Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 9 in 1 pagine

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Ricordi d'un viaggio in Sicilia

168900
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1908
  • Giannotta
  • Catania
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Valli dopo valli, monti dietro monti, e sempre quello stesso spettacolo d'un bel paese che gli uomini abbiano abbandonato per effetto d'una maledizione misteriosa. E avrebbe la sua bellezza e il suo incanto anche quello spettacolo se parlasse agli occhi soltanto; ma esso dice all'animo nostro una cosa troppo triste perché la nostra immagine vi si possa compiacere con quel vago senso di riposo e d'abbandono che suol provare nelle grandi soliditudini. E quella cosa è espressa in una parola antica e pur troppo sempre viva, che riassume mille mali nell'enunciato d'un problema formidabile: il latifondo, la gran piaga incancrenita della isola. Il latifondo, che vuol dire la campagna senza case coloniche e senz'alberi, e i contadini costretti a vivere nei grandi centri, dove son sottoposti a gravami da cui dovrebbero essere esenti, e donde debbono fare ogni giorno un lungo cammino per recarsi al lavoro; il latifondo che favorisce il furto campestre, l'abigeato, il malandrinaggio, il brigantaggio, e crea una catena di parassiti sfruttatori fra il grande proprietario assente e il lavoratore abbandonato a sé stesso; il latifondo, funesta espressione economica, che, come disse un illustre statista siciliano, filtrandosi, spiritualizzandosi per lungo abito di servaggio nelle menti, nel costume, nella vita intima, separò le classi, le fortune, gli animi, e mettendo in opposizione gl'interessi dei signori con quelli del popolo, e mantenendo questo nell'ignoranza, riduce la maggioranza lavoratrice in condizioni di minoranza legale di fronte ai suoi oppressori, prevalenti nelle Provincie, nei municipi, in tutte le rappresentanze pubbliche, e quindi padroni d'ogni cosa, tiranneggianti a loro beneplacito e perpetuatori della miseria. Voilà l'ennemi! come disse Gambetta. E i quarantasei anni trascorsi dopo l'unificazione d'Italia non l'hanno punto smosso dalle sue fondamenta secolari. La vendita dei beni ecclesiastici, che pareva gli dovesse dare un crollo, non fece per contro che favorirlo, poiché di quei beni s'impinguarono la borghesia e l'aristocrazia, creando un nuovo feudalismo terriero in aggiunta all'antico, abolito soltanto di nome nel 1812. Il tentativo di riforma fatto dal Crispi si spezzò contro un'opposizione minacciosa dei grandi interessati, veri sovrani dell'isola. Nessun'altro uomo di Stato ebbe poi il coraggio di ritentare la prova. Prima cura d'ogni Governo è di reggersi in piedi, e per reggersi hanno tutti bisogno d'essere sorretti dai potenti. E le cose non muteranno fin che non siano diventati potenti i deboli, fin che il numero non sia anche la forza. Ma quando sarà mai, se la forza non è possibile senza la concordia, e la concordia è tanto difficile nell'ignoranza, e riesce tanto facile ai padroni seminar la divisione fra i servi? Ma ecco uno spettacolo che rompe come per magìa il torso dei pensieri malinconici. Lontano, nel cielo sereno, un'enorme piramide azzurra s'inalza, solitaria, stendendo così largamente i suoi fianchi da parere che ricopra una provincia intera; una montagna che dà l'immagine d'un mondo; un prodigio di bellezza e di maestà, che vi fa aprire la bocca come per lanciare un grido d'ammirazione. Una nuvola bianca la corona; un manto candido veste la sua sommità e si rompe più sotto in una quantità di strisce simmetriche scintillanti che somigliano alle frangie di un immenso velo di trina ingemmato; in giro alle sue falde si stendono vaste macchie bianche, che paiono strati di neve, e grandi macchie oscure, che sembrano ombre dense proiettate da nuvole invisibili. E via via che il treno le si avvicina, la montagna par che si dilati e imbellisca: le macchie bianche sono città e villaggi, le macchie oscure sono boschi, aranceti e vigneti; da ogni parte sorgono ville, fioriscono giardini, s'aprono strade, corrono acque, sorride la fecondità, splende la vita. Che maravigliosa sorpresa e che gioia dopo quel lungo viaggio a traverso ai latifondi disabitati e alla triste regione zolfifera! - Ecco l'Etna! - mi dice un Catanese, mio compagno di viaggio -; ecco la nostra gran madre benefica e sovrana tremenda!

