Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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I PREDONI DEL SAHARA

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Salgari, Emilio 6 occorrenze

I due leoni avevano abbandonato la duna e si erano messi a girare attorno al piccolo gruppo, ruggendo spaventosamente e mostrando i formidabili denti. Il maschio soprattutto faceva paura, con quella criniera irta che lo faceva parere due volte più grosso. "Stringetevi a me," disse il marchese a El-Haggar e alla giovane. "Tenetevi pronti a fare una scarica. Io mi occupo del maschio; voi della femmina." Egli era sicuro del proprio colpo, ma dubitava molto di El-Haggar, il quale pareva che avesse perduto completamente la testa. Il povero diavolo tremava come se avesse la febbre ed il fucile ballava fra le sue mani malferme. "Esther," disse, "conto su di voi. Mirate con calma." "Lo farò, marchese," rispose la giovane la cui voce però era malferma. In quel momento verso la cima dell'ammasso di sabbia udirono echeggiare due urla di terrore. Rocco e Ben Nartico erano comparsi sul margine della caverna, entrambi inermi. "Fuggite!" gridò il marchese. I due leoni, udendo le grida dei loro prigionieri, si erano arrestati, guardandoli, come se fossero indecisi sulla scelta delle loro vittime. L'occasione era propizia per colpirli. Il marchese mirò il leone e fece fuoco. La belva mandò un ruggito spaventevole, girò due volte su se stessa volteggiando sulle zampe deretane, cadde, poi si rialzò tentando di riprendere lo slancio, ma stramazzò giù dalla duna. La leonessa, vedendo cadere il suo compagno, s'avventò furiosamente contro il marchese e lo atterrò di colpo, posandogli una zampa sul petto. Nel tempo stesso le palle di El-Haggar e di Esther la colpivano alla gola e alla testa. Non ebbe nemmeno il tempo di mandare un ruggito e cadde addosso al marchese, fulminata. Esther, pallida, coll'angoscia ed il terrore scolpiti sul viso, si era precipitata verso il signor di Sartena, credendo che fosse stato ferito. "Marchese! Marchese!" esclamò con voce rotta. Il corso con una violenta scossa si era sbarazzato della fiera e si era alzato sorridente e tranquillo. "Grazie, Esther," disse con voce commossa. "Se foste morto ... " "Vi sarebbe rincresciuto, Esther?" "Vi avrei pianto per sempre," mormorò la giovane abbassando gli occhi.

Il sahariano alzò l'arma e colpì il petto del misero, che si distese sulle pietre come se la vita lo avesse bruscamente abbandonato. L'assassino gettò sulla vittima uno sguardo smarrito, poi si slanciò verso l'interno della casa, tenendo sempre in mano il pugnale ancora grondante di sangue. In quel momento una porta si era aperta ed Esther era comparsa. Aveva ancora i capelli sciolti sulle spalle e le braccia nude come se il rumore della lotta l'avesse sorpresa nel momento in cui stava facendo la sua toeletta. Vedendo El-Melah solo, col viso sconvolto, gli occhi fiammeggianti e armato d'un pugnale sanguinante, intuì subito che qualche cosa di grave doveva essere avvenuto e che ella stessa correva un serio pericolo. "Cos'hai?" chiese, retrocedendo verso la stanza. "Perché quel viso alterato e quel pugnale? Dov'è mio fratello? Ed il marchese?" Il sahariano rimase muto dardeggiando sulla giovane uno sguardo ardente. Accortosi d'aver ancora in mano l'arma, la gettò lungi da sé, facendo un gesto d'orrore. "Cosa vuoi, El-Melah?" chiese Esther, con voce imperiosa. "Mi ha mandato qui vostro fratello per condurvi da lui," rispose finalmente il miserabile. "Dove si trova?" "Nascosto in un luogo sicuro." "Tu menti!" "E perché?" "Tu hai ucciso qualcuno. Dov'è Tasili? Dove sono i beduini?" "Tutti partiti e noi, mi capite, siamo soli," rispose El-Melah, facendo un passo innanzi. "Sola!" esclamò Esther. "Sola! El-Melah, cos'è avvenuto? In nome di Dio, parla! ... Hanno salvato il colonnello?" "Chi? ... Flatters? Ah! Ah! Voi avete creduto a quella storia? Sapete dove si trova ora la testa disseccata di quel francese? Orna la tenda del capo Tuareg Amr-el-Bekr, quello che abbiamo incontrato ai pozzi di Marabuti." "Tu m'inganni." "No, signora, e vi dirò ancora che chi ha ucciso il colonnello ed il capitano Masson e che ha tradito la spedizione per farla massacrare è stata una delle sue guide che allora si chiamava El-Aboid, poi Scebbi ed ora El-Melah. Il mio complice, Bascir, è stato avvelenato da me nelle carceri dei Biskra onde non parlasse, ma io e Amr-el-Bekr siamo ancora vivi." Dinanzi a quell'inaspettata confessione, Esther non aveva saputo frenare un grido d'orrore. El-Melah, il carovaniere salvato miracolosamente dal marchese, era quel Scebbi che avevano sperato di raggiungere nel deserto ed era pure quell'El-Aboid che assieme a Bascir aveva ordito ed effettuato la strage della missione Flatters! ... "Allora tu hai tradito anche mio fratello ed il marchese!" gridò Esther, con uno scoppio di pianto. "Non io, signora; è stato il capo dei Tuareg, quell'eccellente Amr-el-Bekr." "Miserabile, esci di qui! Tasili, aiuto! ... " "Tasili non può rispondere alla vostra chiamata, bella fanciulla." disse El- Melah, ghignando. "L'hai ucciso!" gridò Esther, indietreggiando fino alla parete. "Mi pare, ma non ne sono certo." La giovane fece velocemente il giro della stanza cercando un'arma per punire il miserabile. Vedendo a terra il pugnale lo raccolse, mandando un urlo selvaggio. El-Aboid però, con una mossa fulminea, l'aveva abbrancata a mezza vita, cercando di trascinarla verso la porta. "Aiuto!" urlò la giovane dibattendosi disperatamente. "Nessuno vi udrà," disse El-Melah, stringendola sempre più, onde impedirle di far uso del pugnale. "Venite, siete una preda destinata al sultano ... e la pagherà cara ... sì, molto cara! ... " "Aiuto!" ripeté Esther, mordendolo al collo. "Per la morte di Maometto!" urlò El-Melah, sentendosi bagnare di sangue. "Sei una vipera tu? A me, Tuareg! ... " Ad un tratto un uomo entrò precipitosamente, rovinandogli addosso. Un lampo balenò in aria e scomparve fra le spalle del sahariano. "Ecco il prezzo del tuo tradimento!" gridò una voce. El-Melah aprì le braccia lasciandosi sfuggire la giovane ebrea, fece tre passi battendo l'aria colle mani, stralunò gli occhi, poi un fiotto di sangue gli sgorgò dalle labbra ed egli cadde sul pavimento mandando un sordo rantolo.

