Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 8 in 1 pagine

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Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266496
Boito, Camillo 3 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
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Certo, per uccidersi ha scelto il luogo deserto di un parco abbandonato. Nel tronco morto e nelle ortiche del terreno v’è una desolazione lugubre: l’ambiente della figura — cosa rarissima nella statuaria — è trovato con evidenza pittorica. Non si sa il perchè, ma si va pensando ad una mattina rigida, nebbiosa, cupa, senza aurora: una di quelle mattine, in cui ci si sente larve d’uomini in mezzo alle larve della natura.

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Il giardino è melanconico: tra le larghe pietre del lastrico e tra i ciottoli spunta liberamente il verde dell’erba; dietro gl’incartocciati balaustri del parapetto si vede un parco abbandonato, paludoso, con degli alberi in fondo, e poi nell’ampia pianura le case candide del villaggio lontano. Queste riverenze in mezzo a questi malsani resti di vecchie ricchezze, parrebbero il simbolo di una società che muore, se il Bianchi si desse alla melanconia di cercare così astrusi concetti. Ma il fatto è che il quadro ha il carattere giusto e sincero della cosa che vuole rappresentare: al Bianchi la cipria ed i guardinfanti giovano per la schiettezza del dipingere, poichè giustificano con le esatte affettazioni degli atti, delle espressioni e degli abbigliamenti, le affettazioni che la sua pittura non sa e non vuole sempre scansare. L’arte del Bianchi è più solida che profonda: non isvanisce dalla memoria, anzi piglia corpo e vita, ma una vita materiale, quasi teatrale. Cotesta pittura, che è tutta abilità, odora sempre un tantino, come la pittura del Tiepolo, di tavolozza e di pennelli.

Pagina 271

Ma non pare più del Leys il quarto dipinto con una storia di Rubens dentro, scomposto, scuro tutt’intorno e a sprazzi di luce nel mezzo, come una voglia di imitazione del Rembrandt; tanto gli artisti grandi s’impacciano quando, abbandonato il loro modo consueto, si propongono di seguirne uno diverso, ribellandosi alla propria natura. Il solito arcaismo del Leys aveva all’incontro un fondamento nell’animo stesso del pittore, tanto che i pensieri dovevano pigliare . senz’altro quella forma ingenua e pur dotta, nella quale una certa rigidezza non esclude la grazia, ed una certa pesantezza non esclude il moto. Ma gli imitatori di lui, come sempre accade, gli stanno discosto, il Lies tra gli altri, che pare voglia e non sappia emularlo insino nel nome. Altro infatti è ispirarsi ad un passato modo dell’arte, altro è seguire le orme di un maestro che vi si è ispirato, poichè nel primo caso sembra che il tempo corso tra il modello e l’imitazione lasci quel tanto spazio di libertà alla fantasia dell’artefice, che basta a rivelare compiutamente le virtù e i vizii del suo proprio ingegno.

Pagina 351

Racconti 1

662673
Capuana, Luigi 5 occorrenze
  • 1877
  • Salerno Editrice
  • prosa letteraria
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. - abbandonato sopra il divano, anelante, con le braccia penzoloni, abbattuto da quell'insperata felicità; e guardando fissamente nello specchio di fronte, si vedeva pallido come un cadavere, con gli occhi smarriti ... - No, non è vero! - Nello studio, silenzio profondo, penombra soave. Il gran quadro, i bozzetti, i disegni a penna, le stampe rare, le panoplie, gli strumenti barbari, le stoffe antiche, i vecchi mobili scolpiti, tutti i gingilli di bronzo e di porcellana sparsi disordinatamente qua e là, stavano assopiti nella grande quiete della sera che invadeva la stanza vasta e alta; quiete commovente, pietosa, quasi d'addio! ... Soltanto la figura di donna ignuda, mezz'affondata tra la giubba d'una pelle di leone, soltanto quella pare va lo guardasse intentamente con occhi vibranti, cerchiati d'azzurro, invitandolo ai baci con le sottili labbra semiaperte, insistente, insistente, quasi dovesse lei, e non l'altra, prendergli la vita, la giovinezza, l'avvenire, tutto, in cambio d'un bacio, d'uno solo! "A questo patto, venite!" Si alzò barcollante nel buio; e chiuso l'uscio, discese le scale, non accorgendosi neppure che erano al buio anch'esse; tanta luce gli rideva nel cuore! Appena scorse, indistinta nell'oscurità, in fondo al gran viale alberato, la palazzina indicatagli, Alberto s'inoltrò in punta di piedi, trattenendo il respiro. Gli immani alberi attorno stormivano leggermente; nel cielo, di un nero d'inchiostro, brillavano poche stelle; e al loro scarso lume si vedevano i fumaioli rizzati fantasticamente sul tetto, quasi persone poste in sentinella, in strana lontananza; la quale pareva