Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNIFI

Risultati per: abbandonato

Numero di risultati: 36 in 1 pagine

  • Pagina 1 di 1

Da Bramante a Canova

250934
Argan, Giulio 1 occorrenze

Da tutto ciò si deduce: 1) che il progetto borrominiano fu approvato da Innocenzo X e quindi non era in contrasto col suo proposito di conservare la «primitiva forma»: espressione che con ogni verosimiglianza si riferisce solo allo schema basilicale a cinque navate; 2) che si rinunciò ai lavori del transetto, della tribuna e della volta della navata con il proposito di condurli a termine più tardi; 3) che, passata la festa e morto nel '55 Innocenzo X, il progetto di rinnovamento fu praticamente abbandonato e a Borromini non rimase che dedicarsi, con puntigliosa finezza, alla ricomposizione dei monumenti funerari nelle navate minori.

Pagina 224

Il divenire della critica

251845
Dorfles, Gillo 2 occorrenze

Tuttavia, un ritorno a un tipo d’arte che abbia abbandonato i valori di scambio per quelli esclusivamente d’uso - oggi quasi inimmaginabile -, mi sembra abbastanza ipotizzabile, comunque si mettano le cose dal punto di vista socio-politico. Ne abbiamo già oggi degli esempi anche se marginali e paradossali: la pittura-scultura infantile, quella dei dementi (entrambe spesso «spontanee» o esercitate con precisi intenti pedagogici e terapeutici) sono forme d’arte del tutto avulse da ogni «valore di scambio», cariche invece di un «valore d’uso». (Anche se, persino su questi onesti e candidi esempi d’un’arte fatta per catartizzare e curare, si son visti lanciarsi gli avvoltoi dell’affarismo consumistico: allestitori di mostre d’arte infantile e di arte demenziale, pronti a «valorizzare» tali opere assurde e perciò allettanti sul mercato artistico). E allora non stupisce che, accanto a tanti esempi di body art, di forme autodeformatrici e autolesionistiche, si siano riesumati degli esempi «storici» come quelli del viennese Messerschmid (1736-83)1 e che nella Documenta 73 di Kassel, accanto alla Selbstdarstellungen dei Ben, dei Nitsch, degli Acconci (essi stessi per buona parte rientranti nella categoria d’un’arte patologica anche se già in partenza mercificata) si siano allestite mostre come quelle degli schizofrenici Adolf Wölfli e H. A. Müller. Si tratta comunque di casi e di esempi marginali, che non tolgono nulla alle previsioni, in parte positive, che ho fatto per quanto riguarda la possibilità futura d’un’arte non soggetta all’esclusiva esca del consumismo, e capace invece di valere da complemento e da completamento al «tempo lavorativo», nonché da stimolo per una diversa utilizzazione di quello che - con espressione quanto mai incauta - è stato definito «tempo libero».

Pagina 38

Burri costituisce uno degli esempi più interessanti dell’arte alla metà del secolo, d’un’arte cioè che ha lasciato dietro di sé la «bella pittura» del postimpressionismo, del cubismo, della metafisica, che ha abbandonato il medium tradizionale, che ha cercato, attraverso nuovi materiali, di raggiungere l’incarnarsi di altre immagini. (E di questa corrente abbiamo alla Biennale uno dei più audaci pionieri: Kurt Schwitters, i cui collages e i cui Merzbilder ancor oggi offrono un’espressione di impressionante, premonitoria creatività).

Pagina 59

La storia dell'arte

253438
Pinelli, Antonio 1 occorrenze

Il metodo della «narrazione continua» non viene pertanto abbandonato dopo la rivoluzione prospettica, ma questa impone un’esatta traduzione della dimensione temporale del racconto in quella spaziale che è propria dell'immagine: se vediamo un personaggio che compare due o anche più volte in una stessa scena, esso deve essere rappresentato in modo che la sua apparizione risulti ogni volta proporzionalmente rimpicciolita o ingrandita rispetto alle altre. Tale rappresentazione, prospetticamente distanziata o ravvicinata, ha infatti lo scopo di segnalare inequivocabilmente allo spettatore che i diversi episodi compresenti nella scena non sono simultanei, ma sono separati tra loro da una distanza temporale (tradotta in termini spaziali).