La fatica

169764
Mosso, Angelo 2 occorrenze
  • 1892
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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Stupido, stitico, insonne, abbandonato di forze, egli sembrava destinato a morire di tabe. Ma una mattina, dopo aver finalmente dormito, sente desiderio di una presa di tabacco; si risveglia, si mette al tavolino: impugna la penna e scrive le Voci e maniere di dire additate ai futuri vocabolaristi. Ma se da questa malattia l'intelletto parve sortirne avvalorato, il fisico serbò amaro ricordo. " Dopo sette anni ebbe una ricaduta col medesimo sopore profondo, perdeva l'orina, e le fecce, bisognava nutrirlo artificialmente, non deglutiva più, gli colavano le bave, e dopo un anno e mezzo che dava di sè questo spettacolo straziante, tutto d'un tratto gli si riaperse la mente e comincio a scrivere un'altra opera, la Lessigrafia e il supplemento ai vocabolari. Dopo sette anni ebbe ancora un terzo accesso, ma questa volta il dottor Gherardini aveva 77 anni, e gli mancarono le forze per una terza risurrezione.

Pagina 128

Ma l'uditorio capisce subito che avete abbandonato il terreno volgare dei manuali per lanciarvi nelle sfere superiori della scienza; e ve ne accorgete dal fatto che tutti gli occhi vi guardano più intenti e che la scolaresca è divenuta più immobile. Chi vi ascolta partecipa alla vostra emozione, perchè egli sente che attinge alla fonte donde scaturisce una nuova dottrina. Egli comprende che la trepidazione vostra non nasce dalla incertezza del pensiero, che anzi vi anima e vi trascina la foga delle idee, e che cercate solo la forma più esatta per rivestire i vostri concetti, per abbellire colla parola un pensiero lungamente accarezzato. Sono queste le ore che vi ringiovaniscono, in cui sentite il fuoco sacro della scuola; in cui avete la certezza che nessun trattato, nessun libro può supplirvi ed eguagliarvi nell'efficacia dell'educare. I concetti, le idee nuove espresse da voi in quel momento, dalla voce che sentite risuonare nell'aula, dischiuderanno nuovi orizzonti nelle menti dei giovani che vi ascoltano, e dureranno in alcuni di essi come un ricordo affettuoso per tutta la vita, e vi rallegra la speranza, che forse da una di quelle fronti giovanili irradierà la gloria, alla quale voi avete aspirato invano.

Pagina 272

Fisiologia del piacere

170458
Mantegazza, Paolo 1 occorrenze
  • 1954
  • Bietti
  • Milano
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Anche quando uno di essi si allontana, la sua immagine morale rimane al posto abbandonato; e l'amico la contempla con lo spirito, l'accarezza come si accarezza una cosa viva, la bacia con trasporto e ne sente il tiepido calore che emana solo dalle cose vive e da quelle che sono amate. Questo è l'affetto che lega due persone nel santo nodo dell'amicizia. Come l'età, così la soverchia distanza morale o intellettuale può frapporre un ostacolo insormontabile a ravvicinare due in modo da farne due amici. Qui però la difficoltà è minore. Ora lo sguardo affascinante del genio può a poco a poco avvicinare a sè un uomo che si trovava lontano e perduto nella folla; mentre altre volte la tiepida e profumata emanazione, che spira da un cuore sublimemente delicato, ravvicina a sè il cinico che cammina per vie battute e solo. Questa è anzi una delle forme più perfette e ammirabili dell'amicizia.