indietreggiasse, indietreggiasse, di mano in mano ch'egli, con andare di sonnambulo, in oltravasi, sopraffatto dall'improvviso terrore di esseri sovrumani - nascosti fra le siepi scure e fra i cespugli - della cui presenza gli pareva lo avvertisse quel brivido che gli formicolava per la persona. La palazzina era lí, a pochi passi, silenziosa, con tutte le finestre chiuse; e le piante arrampicate serpeggiando alla facciata, sembravano larghi crepacci di vecchio edifizio lasciato in preda alla distruzione ... Allora, senza far rumore, un usciolino s'era aperto; il bianco fantasma apparso sulla soglia aveva accennato con una mano; un mormorio di voce femminile s'era disperso, inintelligibile, nell'oscurità ... E Alberto, seguendo quel bianco fantasma di donna pel breve corridoio rischiarato da riflessi che scappavano da un uscio socchiuso, credeva proprio di sognare; e mentalmente pregava: - È troppo bello, Signore! Non vorrei piú svegliarmi, Signore! - Ella lo aveva spinto, tutt'a a un tratto, nella stanza illuminata, arrestandosi, mezza avvolta tra le tende dell'uscio, con vivissimo stupore negli occhi dilatati. - E siete venuto? ... A quel patto? - Alberto non aveva forza di rispondere, intimidito da quegli sguardi che lo scrutavano, da quell'esotico accento che dava alla parola un'espressione piú efficace, quasi un significato nuovo e profondo, che nessuno avrebbe mai sospettato. - A quel patto? - Ella lo ripeteva con una specie di malvagia durezza nell'atteggiamento delle labbra e nella voce; diffidente, immobile fra le tende grige, quasi in mezzo a nube che dovesse, da lí a poco, avvolgerla e farla sparire dagli occhi di lui. - Grazie! La ho vista da vicino ... Ho inteso la sua voce ... Mi basta! ... Mi faccia morire! ... Mi basta! ... - balbettò, fissandola con supplichevole sguardo. Tutto quel che provava era cosí assurdo, cosí incredibile e cosí immensamente dolce, da farlo soffrire piú di ogni tormento di desiderio, piú d'ogni smania di speranza, piú di ogni angoscia di disperazione in quei tre mesi provata. - Sedete - ella disse, slanciandosi per allungarsi nella poltrona dirimpetto a lui. - Vi ho creduto. Vi conoscevo, da un pezzo, avendovi notato tra la folla; mi seguivate dovunque! ... Vi ho creduto, perché ho visto prima i vostri sguardi ... Sono una donna come le altre ... ma fino a un certo punto. Un'altra, infatti, non avrebbe accettato; io sí. A qualunque altra mancherebbe il coraggio di dirvi: "Ecco un veleno che non perdona; bevete ... e baciatemi!" Non mi avete proposto questo? - Sí! ... - E se io non avessi risposto? Che avreste fatto? - Non lo so -. Alberto se la divorava con gli occhi, ancora incerto s'ella fosse davvero lí, stesa su quella poltrona. La veste da camera di seta cinese, spumeggiante di trine, le modellava talmente alcune parti del corpo da svelarne tutto il meraviglioso segreto delle linee, che qua e là si perdeva nell'ondeggiamento della stoffa. Quella voce cosí meravigliosamente melodiosa che poco prima era risuonata pel salottino con accento vibrante, ora quasi mormorava. Col capo indietro, le braccia distese lungo il corpo e le dita delle mani incrociate, ella lo guardava fisso e continuava: - Non avete ben riflettuto, forse; siete però ancora in tempo. La vita è cosí bella! ... Voi amate, almeno vi sembra ... Dicono che sia cosí delizioso! Amare! Illudersi! Essere amata dovrebbe essere delizioso egualmente ... Ma la certezza? ... E poi, tutto questo dura appena un istante. Riflettete. Io sono donna: ho quella curiosità che rende fin perverse e crudeli ... Ho accettato per mera curiosità. Se voi avete calcolato su la debolezza del mio cuore, vi siete ingannato. Ve lo dico prima; non voglio avere rimorsi. Non c'è un uomo al mondo finora che possa vantarsi di aver sfiorato con un bacio le mie labbra, le mie guance, una di queste mani; e ne sono orgogliosa. Siete cosí vanitosi, cosí meschini, tutti! Con voi, è un'altra faccenda. Chi sta per morire è quasi uno spirito, non è piú di questo mondo. Tra voi e me starebbe un segreto che nessuno potrebbe rompere. E bello; è strano ... Mi avete tentato ... Sareste il mio fidanzato eterno ... Forse allora vi amerei ... Vi dovrei es ser grata di avermi fatto provare un sentimento ancora a me ignoto -. S'era rizzata sul busto, sporgendosi verso di Alberto, affascinante, col bianco volto dagli occhi nerissimi sotto le nerissime sopracciglia, i neri capelli raccolti sul capo in un gran nodo e una lieve ombra di ricci folli su la fronte marmorea. - È vero che è delizioso? - E taceva, aspettando la risposta. - Tanto - disse Alberto - che dare per questo la vita mi par niente! - Riflettete ... - Ora? ... È impossibile! - Vedendola scattare in piedi, Alberto si alzò anche lui; ma non fece neppure un passo per seguirla