Disgraziatamente la carovana alla quale si era unito era partita senza svegliarlo, ed il disgraziato, abbandonato fra le sabbie, senza viveri e senza animali, era stato ad un pelo di trovare la sua tomba negl'intestini della famelica pantera. Dopo però un'abbondante scorpacciata di miglio ed un riposo d'un paio d'ore, quel diavolo d'uomo si era risvegliato come uno che avesse preso regolarmente i suoi pasti. Era il momento di farlo parlare, avendo il marchese molta premura di giungere a Beramet, prima che la carovana si allontanasse troppo verso il sud. Dopo avergli offerta una pipa colma di eccellente tabacco, gli chiese a bruciapelo "Voi avete assistito certamente alla distruzione della colonna francese guidata da Flatters!" Udendo quelle parole, il santone aveva levato dalle labbra la pipa, guardando il marchese con profondo stupore. "Cosa ne sapete voi?" chiese finalmente, non senza una certa inquietudine. Poi, dopo esserglisi accostato e averlo guardato attentamente, aggiunse "Ah! Voi non siete un marocchino, bensì un europeo nelle vesti di un arabo. Mi sono ingannato?" "No," rispose il marchese, francamente. "Forse un francese." "Quasi, perché sono un algerino." "E che cosa fate qui, nel deserto?" "Vado al Senegal e attraverso il Sahara per scopi commerciali." "Mi era venuto il sospetto che vi recaste presso i Tuareg." "A che fare, se tutti i componenti la spedizione sono stati uccisi?" "Tutti! ... " "Forse che voi ne sapete qualche cosa? Forse che qualcuno di quei disgraziati è ancora vivo?" Il marabutto non rispose. Guardava ora il marchese, ora Rocco ed ora i due ebrei con una certa inquietudine che non sfuggi al suo interrogatore. "Ascoltatemi," disse questi. "Se voi mi narrate quanto sapete su quella tragedia, io vi regalo un cammello per tornarvene al Marocco e anche un bel fucile per difendervi." "Non mi tratterrete con voi?" chiese il marabutto. "A quale scopo? Noi dobbiamo andare al sud, mentre la vostra destinazione è al nord." "È molto tempo che mancate dall'Algeria?" "Sono due mesi." "Allora non avete saputo che una delle guide è stata arrestata e anche avvelenata?" "Non so nulla affatto. Quando lasciai l'Algeria non erano giunte che le prime voci sull'atroce massacro della spedizione. "Orsù, parlate; io ormai ho indovinato che sapete molte cose su quel dramma." Il marabutto esitò ancora qualche istante, poi disse con un certo tremito nella voce: "Suppongo che non mi crederete un complice dei Tuareg." "Non abbiate alcun timore intorno a ciò. I marabutti sono uomini santi e non già guerrieri," disse il marchese. "E quando avrò parlato mi lascerete andare?" insistette ancora il marabutto. "Ve lo prometto." "Questo santone non deve avere la coscienza tranquilla," mormorò Rocco. "Forse è stato lui ad aizzare i Tuareg contro gl'infedeli." Il marabutto stette alcuni istanti in silenzio come per raccogliere meglio i suoi ricordi, poi tranquillamente disse "Io mi trovavo nell'oasi di Rhat che è, si può dire, la cittadella dei Tuareg Azghar, quando avvenne il massacro della spedizione; trovandomi a poche miglia dal luogo ove i francesi vennero assaliti, nessun particolare mi è sfuggito. "Come voi avrete saputo, il colonnello, oltre al capitano Masson e a parecchi ingegneri, aveva preso con sé una forte scorta di cacciatori algerini del 1o Reggimento, fra i quali si trovavano due uomini che dovevano più tardi tradirlo: Belkasmer Ben Ahmed, che si era arruolato sotto il nome di Bascir, ed El-Aboid- Ben-Alì." "Lo sapevo," disse il marchese. "Quei due soldati non erano algerini, come si era creduto, bensì entrambi originari del paese dei Tuareg. "Giunta la spedizione nel cuore del deserto, Bascir, d'accordo col compagno, ordì il tradimento per impossessarsi delle armi e dei viveri, nonché dei denari e dei regali che supponeva nascosti nei bagagli. "Col pretesto di condurre il colonnello a visitare una miniera d'oro, trascinò la colonna a Uep-Dam, poi disertò assieme a El-Aboid e corse ad avvertire i Tuareg. Il giorno dopo milleduecento pirati del deserto piombavano sulla