Pagina 230

Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254880
Saltini, Guglielmo Enrico 1 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

E quando gl’Italiani ammirarono di nuovo quest’ultimo suo lavoro all’Esposizione Nazionale dell’anno decorso, insieme a quella Saffo, che diserta d’ogni umano conforto, sembra avere abbandonato la vita anche prima dell’estremo sacrifizio; a que’graziosi e tanto differenti fanciulli, festante l’uno per la grassa vendemmia, afflitto l’altro per le uve perdute; e a quella Vergine santa che tutta rivela nel muto sembiante la disperata desolazione materna; fu una la voce che lo salutò tra coloro che servendo col pensiero agli affetti, fanno rispondere le arti ai divini concepimenti. Nè vogliamo tacere che nel 1857 il Duprè inviò al concorso di Londra un modello pel monumento a Wellington, lavoro qua da pochi veduto, ma che gli meritò premio dalla sapiente Albione; nè delle due grandiose opere a cui attende adesso, il bassorilievo da collocare sulla porta maggiore della facciata di Santa Croce, esprimente l'Esaltazione del sacro simbolo, e il monumento sepolcrale di una gentildonna morta in Toscana pochi anni sono. — Torello Bacci di Firenze, uomo sui quarantacinque, scolpì nel 1844 la statua di Piero Capponi pel portico del Vasari; crediamo però che oggi abbia lasciato l'arte. — Pietro Costa pure fiorentino (n. 1819), studia con amore ed opera con coscienza. La statua di Francesco Redi che fece (1854) tra le ventotto degli illustri toscani, per la naturale movenza e per un certo gusto nella composizione merita lode; e quella sua graziosa americana del Sud (1859) che è adesso all’Esposizione di Londra, e il monumento della cantatrice Angiolina Bosio inaugurato nel 1860 nel campo santo cattolico di Pietroburgo, gli fruttarono anche appresso degli stranieri onorata menzione.— Luigi Cartei fiorentino (n. 2 settembre 1822), modellò nel 1847 per il portico degli Uffizi la statua dello storico Francesco Guicciardini; fece un’assai graziosa figura allegorica pel palagio dell'Esposizione italiana, e attende oggi con desiderio a scolpire una Pietà che ha da essere collocata nella nuova chiesa di Santa Caterina in Firenze. — Vincenzio Consani di Lucca, giovane artista, amante dei classici studj e del vero, scolpì (1856) non senza abilità la statua di Pier Antonio Micheli, famoso botanico, pel portico vasariano, e nell’anno appresso il monumento a Carlo III di Borbone duca di Parma. Merita anche di esser ricordata la sua Musica Sacra, molto gentile figuretta di garzone che canta. — Tito Sarrocchi di Siena, giovane che assai promette di sè, mandò all’Eposizione Nazionale del decorso anno un suo vago gruppo di una sorridente fanciulletta che insegna la prima preghiera al fratellino. — Salvino Salvini di Livorno (n. 26 marzo 1824) ha nome tra i più valenti scultori toscani. La statua d’Archimede, che inviava all’Accademia fiorentina, come saggio de’ suoi studi di Roma, e quella desolata figlia di Sion Ehma, modellata nel 1852, sono òpere degne di grandissima lode. Questa in special modo, dalle cui labbra par che di nuovo prorompa il disperato lamento dei biblici canti, destò già l’ammirazione degli Italiani e forma adesso quella dei forestieri nel palagio di Londra. Il Salvini oggi professore nella R. Accademia di Bologna, ha inalzato a questi giorni nel camposanto di Pisa un’assai bella statua a Niccola Pisano, e va modellando la statua equestre di Re Vittorio Emanuele, vinta al concorso del 1860, che poi gettata in bronzo, adornerà la gran piazza dell’Indipendenza a Firenze.