Pagina 161

Sull'Oceano

171524
De Amicis, Edmondo 5 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
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E facevano le supposizioni più strambe: che sarebbe stato buttato giù nudo, con una palla da cannone legata al collo; che l'avrebbero abbandonato al mare chiuso in una cassa incatramata, per preservarlo dai pesci, com'era prescritto dalla legge. Alcune dicevano che s'eran già visti avvicinarsi al bastimento dei pescicani, attirati dall'odor del cadavere; e parecchie guardavano in mare, per vedere. Molta gente s'accalcava alla porta dell'infermeria, per scendere a visitare il morto; ma un marinaio, messo là di guardia, impediva il passo. Intanto sul castello di prua, in mezzo al cerchio solito, il vecchio dal gabbano verde faceva un'orazione imprecatoria, agitando indice in alto: - Uno di meno! Andiamo avanti. La carne dei poveri si butta ai pesci. Quello lì, per esempio, era già condannato dal primo giorno. Sfido io, non lo nutrivano! - Diceva che invece di buon brodo gli mandavano della lavatura di piatti e che l'avevan lasciato morire senza un cuscino sotto il capo. E si riseppe la sera dai soffloni ch'egli insinuava anche il sospetto che non fosse quello il primo morto durante il viaggio; ma che gli altri li avessero saputi tener nascosti, e poi scaricati in mare nel cuore della notte, dal cassero di poppa. - Ma ha da venire - disse a voce alta - il giorno del giudizio! - E lui e i suoi uditori mi fulminarono delle occhiate, che mi fecero rinunziare a sentii altro. Andai a chiedere notizie del piccolo Galileo. Trovai sull'uscio del camerino di seconda il padre, seduto sopra una valigia, con uno dei gemelli fra le ginocchia, e la pipa in bocca. - El fantolin sta ben - mi disse, con la sua solita faccia ridente. E poi, strizzando gli occhi verso il vecchio del castello di prua, di cui arrivava la voce fin là, mi disse a bassa voce: - Ghe xè dele teste calde. Poi soggiunse: - Per mi, dal momento che se va sul mondo novo, cossa ne importa a deventar mati perchè va mal le façende nel mondo vecio? Questa domanda era come una tastata ch'egli mi dava per vedere s'io fossi un signore intrattabile, o uno di quelli con cui si può ragionare. Ma senza ch'io rispondessi altro che con un cenno del capo, mi parve che il mio viso gl'inspirasse fiducia, perchè, facendo un salto, disse francamente: - Per conto mio de mi, mi scusi, un torto che hanno i signori è di sparpagnar tante fandonie sull'America, e che muoion tutti di fame, e che tornan più disparai di prima, e che c'è la peste, e che i governi di là son tutti spotiçi e traditori, e cussì via. Cosa succede allora? Succede che quando poi arriva una lettera d'uno di laggiù che fa saper che sta bene e che el fa bessi, allora non si crede più niente di quello che i siori dicono, neanche quello che è vero, e sospettano che sia tutto un inganno, e che anzi sia vero tutto il contrario, e i parte a mile a la volta. Gli dissi che aveva ragione e che se non si fosse detto altro che la verità, forse ne sarebbero partiti meno. - E voi andate con buona speranza? - domandai. - Mi? - rispose. - Mi razono in sta maniera. Di peggio di come stavo non mi può capitare. Tutt'al più mi toccherà di patir la fame laggiù come la pativo a casa. Dighio ben? Poi ricaricando la pipa, continuò: - I ga un bel dir: No emigré, no emigré. Mi faceva ridar il cavalier Careti (chi sarà stato questo cavalier Careti?): voi fate male, voi fate male. Mi diceva che ogni emigrante che parte porta via al paese un capitale di quattrocento franchi. Tu vai a consumare e a produr di fuori, tu fai un danno al tuo paese. Cossa ghe par a lù de sta maniera de razonar, la me diga? Mi diceva anche che avevo torto di lamentarmi delle tasse perchè più che le tasse son forti, tanto più il contadino lavora, e così tanto più produce. Piavolae, la me scusa, digo mi. Io non so niente di queste cose, gli rispondevo. Mi so che me copo a lavorar, e che no caovo gnanca da viver, mi e mia muger. Mi emigro per magnar. Lù me consegiava de spetar, che i gh'avaria bonificà la Sardegna e la marema, e messo a man a l'agro romano, che i gavaria verto i forni conomiçi e le barche, e che el governo gera a drio a megiorar l'agricoltura. Ma se intanto mi no magno! Oh crose de din e de dia! Come se ga da far a spetar co' no se magna? Incoraggiato dal mio consenso, allargò il campo del discorso, e cominciò a metter fuori quelle idee generali, che ogni uomo del popolo d'oggi ha più o meno confuse nel capo, intorno alle cause del malo andamento delle cose: si spende tutto a mantener soldati, milioni a mucchi in cannoni e in bastimenti, e quindi zo tasse, alla povera