verso l'armadietto d'ebano dov'era andata a prendere un bicchiere d'oro e una boccettina d'oro finamente cesellati ... - Il sapore è cattivo - ella disse, versando un liquido latteo. La sua mano non tremava; il suo viso era impassibile; se non che le balenava negli occhi la crudele curiosità della donna che non indietreggia davanti a nulla, quando è tentata dall'assurdo e vuol vedere ... e vuol sapere ... Ma che importava? Alberto stese il braccio, guardando quelle labbra leggermente increspate, quasi frementi pel prossimo contatto del bacio. - No - ella aggiunse subito, scostando la mano. - Riflettete ... No ... No! Rifle ... - S'era interrotta, vedendogli sorbire il liquido lentamente, senza nausea ... E appena Alberto le rese il bicchiere, s'avanzò risoluta, severa, con gli occhi socchiusi: poi si arrestò immobile, offrendo le labbra impallidite, e attese ... Lo lasciò fare ... Uno, due, dieci, venti baci ... senza ch'ella si scotesse, senza che accennasse a renderne uno! Il leggiero tremito di tutta la persona, il rapido battere delle palpebre abbassate erano l'unico indizio da cui Alberto poté capire che stringeva fra le braccia un corpo vivo! Come poco prima, gl'immani alberi del viale stormivano leggermente; nel cielo, d'un nero d'inchiostro, brillavano poche stelle ... Con la testa vagellante, e il respiro affannato, Alberto si sentiva avvolto da una vampa, da capo a piedi ... Appena scostatosi dall'uscio che s'era subito richiuso ... Gli era parso? ... No; il bianco fantasma era di nuovo lí, accennante; di nuovo, un mormorio di voce femminile si perdeva inintelligibile nell'oscurità ... Egli si lanciò per esalar su quelle labbra l'anima agonizzante: - Addio! ... Addio! - ripeteva, aspirando il respiro di lei. Ella intanto, con fremito lieve della voce, dolcemente, gli mormorava all'orecchio: - Oh, no, addio! A rivederci, amore! - Napoli, maggio 1888@. 1888.

Mentre Eugenio, passato il primo bollore della passione, si staccava da lei mezzo annoiato, mezzo sazio, naturalmente, senza che la riflessione vi concorresse per nulla; la signora Viotti - che aveva abbandonato il marito da cui si sapeva adorata e che aveva adorato anche lei fino a sei mesi addietro, essendosi sposati per amo re - la signora Viotti, all'opposto, si sentiva attaccare, di giorno in giorno piú strettamente, da uno di quei violenti legami pei quali la ragione non vale. Da Treviglio, dove Eugenio trovavasi a villeggiatura a villa Savini, invitato da un amico, essi eran volati a nascondersi nell'immensità della capitale, in quell'elegante quartierino di via Modena, al terzo piano. E durante il primo mese, uscivano soltanto la sera, a braccetto, per passeggiare pei quartieri nuovi, baciandosi furtivamente lungo le vie solitarie, quasi in tutta la giornata gliene fosse mancato il tempo! E non facevano altro, Dio mio! Erano proprio insaziabili. Andando attorno posatamente, par landosi all'orecchio e stringendosi le mani, ella gli ripeteva spesso: - Mi par di sognare. - Anche a me - rispondeva Eugenio. Conosciutisi in una scampagnata, egli aveva avuto appena l'occasione di susurrarle qualche parola di semplice galanteria, senza nessun preconcetto, senza nessun'idea di far colpo, sapendo bene che quei due, marito e moglie, s'erano sposati per amore. Ma una sera, sul tardi, ritornando alla villa da una passeggiata faticosa, avvedutisi di esser rimasti molto indietro da la compagnia, eran diventati a un tratto silenziosi, impacciati di trovarsi cosí soli tra i filari dei gelsi che costeggiavano la via, sotto quel cielo senza luna, nella penombra della sera che invadeva tacitamente la campagna al leggiero stormire delle fronde. In che modo i loro sguardi s'erano incontrati? In che modo era spuntato sulle labbra di tutti e due lo stesso sorriso pieno di stupore? ... E in un baleno, ella gli si era buttata tra le braccia, singhiozzante: - Che gran male mi avete fatto! ... Mi sento impazzire! - Eugenio, interdetto, turbato, rispose a stento: - Ci chiamano! ... - Nella nottata però non poté chiuder occhio; quella voce singhiozzante, piena di tanta passione, gli aveva sconvolto cuore e cervello. Non credeva a se stesso: - Amato fino a questo punto! - E due mesi dopo, nelle loro passeggiate serali per le vie della nuova Roma essi ridevano ancora del terrore provato in camera di lei, a villa Savini quella volta che suo marito aveva dovuto correre da Treviglio a Milano per un affare urgentissimo. A notte avanzata, essi avevano udito un rumore, secco secco. - Han chiuso l'uscio della stanza di passaggio! - ella balbettò, stringendogli un braccio, convulsa - Oh Dio! Saremo scoperti, tra le risa mal celate della servitú, tra le ipocrite indignazioni delle altre villeggianti! ... E mio marito, quando saprà ...! - La signora Viotti