Pagina 32

Le due vie

255244
Brandi, Cesare 1 occorrenze

Prendendo in considerazione solo un fattore come causa esclusiva, Marx ha abbandonato i princìpi dell’empirismo. Solo i razionalisti e gli aprioristi possono passar sopra alla mera natura statistica delle leggi sociologiche: l’empirista conosce che il fattore del caso non può essere mai eliminato dalle occorrenze storiche.» Ma se in sede teorica neo-positivistica è facile sbarazzarsi di una dottrina formulata più di un secolo fa, il fatto che questa possa ancora offrire una così larga base al pensiero e all’azione, esige proprio un’interpretazione più dialettica che materialista: ed è allora che quanto per un neo-positivista rappresenta, nella teoria marxista, un incombusto avanzo idealista, la dialettica hegeliana, appare la ragione della sua possibile e continua rivitalizzazione. «Non più che della psicoanalisi — osserva Merleau-Ponty 44— è possibile sbarazzarsi del materialismo storico, condannando le concezioni ‘riduttóri’ e il pensiero causale in nome di un metodo descrittivo e fenomenologico, perché non è legato più della fenomenologia alle formulazioni causali, che se ne siano potute dare, e, come la fenomenologia, potrebbe essere esposto in tutt’altro linguaggio. Il materialismo storico consiste tanto nel rendere l’economia storica che, la storia, economica. L’economia sulla quale viene a poggiare la storia non è, come nella scienza classica, un ciclo chiuso, di fenomeni oggettivi, ma un confronto in atto di forze produttive e di forme di produzione che arriva a fine solo quando le prime escono dal loro anonimato, prendendo coscienza di se stesse e divengono così capaci di mettere in forma l’avvenire. Ora, il prender coscienza è evidentemente un fenomeno culturale, e per quel tramite possono introdursi nella trama della storia tutte le motivazioni psicologiche. Una storia ‘materialista’ della Rivoluzione del 1917 non consiste nello spiegare ogni spinta rivoluzionaria con l’indice dei prezzi al dettaglio al momento considerato, ma nel ricollocarla nella dinamica delle classi e nei rapporti di coscienza, variabili da febbraio a ottobre, fra il nuovo potere proletario e l’antico potere conservatore. L’economia si trova reintegrata alla storia piuttosto che la storia ridotta ad economia [...] Il materialismo storico non è la causalità esclusiva dell’economia.» Con che la critica fenomenologica viene a concordare con quella neo-positivista, ma, oltrepassando la lettera, salva lo spirito: anche se in modo non certo ortodosso, dal punto di vista marxista-leninista.

Pagina 95

Leggere un'opera d'arte

256563
Chelli, Maurizio 1 occorrenze
  • 2010
  • Edup I Delfini
  • Roma
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Con l’avvento del Cristianesimo il genere viene di fatto abbandonato e bisogna aspettare il Medioevo per ritrovarlo in alcuni dipinti; spesso però la fedeltà naturalistica è sacrificata ad una esigenza simbolica.

Pagina 167

L'arte contemporanea tra mercato e nuovi linguaggi

257011
Vettese, Angela 4 occorrenze

Peraltro, la maggior parte degli artisti non ha mai abbandonato la tradizione manuale. È il caso di Gerhard Richter, che da cinquant’anni applica ciò che Obrist ha definito «la pratica quotidiana della pittura» come un grande maestro del passato e quasi fosse un esercizio che, come gli allenamenti tecnici per i danzatori o i pianisti, non può essere abbandonato nemmeno un giorno.

Pagina 100

Un altro pregiudizio è che l’arte contemporanea abbia abbandonato la figura. Al contrario, anche grazie alla nascita della fotografia (che in effetti ha consentito la libertà di lavorare anche in senso astratto), gli artisti hanno spesso utilizzato sia la fotografia medesima sia altri materiali per realizzare quadri e sculture di un realismo inquietante. In qualche modo, possiamo addirittura ipotizzare che il realismo sia una delle strade maestre dell’arte che ha fatto scandalo: dai posatori di parquet di Gustave Caillebotte alle ragazze del primo Renoir; dall’arcigna giornalista ritratta da Otto Dix seduta al tavolino di un bar e dalle donne dipinte da Antonio Donghi e Ubaldo Oppi a tutto il Realismo Magico; da Edward Hopper a Grant Wood nel realismo americano la figura si è perfezionata e anzi ha imparato ad adagiarsi nella realtà quotidiana, ricopiandone posture e vestiti. Un quadro di Chuck Close da lontano sembra una fotografia, ma visto da vicino è fatto di mille tasselli colorati che sono composizioni astratte complesse; una scultura di Duane Hanson, magari quella di una donna obesa e oppressa che legge una lettera scritta a mano forse di un figlio in Vietnam? è fatta di abiti reali e di materiali acrilici, tale da metterci di fronte a una copia anche troppo fedele del vero. John De Andrea ha riprodotto coppie di amanti o corpi nudi accasciati in modo talmente veritiero, da generare quasi un senso di voyeurismo: vi sono riprodotti in modo maniacale anche i più piccoli dettagli come peli, unghie, rughe, capelli, capezzoli, pieghe dei tessuti, con un colore della plastica che li riveste in tutto simile a quello della pelle e delle mucose. Ron Mueck ci ha mostrato il corpo di una neonata, con il cordone ombelicale non ancora legato, vecchieggiante come tutti i feti appena giunti alla luce, facendone sculture in resina ingigantite o estremamente piccole ma sempre impressionanti e tragiche, quasi versioni letterali di quell’«essere gettati nel mondo» di cui parlò il filosofo Martin Heidegger: nulla a che fare con i Gesù bambini dei presepi, che sono raffigurati paffuti e rasserenanti.