spedizione, opprimendola col loro numero. "Flatters, il capitano Masson ed un sottufficiale caddero vivi nelle mani dei nemici; altri, guidati da un sergente, riuscirono ad aprirsi un passaggio attraverso le file degli assalitori, fuggendo poi verso il nord, ma i più rimasero sul terreno, falciati dalle larghe sciabolate dei fanatici. "Devo aggiungere che alcuni giorni innanzi i Tuareg avevano già tentato di distruggere la colonna, vendendo ai suoi membri dei datteri avvelenati, i quali avevano prodotto coliche spaventose. Solo alcuni soldati erano spirati sulle sabbie infuocate e dopo atroci tormenti. "I superstiti intanto avevano continuato la loro fuga verso il settentrione, tormentati incessantemente dai Tuareg, che non lasciavano loro un istante di tregua. "Quei disgraziati, morenti di fame e di sete, che si assassinavano reciprocamente durante veri accessi di follia furiosa, sono caduti quasi tutti mordendo le sabbie negli ultimi spasimi dell'agonia." "Cos'è successo poi del colonnello Flatters e di Masson?" domandò il marchese. "Del colonnello io ignoro se sia stato risparmiato o ucciso. Ho udito però raccontare che i Tuareg lo avevano condotto verso Tombuctu, non so se per finirlo lontano dagli sguardi di tutti, o se per renderlo schiavo di quel sultano." "Allora voi non escludete la supposizione che possa essere ancora vivo?" chiese il marchese. "Anch'io ho udito raccontare che è stato condotto a Tombuctu." "Ignoro la sua sorte," rispose il marabutto. "Giuratelo." "Lo giuro sul Corano." "E il capitano Masson?" "Ho veduto la sua testa piantata in cima ad una picca e anche quella del sergente." "Infami!" gridò Rocco. "Mi avete detto che uno dei traditori è stato arrestato," riprese il marchese. "Sì, Bascir, il quale aveva avuto l'audacia di recarsi a Biskra con la speranza d'indurre il governatore dell'Algeria ad organizzare una spedizione di soccorso per farla poi massacrare dai Tuareg. "Riconosciuto da uno dei pochi superstiti, venne arrestato e, dopo essere stato ubbriacato, fu sottoposto a lunghi interrogatori." "Ed ha confessato tutto?" "Sì, aggiungendo anzi che il colonnello Flatters era stato ucciso perché si era rifiutato di scrivere una lettera colla quale doveva chiedere una colonna di soccorso." "Che Bascir abbia detto il vero?" "Uhm! Ne dubito, signore." "È ancora vivo quell'uomo?" "Ho saputo che è stato avvelenato l'8 agosto nelle carceri di Biskra per opera di alcuni amici dei Tuareg e coll'aiuto del trattore arabo incaricato di fornire i cibi ai prigionieri. Probabilmente temevano che, minacciato di morte e colle promesse di laute ricompense, potessero indurlo a servire di guida ad una spedizione vendicatrice." "Ed il compagno di Bascir, quell'El-Aboid, sapete dove si trovi ora?" chiese Ben Nartico. "Mi hanno detto che è cammelliere in una carovana che si dirige verso Tombuctu." "È l'uomo che cerchiamo e che ci fu segnalato dal vecchio Hassan," disse l'ebreo al corso, parlando in lingua francese. "Sì," rispose il signor di Sartena, il quale era diventato meditabondo. "Egli deve ora nascondersi sotto il nome di Scebbi, ma noi lo ritroveremo egualmente." Fece sciogliere uno dei migliori cammelli, e lo condusse dinanzi al marabutto, a cui Rocco aveva già dato un fucile e delle munizioni. "È vostro," gli disse. "Vi auguro buon viaggio." "Grazie del dono e d'avermi salvato la vita," rispose il marabutto. "Che Dio sia con voi." Salì in sella, fece alzare il cammello e poi aggiunse "Badate, i Tuareg vegliano onde nessun europeo s'addentri nel deserto. Temono la vendetta dei francesi." Così dicendo si allontanò. "Signore, che cosa ne dite di quel santone?" chiese Rocco, guardando il marabutto che stava per scomparire dietro alle dune. "Che quell'uomo non deve essere stato estraneo al massacro della spedizione," rispose il marchese. "E colle sue parole deve aver aizzato i Tuareg a dare addosso agl'infedeli," aggiunse Ben Nartico. "Questi santoni sono dei pericolosi bricconi." Mezz'ora dopo la carovana riprendeva le mosse, dirigendosi verso le pianure sabbiose del sud.