si disperava, si torceva le mani, si strappava i capelli. - Non può essere ... Zitta! ... Vo a vedere -. E andato di là, per accertarsene coi propri occhi, Eugenio era subito tornato addietro pallidissimo, mordendosi i baffi ... Terribile quarto d'ora! Smarrita, tremante da capo a piedi, vincendo ogni pudore, s'era levata anche lei, e presi per mano, barcollanti, erano andati insieme di là, dinanzi a quell'uscio fatale, per forzarlo a ogni costo! ... E che infrenabile convulsione di risa, vedendolo ancora aperto com'egli, venendo, lo aveva lasciato! - Ero cosí agitato, per te, da travedere fino a quel punto! - Ed io, ricordi?, balbettai: "Un sorso d'acqua!" Quasi svenuta sulla poltrona, tremavo e ridevo! ... - Cosí riandavano spesso i piú lievi fatti del breve passato; ella senza nessun rimpianto di quel che, fuggendo, avea lasciato dietro di sé; egli senza nessun pensiero dell'avvenire quasi la loro felicità di amanti avesse dovuto durare eternamente! Quando la signora Viotti, ammonita dal suo fino istinto, sorprese in Eugenio i primi sintomi di raffreddamento, rimase stordita come da un colpo di martello su la testa. Non pianse, non gli disse nulla. E messasi a osservarlo, dissimulando l'intensa ambascia, a ogni sintomo che le rendeva piú evidente la propria sciagura, si sentiva correre per tutto il corpo un veleno sottile sottile che le guastava il sangue rapidamente. Da prima, Eugenio la vide deperire con indefinibile sentimento d'inquietudine: - Che cosa ti senti? - Io? Niente. - Pure, mi sembra ... - T'inganni -. Egli non insisteva. Sicuro del suo segreto, aspettava di poter scoprire qualcosa di simile nel cuore di lei; allora lo scioglimento della crisi sarebbe riuscito facilissimo. Né disperazioni, né lagrime; una stretta di mano, una parola di rimpianto per la felicità volata via ... e festa! Il marito pronto a perdonarle e ad aprirle le braccia, non aveva scritto ultimamente a un amico perché s'interponesse? E questi s'era presentato alla signora con la gravità d'un diplomatico. Ella, sí, aveva avuto il torto di rispondere: - Non c'è perdono per una colpa come la mia! - Umile alterigia a sproposito. Dopo quella risposta però egli le aveva susurrato, abbracciandola: - T'amo piú di prima. Sei stata sublime! ... - E aveva mentito. Compresa finalmente la vera ragione di quel muto dolore, Eugenio provò un vivissimo senso di dispetto, come per una prepotenza, per una inqualificabile soverchieria. Ma non ebbe il coraggio di rinfacciargliela; e rodendosi dentro, diventava a ogni minima occasione e per futili pretesti incontentabile, stizzoso, continuamente aizzato da quel suo dispetto ingiustissimo - ne conveniva, qualche volta, internamente. E con tutto questo non gli riusciva di provocare un po' di resistenza, qualche scena da parte di lei! Ne arrabbiava. La signora Viotti, zitta, rassegnata, deperiva intanto con incredibile rapidità, per quella vampa interna che le inaridiva il sangue e le struggeva le carni. - Meglio lasciarmi morire! - aveva deciso. Eugenio, per convenienza, per scrupolo anche, una mattina condusse in casa il dottore; ma la signora ricusò di riceverlo. - Che dottore! Perché? - ella diceva sforzandosi di parere tranquilla. - Sto benissimo -. E non si lamentava della sua sorte, neppure quand'era sola: - Se Eugenio non mi ama piú, che posso farci? Forse son io che non ho saputo farmi amare durevolmente; forse, questo è il mio gastigo! E sia. L'amo, l'amerò fino al mio ultimo respiro. Voglio morir qui, in casa sua; non potrà scacciarmene morente! - Poi cedette, per contentarlo. A ogni visita, ella guardava fisso il dottore; voleva leggergli sul volto la propria sentenza. - Parli schietto: è cosa grave? - gli domandò una volta che Eugenio era assente. Il dottore tentò di rispondere: - Ma ... se ... - Non ho paura di morire - ella lo interruppe per farlo uscire dalle reticenze. - Sappia che se fossi in pericolo avrei importanti disposizioni da dare. - Per cautela, provveda, - allora conchiuse il dottore. - Ah! ... Va bene - ella mormorò. Avvertito dal dottore che lo aveva incontrato per le scale, Eugenio entrò da lei insolitamente commosso; e vedendo affondato nei guanciali il volto quasi irriconoscibile della bellissima donna un giorno amata, s'arrestò, quasi non lo avesse mai osservato fino a quel momento. - Povera donna! ... Se deve morire, muoia almeno credendosi ancora riamata! - La signora Viotti lo guardava con occhi dolenti, da vittima invocante misericordia dal carnefice; e quegli sguardi lunghi, quasi addio pieno di strazio, parevano domandargli dimessamente: perché non m'ami piú? Da quel giorno però Eugenio cominciò a sembrarle di bel nuovo mutato. - Guarisci presto - le diceva, accarezzandole il volto dimagrito, ravviandole le ciocche di capelli arruffate