchiere a Franz von Rödrich. - Vuota prima... Ora racconta! - Volete? E sia! Ma non vi stupirete se nel mio racconto non'v'è molto nesso?... Io lascierò che i ricordi si svolgano da loro; e se vi annoio, siamo intesi? la colpa è vostra. Voi avete conosciuta la Cabianchi? Fritz e Ludwig si guardarono. - Quello splendore?... Quella maestà?... - Sì, quello splendore, quella maestà di bellezza, completa, perfetta, ideale! Quella bellezza che non si concepiva di poter ammirare altrimenti che in ginocchio, dal basso all'alto, colle mani giunte, nell'attitudine di un prete dinanzi all'idolo! Quella bellezza pura, serena, intangibile e intatta! Io l'ho amata... Parlo con persone che intendono che cosa si racchiuda in questa parola: Amore; quali eterogenei elementi entrino a formarne il signiflcato. Fra tutti i secreti moventi che esercitavano la loro azione su di me, la curiosità di leggere in fondo a quel cuore, di risolvere l'enimma di quegli sguardi di sfinge tranquilla e superba, non era il meno forte.... Ma io l'amavo con più semplicità; la desideravo, anima e corpo, e tanto più intensamente, tanto più dolorosamente, quanto più scoraggiante era la leggenda che correva su quella Groenlandia ghiacciata. Chi potea vantarsi di aver avuto con quella donna una conversazione intima, sulle cose del cuore e dell'anima? La sua intimità, io voleva conquistarla. Ciò che mi arrestava di più in lei, era la sua serenità divina, di creatura superiore, a cui gli omaggi, il culto, sono dovuti, naturalmente; che nulla può commuovere, che nulla può interessare. E la frase di Spinoza mi tornava alla memoria: "Chi ama Dio non può far nulla perchè Dio lo ami in ricambio..." Vi era in questa indifferenza dinanzi alle prove della mia più fervida adorazione, della mia devozione più umile, qualche cosa che feriva il mio amor proprio, acutamente; non pertanto mi facevo forza, e persistevo, malgrado mille piccole amarezze, felice di sorprendere, di tanto in tanto, qualche barlume nella freddezza metallica di quegli sguardi. Alcune volte gli spiriti s'intendono, meglio che per via di lunghi discorsi, in un minuto di silenzio eloquente.... Noi eravamo alla terrazza del villino, verso il tramonto di una giornata autunnale. Il cielo dell'orizzonte era d'un rosa tenero che, per gradazioni delicatissime, sfumava in un verde impossibile a definire... Io ero riuscito a farle leggere un romanzo d'amore; ne avevamo parlato; mi era parso di scoprire, nel suo accento, qualcosa di tremante, di commosso, al ricordo del dramma... - Che cosa è la vita senza passione?... - Io ero stupito ancora delle mie parole; mi aspettavo di vedermi guardato con occhio curioso, come si guarda un originale, uno stravagante.... Ella guardava l'orizzonte, quel rosa e quel verde che infondevano una grande dolcezza nel cuore. Vista così di profilo, immobile, ai toni caldi del tramonto, ella era schiacciante di bellezza ieratica.... Tacevamo, e l'ora fuggiva, adorabile.... Lentamente, io avevo cavato il guanto dalla mia destra, e pigliando a un tratto congedo da lei, tenni, per la prima volta, la sua mano nuda nella mia. Era il freddo della sera? Un brivido mi passò pel corpo a quel contatto soave. Quanto tempo si può stringere una mano? Due, cinque secondi? A me parve che quella stretta durasse indefinitamente. Alla sensazione di freddo che mi aveva scosso, ora succedeva un tepore dolcissimo che, a ondate, dalla mano mi saliva pel braccio e mi serpeggiava per tutti i nervi... - Ci rivedremo presto?... - Martedì, al viale dei Platani. - Che scoppio d'allegrezza nell'anima!... Io mi sorprendevo, per le strade affollate, ad esclamare: È mia! È mia! Quanti mi avranno preso per