Appena gli inseguitori furono lontani, El-Haggar, abbandonato il nascondiglio, si era gettato in un'altra viuzza e attraversando ortaglie incolte aveva potuto raggiungere indisturbato i quartieri più meridionali della città. Avendo promesso al marchese di recarsi da Esther per avvertirla dell'esito della spedizione, desiderava vedere subito la giovane. "Sarà un colpo terribile per lei," mormorò il moro, che si sentiva stringere il cuore a quel pensiero. "A meno d'un miracolo, il padrone, Ben e Rocco sono perduti; chi può averci traditi? Chi? ... " Ad un tratto un sospetto gli attraversò il cervello. "El-Melah!" esclamò. "Non può essere stato che quel miserabile! È stato lui a condurci l'arabo, è stato lui a preparare il piano e anche la sua scomparsa l'accusa. Ah! ... Per Maometto! ... La pagherà cara! ... E la signora Esther? Che sia in pericolo?" Allungò il passo, in preda a mille angosciosi pensieri. Temeva di giungere troppo tardi alla casa dell'ebreo. Quando si vide nei pressi del giardino, prima d'impegnarsi nella viuzza, fece il giro della casa e non vide nulla che potesse confermare i suoi sospetti. I dintorni parevano deserti e la porta della casa era ancora chiusa, come quando era partito assieme al marchese ed a Ben. Un pò rassicurato, girò lungo il muro del giardino per giungere al cancello e subito si arrestò indeciso. Dietro l'ammasso di rottami che ingombrava la via, aveva scorto un turbante che poi era subito scomparso. "Vi sono degli uomini nascosti là," disse. "Chi saranno? Dei kissuri forse?" Stette un momento esitante, poi impugnata la rivoltella colla sinistra e l'jatagan colla destra varcò la porta. Anche nel giardino nessun disordine, né alcuna traccia di violenza. I cammelli ed i mehari, coricati l'uno presso l'altro, sonnecchiavano, mentre presso il pozzo bollivano alcune pentole. "Nessuno!" esclamò, impallidendo. "Dove sono Tasili ed i beduini? E la signora Esther?" Ad un tratto udì delle voci che echeggiavano dalla parte del cortile. "C'è qualcuno qui," disse. Si slanciò verso l'andito ed entrò nel cortile, ma giunto sotto il porticato s'arrestò, poi retrocesse con orrore. Tasili giaceva presso una colonna, coricato su di un fianco, colle mani raggrinzite sul petto e le gambe distese. Una larga macchia di sangue si dilatava lentamente attorno al disgraziato. "L'hanno assassinato!" esclamò. Stava per curvarsi sul vecchio, quando udì Esther gridare: "Aiuto! Tasili!" El-Haggar in certi momenti era coraggioso. Quantunque ignorasse con quanti avversari avesse a che fare, si slanciò risolutamente in soccorso della giovane ebrea. Attraversò le due stanze e nella terza vide El-Melah che tentava di trascinare con sé la giovane. Comprese tutto. Alzò la rivoltella per far fuoco sul rapitore, poi, temendo che la palla potesse ferire anche la giovane, l'abbassò impugnando invece l'jatagan e si scagliò sul traditore, sprofondandogli l'arma fra le spalle. Il colpo vibrato dal moro fu così tremendo, da troncare di colpo la spina dorsale. La morte dell'assassino del colonnello Flatters era stata, si può dire, quasi fulminante. Esther vedendolo cadere, si era precipitata verso El-Haggar, il quale teneva ancora in pugno l'arma. "Ringraziate Allah, signora," disse il moro, "che mi ha fatto giungere in tempo per salvarvi e per vendicare il padrone e vostro fratello. Questo miserabile ci aveva venduti tutti al sultano." "E il marchese? E Ben?" gridò Esther, con un singhiozzo straziante. "Temo, signora, che siano perduti," rispose El-Haggar con voce triste. "Potente Iddio!" esclamò la giovane, coprendosi il viso. "Ignoro però se siano stati fatti prigionieri, perché quando fuggii per venire ad avvertirvi, i kissuri non avevano ancora assalito il padiglione." "Narrami tutto, El-Haggar! Voglio sapere tutto." Il moro in poche parole raccontò tutto ciò che era avvenuto dopo la loro partenza, fino al momento in cui i kissuri accorrevano da tutte le parti della piazza. "El-Haggar," disse la giovane, con suprema energia. "Andiamo alla kasbah. Dove sono i beduini e Tasili?" "I primi sono scomparsi ed il vostro servo è stato assassinato da El-Melah." "Tasili ucciso!" esclamò Esther, con dolore. "Andiamo a vederlo, signora, se ne avrete il coraggio." "Ne avrò, El-Haggar." Stavano per uscire, quando il moro le disse "Armatevi, signora. Ho veduto degli uomini nascosti presso la cinta del giardino." "Dei kissuri?" "Suppongo che siano dei complici di El-Melah." "Ho la mia carabina e la rivoltella." Esther rientrò nella sua stanza, si annodò rapidamente i capelli, indossò il giubbetto ricamato, si gettò sulle spalle un caic fornito d'un ampio cappuccio, prese le sue armi e raggiunse il moro il quale era già uscito dal porticato. "Mio povero e fedele Tasili!" gemette la giovane, curvandosi sul vecchio servo di suo padre. "È morto, signora," disse El-Haggar. "Il traditore lo ha colpito al cuore." "L'infame!" Sollevò dolcemente il capo del vecchio moro, guardandolo per alcuni istanti cogli occhi lagrimosi, sperando forse di sorprendere su quel volto qualche indizio di vita, poi lo lasciò ricadere. "Riposa in pace, mio