Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonato

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L'arte contemporanea tra mercato e nuovi linguaggi

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Vettese, Angela 4 occorrenze

Peraltro, la maggior parte degli artisti non ha mai abbandonato la tradizione manuale. È il caso di Gerhard Richter, che da cinquant’anni applica ciò che Obrist ha definito «la pratica quotidiana della pittura» come un grande maestro del passato e quasi fosse un esercizio che, come gli allenamenti tecnici per i danzatori o i pianisti, non può essere abbandonato nemmeno un giorno.

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Un altro pregiudizio è che l’arte contemporanea abbia abbandonato la figura. Al contrario, anche grazie alla nascita della fotografia (che in effetti ha consentito la libertà di lavorare anche in senso astratto), gli artisti hanno spesso utilizzato sia la fotografia medesima sia altri materiali per realizzare quadri e sculture di un realismo inquietante. In qualche modo, possiamo addirittura ipotizzare che il realismo sia una delle strade maestre dell’arte che ha fatto scandalo: dai posatori di parquet di Gustave Caillebotte alle ragazze del primo Renoir; dall’arcigna giornalista ritratta da Otto Dix seduta al tavolino di un bar e dalle donne dipinte da Antonio Donghi e Ubaldo Oppi a tutto il Realismo Magico; da Edward Hopper a Grant Wood nel realismo americano la figura si è perfezionata e anzi ha imparato ad adagiarsi nella realtà quotidiana, ricopiandone posture e vestiti. Un quadro di Chuck Close da lontano sembra una fotografia, ma visto da vicino è fatto di mille tasselli colorati che sono composizioni astratte complesse; una scultura di Duane Hanson, magari quella di una donna obesa e oppressa che legge una lettera scritta a mano forse di un figlio in Vietnam? è fatta di abiti reali e di materiali acrilici, tale da metterci di fronte a una copia anche troppo fedele del vero. John De Andrea ha riprodotto coppie di amanti o corpi nudi accasciati in modo talmente veritiero, da generare quasi un senso di voyeurismo: vi sono riprodotti in modo maniacale anche i più piccoli dettagli come peli, unghie, rughe, capelli, capezzoli, pieghe dei tessuti, con un colore della plastica che li riveste in tutto simile a quello della pelle e delle mucose. Ron Mueck ci ha mostrato il corpo di una neonata, con il cordone ombelicale non ancora legato, vecchieggiante come tutti i feti appena giunti alla luce, facendone sculture in resina ingigantite o estremamente piccole ma sempre impressionanti e tragiche, quasi versioni letterali di quell’«essere gettati nel mondo» di cui parlò il filosofo Martin Heidegger: nulla a che fare con i Gesù bambini dei presepi, che sono raffigurati paffuti e rasserenanti.

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L’opinione corrente tende a identificare l’arte contemporanea con l’astrazione, ma sarebbe un errore pensare che abbia abbandonato la figurazione. Al contrario, come abbiamo visto, quest’ultima ha continuato a rimanere viva, anche se spesso incline alla deformazione dell'immagine. In ambito scultoreo, ricordiamo Henry Moore con le sue forme antropomorfe; Alberto Giacometti con corpi spigolosi e sofferenti; Giacomo Manzù, Marino Marini e Arturo Martini con la retorica del monumento. In pittura, torniamo a Francis Bacon, Graham Sutherland e Lucian Freud, che hanno lacerato il corpo umano fino a creare figure al limite del mostruoso; a Klossowski e Balthus, che hanno ripensato il surrealismo con risvolti erotici ed esoterici; al folto gruppo di coloro che, da Edward Hopper a Richard Estes, hanno esasperato a tal punto l’immagine fotografica in pittura da arrivare a una rappresentazione iperrealista. E ancora ricordiamo le figure ritratte tra tragedia e commedia umana nei quadri, distanti per geografia ma non lontani nello spirito, di autori come Maria Lassnig, Marlene Dumas, John Currin.

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Non abbiamo abbandonato la pittura vascolare di tipo greco per disamore o protesta, ma perché nel tempo ha cessato di essere un mezzo comodo e un linguaggio efficace.

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L'arte è contemporanea. Ovvero l'arte di vedere l'arte

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Sgarbi, Vittorio 1 occorrenze
  • 2012
  • Grandi Passaggi Bompiani
  • Milano
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Nel corso di dieci anni, dal 2000 circa, ho visto questo paese abbandonato Gaetano Pesce, L'Italia in croce, 2010-11. risorgere in quello che oggi è chiamato Sextantio: questo è il nome che si è dato a questo albergo diffuso. Non si tratta di un albergo fuori del centro storico, ma della bonifica di un intero paese, parzialmente disabitato, con la creazione di stanze che hanno ancora le tracce del fumo sulle pareti, i pavimenti di mattoni, i letti di legno. La “locanda” è un prodigio di ricostruzione, come una scenografia di Luchino Visconti. Tra l’altro l’intervento di bonifica del paese è stato effettuato con tale efficacia che non soltanto visitatori da tutto il mondo sono giunti a Santo Stefano per ammirare il progetto di Daniele Kihlgren - e io oggi lo indico, nella radicale impresa di conservazione, come un progetto avanzato, progressista, d’avanguardia - ma durante il terremoto del 2009 tutti i paesi confinanti hanno patito danno ad eccezione di Santo Stefano e della vicina Rocca Calascio. Il terremoto ha, insomma, risparmiato quell’area e gli edifici restaurati con le metodologie tradizionali, con la malta e con i mattoni, mentre è crollata la torre medicea che era stata restaurata negli anni Cinquanta con il cemento armato. Una prova dell’intelligenza del metodo di recupero. Ma, di nuovo, dietro di essa, vi sono la filosofia e lo spirito di un uomo.

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