gente nessuno ci pensa: le cose solite; ma che non paiono mai tanto vere e tristi come quando si senton dire da uno, che ne esperimenta gli effetti nella miseria propria, e a cui nessuna consolazione si può dare, neppur di parole. E giusto io pensavo, mentre egli diceva che dopo una giornata di fatiche non trovava sulla tavola che una zuppa di brodo di cipolle, e che la notte si svegliava per l'appetito, ma non si aresegava a mangiare per non scemare il pane ai figliuoli, che già l'avevano scarso, pensavo a che cosa m'avrebbero servito tutte le alte ragioni, che mi s'affacciavano alla mente, di necessità storiche, di sacrifizio del presente all'avvenire e di dignità nazionale. La società, che in nome di queste cose gli chiedeva tanti sacrifizi, non gli aveva neppure insegnato a comprenderle, e mi sarebbe parso, dicendogliele, d'insultare la sua miseria. E lo stavo a sentire con quell'aspetto quasi vergognato col quale tutti oramai ascoltiamo le querele delle classi povere, compresi del sentimento d'una grande ingiustizia, alla quale non troviamo riparo nemmeno nell'immaginazione, ma di cui tutti, vagamente, ci sentiamo rimorder la coscienza, come d'una colpa ereditata. Ah no! - disse scrollando il capo. - Come che xè el mondo adesso, la xè una roba che no pol durar. La ghe va massa mal a tropa zente. - E mi parlò delle miserie che si vedeva intorno, delle storie compassionevoli che sentiva a prua, appetto alle quali gli pareva ancora di essere dei meno sfortunati. Ce n'eran di quelli che non avevan più mangiato un pezzo di carne da anni, che da anni non portavan più camicia fuor che i giorni di festa, che non avevan mai posato le ossa sopra un letto, e pure avevan sempre lavorato con l'arco della schiena. Ce n'era che, fatte le spese del viaggio, sarebbero arrivati in America con due scudi in tasca, e che ogni giorno mettevano da parte in una sacca un poco di galletta, per aver qualche cosa da rodere a terra, e non dover chieder l'elemosina, quando non avessero trovato lavoro nei primi giorni. Ne conosceva più d'uno, che per non arrivare in America scalzo, teneva legato intorno ai piedi con un filo di spago quell'unico paio di scarpe in pezzi che gli rimaneva, e ci metteva la testa sopra di notte, per paura che gliele portassero via. - E la seta - soggiunse - ghe xè de quelli che i gh'ha fato tanto cativa vita, che i xè partii tropo tardi, e i va in America a farse soterar. - E m'indicò un contadino sui quarant'anni, seduto poco discosto da lui, col capo scoperto e grondante di sudore, chinato nelle mani scarne, che gli tremavano. Aveva una febbraccia che non lo lasciava mai, presa nelle risaie, e non reggeva più nulla sullo stomaco. Una notte (ma non doveva risaperlo nessuno) egli l'aveva afferrato, che si voleva buttare in mare, e sporgeva già con tutto il busto di fuori; e dopo d'allora sua moglie non lo perdeva più d'occhio: una disgraziata che faceva più compassione di lui. - La varda ela, che robète! - (Guardi lei, che cose!) E diceva tutto questo con tristezza, ma senza acrimonia, non per ossequio a me, ma per quella coscienza confusa, comune a molti tra 'l popolo, e derivata in parte dall'idea religiosa, in parte da intuizione propria, che la miseria del maggior numero sia più che altro effetto d'una legge del mondo, come la morte e il dolore, una condizione necessaria dell'esistenza del genere umano, che nessun ordinamento sociale potrebbe radicalmente mutare. - Basta -, concluse, rimettendo Ia pipa in tasca, e posando le mani sul capo del suo bambino -, che il Signore me la mandi buona. Se in America trovassi almeno la brava zente che ho trovato qui a bordo! Perchè senta, sior paron, se quella povera putela inferma non va in paradiso vuol dire che non ci lasciano entrar più nessuno. Lei fa portar le minestrine alle donne da late, lei dà bessi ai poveri, lei regala biancheria a chi non ne ha, lei è Ia benedizione di tutti. Ma co' ghe digo mi che el mondo va mal. Un anzolo compagno, ghe tocarà morir zovene. Vegno, ciaccolona! - gridò verso il camerino. - Con parmeso, paron. Mia muger me ciama. La se varda, che a momenti se verze le catarate! - Tutt'ad un tratto, infatti, venne giù dal cielo grigio un rovescio di goccioloni come chicchi d'uva, e subito dopo una pioggia scrosciante fittissima, che coperse tutto d'un velo, come se il piroscafo fosse entrato dentro a una nuvola. Un'onda di passeggieri irruppe urlando nel passaggio coperto dov'io mi trovavo, e respingendomi indietro d'una decina di passi, mi avvolse e mi imprigionò lì al buio, in uno stretto cerchio di giacchette inzuppate, in mezzo a un odore acuto di povera gente. E lì seguì una scena da raccontarsi. Erano appena