su la fronte. - Siamo ne la bella stagione. Andremo in campagna, o a Sorrento come tu desideravi una volta. Cercheremo un nido, un paradiso di verdura e di sole, degno del nostro amore, degno di te ... - Ella non rispondeva, non sorrideva neppure a quelle carezze e a quelle promesse, tuttavia incredula, decisa di lasciarsi divorare dalla gastrite. Ma da che Eugenio rimaneva giorno e notte in came ra, presso il letto, dormicchiando spesso sopra il canapè, per esser piú pronto a somministrarle la medicina e a cambiarle le pezze ghiacciate alla testa; da che gli sentí ripetere, con lo stesso accento d'una volta, le dolci parole d'amore che l'avevano inebriata fino ad offuscarle la ragione, fino a spingerla ad abbandonare un marito cosí buono da perdonarla s'ella avesse accettato il perdono - quelle parole piene d'incanto che Eugenio non le aveva mai ripetute da un pezzo - ella pensava: - Oh Dio! ... Mi sono forse ingannata? ... - Eugenio medesimo in certi momenti non avrebbe saputo distinguere s'egli continuava a rappresentare una pietosa commedia o se diceva davvero. Il rimorso d'aver contribuito, quantunque involontariamente, alla distruzione di quell'innamorata creatura lo spingeva a esagerare: - Poverina! Muoia almeno contenta. - Senti - gli disse un giorno l'ammalata. - Debbo confessarti una cosa ... - Con le mani dimagrite, tremule per debolezza e che scottavano, gli aveva preso le sue e gliele stringeva forte: - Fatti piú accosto; posa la testa sul guanciale ... Ascolta. Prima di morire, voglio confessarti ... - Eh! ... Non siamo a questo punto. - Forse -. S'era arrestata per guardarlo da vicino nelle pupille; e gli passava una mano sulla guancia, con l'incerta carezza di persona rifinita dalla malattia. - Ti vedevo cambiato. Credevo che tu non mi volessi piú bene e che ti fossi diventata peso insopportabile, dura catena ... - Ma ... - Lasciami dire. Non ti accusavo, non ti maledicevo. Vedi? Muoio per questo, e sarei morta disperata, se non te lo avessi fatto comprendere. Perdonami! ... Ingannata dalle apparenze, ti calunniavo indegnamente ... Perdonami! - Su quel volto pallido e scarno, le lagrime scorrevano, sgorgando piú abbondanti dalle ciglia a ogni parola, a ogni frase, le scendevano fino alle labbra, ed ella se le beveva con voluttà, impedendo che Eugenio gliele asciugasse: - No, lasciami piangere ... È cosí dolce! ... Lasciami morire cosí -. Interrogando il dottore, egli era tormentato dall'ansia di vedere indovinato il proprio egoismo, la freddezza di cuore sopravvenuta. In alcuni momenti cercava di mentire fin con se medesimo, se l'intima voce della coscienza lo rimproverava, inesorabile, a ogni domanda con cui egli sperava di accertarsi che, presto o tardi, quella tortura sarebbe finita. E dopo tre eterne settimane passate presso la malata, giorno e notte, senza andare a respirare un soffio d'aria libera, si sfogava in soliloqui brutali: - Farà morir di sfinimento anche me! - E subito, quasi per ammenda, la povera ingannata che smaniava dalla febbre si vedeva sopraffatta da effusioni di carezze e di parole affettuosissime, che parevano scaturire dal piú profondo del cuore. Ed erano invece mera finzione, artifizio, per attutire la voce interna che insorgeva contro di lui. Aveva forse due anime? Vivevano insomma due diverse persone nel suo corpo, una buona e una cattiva? Egli non sapeva spiegarselo. Il dottore intanto non si lasciava scappare affermazioni recise: - La malattia, gravissima perché non curata in tempo, segue il suo corso; la signora può guarire, lentamente; ma ... - A quel ma lasciato cosí sospeso, Eugenio sentiva, suo malgrado, un po' di sollievo. - Per certe anomale situazioni della vita, non c'è altra soluzione! - rifletteva freddamente. - Non l'ho provocata, né agevolata - aggiungeva subito per scusarsi con se stesso. E spiava ogni sintomo, e notava ogni minimo cambiamento, aggirandosi smanioso attorno a quel letto dove la povera signora, riarsa dalla febbre, soffocava gli atroci dolori per non gridare, per risparmiargli l'angoscia di vederla soffrire, ora che si credeva ancora amata! - Mi sento assai meglio, sai? - E le visceri le si torcevano sotto la coperta, intanto ch'ella gli sorrideva e gli chiedeva baci. La mattina che la signora Viotti, già convalescente, si affacciò allegra su l'uscio del salotto, augurando all'amante il buon giorno, Eugenio, di cattivo umore, non seppe neppure usarle la cortesia di alzarsi subito da sedere e andarle incontro. - Sono felice; non voglio piú morire! - ella mormorava abbandonata deliziosamente su la poltrona. Eugenio, in piedi, la guardava; e aveva su le labbra l'equivoco sorriso - quasi contrazione - di chi, non piú amante, vede ribadirsi la catena creduta già vicina a spezzarsi. Mineo, 25@ 25 marzo 1885@. 1885.