fedele Tasili," disse. "Avrai onorata sepoltura." "Venite, signora," disse El-Haggar, allontanandola con dolce violenza. Giunti nel giardino, il moro bardò il cavallo e l'asino, aiutò Esther a salire sul primo, inforcò il secondo, e si diresse verso il cancello. "Adagio, signora," disse il moro staccando dalla sella il suo lungo fucile marocchino e armandolo. "Gli uomini che ho scorti sono dietro quell'ammasso di macerie." "Vuoi cacciarli?" "Potrebbero seguirci o approfittare della nostra assenza per derubarci dei bagagli e dei cammelli. Ah! I beduini!" All'estremità della viuzza erano comparsi i due figli del deserto, tenendo in mano i loro moschettoni. Vedendo El-Haggar ed Esther, affrettarono il passo. "Signora," disse uno dei due. "Non abbiamo veduto nessuno sulla piazza del mercato." "Chi vi ha mandati colà?" chiese Esther, stupita. "El-Melah. Ci aveva detto che il servo del marchese ci attendeva." "Ora comprendo," disse El-Haggar. "Quel miserabile li aveva allontanati per assassinare Tasili ed impadronirsi di voi." "Vi sono degli uomini dietro a quei rottami," disse El-Haggar ai beduini. "Che cosa dobbiamo fare?" chiese il primo. "Noi non abbiamo paura di nessuno," rispose il secondo. "Seguiteci," disse Esther. Spronò il cavallo, imbracciò la sua piccola carabina americana e si diresse risolutamente verso le macerie, mentre i due beduini giravano al largo. I quattro Tuareg, che non si erano ancora mossi, non avendo udito il segnale di El-Melah, vedendo quelle quattro persone armate di fucili balzarono sul cumulo, puntando le lance. "Che cosa fate qui?" chiese El-Haggar, con voce minacciosa. "Aspettiamo un uomo che abita in quella casa," rispose uno di loro. "El-Melah, forse?" "Sì, El-Melah o El-Aboid, come vi piace." "Non ha più bisogno di voi," disse Esther. I quattro Tuareg s'interrogarono collo sguardo. "Andate," disse El-Haggar, vedendo che non si decidevano. "E dove?" chiese il Tuareg che aveva parlato pel primo. "El-Melah è partito per Kabra." I Tuareg si scambiarono alcune parole, poi vedendo che non avrebbero potuto resistere a quelle quattro persone armate di fucili e che parevano molto risolute, abbassarono le lance, scesero il cumulo e partirono frettolosamente, forse molto soddisfatti che le cose fossero passate così lisce. "Voi rimanete a guardia dei cammelli e dei bagagli," disse El-Haggar, quando i predoni furono scomparsi. "Attendete il nostro ritorno." I due beduini rientrarono nel giardino chiudendo il cancello. "Ed ora, signora," continuò il moro. "Abbassate il cappuccio onde non s'accorgano che siete una donna, avvolgetevi bene nel caic e seguitemi." "Andiamo alla kasbah?" chiese Esther, con voce tremante. "Sì, signora. In un quarto d'ora noi vi saremo." Aizzarono il cavallo e l'asino e si diressero verso i quartieri centrali della città, scegliendo le vie meno frequentate. Essendovi festa in tutte le case, la festa della carne di montone, pochissime erano le persone che s'incontravano e quelle poche non erano che dei miserabili negri che non potevano certo dare impiccio. Nondimeno per maggiore precauzione El-Haggar aveva pure alzato il cappuccio, in modo da nascondere buona parte del viso, quantunque fosse più che certo di non aver lasciato tempo ai kissuri di riconoscerlo. Già non distavano dalla kasbah più di cinquecento passi, quando udirono tuonare in quella direzione un pezzo d'artiglieria. "Il cannone!" esclamò El-Haggar, trasalendo. "Ah! Signora! Disgrazia!" "Perché dici questo?" chiese Esther, impallidendo e portandosi una mano al cuore. "Il marchese ed i suoi compagni devono essersi rifugiati nel minareto del padiglione, signora." "E tu credi ... " chiese la giovane con estrema angoscia. "Che dirocchino a cannonate il minareto per costringerli alla resa." "Gran Dio! El-Haggar!" "Coraggio, signora: venite!" Sferzò l'asino costringendolo a prendere un galoppo furioso e pochi minuti dopo giungeva, sempre seguito da Esther, sulla piazza della kasbah, di fronte ai due padiglioni. La lotta era finita. Non si scorgevano che pochi curiosi che stavano radunati dinanzi alla finestra del padiglione più piccolo, osservando una larga pozza di sangue. I kissuri del sultano erano invece scomparsi. El-Haggar guardò il minareto e vide che un angolo della base era stato diroccato, probabilmente da una palla di non piccolo calibro. "Signora," disse con voce tremante, "sono stati presi." Esther vacillò e sarebbe certamente caduta dalla sella se il moro, accortosene a tempo, non l'avesse sorretta. "Badate, signora," le disse. "Ci osservano e se nasce loro qualche sospetto, prenderanno anche noi." "Hai ragione, El-Haggar," rispose la giovane reagendo energicamente contro quell'improvvisa commozione. "Sarò forte. Informati di ciò che è avvenuto. Ah! Mio povero Ben! Povero marchese!" Il moro, vedendo un vecchio dalla barba bianca che attraversava la piazza, camminando quasi a stento, gli si accostò. "È successo qualche grave avvenimento?" gli chiese, facendogli segno d'arrestarsi. "Ho udito tuonare il cannone." Il vecchio si fermò guardandolo attentamente, quasi con diffidenza. Era un uomo di