scorsi dieci minuti, che da un ondeggiamento della folla serrata, e da uno scoppio di risa e di fischi, mi accorsi che s'era attaccata una rissa; e, alzandomi in punta di piedi, vidi una mano per aria che cadeva con movimento rapido e regolare, come un maglio, sopra una nuca invisibile. - Chi è? Cos'è? Tutti vociavano, non si capiva nulla; due marinai accorsero; sopraggiunse il Commissario, i litiganti furono spartiti e condotti via, tra le urlate. Immaginando che andassero alla "pretura" ci torsi anch'io, pigliando per le cucine di terza classe, e arrivato là nel momento che entravano, fui molto maravigliato al vedere che i due arrestati erano il padre della genovese, sbuffante di collera, e lo scrivanello di Modena, smorto, senza cappello, con una faccia che era una vera quietanza di scapaccioni. Un corteo di facce sghignazzanti li seguitava. Gli arrestati entrarono nel camerino del Commissario; il corteo s'affollò davanti all'uscio. Era accaduto questo. Scoppiato l'acquazzone, lo scrivano s'era gittato con gli altri nel passaggio coperto, ed era rimasto chiuso egli pure nella calca, come un'acciuga in un barile. Ma per fortuna insieme e per disgrazia, s'era dato il caso che, proprio davanti a lui, con le trecce contro al suo viso, con Ia schiena contro al suo petto, si trovasse imprigionata nella folla la ragazza genovese, e dietro di lui, non veduto, l'altro, ahimè! lo suocero dei suoi sogni. Il povero giovane, innamorato morto da diciassette giorni, inebbriato dal profumo, bruciato dal contatto, tentato dall'oscurità, aveva perso il lume della ragione, e s'era messo a inchiodar baci su baci sul collo e sulle spalle del suo idolo, con tal furia, con tale forsennatezza d'amore, che non aveva neppure sentito la prima scarica delle vigorosissime pacche paterne. Alla seconda era rientrato in sè, come chi rinviene da un delirio, e s'era creduto spacciato. Il giudizio fu una scena di commedia impagabile. Il padre, fuori dei gangheri, inveiva ancora: - Mascarson! Faccia de galeal Porco d'un ase! Te veuggio rompe o müro! - E allungava le mani per acciuffarlo. L'altro metteva pietà, non negava nulla, diceva d'aver perso la testa, domandava scusa, affermava di essere un giovane onesto, voleva mostrare una lettera del sindaco del suo paese, (Chiozzola, mi pare) e si pigliava la testa fra le mani, piangendo come un castoro, facendo degli atti di disperazione da Massinelli in vacanza. - Ma se dico che ho perso la testa.... son stato una bestia.... giuro sul mio onore.... non avevo l'intenzione.... sono pronto a dare il mio sangue.... - E sotto al suo dolore sincero e alla vergogna, traspariva la forza della passione non ignobile che gli aveva fatto far lo sproposito, uno di quei violenti amori che divampano nei mingherlini, come fiammate di gas dentro agli scartocci di vetro. Ma il padre non si lasciava commovere, sdegnato anche più, e come offeso nell'orgoglio paterno, che un tale atto d'audacia fosse stato commesso da un così meschino personaggio, da quel mezz'uomo che reggeva l'anima coi denti, e che poi s'avviliva a quel modo. E continuava a gridare: - Bruttò! Strason che no' sei atro! A mae figgia! E ghe vêu da faccia! - E voleva picchiare daccapo. E allora quello allargava le braccia, sconsolato, in atto di dire: - Son qui, fate di me quel che volete. - E poi tornava a giurare che era un galantuomo, a domandar scusa, a offrire la lettera del sindaco. Il commissario era molto imbarazzato a concludere. Io gli vidi passar negli occhi un sorriso che doveva rispondere alla tentazione teatrale di proporre un matrimonio. Ma il padre non aveva l'aria di accettare uno scherzo. In fine, se la cavò facendo una grande intemerata al giovane sul rispetto dovuto alle donne, e ordinandogli di non lasciarsi vedere per un po' di tempo sopra coperta; e raccomandò all'altro di quetarsi, chè la cosa non intaccava punto la reputazione della sua figliuola, che era stimata da tutti, e via dicendo. Poi li mise fuori tutti e due, pregando il padre di tornare a prua per il primo. Questi s'allontanò, voltandosi ancora indietro a minacciar con la mano, e a lanciar due o tre aggettivi genovesi, assortiti. Il giovane, rimasto solo davanti al Commissario, si mise una mano sul petto, e disse con accento drammatico: - Creda, signor Commissario.... parola di giovine d'onore.... è stata una disgrazia.... un momento di... - Ma qui l'amore gli gonfiò il petto e gli strozzò la voce, e alzando gli occhi al cielo, con un'espressione comica, ma sincerissima, che riassumeva tutta la storia della sua passione oceanina, esclamò: - ....Se sapesse! - Ma non potè dir altro, e se n'andò a capo basso, con la sua freccia a traverso al cuore.