Pagina 100

L’opinione corrente tende a identificare l’arte contemporanea con l’astrazione, ma sarebbe un errore pensare che abbia abbandonato la figurazione. Al contrario, come abbiamo visto, quest’ultima ha continuato a rimanere viva, anche se spesso incline alla deformazione dell'immagine. In ambito scultoreo, ricordiamo Henry Moore con le sue forme antropomorfe; Alberto Giacometti con corpi spigolosi e sofferenti; Giacomo Manzù, Marino Marini e Arturo Martini con la retorica del monumento. In pittura, torniamo a Francis Bacon, Graham Sutherland e Lucian Freud, che hanno lacerato il corpo umano fino a creare figure al limite del mostruoso; a Klossowski e Balthus, che hanno ripensato il surrealismo con risvolti erotici ed esoterici; al folto gruppo di coloro che, da Edward Hopper a Richard Estes, hanno esasperato a tal punto l’immagine fotografica in pittura da arrivare a una rappresentazione iperrealista. E ancora ricordiamo le figure ritratte tra tragedia e commedia umana nei quadri, distanti per geografia ma non lontani nello spirito, di autori come Maria Lassnig, Marlene Dumas, John Currin.

Pagina 27

Non abbiamo abbandonato la pittura vascolare di tipo greco per disamore o protesta, ma perché nel tempo ha cessato di essere un mezzo comodo e un linguaggio efficace.

Pagina 49

Personaggi e vicende dell'arte moderna

260064
Venturoli, Marcello 5 occorrenze
  • 1965
  • Nistri-Lischi
  • Pisa
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Il vecchio Matisse, quando già le forze l’avevano abbandonato, si serviva di una specie di canna per segnare faticosamente le sue cordiali figure; egli appariva sempre, benché impedito, al centro della sua casa, operoso e imperterrito; Utrillo invece faceva la figura di un ospite nella sua villa; seduto col capo basso in un angolo, si nascondeva il più possibile e soffriva della presenza dei rari visitatori, come se fosse stato oggetto, anziché di ammirazione, di una cattiva curiosità.

Pagina 101

Pentito, immusonito, tornò a casa e si fece mettere a letto; ma l’idea della fuga non l’aveva abbandonato. Il clochard era l’unico uomo che da tempo non gli avesse fatto paura e il pittore smaniava per rivederlo. Non si sa come Utrillo riuscì a comunicare ancora una volta con l’esterno del suo carcere dorato. Fatto sta che una notte l’amico e due pittori, eludendo la vigilanza del cane di guardia, penetrarono nella villa, allo scopo di aiutare Utrillo nella sua evasione. Ma il piano fu sventato.

Pagina 101

Ma sempre Moore è abbandonato sub conditione, quasi che i linguaggi dovessero fare i conti con un misterioso spirito di rivalsa: ecco, le matrone del «ritorno all’ordine» intorno agli anni Trentacinque si atteggiano a colline, a rupi cresciute con ciclopica fatica, per virtù della fantasia; e il modulo iniziale, parnassiano, cade come una crisalide, restando della scultura una potenza, che può essere molte cose, ma non parnassiana; le facce a confetto dei gladiatori metafisici e surrealisti si tumefanno, mettono buche di urli, e i loro corpi di geometria respirano in possenti incavi, si coprono di elmi e di scudi, tratti dal più romantico dei musei; i totem di Brancusi, i grandi tarocchi in tutto tondo, di una perfetta partita finita senza vittoria fra natura e ragionamento, si torcono in corpi crocifissi, creando ben altra assemblea di simboli, che quella accarezzata dal grande maestro rumeno: nel rumeno una natura ridotta all’essenziale, sul filo di una lucidità che diventa fantastica meditazione, scultura che cresce un po’ al giorno, negli anni, fino alla sua completa calibratura; nell’inglese la forma definitiva nasce da un terremoto di contrasti, dal placarsi improvviso e ancor vibrante di una serie di echi.

