Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonato

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Personaggi e vicende dell'arte moderna

260064
Venturoli, Marcello 5 occorrenze
  • 1965
  • Nistri-Lischi
  • Pisa
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Il vecchio Matisse, quando già le forze l’avevano abbandonato, si serviva di una specie di canna per segnare faticosamente le sue cordiali figure; egli appariva sempre, benché impedito, al centro della sua casa, operoso e imperterrito; Utrillo invece faceva la figura di un ospite nella sua villa; seduto col capo basso in un angolo, si nascondeva il più possibile e soffriva della presenza dei rari visitatori, come se fosse stato oggetto, anziché di ammirazione, di una cattiva curiosità.

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Pentito, immusonito, tornò a casa e si fece mettere a letto; ma l’idea della fuga non l’aveva abbandonato. Il clochard era l’unico uomo che da tempo non gli avesse fatto paura e il pittore smaniava per rivederlo. Non si sa come Utrillo riuscì a comunicare ancora una volta con l’esterno del suo carcere dorato. Fatto sta che una notte l’amico e due pittori, eludendo la vigilanza del cane di guardia, penetrarono nella villa, allo scopo di aiutare Utrillo nella sua evasione. Ma il piano fu sventato.

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Ma sempre Moore è abbandonato sub conditione, quasi che i linguaggi dovessero fare i conti con un misterioso spirito di rivalsa: ecco, le matrone del «ritorno all’ordine» intorno agli anni Trentacinque si atteggiano a colline, a rupi cresciute con ciclopica fatica, per virtù della fantasia; e il modulo iniziale, parnassiano, cade come una crisalide, restando della scultura una potenza, che può essere molte cose, ma non parnassiana; le facce a confetto dei gladiatori metafisici e surrealisti si tumefanno, mettono buche di urli, e i loro corpi di geometria respirano in possenti incavi, si coprono di elmi e di scudi, tratti dal più romantico dei musei; i totem di Brancusi, i grandi tarocchi in tutto tondo, di una perfetta partita finita senza vittoria fra natura e ragionamento, si torcono in corpi crocifissi, creando ben altra assemblea di simboli, che quella accarezzata dal grande maestro rumeno: nel rumeno una natura ridotta all’essenziale, sul filo di una lucidità che diventa fantastica meditazione, scultura che cresce un po’ al giorno, negli anni, fino alla sua completa calibratura; nell’inglese la forma definitiva nasce da un terremoto di contrasti, dal placarsi improvviso e ancor vibrante di una serie di echi.

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Le centocinquantatre opere esposte nella mostra storica del futurismo alla XXX Biennale di Venezia (sale I e IV) costituiscono nel padiglione italiano e nel quadro dei valori assoluti presenti ai Giardini, la più suggestiva e stimolante palestra, di confronti e di approfondimenti, la più ricca «lezione»: ché nelle sculture e nelle pitture di questi pionieri delle attuali avanguardie circola una convinzione tanto felice quanto impegnata, si avverte il senso della solitudine di chi, lungi dall’essere stato abbandonato o escluso dall’umano consorzio, precede di parecchie tappe il cammino degli altri.

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Guido Strazza e Giacomo Soffiantino sono due pittori che hanno in comune in questo momento una crisi di concretezza fantastica e si presentano in notevole regresso rispetto alla qualità delle loro opere esposte rispettivamente da Pogliani e all’Attico di Roma nelle stagioni scorse: Strazza, per castigarsi del pericolo del giuoco tra fumi e fili di luci colorate, come appariva alla Mostra «Italia-Francia» e al «Mogan’s Paint» di Rimini (e quadri di questo tipo si ritrovano anche nella sua «parete» alla Quadriennale, la «Immagine» e il «Nudo al mattino») ha voluto rendere più corpose e ritmate le sue dolci evasioni, ma sembra proprio che l’estro l’abbia abbandonato; Soffiantino ha voluto compiere un altro passo avanti nel cammino della liberazione dai pretesti, ha voluto rendere, attraverso cancellazioni di luci, attraverso matasse grafiche di biacche d'argento su fondi perla o cenere, il friggere, lo spostarsi, il levitare di una vita non altrimenti percepibile: sicché agli schemi tra metafisici ed espressionisti delle sue nature morte balenanti dentro superfici allungate — sorta di festuche in vitro — l’artista non ha saputo sostituire qualcosa di ugualmente «tattile» ed è precipitato in una fumisteria dei chiari.

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