Gli pareva che esso già si disfacesse dalla cancrena di tutti i turpi abbracciamenti ai quali s'era abbandonato. Soltanto il ritratto del Cremona, quella divina figura immortalata dall'arte, gli faceva battere il cuore come una volta. Era stato fatto nei primi mesi del loro matrimonio quando lo splendido fiore della bellezza di lei non era stato ancora inquinato; e tutta la pudica innocenza della vergine diventata appena donna s'era rifugiata su la meravigliosa tela dove il pittore aveva diffuso piú largamente la magica fosforescenza del suo pennello. Giovanni rimaneva ore ed ore in faccia a quel ritratto, che talvolt a gli si muoveva sotto gli occhi quasi agitato da soffio vitale; e se, dopo, incontrava per le stanze lei che lo guardava con gli occhi ingranditi nel volto pallido, ella gli sembrava un'ombra, un fantasma dei giorni tristi; e le voltava le spalle. Poi non piú nausea o repugnanza, fu odio a dirittura. Perché quella donna restava lí? Perché aspettava d'esser scacciata via a colpi di granata, quasi immondezza? Perché non voleva morire, ma gli si teneva fitta alle costole simile a un cattivo destino? Dio! Dio! ... Chi lo tratteneva dallo schiacciarla come un vile insetto, cosí? E una volta, avendola sorpresa piangente, diventò furibondo, cominciò a urlare: - Ah! ... Tu osi piangere? Ah! ... Tu osi rimproverarmi, a questo modo, la mia immensa bontà? Gli s'era inginocchiata ai piedi, credendo d'intenerirlo, e s'era sentita afferrare pel collo da due granfie di belva che tentavano strozzarla. - Perché non me l'hai lasciata finire? - egli disse a suo padre sopraggiunto per caso. - Perché non me l'hai lasciata finire? - Suo padre lo guardò stupito. - Oh, mi sentivo piú felice ... allora! - esclamò Giovanni. E scoppiò in singhiozzi. Mineo, 24@ 24 luglio 1881@. 1881.

La sventura avea spetrato quel cuore di madre, e il pentimento e il rimorso la conducevano alla casa del figliuolo cosí spietatamente abbandonato e, una volta, fatto scacciare dai suoi servitori. William abitava insieme ad Hermann. Quella stessa vecchia che un giorno lo introdusse nella stanza di studio del suo amico gli annunciò la visita d'una gran dama. - Passi - rispose smettendo di lavorare. Una signora vestita a lutto, con un fitto velo sugli occhi si presentava sulla soglia. Esitava ad inoltrarsi. William le era andato incontro. Allora quella signora avea sollevato il suo velo ed era rimasta a testa bassa innanzi a lui. - Mia madre -. William non si era scomposto. Ma la signora, fulminata da quella freddezza, lo fissò in volto. Non vi traspariva nessun indizio di commozione repressa. Suo figlio la guardava attentamente, ma con impassibile tranquillità. Al grido straziante della contessa, e al vederla fuggire inorridita, William avea alzate le spalle ed era tornato al tavolino, a disegnare figure di geometria. Otto giorni dopo, passando davanti la casa dove si espongono i cadaveri non riconosciuti delle persone perite di morte improvvisa o violenta, avea veduto molta gente affollarsi sull'uscio. La curiosità lo avea spinto ad entrarvi. Sopra una bara giaceva il cadavere d'una giovane dai diciotto ai vent'anni. Bella, vestita con eleganza, aveva i capelli rappresi sulla fronte e sul collo; gli abiti ancora bagnati indicavano il genere di morte scelto dalla infelice per finire i suoi giorni. - È Ida Blümer - egli disse; - la riconosco -. Condotto davanti al commissario, vi fece la sua deposizione. La vista di quel cadavere lo aveva lasciato indifferente. Eran passati sei anni. - Che cosa voleva dire quella stanchezza vaga, indefinibile che cominciava ad insinuarsi nella sua vita regolare e monotona? Quei confronti del passato col presente, che gli erano stati cagione di tanta allegrezza, perché ora prendevano un accento di lieve rimprovero? - Fu spaurito di questi sintomi e cercò di svagarsi. Ma come sfuggire la memoria? Si vedeva perseguitato da essa perfino nei sogni. Giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, la stanchezza e la noia aumentavano. Non poteva far nulla per arrestarle; si sentiva inetto a resistere. - La gran legge del lavoro! - Aveva un bel ricordarsene; non gli riusciva di lavorare. Si stancava, si annoiava subito. Gli mancava qualcosa che gli rendesse caro il lavoro. La sua solitudine gli faceva spavento. I momenti piú tristi della sua vita gli parvero preferibili, immensamente, a quella calma di morte che l'operazione del