Pagina 174

Le centocinquantatre opere esposte nella mostra storica del futurismo alla XXX Biennale di Venezia (sale I e IV) costituiscono nel padiglione italiano e nel quadro dei valori assoluti presenti ai Giardini, la più suggestiva e stimolante palestra, di confronti e di approfondimenti, la più ricca «lezione»: ché nelle sculture e nelle pitture di questi pionieri delle attuali avanguardie circola una convinzione tanto felice quanto impegnata, si avverte il senso della solitudine di chi, lungi dall’essere stato abbandonato o escluso dall’umano consorzio, precede di parecchie tappe il cammino degli altri.

Pagina 33

Guido Strazza e Giacomo Soffiantino sono due pittori che hanno in comune in questo momento una crisi di concretezza fantastica e si presentano in notevole regresso rispetto alla qualità delle loro opere esposte rispettivamente da Pogliani e all’Attico di Roma nelle stagioni scorse: Strazza, per castigarsi del pericolo del giuoco tra fumi e fili di luci colorate, come appariva alla Mostra «Italia-Francia» e al «Mogan’s Paint» di Rimini (e quadri di questo tipo si ritrovano anche nella sua «parete» alla Quadriennale, la «Immagine» e il «Nudo al mattino») ha voluto rendere più corpose e ritmate le sue dolci evasioni, ma sembra proprio che l’estro l’abbia abbandonato; Soffiantino ha voluto compiere un altro passo avanti nel cammino della liberazione dai pretesti, ha voluto rendere, attraverso cancellazioni di luci, attraverso matasse grafiche di biacche d'argento su fondi perla o cenere, il friggere, lo spostarsi, il levitare di una vita non altrimenti percepibile: sicché agli schemi tra metafisici ed espressionisti delle sue nature morte balenanti dentro superfici allungate — sorta di festuche in vitro — l’artista non ha saputo sostituire qualcosa di ugualmente «tattile» ed è precipitato in una fumisteria dei chiari.

Pagina 351

Pop art

261667
Boatto, Alberto 2 occorrenze

L’io divagante dell’artista in quanto uomo comune, ma non scaduto ancora ad anonimo componente della massa, si sovrappone alla iconografia oggettiva e ne ricava seducenti motivi poetici, narrativi, satirici, a volte di abbandonato divertissement. Si fa luce talvolta anche un gusto naif, ma cittadino e perciò ricco di uno scaltrito candore, così diverso dalla tradizionale naïveté paesana.

Pagina 184

Ma ben presto il trompe-l’oeil viene abbandonato per l’uso di un più moderno ed aderente strumento di raffigurazione, il ricalco, che riunisce in sé la massima fedeltà alle forme essenziali dell’oggetto e la minima concessione alla pittura. Nella scelta gioca l’esempio di Rauschenberg, dei disegni in particolare; tuttavia, mentre Rauschenberg ricalca le foto per ottenere lo stampo invertito, l’imprimitura, Dine impiega il ricalco per ricavare il semplice contorno lineare dell’oggetto. Interviene qui tutta la differenza che separa un gesto di presa veloce incalzato dal tempo (Rauschenberg) da uno scrupolo di conoscenza obiettiva che si vuole fuori del tempo (Dine); la stessa ragione per cui non è lecito confrontare il gesto di abbracciare una donna con quello di compilare la sua schedina segnaletica. Per la prima volta il ricalco fa la sua comparsa in Dine in certi particolari di Cinque seghe e di Tostapane, e nei profili delle mani di Martellare colorato e di Studio in tre pannelli per la stanza del bambino (tutte opere fra il 1961 e il 1962).

Pagina 85

Saggi di critica d'arte

261803
Cantalamessa, Giulio 2 occorrenze
  • 1890
  • Zanichelli
  • Bologna
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Se avessi invece scritto per la stampa, avrei ricacciato indietro o dato poco posto a certe considerazioni sintetiche, mi sarei meno abbandonato agli allettamenti onde l'arte ci attira, avrei mirato ad un’abbondante e circospetta analisi delle opere, e nella dicitura stessa sarei stato più severo e più sobrio. Giacchè la disposizione d’animo con cui andiamo ad ascoltare un discorso non è la medesima che ci guida alla lettura d’un lavoro stampato; e la differenza che c’è tra un pubblico di uditori e un pubblico di lettori determina sempre in chi scrive un differente atteggiamento intellettuale e morale, secondo ei si propone rivolgersi all’uno od all’altro.