Pagina 287

La figura di quel povero innamorato che s'allontanava per il passaggio coperto, rimase legata nella mia memoria a un aspetto nuovo del mare e del cielo, che s'erano schiariti dopo l'acquazzone: il cielo tutto a grandi squarci d'un screno purissimo, come lavato e rinfrescato, e corso da nuvole inquiete; il mare verde per vasti spazi, fra i quali si stendevano larghe strisce d'un azzurro cupo; in modo che pareva di vedere una prateria immensa, dove s'intersecassero canali smisurati, colmi fino agli orli; e si aveva l'illusione strana d'essere entrati in un continente metà terra e metà acqua, abbandonato dagli abitanti sotto la imminenza d'una inondazione, e veniva fatto di cercar cogli occhi all'orizzonte le punte dei campanili e delle torri, come nelle grandi pianure dell'Olanda. E poi, essendosi increspate alquanto le acque, che diedero a quel verde l'aspetto d'una vegetazione più forte, l'illusione mutò, e mi venne alla mente quell'ampio spazio d'oceano, coperto d'un fitto tappeto d'alghe, di fuchi natanti e di traghi del tropico, che impigliò per venti giorni le navi e spaventò i marinai di Colombo. Alcuni uccelli bianchi rigavano il cielo, lontano; il sole faceva scintillare qua e là come delle isolette coperte di smeraldi; e nell'aria spirava un tepore di primavera, in cui pareva di sentire delle fragranze terrestri, che parlavano all'anima, come un'eco di voci lontanissime, portate dai venti della pampa.