dottor Cymbalus gli avea procurata. - Mamma! Ida! Mamma! Ida! - chiamava ad alta voce, chiuso nella sua stanza, senza voler vedere nessuno. Tentava di riscuotersi con quei nomi dal torpore che lo teneva incatenato fra i suoi terribili nodi. - Ma nulla! - Quelle parole: "Mamma, Ida" gli risuonavano nell'orecchio come due voci che non avessero mai avuto alcun senso per lui. - Ah! Quell'ore di pianto, di disperazione, di strazio mortale passate a guardar da lontano le finestre del palazzo K*** nelle notti d'inverno! Ah! quell'ore d'agonia, quando si struggeva di abbracciare sua madre che perduta tra le feste e i conviti piú non si ricordava di lui! Quelle erano state ore! E quando i furori della gelosia, i folli propositi di vendetta gli avevano sconvolto il cervello, al tradimento di Ida Blümer? Che emozioni! Che divini dolori! ... Ed ora piú nulla! Nulla! Un giorno corse d a sua madre. La contessa K*** si preparava per un viaggio lontano. Nel momento che William saliva le scale del palazzo ricordando la trista scena di parecchi anni fa, essa trovavasi nel suo elegante salotto, abbandonata su una poltrona, col viso fra le mani, piangente. Una cameriera levava della roba da un mobile antico incrostato di avorio e di madreperla, e nominato un oggetto, aspettava che la sua signora le rispondesse sí o no con un cenno del capo. William irrompeva nella stanza. La contessa pareva ammattita dalla gioia. Rideva, piangeva, lo abbracciava, lo carezzava, tornava ad abbracciarlo. William non rifiniva dal baciarla: - Il contatto di quelle labbra dovea fargli rivivere il cuore! Chiamami figlio! Chiamami figlio! - Figliuolo, figliuolo mio! - ripeteva la contessa. Il rimorso, il pentimento, la gioia rendevano sublime l'accento di lei. William smaniava; si scioglieva dalle braccia di sua madre, le metteva una mano sulla fronte per tenerle sollevato il volto: - Voleva contemplarlo bene e assorbire tutti gli splendori di quegli occhi! Qui le tue mani, sul mio cuore! ... Premi forte! ... Ancora piú forte! Ma no! No! Quel terribile gelo non voleva fondersi. Il suo cuore era morto per sempre! Non un palpito! Non una leggiera emozione! Baciava forse una statua? Era un'infamia! Oh, maledetta quella scienza che lo aveva cosí ridotto! - La mattina dopo, senza dir nulla al suo amico, William Usinger prese la strada che conduceva alla villetta del dottor Cymbalus. Era giorno di festa. Allegre brigate di uomini e di donne, sparse pei prati che fiancheggiavano la strada, conversavano allegramente o ballavano al suono del violino e del contrabasso. William si fermava a guardare quelle persone felici; ma non capiva piú nulla di quella loro musica, e di quelle loro canzoni. Quei visi sorridenti gli sembravano atteggiati a scherno o a disprezzo per lui. Il dottor Cymbalus lo ricevette colla sua solita cordialità. William gli espose quel che provava. - Io non v'ingannavo, figliuolo mio! - gli disse il dottore diventato tristo e meditabondo. - Forse sarebbe stato meglio vi avessi lasciato mettere in atto la vostra disperata risoluzione! Non credete per questo che vi fossi indotto da una vanità di scienziato, per tentar l'esperimento delle mie scoperte. Voi calunniereste il mio cuore d'onest'uomo che la scienza fa palpitare vivamente per qualunque creatura che soffre. Fui sedotto da una speranza: osai sperare che la natura non sarebbe stata inesorabile. E ravate cosí giovane! Avevate tanto sofferto! Ma la natura non muta le sue ineluttabili leggi. - Addio, dottore! - disse William. - Abbiate coraggio, abbiate coraggio! - Avrò coraggio -. Il dottor Cymbalus dalla finestra del suo studio seguí coll'occhio il giovane che s'allontanava a capo chino. Lo vide fermarsi per consegnar qualcosa al servo poi sparire nel campo vicino, dietro un folto gruppo di alberi. S'udí un'esplosione d'arma da fuoco. Il dottore corse in fretta, accompagnato dal servo, verso il punto dove l'Usinger era scomparso. William giaceva a terra immerso in un lago di sangue, col petto squarciato da una terribile ferita. Quando il servo consegnò al dottore il foglio ricevuto alcuni momenti prima, il vecchio scienziato lo aperse tremando dalla commozione, colle lacrime agli occhi. Esso conteneva queste brevi parole: "Lascio tutto il mio patrimonio al dottor Franz Cymbalus ed al mio amico Hermann Strauss perché con esso istituiscano una scuola gratuita dove si insegni ad Amare!" Firenze, settembre 1865@. 1865.