L’imitazione di Raffaello c’è; ma come, abbandonato il nocciolo vitale intimo, s’è tutta ridotta alla superficie delle cose, e in quest’improvvida trasmigrazione come s’è immiserita, rattrappita, sdilinquita! Come composizione, è confuso: figure pigiate su figure, tanto che sembra non aver l’artista messo in rapporto il numero delle persone collo spazio in cui intese disporle. Come colore è falso e monotono; il disegno palesa come la convenzione raffaellistica si trasformasse passando attraverso un’anima grossolana. In alto è cosa ridicola que’ putti che si sollazzano trattenendo la colomba impaziente di volare, per lasciarla a tempo. Se si pensa che in quella colomba è simboleggiato lo Spirito Santo, è da accusare l’artista, non dico d’irriverenza (chè questa non fu certamente nella sua intenzione), ma di fatuità irriflessiva. Per lui la Divinità è legata dal volere degli angeli, e le è attribuita un’animalesca inconsapevolezza della ragione di sua presenza e del momento propizio al suo intervento. Festevole bambocciata surroga la rappresentazione di augusti misteri. Così non pur si falsava l’arte del divino Raffaello in quel ch’essa ha di più ¡estrinseco, ma spariva ogni abitudine di quella meditazione intellettuale, sovra cui il maestro si preparava ai voli della concezione estetica.

Pagina 95

Scritti giovanili 1912-1922

264442
Longhi, Roberto 5 occorrenze

Incompreso ed abbandonato il suo senso della composizione di cui soltanto Caracciolo lasciava (probabilmente a Roma) alcuni sviluppi arditissimi ma affatto senza seguito fino alla ripresa mirabile di Mattia Preti, gli artisti operanti a Roma si rivolsero al suo stile plastico come quello che speravano di raggiungere con una semplice innovazione tecnica, mentre necessitava naturalmente un totale mutamento di visione. Non approdarono a nulla perché la interpretazione che ne davano sia che, dipartendosi dalle prime opere del novatore, ne volgessero il senso a un preziosismo sensuale delle superficie (Manfredi e imitatori nordici, Saraceni, Gentileschi e in piccola parte qualche bolognese), sia che riferendosi alle sue forme compiute lo convertissero in contraffazione delle materie singole o in generale fibrosità e scheggiatura di piani lignei (Gramatica, Baglione, ecc.), era pur sempre interpretazione superficiale perché sviando a scopo puramente gradevole o illusorio il suo senso della identità della sostanza pittorica lo svuotava del suo significato creativo.

Pagina 115

Pare che Orazio riesca qui a conchiudere le ricerche di impasto più solido e serrato che andava ricercando da tempo dopo aver abbandonato la radezza dei suoi primi impasti ragnati. È infatti come l'ultima redazione delle Sacre Famiglie del Prado e di Casa Spinola. Forze e delicature si accostano, a contrasto. Carni serrate e sanguigne di tessuto, e dolci nevai di panneggi chiari e freschi, toni di granata con riflessi d'acciajo, riecheggianti ancora il giubbo della Vergine di Loreto del Caravaggio, e manto di San Giuseppe di giallo prezioso come un giacimento aurifero; mani iniettate e molto condotte del Santo; la Vergine, per contro, degnificata e insignorita.

Pagina 240

Caravaggio s'è abbandonato qui a uno di quegli istanti avventurati.

Pagina 26

Lo stile volontario e ferreo di Lesueur ha nella sua glacialità molte attratrive per Roger Fry; il quale perciò non intende lamentare che Poussin abbia abbandonato le pose veneziane e tizianesche che dànno carattere a questa Sacra Famiglia per giungere a poco a poco alle uniche qualità del suo disegno tardo. Secondo il critico le qualità deliziose di questa opera primitiva furono bene sacrificate.

Pagina 391

come il paesaggio, abbandonato ogni antiquarismo, ogni geologismo padovano si costruisce per contrapposti di masse erbose e di castella squadrate nei loro volumi dall'effetto luminoso, tali che paiono richiamarsi alla veduta che del castello Riminese Piero aveva appostato in un medaglione dell'affresco Malatestiano!