sessanta e forse più anni, col volto rugoso ed incartapecorito, il naso ricurvo come il becco dei pappagalli, gli occhi neri e ancora vivissimi. Non pareva che fosse né arabo, né un fellata e tanto meno un moro a giudicare dal colore della sua pelle molto bianca ancora. "Eh, non sapete?" chiese il vecchio, dopo d'averlo guardato a lungo. "Hanno preso degli stranieri e anche un ebreo." Aveva pronunciato l'ultima parola con un accento così triste, che il moro ne era stato colpito. "Anche un ebreo?" chiese El-Haggar. "Sì," rispose il vecchio con un sospiro. "Che cosa avevano fatto quegli stranieri?" "Io non lo so. M'hanno detto che si erano rifugiati su quel minareto dove opponevano una disperata resistenza, minacciando di precipitare sulla piazza un marabuto che avevano sorpreso lassù." "Hanno poi effettuato la minaccia?" "No, perché i kissuri hanno bombardato il minareto, costringendoli ad arrendersi subito. Se avessero resistito ancora pochi minuti, tutta la costruzione sarebbe precipitata e gli stranieri insieme." "Dunque sono stati presi?" "Si, e anche quel disgraziato israelita." "V'interessava quel giovane ebreo?" chiese El-Haggar. Il vecchio invece di rispondere guardò nuovamente il moro, poi gli volse le spalle per andarsene. "Non così presto," disse El-Haggar, prendendolo per un braccio. "Vi ho scoperto." "Che cosa dite?" chiese il vecchio, trasalendo. "Voi compiangete quel vostro correligionario." "Io, ebreo?" "Silenzio, potreste perdervi e perdere anche quella giovane che monta quel cavallo. È la sorella del giovane ebreo che i kissuri hanno arrestato." "Voi volete ingannarmi." "No, non sono una spia del sultano," disse il moro, con voce grave. "Quella giovane è la figlia di Nartico, un ebreo che ha fatto la sua fortuna in Tombuctu." "Nartico!" balbettò il vecchio. "Voi avete detto Nartico! ... Chi siete voi dunque? ... " "Un servo fedele degli uomini che sono stati presi dai kissuri." "E quella donna è la figlia di Nartico? ... Del mio vecchio amico? ... " "Ve lo giuro sul Corano." Un forte tremito agitava le membra dell'ebreo. Stette alcuni istanti senza parlare, come se la lingua gli si fosse paralizzata, poi facendo uno sforzo, balbettò: "Alla mia casa ... alla mia casa ... Dio possente! La figlia di Nartico qui! ... Il figlio prigioniero! Bisogna salvarlo ... Venite! Venite! ... " "Precedeteci," disse il moro con voce giuliva. "Noi vi seguiamo." Raggiunse Esther la quale attendeva, in preda a mille angosce, la fine di quel colloquio e la informò di quella insperata fortuna. "È Dio che ce lo ha mandato," disse la fanciulla. "Quell'ebreo, che deve essere stato un amico di mio padre, salverà il marchese e mio fratello." "Ho fiducia anch'io in quell'uomo, signora," rispose El-Haggar. Raggiunsero il vecchio, il quale si era diretto verso una viuzza assai stretta, fiancheggiata da giardini e da casupole di paglia e di fango abitate da poveri negri, tenendosi però ad una certa distanza onde non suscitare dei sospetti. L'ebreo pareva che avesse acquistato una forza straordinaria; camminava con passo rapido e senza servirsi del bastone. Di quando in quando si arrestava per osservare Esther, poi riprendeva il cammino con maggior velocità. Attraversò così quattro o cinque viuzze e si arrestò dinanzi ad una casetta ad un solo piano, di forma quadrata, sormontata da un terrazzo e ombreggiata da un gruppo di superbi palmizi. Aprì la porta e volgendosi verso Esther disse: "Entrate nella casa di Samuele Haley, vecchio amico di vostro padre. Tutto quello che possiedo è vostro; consideratevi quindi come la padrona."

Era quindi probabile che anche le sentinelle incaricate della sorveglianza della cinta avessero abbandonato i loro posti per prendere parte alla festa. I due isolani e l'ebreo, sempre strisciando, erano giunti inosservati sull'orlo dei fossato che s'apriva dinanzi alla cinta. Come avevano preveduto, era pieno di rami spinosi, che, se erano un ostacolo insuperabile per i negri, non lo erano affatto per loro, che avevano dei buoni stivali e delle uose altissime di grossa pelle. "Scendiamo con precauzione," disse il marchese. Tenendosi per mano, si calarono nel fossato. La massa dei rami spinosi cedette sotto il loro peso, cosicché la traversata fu compiuta con poche scalfitture di nessuna importanza e con qualche strappo alle vesti. Giunti sull'orlo opposto, si appoggiarono contro la cinta. Era formata da grossi tronchi d'albero, uniti da solide traverse, e vi erano qua. e là dei pertugi e delle feritoie destinate al lancio delle frecce. Il marchese aveva accostato il viso ad una di quelle aperture. Alcuni enormi falò ardevano su un piazzale, ed intorno ballavano furiosamente, al suono d'un'orchestra selvaggia, un centinaio o poco più fra uomini, donne e ragazzi, urlando come indemoniati, urtandosi ed atterrandosi. Parecchi altri, radunati attorno a delle grosse zucche ed a vasi di argilla di dimensioni mostruose, bevevano a crepapelle, finché cadevano al suolo completamente ubriachi. Ad un tratto una sorda esclamazione sfuggi al marchese. "Che cosa avete?" chiese Ben, con ansietà. "Esther!" "Dov'è?" "Guardatela, Ben," disse