E aveva abbandonato tutto ... per lei ... per espiare la colpa d'un istante! - ella pensava trasognata, quasi un'influenza esteriore le spingesse la povera mente verso quel punto e ve la tenesse fissata. E riscuotendosi tutt'a a un tratto, guardava attorno atterrita, feroce contro colui, riboccante di sprezzo di se stessa, con c osí tragico pallore sul viso, e sguardi cosí smarriti, che Giulio tornava a impensierirsi. La gravidanza ora non c'entrava piú. Certe stranezze del carattere di sua moglie diventavano addirittura inesplicabili. Non la riconosceva! Nei momenti, nei giorni ch'ella tentava di rifugiarsi in lui per vincere il tristo demone, egli la vedeva sempre agitata, eccessiva in quei baci ed abbracci piú da amante che da moglie, e affatto diversa da quella ch'era stata fin allora. Poi, ella mostrò improvvisamente desiderio di lanciarsi fuori della cerchia intima e tranquilla che li aveva accolti tant'anni, ignari quasi ed ignorati, paghi e contenti della felicità di amarsi e di sentirsi amati fra le consapevoli pareti dove non giungeva nessun rumore della vita cittadina. E a quegli scatti di sensazioni, a quei capricci di passeggiate, di visite, di teatri, di feste, che lo meravigliavano assai, Giulio cominciò a temere che la gravidanza non avesse lasciato in lei qualche funesto germ e d'esaltazione nervosa ... Il dottore, ripetutamente consultato senza che Teresa ne sapesse nulla, era stato d'ugual parere. Avevano fissato insieme un metodo di cura abilmente combinato: viaggi, bagni, regime ricostituente ... Ed ella aveva subito acconsentito, lietissima ... Capiva che già v'era qualcosa di guasto dentro di sé, di affievolito per lo meno. Lo stesso confessore non le consigliava di distrarsi, di fuggire la solitudine, perché in questa il demonio conduce meglio il suo scellerato lavoro di tentazione? Era andata piú volte ad accusarsi, ingenuamente, chiedendo perdono a Dio della sua debolezza, implorando la forza di resistere; e confessore e dottore, quasi d'accordo, le ripetevano: - Si distragga! - Ma che posso farci? ... Il nemico è accovacciato qui, nel mio interno! - Da un mese ella dormiva soltanto a brevi intervalli; poi le palpebre le si ritiravano in su. Doveva svegliare ogni volta il marito? E il nemico la sopraffaceva. Andati per vedere il bambino, avevano trovato la balia piangente. - Signora mia, non vuol poppare. - Da quando? - domandò Giulio. - Da ier sera dopo le otto. Alle quattro aveva poppato benissimo -. Giulio disse: - Non è nulla ... Riportiamolo in città -. Fingeva di non essere turbato, per rassicurare Teresa che teneva fissi gli occhi su la culla dove il bambino, col viso pallido, i labbrini violacei semi aperti e le manine increspate, dormiva. Che triste ritorno! Ella si era rovesciata in fondo al legno, muta, stringendo una mano di Giulio. La balia seduta dirimpetto, canticchiando sotto voce, cullava il piccino; e la bambina, su le ginocchia del babbo, stringendogli le braccia attorno al collo e appoggiandogli la testina alla spalla, ora guardava lui, ora la mamma, e non osava rompere il silenzio. Solo Giulio, che invece avrebbe voluto piangere, tanto aveva il cuore ingrossato, ripeteva di tratto in tratto, monotonamente: - Non sarà nulla! Non sarà nulla! - Alle prime parole della balia, Teresa aveva avuto un sussulto - Se il bambino morisse! - E il malvagio istintivo movimento era stato subito seguito da un senso di ribrezzo e di orrore. Poi, in casa, attorno al lettuccio del bambino, quando già si poteva leggere in viso al dottore il destino della povera creaturina, la brutale preoccupazione della propria salvezza aveva preso di nuovo il sopravvento, snaturata, senza pietà. Sentendosi quasi affogare, la infelice s'aggrappava a tutto. Pur di salvarsi lei, che doveva importarle degli altri? ... Perciò s'irritava contro suo marito che, inconsola bile, forsennato, pregava, scongiurava il dottore con insistenza bambinesca, quasi lo credesse padrone della vita e della morte e capace di fare un miracolo! ... Il maleficio le pareva legato a quel filo di esistenza che non voleva spegnersi, che non volevano lasciar spegnere ... lui specialmente, suo marito! ... Ed ella vibrava tutta, si sentiva tirare, strizzare tutta; vedeva fiammelle. E immediatamente, senza stacco, cadeva in grande prostrazione, mutata di punto in bianco, con le lagrime agli o cchi per quella creaturina agonizzante; stupita che poco prima avesse potuto desiderare e affrettare coi voti l'empio scioglimento. - Ma sí, ma sí! ... Lo voleva! Aveva sofferto troppo! ... Non resisteva piú! - E vedendo il marito chino sul lettuccio, dolorosamente intento a spiare il mancante respiro del figliolino, si sentiva spinta ad afferrarlo per un braccio e strapparlo di là, e urlargli una terribile parola. Il sangue le affluiva al cervello, le martellava le tempia, un violentissimo tremito tornava a scoterle la persona. - Giulio! ... Giulio! ... - Voltandosi al grido sommesso, egli l'avea vista accostare cautamente, in punta di piedi, con gli sguardi smarriti e un dito sulle labbra. - Lascialo andare, Giulio! ... Lascialo andare! ... - E lo tirava via dolcemente, sorridendo triste, scuotendo la testa con movimento significativo ... - Teresa! Teresa mia! - balbettò Giulio, non comprendendo ancora tutta la sua sventura da quegli occhi smarriti, da quelle parole incoerenti. - Lascialo andare ... Ti vorrò piú bene ... Vorrò bene a te solo. A te solo - ripeteva la misera pazza, tirandolo pel vestito: - A te solo! - Sei mesi dopo, al ritorno della ragione, ella credeva di aver fatto un lungo sogno orrendo, e lo raccontava al marito, domandandogli a intervalli: - Ho sognato, è vero? - Sí, hai sognato - egli rispondeva fremendo. - Abbiamo sognato tutti! - soggiunse all'ultimo. E pensava quasi con invidia al fratello che avea cessato di sognare, uccidendosi in Australia. Roma, maggio 1889@. 1889.

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