Pagina 299

L'immagine vivente del loro stato d'animo erano quei due vecchi contadini del castello di prua, marito e moglie, che anche allora stavano seduti accanto sopra due bitte, con le braccia incrociate sulle ginocchia e il capo abbandonato sulle braccia, mostrando i colli magri e rugosi, che raccontavano cinquant'anni di fatiche senza compenso. Mentre stavo guardandoli, una donna incinta cadde in deliquio, sopra i coperchi vetrati della boccaporta del dormitorio, arrovesciando la faccia bianca tra le braccia delle vicine. E subito corsero cento voci: - È morta una donna, - è morta una donna. - Io me n'andai.

Pagina 321

E tutti quei sacchi si sarebbero sparpagliati fra pochi giorni dalle foci del Plata ai confini del Brasile e della Bolivia e fino alle rive del Pacifico e nell'interno del Paraguay e su per i fianchi delle Ande, a suscitare allegrezze, rimorsi, dolori, timori; i quali poi, alla volta loro, pigiati in altri sacchi, avrebbero fatto in direzione opposta il medesimo viaggio, ammucchiati in un altro camerino come quello, dove avrebbero visto passare altre processioni di povere genti, che se ne ritornavano al mondo vecchio, forse meno poveri, ma non più felici di quando l'avevano abbandonato con la speranza d'una sorte migliore.

Pagina 362

Non si può dire l'angoscia e l'avvilimento di quella povera gente, che dopo aver abbandonato l'Europa, si credevano respinti dall'America, come inutili carcasse umane, neanche più buone a ingrassare la terra, e già immaginavano un viaggio di ritorno disperato alla patria, dove non avevano più affetti, nè casa, nè pane. Il Commissario cercava di persuaderli, che non s'era nell'Argentina, ma nell'Uruguay, che i loro parenti si sarebbero presentati a Buenos-Aires, dall'altra parte di quel fiume che vedevano, che si rassicurassero, che s'angustiavano senza perchè. Ma quelli non intendevano ragione, erano come istupiditi dall'affanno, e parevano anche più miseri e più infelici in mezzo all'allegrezza chiassosa dei giovani che ogni momento li urtavano, passando, e gridavan loro nell'orecchio: - Allegri, vecchi! - Viva la repubblica! - Viva l'America! - Viva la Plata! Stentai a liberare per un momento da loro il Commissario, per salutarlo, e da lui ebbi ancora notizia del giovane scrivano, il quale, disperato di doversi separare dalla genovese, che sbarcava a Montevideo, era stato preso da un accesso di convulsioni e metteva sottosopra il dormitorio. Poi andai a salutare gli altri ufficiali, che avrei riveduto di là a due mesi a Buenos Aires, dopo altre due traversate dell'oceano. Volli anche salutare il mio povero gobbo, che trovai sulla porta della cucina, con una padella alla mano. - Oh! finalmente! - esclamò, tirando un respiro di soddisfazione, - ci avremo ora dozze giorni senza donne! - Eppure - gli dissi - voi finirete con pigliar moglie. - Mi - rispose, toccandosi il petto col dito - piggià moggê? - Poi in italiano, con una curiosa intonazione declamatoria: - Questo non sarà giammai! - E mi soggiunse nell'orecchio, contento: - Dozze giorni! - ma vedendo avvicinarsi il comandante, disse in fretta: - Scignoria, bon viaggio! - e strettami la mano, mi voltò il popone, e scomparve.

Pagina 411

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