pazzo?... Con quale ansia aspettavo che il tempo scorresse, che arrivasse quel martedì, quando avrei... che cosa? Non lo sapevo io stesso!... Io ero lì, a percorrere il viale coperto d'un tappeto di foglie morte, spiando la sua comparsa, sussultando ad ogni rumore, ad ogni forma lontana... Ella non veniva ancora.... Degli amici m'incontravano, mi trattenevano; io avrei voluto strozzarli.... Il tonno passava, le ore suonavano una dopo l'altra all'antico convento di San Domenico, le ombre si allungavano.... Ella non veniva.... Il freddo della sera mi pungeva, le gambe mi si piegavano.... Ella non veniva... Perchè? Che cosa le avevo fatto?... Ma insomma, non era quella mia disperazione puerile? Un contrattempo fa presto a sorgere... Però io provai una puntura acutissima, lancinante, quando, uscito di lì, nella baraonda della via, la scorsi, serena, indifferente, incedere tra la folla con lo sguardo fisso dinanzi a sè, senza guardare nessuno. Tu hai pratica del magnetismo, Ludwig?... Io la chiamavo imperiosamente, cogli occhi, e come ella si voltò a guardarmi, le feci l'affronto di non salutarla. Avevo voglia di piangere. Mi sentivo umiliato, avvilito da quella indifferenza, da quella serenità. Mi rivedevo, ridicolo, lì, in quel viale dei Platani, ad aspettare chi non veniva; a desiderare chi il desiderio non aveva mai compreso... Io stetti quindici giorni senza cercarla; meglio, evitandola. Poi la passione fu più forte. Ella pareva non essersi accorta di nulla; mi accolse come l'avessi lasciata il giorno prima. Le repulse decise, una dichiarata ostilità non mi avrebbero fatto tanto male quanto quella incoscienza serena che offendeva la mia passione d'amante e la mia dignità di uomo... Mi allontanai ancora; poi tornai nuovamente a lei... Vado per le lunghe? Un giorno, era sola. Come mi lasciai trascinare dalla piena dell'affetto? Che cosa le dissi? Io ero stupito della mia eloquenza; le frasi mi sgorgavano dalle labbra facili, incalzanti, come in certi momenti di dormiveglia, quando ci sembra di parlare con la stessa facilità con cui si legge in un libro stampato... - Voi non credete all'amore? Che cosa bisogna fare per convertirvi? Come dimostrarvi di che miracoli l'amore è capace? Come provarvi che non ostante l'accumularsi del ghiaccio, tra i rigori iperborei, le fiamme d'un vulcano possono erompere?... - Io ero al suo fianco, vicino, molto; sentivo il suo profumo penetrante salirmi al cervello; la guardavo supplicante... Nulla!... Non importa!... presi la sua mano nelle mie mani scottanti... Ella la ritirò... Non importa!... non volevo che mi sfuggisse, contavo di vincerla... Ah!... quella mano che ella mi aveva tolto, ora me la porgeva!... Come? Come si fa l'elemosina ad un miserabile, ad un fastidioso miserabile che vi stia dattorno, inevitabilmente!... Nel suo sguardo, l'impassibilità del Dio... No! Tutto il mio orgoglio dimenticato, soffocato, calpestato per l'amore di quella donna, si ridestò gigante, irresistibile. No!.... Se io avessi preso quella mano, sarei stato probabilmente l'amante della signora Cabianchi. Quella mano, io non la presi.... - Ah! Tu non l'amavi! - esclamò Fritz Eisenstein, picchiando sulla tavola e facendo col capo vivi segni di denegazione. - E poi, scusa - aggiunse Ludwig Kopfliche accendendo un'altra sigaretta - l'osservatore non deve aver tutte queste fisime pel capo! La ricerca del fatto, innanzi tutto. Sarebbe bella che il fisico non volesse curvarsi a guardare dentro il microscopio, col pretesto che l'uomo deve tener alta la fronte! Sarebbe ancora più bella che il fisiologo rinunziasse a provare l'efficacia d'un rimedio, per non aprire le viscere d'una creatura