il marchese con voce commossa, lasciandogli il posto. La giovane ebrea si trovava seduta in mezzo al cerchio dei ballerini, su una soffice stuoia. Pareva tranquillissima e guardava più con curiosità che con spavento i suoi rapitori. "Ah! Mia povera sorella!" singhiozzò Ben. "Rallegriamoci di averla trovata," disse il marchese. "Temevo che quel maledetto negro ci avesse ingannato e che l'avessero condotta in qualche altro villaggio o consegnata già ai kissuri." "Ah! Che splendida idea!" esclamò Rocco. "Parla, Rocco," disse il marchese. "Incendiamo il villaggio, signore. Queste canne devono bruciare in un lampo, e noi approfitteremo dello spavento che si impadronirà di quegli ubbriachi per slanciarci sulla signorina Esther e portarla via. "Non perdiamo tempo, marchese," aggiunse Ben. "I kissuri possono giungere da un momento all'altro, e voi sapete che quelli non hanno paura." Il marchese si sciolse la lunga fascia di lana e la unì a quella che già gli porgeva l'ebreo, il quale aveva subito compreso il suo piano. "Appoggiati alla cinta, Rocco," disse. "Salite pure, marchese. Le mie spalle sono solide." Il signor di Sartena s'arrampicò sul colosso, si aggrappò alle traverse e si levò sulle punte dei piedi, sostenendosi all'orlo superiore della palizzata. "Ci siete, signore?" chiese il sardo. "Sì, Rocco." "A voi, signor Ben." Mentre il marchese assicurava all'estremità d'un palo la fascia di lana che doveva servire ad aiutare la scalata del sardo, Ben era salito a sua volta. Attesero che Rocco fosse salito, poi si lasciarono cadere tutti e tre dall'altra parte, precipitando in un secondo fossato, pieno anch'esso di spine che non avevano potuto scorgere. Fu un vero miracolo se non sfuggi loro un grido di dolore. Le spine erano entrate nelle loro carni, facendole sanguinare in vari luoghi. "Maledetti negri!" brontolò Rocco che si dibatteva per liberare le vesti e per rimettersi in piedi. "Non facciamo rumore," disse il marchese. "Possono accorgersi della nostra presenza, ed uccidere prima di tutto Esther." Con precauzione si sbarazzarono delle spine, mordendosi le labbra per non lasciarsi sfuggire dei gemiti. Dopo alcuni minuti giungevano finalmente sull'orlo del fossato. Si trovarono dietro una fila di capanne, che si estendeva lungo la piazza illuminata dai falò. "Entriamo in una capanna ed accendiamola," sussurrò il marchese. "Devono essere tutte vuote." Scavalcarono una siepe ed entrarono in un recinto, dove si trovavano alcuni cavalli di piccola statura. Un'idea balenò nella mente del marchese. "Ve ne sono una quindicina," disse, "e a noi quattro bastano. Rocco!" "Signore!" "Raccogli alcuni fasci di canne e legali alle code di questi cavalli. Lasciane quattro per noi. Giuocheremo un brutto tiro a questi negri. Aiutate Rocco, amico, mentre io entro in una di queste capanne e la incendio." "E noi?" "Accendete invece le canne e lasciate che i cavalli corrano." "Ho compreso, marchese." A destra del recinto si alzava una vasta capanna circolare, la cui porta metteva in quella specie di cortile. Il marchese, vedendo un cumulo di paglia, ne prese una bracciata ed entrò nell'abituro, inoltrandosi a tentoni, per la profonda oscurità che regnava là dentro. Depose la paglia in un angolo, poi accese uno zolfanello, ma subito lo spense, mentre una voce di donna urlava a squarciagola "Awah! Awah! Hon!" Il signor di Sartena era rimasto per un momento immobile, poi si era gettato impetuosamente verso l'angolo della capanna da cui continuavano ad alzarsi le grida. Afferrò la donna stringendola per la gola. Fortunatamente l'orchestra dei negri e le urla dei ballerini avevano soffocato quelle grida; ma Rocco e Ben le avevano udite. Credendo che il marchese fosse alle prese con qualche negro ed in pericolo, si erano precipitati nella capanna coi coltelli in pugno. "Signore!" "Marchese!" "Aiutami, Rocco," disse il signor di Sartena. "Imbavaglia questa donna, o colle sue grida farà accorrere tutti gli abitanti del villaggio." A tentoni la donna fu strettamente imbavagliata. "Portala fuori ora," disse il marchese. "Se la lasciamo qui, brucerà colla capanna. Sono pronti i cavalli?" "Hanno tutti un bel fascio di canne appeso alla coda." "Accendete, poi lasciate in libertà gli animali." In quel momento si udirono in lontananza due scariche di moschetteria. "Demonio!" esclamò il marchese, trasalendo. "Che siano i kissuri che tornano? Presto, Rocco! Presto, Ben!" L'ebreo ed il sardo, spaventati, si erano slanciati fuori, portando la donna. Il marchese accese un secondo zolfanello e diede fuoco alla paglia, gettandovi poi sopra tutte le stuoie che si trovavano nella capanna. Rocco e Ben intanto avevano messo fuoco ai fastelli appesi dietro i cavalli. Le povere bestie, atterrite, rese pazze dal dolore, spezzarono le funi che le trattenevano e si scagliarono verso la siepe, sfondandola di colpo. Intanto il marchese, Rocco e Ben avevano inforcato gli altri, tenendo per la briglia il quarto. "Avanti!" gridò il signor di Sartena. "Vuotate i serbatoi dei fucili e attenti a Esther." Si erano slanciati dietro ai cavalli