Pagina 95

Scultura e pittura d'oggi. Ricerche

266496
Boito, Camillo 3 occorrenze
  • 1877
  • Fratelli Bocca
  • Roma-Torino- Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Certo, per uccidersi ha scelto il luogo deserto di un parco abbandonato. Nel tronco morto e nelle ortiche del terreno v’è una desolazione lugubre: l’ambiente della figura — cosa rarissima nella statuaria — è trovato con evidenza pittorica. Non si sa il perchè, ma si va pensando ad una mattina rigida, nebbiosa, cupa, senza aurora: una di quelle mattine, in cui ci si sente larve d’uomini in mezzo alle larve della natura.

Pagina 185

Il giardino è melanconico: tra le larghe pietre del lastrico e tra i ciottoli spunta liberamente il verde dell’erba; dietro gl’incartocciati balaustri del parapetto si vede un parco abbandonato, paludoso, con degli alberi in fondo, e poi nell’ampia pianura le case candide del villaggio lontano. Queste riverenze in mezzo a questi malsani resti di vecchie ricchezze, parrebbero il simbolo di una società che muore, se il Bianchi si desse alla melanconia di cercare così astrusi concetti. Ma il fatto è che il quadro ha il carattere giusto e sincero della cosa che vuole rappresentare: al Bianchi la cipria ed i guardinfanti giovano per la schiettezza del dipingere, poichè giustificano con le esatte affettazioni degli atti, delle espressioni e degli abbigliamenti, le affettazioni che la sua pittura non sa e non vuole sempre scansare. L’arte del Bianchi è più solida che profonda: non isvanisce dalla memoria, anzi piglia corpo e vita, ma una vita materiale, quasi teatrale. Cotesta pittura, che è tutta abilità, odora sempre un tantino, come la pittura del Tiepolo, di tavolozza e di pennelli.

Pagina 271

Ma non pare più del Leys il quarto dipinto con una storia di Rubens dentro, scomposto, scuro tutt’intorno e a sprazzi di luce nel mezzo, come una voglia di imitazione del Rembrandt; tanto gli artisti grandi s’impacciano quando, abbandonato il loro modo consueto, si propongono di seguirne uno diverso, ribellandosi alla propria natura. Il solito arcaismo del Leys aveva all’incontro un fondamento nell’animo stesso del pittore, tanto che i pensieri dovevano pigliare . senz’altro quella forma ingenua e pur dotta, nella quale una certa rigidezza non esclude la grazia, ed una certa pesantezza non esclude il moto. Ma gli imitatori di lui, come sempre accade, gli stanno discosto, il Lies tra gli altri, che pare voglia e non sappia emularlo insino nel nome. Altro infatti è ispirarsi ad un passato modo dell’arte, altro è seguire le orme di un maestro che vi si è ispirato, poichè nel primo caso sembra che il tempo corso tra il modello e l’imitazione lasci quel tanto spazio di libertà alla fantasia dell’artefice, che basta a rivelare compiutamente le virtù e i vizii del suo proprio ingegno.

Pagina 351

L'arte è contemporanea. Ovvero l'arte di vedere l'arte

266877
Sgarbi, Vittorio 1 occorrenze
  • 2012
  • Grandi Passaggi Bompiani
  • Milano
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Nel corso di dieci anni, dal 2000 circa, ho visto questo paese abbandonato Gaetano Pesce, L'Italia in croce, 2010-11. risorgere in quello che oggi è chiamato Sextantio: questo è il nome che si è dato a questo albergo diffuso. Non si tratta di un albergo fuori del centro storico, ma della bonifica di un intero paese, parzialmente disabitato, con la creazione di stanze che hanno ancora le tracce del fumo sulle pareti, i pavimenti di mattoni, i letti di legno. La “locanda” è un prodigio di ricostruzione, come una scenografia di Luchino Visconti. Tra l’altro l’intervento di bonifica del paese è stato effettuato con tale efficacia che non soltanto visitatori da tutto il mondo sono giunti a Santo Stefano per ammirare il progetto di Daniele Kihlgren - e io oggi lo indico, nella radicale impresa di conservazione, come un progetto avanzato, progressista, d’avanguardia - ma durante il terremoto del 2009 tutti i paesi confinanti hanno patito danno ad eccezione di Santo Stefano e della vicina Rocca Calascio. Il terremoto ha, insomma, risparmiato quell’area e gli edifici restaurati con le metodologie tradizionali, con la malta e con i mattoni, mentre è crollata la torre medicea che era stata restaurata negli anni Cinquanta con il cemento armato. Una prova dell’intelligenza del metodo di recupero. Ma, di nuovo, dietro di essa, vi sono la filosofia e lo spirito di un uomo.