vivente! - Ah! eccomi giunto al mio secondo caso, - riprese Franz von Rödrich , dopo aver lasciato dire gli amici fissando le vaghe forme vaporose che si disegnavano all'orizzonte. - Una creatura vivente, e di che vita intensa, acuta e torturante! Voi non l'avete conosciuta. Il suo nome? Che cosa importa! Ella si chiamava la Leggiadria, la Grazia, l'Incanto. Nulla, in lei, di regolare e di previsto; il volgo la giudicava brutta. Ella era bella, della sovrumana bellezza consistente nell'espressione, nella simpatia, nell'anima rivelantesi dagli sguardi, dalla voce, dalla stessa attitudine di un corpo flessibile, ondulante, superbamente modellato. Dal primo giorno che la vidi, una dolcissima intimità si stabilì fra di noi. Io non ricordo di aver mai scambiato con lei fuorchè in presenza di altre persone i luoghi comuni delle conversazioni quotidiane. Che scienza del cuore ella aveva! Come era organata per la sofferenza l'eletta creatura, tutta spirito, tutta fantasia, - e come aveva sofferto! Vi era una tragedia nella sua vita, ed ella era ancora sotto l'impressione del fulmine cadutole dinanzi. Come esprimere l'intenerimento che ella mi dava? Io avrei voluto al mio comando ogni potenza per riparare l'evidente ingiustizia commessa a suo danno dal Destino, per restituirle i suoi sogni e le sue speranze, per cospargere di petali di rosa il suo cammino.... A poco a poco, arrivai a credermi capace di questo miracolo. Il prepotente amore nasceva in me: si traduceva, mio malgrado, in ogni mia parola, in ogni mio atto. Ah! che charme! che charme!... Ella mi comprendeva, mi era grata, mi amava.... Come spiegare altrimenti la metamorfosi che si operava in lei, l'adorabile sorriso che le splendeva ora negli umidi sguardi, la rifioritura di tutto il suo essere oppresso e quasi avvizzito dall'inclemente stagione?... Il mio più fervido voto stava dunque per essere compiuto? La gioia aspettata stava dunque per entrarmi nel cuore?... Oh, perchè, invece, una nebbia di tristezza si levava in me lentamente, ed invadeva le più recondite pieghe dell'anima? Perchè quel sentimento di profonda, di angosciosa commiserazione alla vista della creatura adorata? Perchè quella ostinata visione del male di cui le sarei stato causa, delle nuove inevitabili lacrime, delle nuove torture? In chiesa, un venerdì , il giorno che ella dedicava alla preghiera.... Era in ginocchio dinanzi l'altare dell'Addolorata. Non mi vide. Io bevevo la magia della sua vista, e il luogo, l'ora, tutto mi disponeva ad una mistica tenerezza. Oh, la povera adorata creatura! Come era debole, e tenue, e delicata, e fragile! Come il suo viso era lavato dal pianto! Come il più leggiero tocco l'avrebbe fatta dolorosamente vibrare in tutte le flbre! Come bisognava essere crudeli per tormentarla, ancora!... E un giorno che noi eravamo soli, e che io le ero vicino, e che le nostre fronti si avvicinarono per leggere le parole di un poeta, le mie labbra le sfiorarono le tempie.... Un grido represso, una angoscia nell'occhio rovesciato, uno scoloramento nel viso, un affannoso sollevarsi del seno.... Io presi le sue mani, le sue povere bianche mani tremanti che ella aveva portato sul cuore; io le baciai, filialmente.... La sera ero partito, lontano.... - Ah! Tu non l'a... - cominciò Fritz Eisen,stein; ma levandosi ad un tratto da sedere, in preda ad una grande emozione, si corresse vivacemente: - No! No!... Tu l'amavi; oh se l'amavi! Ed è bella, ed è buona, ed è vera questa pietà!... Ora, il cielo dell'oriente si colorava d'ametista e il mare si venava di grandi striscie, come un amuerro. Le barche si avvicinavano alla costa, in lunghe file, e il silenzio pareva piovere più profondamente