che portavano i fastelli accesi, mentre immense lingue di fuoco s'alzavano sulla capanna, minacciando le altre che erano vicinissime. I danzatori, vedendosi giungere addosso tutti quei cavalli che il dolore rendeva pazzi, si erano precipitati confusamente a destra ed a manca, mentre da tutte le parti risuonavano grida di "Al fuoco! Al fuoco!" Il peggio fu quando udirono i primi spari. Il marchese ed i suoi compagni avevano aperto un fuoco accelerato contro i fuggenti, mettendoli pienamente in rotta. "Largo!" tuonava il marchese, facendo impennare il cavallo. Mentre Rocco e Ben continuavano il fuoco, si spinse fra i falò, conducendo l'altro cavallo, e giunse presso la giovane ebrea. "Esther!" gridò. "In sella!" "Marchese!" esclamò la giovane, alzando le braccia verso di lui. "Ah! Grazie! Grazie! Lo sapevo che non mi avreste abbandonata!" Il signor di Sartena la sollevò come se fosse una piuma, e la mise sul cavallo che conduceva, gridando: "In ritirata!" Le capanne bruciavano dappertutto. Le scintille, cadendo dovunque, facevano scoppiare nuovi incendi. I negri, atterriti, credendo forse di aver di fronte un grosso numero di nemici, erano fuggiti senza tentare la menoma resistenza, disperdendosi per la pianura. I quattro cavalieri passarono a galoppo sfrenato fra le capanne fiammeggianti e scomparvero in direzione della palude, mentre in lontananza si udivano echeggiare urla di spavento e qualche colpo di fucile. "Dove andiamo, signore?" chiese Rocco. "Sarà impossibile attraversare quel pantano." "Ne faremo il giro," rispose il marchese. I cavalli, spaventati dall'incendio che proiettava sulla pianura una luce intensa, correvano come daini, senza bisogno di essere aizzati. Giunsero in pochi minuti sulle rive dei primi stagni e piegarono a sinistra, seguendone le rive, senza che fosse necessario guidarti. Dovevano conoscere la via che forse avevano percorso molte volte per trasportare al villaggio i carichi delle scialuppe. In meno di venti minuti girarono la pianura pantanosa e raggiunsero il margine del bosco. "Cerchiamo di orizzontarci," disse il marchese. "Il fiume sta dinanzi a noi," disse Rocco. "Troveremo subito la scialuppa." Si cacciaron sotto il bosco, seguendo le rive di un ruscelletto, e si trovarono ben presto nella piccola laguna. La scialuppa era ancora là, guardata da El- Haggar e dai due battellieri. "Esther!" disse il marchese, "raggiungete l'imbarcazione. Noi faremo una battuta nel bosco, prima di prendere il largo." Discesero da cavallo, lasciando che gli animali se ne andassero liberamente, non essendo più di alcuna utilità; poi i due isolani e l'ebreo fecero il giro del bacino, sia per procurarsi dei viveri, sia per assicurarsi che non vi fossero altri negri nascosti fra le piante. "Non abbiamo nulla da temere," disse il marchese. "Gli abitanti del villaggio non temeranno più qui di certo, dopo la lezione che abbiamo loro inferta. Fra poco d'altronde noi usciremo sul fiume e ce ne andremo da questi luoghi pericolosi." "Credete che tutto sia finito?" chiese Ben. "Lo spero," rispose il marchese. "Che cosa possiamo temere ancora?" "Uhm! io non sono tranquillo, signore. Conosco l'ostinazione dei negri, e vedrete che ci aspetteranno sul Niger." I tre esploratori fecero il giro del bacino senza aver incontrato alcun negro e tornarono verso la scialuppa portando un enorme grappolo di banane e un'ottarda che Rocco aveva sorpresa in mezzo ad un cespuglio e uccisa col calcio del fucile. "Nessuno?" chiese Esther, appena li vide. "La foresta è disabitata," rispose il marchese. "Credo che potremo divorare la nostra colazione senza venire disturbati." "Ne siete ben certo, signore?" chiese il sospettoso El-Haggar, crollando il capo. "Hai udito forse qualche cosa?" "Qui no, ma verso il fiume in direzione di Koromeh mi è sembrato di udire rullare i noggara." "Quegli abitanti non possono averci veduti." "Però perlustreranno il fiume. I nostri canottieri mi hanno detto che in quella borgata vi sono moltissime scialuppe e anche grosse." "Mi pare che siamo ben nascosti, tuttavia manderemo i battellieri sulla riva," disse il marchese. "Al primo allarme ci getteremo nella foresta. Rocco, prepara la colazione." "L'ottarda è già spennata." Fu acceso il fuoco sotto un sicomoro, onde il fumo non si spandesse e venisse notato dai rivieraschi o dai canottieri di Koromeh, ed il grosso volatile fu messo ad arrostire sotto la sorveglianza del buon sardo. Una mezz'ora dopo tutti davano vigorosamente l'assalto alla deliziosa colazione, mentre verso l'opposta riva del fiume si udivano rullare cupamente i tamburi di guerra.

Frattanto lo struzzo, abbandonato dai compagni già lontanissimi, era tornato ad alzarsi. Fece ancora cinque o sei passi zoppicando, poi tornò a cadere e questa volta per non più rialzarsi. Il marchese in pochi salti lo raggiunse, gli strappò un bel mazzo di:i piume candidissime e porgendole a Esther, le disse con galanteria "Alla bella cacciatrice." "Grazie, marchese," rispose la giovane, arrossendo di piacere. Ben si era accontentato di sorridere.

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