Pagina 104

Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale

267804
Dorfles, Gillo 7 occorrenze
  • 1999
  • Feltrinelli
  • Milano
  • critica d'arte
  • UNIFI
  • w
  • Scarica XML

Non dissimile da Baruchello è stata per alcuni anni anche la pittura di Gianni Emilio Simonetti, il quale, tuttavia, negli ultimi tempi ha abbandonato la minuta figurazione cui prima s’era accostato, per dedicarsi soprattutto ad un genere di arte più prossima a certe recenti correnti concettuali.

Pagina 104

E non è da escludere che, proprio in questi paesi, possa, in un futuro non tanto lontano, verificarsi un’inattesa evoluzione dell’arte contemporanea con un ritorno a certe posizioni che l'Occidente ha di solito abbandonato.

Pagina 186

Molti scultori delle ultime generazioni hanno abbandonato lo "scalpello" per costruire forme basate su relitti metallici o lignei, spesso simbolici d’un iconismo non realistico ma metaforico. E vorrei ricordare a questo proposito le curiose opere in vimini e bambù di Gaeti, quelle in metallo di Ugo Marano, arieggianti impossibili mobili artigianali; quelle in lamiera di rame di Riccardo Dalisi spesso raffiguranti bizzarre creature antropo-zoomorfe; mentre un altro napoletano, Angelo Casciello, si vale del legno come del ferro per organizzare strutture di notevole efficacia plastica.

Pagina 188

Ed è per questo che ho preferito parlare di Wols in questo primo capitolo dedicato all’arte segnica, anziché in quello, che di solito gli compete, dell’informale; appunto perché considero l'informale còme un'estrema degenerazione dell’astrattismo che ha abbandonato ogni volontà compositiva, ed è giunto soltanto alla dissoluzione assoluta della forma.

Pagina 26

Burri costituisce uno degli esempi più significativi dell’arte italiana alla metà del secolo; d’un’arte che ha lasciato dietro di sé la "bella pittura" del postimpressionismo e del postcubismo, che ha abbandonato il medium tradizionale del colore ad olio, che ha cercato, attraverso nuovi materiali, di raggiungere l’incarnarsi di nuove immagini. Non dirò di certo che il valore di Burri sia dovuto soltanto all’uso dei legni combusti, degli stracci, dei sacchi, dei rammendi, di cui si valse soprattutto nelle sue opere tra il 1950 e il ’60, o dell’uso successivo di lamiere rozzamente saldate e di fragili materiali plastici. Per quanto ci sia del vero anche nell’affermare che proprio codesti materiali eterocliti e poveri: il legno bruciato, il cencio, il grumo rappreso, stanno a denotare l’affinità che questa nostra epoca avverte per i relitti, per i materiali effimeri e rozzi che non diano la sensazione della durata eterna. O forse, anche, la scelta di tali elementi può esser dovuta a una sorta di inconscia contrapposizione alla levigatezza e alla precisione di altri materiali (che incantarono gli artisti dell’epoca costruttivista, una trentina d'anni or sono) proprio perché quei materiali ricordano troppo da vicino l’analoga levigatezza e precisione dell’universo meccanico da cui siamo circondati e da cui spesso desideriamo sentirci liberati.

Pagina 54

Ma, oltre ad aver abbandonato il normale metodo di dipingere, Pollock sentì anche l’urgenza di abbandonare spesso il medium normale del colore ad olio, facendo ricorso a materiali diversi, sino allora poco o mai adoperati, come il duco (smalto opaco) e la vernice all'alluminio. L'efficacia di questi mezzi, in certo senso grossolani, ma dalle insolite qualità timbriche, doveva tosto essere avvertita dal pubblico; e presto furono legione gli imitatori sia dei metodi di sgocciolamento che dell'uso di smalti e di vernici alternate a polveri e inchiostri.

Pagina 59

Dopo lunghi soggiorni negli USA, tuttavia, la sua opera si è venuta modificando progressivamente verso un genere di stesure più intense e marcate (in parte vicine a certi dipinti di Stili, o di Noland) e ha abbandonato la ricerca tissulare per una più libera e più composita creazione cromatica.

Pagina 83