sulla campagna e sul mare. - Che poesia nella rinunzia! - esclamò ancora Fritz Eisenstein, con un gesto largo. - Il Buddha! il Buddha! - disse sommessamente il raccontatore. Allora Ludwig Kopfliche, il dilettante, si rialzò sulla sedia, buttò la sua sigaretta, incrociò le braccia sulla sponda della tavola, e immobile in tutta la persona, come un idolo antico, cominciò: - Quando Sachia-Muni era ancora il principe Siddârtha, aveva ogni virtù del perfetto cavaliere. In un punto soltanto non rassomigliava a tutti gli altri. Nessuno era più abile di lui ad inseguire la caccia per la foresta; ma quando, al galoppo del suo focoso cavallo, con l'arco teso, vedeva saltellare rapidamente la gazzella spaurita, invece di lanciare la freccia egli si arrestava, preso da un subito tremore; lasciando i suoi compagni, se ne andava con uno strano sogno di tristezza e di pietà.... "Voi che volete seguire la strada regale" - disse Franz von Rödrich, interrompendo l'amico con un segno della mano - "ascoltate le quattro grandi verità! La prima è di conoscere il dolore; la seconda di penetrare la sua causa: il desiderio. La terza consiste nella fine del dolore, che è l'amore di sè vinto, la brama domata. La quarta è di conoscere la via che conduce al rifugio...." E mentre il sole tramontava e il velo dell'ombra si distendeva sul cielo e sul mare, i tre buddisti tacevano, nell'aspirazione al promesso Nirvâna. FINE.

L'indomani

246319
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
  • UNICT
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Colle mani raccolte sul grembo, le palpebre socchiuse, il corpo abbandonato nei guanciali, aveva l'apparenza della più gran calma, ma un brivido la scuoteva internamente, un brivido e una puntura. Vedeva ancora quell'amplesso, quel bacio... come dubitarne, se tutto il suo essere ne era stato scosso, se all'improvvisa rivelazione aveva compreso, lei già donna, il mistero della virginità, quel mistero che è il segreto di Dio e che l'amore solo comunica agli uomini? Lievi lagrime brucianti sfuggivano dalle sue palpebre. - Marta! Marta! - Chiamava la mamma, curva su di lei, divinatrice amorosa della lotta che si combatteva nel di lei cuore. Marta, senza parlare, ripeteva fra sè: Sarà il raggio che sfolgora e muore, sarà l'illusione che passa, sarà il sogno, il delirio di un istante; pure esiste. Raggio che non scalda tutti i cuori, sogno che non rallegra tutte le notti... Ma intanto la piccola mano ripeteva con insistenza: Apri, io sono l'amore e la verità. E Marta rivedeva, in una specie di visione magnetica, la bella campagna estiva, gli alberi frondosi ramificanti sopra lo sfondo azzurro e un meschino insetto che tendeva i suoi fili d'argento. Spezzato un filo gettava l'altro, e un altro ancora e ancora, sempre avanti, la tela prendeva proporzioni gigantesche, i fili abbracciavano tutto il creato, salivano ad altezze vertiginose, toccavano il cielo. Era la vasta tela della vita umana, il lavoro ogni giorno rinnovato di chi soffre e combatte; il lavoro temerario che poggia nel vuoto guardando arditamente la luce; lo sforzo immane di milioni di esseri, intelligenze torturate, cuori spasimanti, schiavi in pena, tutti sorgenti dalle loro catene, tutti lanciando il loro filo d'argento al misterioso Ignoto. E i fili si spezzano, e la tela si strappa e la felicità dondola sempre sospesa all'impalpabile bava di un aracnide. Che importa? Tutto muore, tutto nasce, tutto cambia, tutto si rinnova, le tombe scoperchiate servono di culla, i cuori insanguinati e piangenti danno nuovo sangue e nuove lagrime alla vita. Avanti, coraggio! FINE.

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